TAR Roma, sez. IV, sentenza 2022-11-02, n. 202214304

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. IV, sentenza 2022-11-02, n. 202214304
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202214304
Data del deposito : 2 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/11/2022

N. 14304/2022 REG.PROV.COLL.

N. 10157/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10157 del 2021, proposto da
S A, G A, R B, M B, V C, G F, C F, L F, Caldo F, G N G, S G, S M, F N, G P, M P, M P, M R, F R, G S, F T, F T, S T, C Z, N Z, rappresentati e difesi dagli avvocati M M, A G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

- Ministero dell’Economia e delle Finanze;
- Guardia di Finanza - Comando Generale,
- Presidenza del Consiglio dei Ministri;
in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, alla Via dei Portoghesi, 12;
Ministero per la Pubblica Amministrazione, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

per il riconoscimento

del diritto soggettivo dei ricorrenti, tutti appartenenti al comparto difesa Forza Guardia di Finanza e destinatari del sistema misto contributivo, ad ottenere il risarcimento del danno da parte delle Amministrazioni resistenti scaturente dal mancato tempestivo avvio delle procedure di negoziazione o concertazione del trattamento di fine rapporto e delle previdenza complementare (c.d. secondo pilastro), con conseguente condanna delle stesse, a seguito della violazione del diritto fatto valere in giudizio, al risarcimento dei danni patiti e patendi oltre agli interessi di legge ed alla rivalutazione monetaria.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Guardia di Finanza - Comando Generale e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2022 il dott. G G;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Espongono i ricorrenti, in servizio presso la Guardia di Finanza, che il proprio trattamento pensionistico sarà calcolato con il sistema c.d. “misto” – ovvero “retributivo” con riferimento al servizio prestato fino al 31 dicembre 1995, e “contributivo” per quello svolto dal 1° gennaio 1996 – secondo quanto risulta dalle date di “arruolamento”.

Il loro trattamento pensionistico di base, quindi, non essendo più calcolato integralmente con il sistema c.d. “retributivo”, subirà una consistente e permanente decurtazione economica – di importo inversamente proporzionale rispetto all’anzianità di servizio maturata al 31 dicembre 1995.

Il personale del comparto difesa e sicurezza è destinatario di limiti d’età ordinamentali inferiori rispetto alla generalità dei lavoratori, con la conseguente applicazione di C.T. meno favorevoli.

Ciò comporta che, con un’anzianità contributiva pari o, anche, superiore rispetto a quella del pubblico impiego, il trattamento di pensione del personale militare è significativamente più basso.

Il legislatore, proprio al fine di calmierare gli effetti negativi di tale meccanismo di calcolo, aveva introdotto una forma di previdenza complementare con il contestuale passaggio dal Trattamento di Fine Servizio al Trattamento di Fine Rapporto.

Per il personale appartenente al comparto difesa e sicurezza, tuttavia, non è mai stata attivata tale forma di previdenza complementare, di talché l’odierna parte ricorrente ha subito un notevole pregiudizio di tipo patrimoniale, posto che non le è stato consentito di destinare il Trattamento di Fine Rapporto maturato presso uno specifico fondo pensione

2. Nell’assumere la cognizione giurisdizionale dell’adito giudice amministrativo, i ricorrenti precisano che la domanda proposta è volta ad ottenere l’accertamento della responsabilità delle amministrazioni intimate, quali soggetti responsabili del mancato tempestivo avvio delle procedure preordinate all’attivazione della previdenza complementare, nonché la condanna delle stesse al risarcimento dei danni cagionati da tale inadempimento.

Sostengono in particolare i ricorrenti come “ L’illegittima mancata attivazione delle previdenza complementare derivante dal comportamento doloso e/o colposo comunque ingiusto delle Amministrazioni resistenti, ha comportato per gli odierni militari ricorrenti evidenti danni patrimoniali e non patrimoniali che devono essere pertanto oggetto di ristoro, così come riconosciuto dalla Corte dei Conti per la Regione Puglia con la sentenza sopra richiamata. Ed invero secondo quanto statuito con detta pronuncia tutto il personale militare ha diritto a vedersi risarciti i vantaggi perduti dal 2000 ad oggi per non aver potuto anch’esso aderire ai fondi di previdenza complementare.

