TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2010-01-26, n. 201000954
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N. 00954/2010 REG.SEN.
N. 07601/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il L
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 7601 del 2009, proposto da:
Cooperativa Studentesca Genium, rappresentata e difesa dagli avv. P P, F V, con domicilio eletto presso P P in Roma, via G. Mercalli, 13;
contro
Ldisu Agenzia Per il Diritto Agli Studi Universitari Nel L, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Gen.Le dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Associazione Studenti Moderati;
per l’esecuzione del giudicato formatosi con riguardo alla sentenza del T.A.R. del L, Sezione I ter n. 10542 del 2007, con richiesta di risarcimento del danno.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ldisu Agenzia Per il Diritto Agli Studi Universitari Nel L;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2009 il dott. Salvatore Mezzacapo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con determina direttoriale del 22 novembre 2007, Ldisu – Agenzia per il diritto agli studi universitari nel L ha bandito una gara per l’affidamento della gestione dei servizi Focal Point presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata per il periodo 1.2.2007 – 31.1.2008. La Cooperativa studentesca Genium, idoerna ricorrente, ha partecipato alla suddetta gara, senza tuttavia risultare aggiudicataria. Ha quindi proposto ricorso innanzi a questo Tribunale per l’annullamento dell’aggiudicazione disposta in favore della controinteressata Associazione studenti moderati. Il T.A.R. del L, con sentenza 29 ottobre 2007 n. 10542, ha accolto il proposto ricorso rilevando “L’illogicità dell’operato della Commissione giudicatrice nell’attribuzione del cennato punteggio: conseguente all’erronea valutazione (della prevalenza qualitativa) dell’offerta della controinteressata rispetto a quella – obiettivamente più completa, dettagliata e documentata – propria della ricorrente è di per sè tale (anche a voler prescindere dalla considerazione del riscontrato vizio procedurale) da determinare l’illegittimità dell’impugnata aggiudicazione e da provocarne, pertanto (assorbito ogni ulteriore motivo di gravame), il definitivo annullamento”. Il Tribunale ha anche osservato che “la presente statuizione, reintegrando “in forma specifica” la “Genium” nella posizione che essa aveva al momento in cui era stato assunto il menzionato atto “ampliativo”, risponde – per ciò stesso (e, sotto questo particolare profilo, le pretese avanzate da tale soggetto devono ritenersi integralmente soddisfatte) – a quanto previsto, in tema di “risarcimento del danno ingiusto” dall’art.35 (nuovo testo) del d.lg. 31.3.98 n. 80”. L’Associazione studenti moderati ha quindi appellato la sentenza del giudice di prime cure. Il Consiglio di Stato, che pure aveva accolto la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della ricordata sentenza “tenuto conto della esigenza di continuità del servizio e della risarcibilità del pregiudizio lamentato dalla ricorrente di primo grado”, ha - con decisione 7 ottobre 2008 n. 4830 - dichiarato l’inammissibilità dell’appello.
Con ricorso notificato in data 9 settembre 2009, la odierna ricorrente, previo rituale atto di diffida e messa in mora, ha quindi adito nuovamente questo Tribunale per l’ottemperanza della pronuncia del T.A.R. del L n. 10542 del 2007, chiedendo il risarcimento del danno per equivalente nella misura complessiva di euro 99.779,31.
Resiste Ldisu affermando che la pronuncia di cui si chiede l’ottemperanza non contiene la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni per equivalente derivanti dalla mancata aggiudicazione, quanto piuttosto solo l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione con conseguente reintegrazione in forma specifica della Genium. Rileva, inoltre, Ldisu che la pur riconosciuta facoltà di proporre domanda di risarcimento del danno in sede di ottemperanza può concernere esclusivamente quei pregiudizi verificatisi successivamente alla formazione dei giudicato e proprio a causa del ritardo nell’esecuzione della stessa pronuncia. Da ultimo, si fa rilevare come gli eventuali pregiudizi subiti dalla ricorrente a seguito della mancata esecuzione della sentenza di annullamento della illegittima aggiudicazione disposta non sono in alcun modo imputabili a Ldisu, difettando nella specie il requisito soggettivo della colpa, necessario per la configurabilità della responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.
Alla camera di consiglio del 5 novembre 2009 il ricorso viene ritenuto per la decisione in esito alla discussione orale.
Il ricorso per esecuzione del giudicato è fondato e va pertanto accolto, nei limiti di cui meglio in prosieguo.
E’ estranea alla questione che occorre esaminare nella presente sede quella della proponibilità, per la prima volta, in sede di giudizio di ottemperanza della domanda di risarcimento del danno (anche se con un orientamento che va consolidandosi è stato affermato che la domanda di risarcimento del danno conseguente a lesione di interessi legittimi può essere proposta per la prima volta nel giudizio di ottemperanza, che ha la