Questi rendimenti perduti debbono essere quantificati in misura equivalente a quelli ottenuti dal 2007 dal fondo di previdenza complementare “Espero” cui possono aderire tutti gli altri dipendenti pubblici e per gli anni dal 2000 al 2006 dalla media ponderata dei fondi negoziali individuati dal D.M. Economia e Finanza del 23 dicembre 2005.”

Concludono, pertanto, chiedendo “ l’accertamento del diritto di ciascun ricorrente ad ottenere il risarcimento de quo nella misura sopra individuata anche in una percentuale maggiore stante che è lo stesso Giudice a rilevare che le rappresentanze militari hanno più volte sollecitato il Ministero ad attivare la concertazione a tal fine;
pertanto la responsabilità del danno dovrebbe essere imputata in misura maggiore al Ministero dell’Economia e delle Finanze al risarcimento dei danni, così come sopra individuati, ovvero nella diversa misura che l’Ill.mo T.A.R. adito riterrà più opportuna.”

3. In data 21 ottobre 2022 le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio, eccependo l’inammissibilità del ricorso e chiedendo l’integrale reiezione del ricorso.

4. Il ricorso viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 25 ottobre 2022.

5. Il ricorso è inammissibile.

6. Ritiene il Collegio di non doversi discostare dal consolidato orientamento giurisprudenziale, che ha escluso la legittimazione ad agire dei singoli dipendenti nel procedimento per l’accertamento dell’obbligo di provvedere all’attuazione della previdenza complementare.

E’ stato, infatti, costantemente affermato, in analoghe fattispecie, che i dipendenti pubblici destinatari dell’attività contrattuale collettiva, o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione, sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all’avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali d’interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali.

Conseguentemente, la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell’obbligo di adozione di provvedimenti amministrativi, anche attraverso la speciale procedura di impugnazione del silenzio inadempimento, appartiene in via generale ai soli soggetti titolari dell’interesse, concreto ed attuale, direttamente riguardato dalla norma attributiva del potere autoritativo, i quali proprio in ragione di tale titolarità sono dunque legittimati a partecipare al relativo procedimento amministrativo.

I dipendenti sono portatori di un interesse soltanto indiretto, in relazione all’effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale, in quanto potenziali destinatari delle misure da adottarsi anche all’esito del procedimento di concertazione di cui si lamenta la mancata attuazione, in ragione della natura normativa dell’atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego.

Non sono, diversamente, legittimati a partecipare al relativo procedimento, non essendo titolari in proposito di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni competenti (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 dicembre 2021, n. 8440;
Sez. IV: 4 febbraio 2014, nn. 502, 503 e 504;
24 ottobre 2011, nn. 5697 e 5698).

A fini di completezza espositiva, va soggiunto che identica sistematica interpretativa, escludente la legittimazione ad agire dei singoli pubblici dipendenti, ha formato oggetto di ripetuta affermazione, anche ad opera di questo Tribunale (cfr. Sezione I: 8 marzo 2011, n.2092;
19 aprile 2010, nn. 7448, 7456 e 7458;
30 ottobre 2009, n. 10560;
Sezione I-bis: 15 aprile 2021, nn. 4430 e 4431, 21 luglio 2021, n. 8667;
Sezione stralcio, 1° dicembre 2021, n. 1292).

7. È insuscettibile di condurre ad una diversa interpretazione della disciplina normativa la tesi per cui la legittimazione non potrebbe essere attribuita alle organizzazioni sindacali, in quanto l’interesse protetto riguarderebbe solo una parte (coloro che si trovano nella situazione previdenziale per cui è previsto il sistema misto), rispetto ai soggetti da tali organizzazioni complessivamente rappresentati.

Infatti, nel caso di specie, è la disciplina legislativa che attribuisce la materia alla contrattazione e alla concertazione sindacale, con ciò sottraendola alle posizioni soggettive dei singoli dipendenti: i quali, anche nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, non possono intraprendere autonome azioni per la tutela di posizioni affidate alla contrattazione collettiva (ad esempio, per eventuali aumenti retributivi o per la rimodulazione dell’orario di lavoro negli ambiti di competenza della contrattazione).

8. La configurazione normativa, che conduce a ravvisare il difetto di legittimazione in capo ai singoli dipendenti, ai fini della sollecitazione del sindacato giurisdizionale, comporta anche l’inaccoglibilità dell’azione proposta avverso il contegno omissivo dell’Amministrazione (silenzio), difettando, in base alle norme di legge che disciplinano la materia, un preciso obbligo di provvedere e un termine per individuare il ritardo nell’adempimento in capo alle Amministrazioni intimate.

Come visto, il sistema della previdenza complementare è stato integralmente rimesso alle procedure di negoziazione e di concertazione, con la conseguenza che le Amministrazioni non hanno alcun autonomo obbligo di provvedere, non potendo unilateralmente disciplinare la materia;
né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare.

In primo luogo, il comma 20 dell’art. 26 della legge n. 448 del 1998 ha previsto che “ ai fini dell’armonizzazione al regime generale del trattamento di fine rapporto e dell’istituzione di forme di previdenza complementare dei dipendenti pubblici, le procedure di negoziazione e di concertazione previste dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, potranno definire, per il personale ivi contemplato, la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’articolo 2, commi da 5 a 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l’istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni. Per la prima applicazione di quanto previsto nel periodo precedente saranno attivate le procedure di negoziazione e di concertazione in deroga a quanto stabilito dall’articolo 7, comma 1, del citato decreto legislativo n. 195 del 1995”.

Ai sensi dell’art. 3, comma 2, del D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 (il cui art. 21 ha disposto l’abrogazione del D.Lgs. n. 124 del 1993), “per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo. Per il personale dipendente di cui all’articolo 3, comma 1, del medesimo decreto legislativo, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite secondo le norme dei rispettivi ordinamenti ovvero, in mancanza, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni”.

In base all’art. 59, comma 56, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, “fermo restando quanto previsto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, in materia di applicazione delle disposizioni relative al trattamento di fine rapporto ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, al fine di favorire il processo di attuazione per i predetti delle disposizioni in materia di previdenza complementare viene prevista la possibilità di richiedere la trasformazione dell’indennità di fine servizio in trattamento di fine rapporto. Per coloro che optano in tal senso una quota della vigente aliquota contributiva relativa all’indennità di fine servizio prevista dalle gestioni previdenziali di appartenenza, pari all’1,5 per cento, verrà destinata a previdenza complementare nei modi e con la gradualità da definirsi in sede di specifica trattativa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori”.

L’art. 67 del D.P.R. 16 marzo 1999, n. 254 (recante “ Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999”), ha previsto che “le procedure di negoziazione e di concertazione attivate, per la prima applicazione, ai sensi del citato articolo 26, comma 20, della legge n. 448 del 1998, provvedono a definire:

a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, ai sensi del decreto legislativo n. 124 del 1993, della legge n. 335 del 1995, della legge n. 449 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni, anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego;

b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;

c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare”.

Da tale disciplina, risulta evidente che non sussiste alcun autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni pubbliche, in assenza della definizione della materia in sede di contrattazione collettiva e, nel caso dei militari, delle specifiche procedure di concertazione, ai sensi del D.Lgs. 195 del 1995.

9. Né può, peraltro, trovare condivisione la tesi, per cui sussisterebbe in capo alle Amministrazioni l’obbligo di avviare il procedimento di concertazione, ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs. n. 195 del 1995.

In primo luogo, si tratterebbe eventualmente di un obbligo di avvio del procedimento e non di conclusione dello stesso, da cui non potrebbe derivare, quindi, né la possibilità di agire con il rito del silenzio, né una responsabilità, ai sensi dell’art. 2- bis della legge n. 241 del 1990.

Infatti, l’art. 31 c.p.a. prevede che, “ decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere”; mentre, ai sensi dell’art. 2- bis della legge n. 241 del 1990, “ le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.

Le procedure in questione si concludono, in base alla espressa previsione del comma 2 dell’art. 1 del D.Lgs. 195 del 1995, con l’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica.

Inoltre, ai sensi del comma 13 dell’art. 7 del medesimo Decreto Legislativo, “nel caso in cui l’accordo e le concertazioni di cui al presente decreto non vengano definiti entro centocinquanta giorni dall’inizio delle relative procedure, il Governo riferisce alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica nelle forme e nei modi stabiliti dai rispettivi regolamenti”, con conferma della irrilevanza del termine di conclusione del procedimento rispetto alle attività di negoziazione sindacale.

In particolare, poi, in base al comma 1 dell’art. 7, “le procedure per l’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica di cui all’articolo 2 sono avviate dal Ministro per la funzione pubblica almeno quattro mesi prima dei termini di scadenza previsti dai precedenti decreti. Entro lo stesso termine, le organizzazioni sindacali del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile possono presentare proposte e richieste relative alle materie oggetto delle procedure stesse. Il

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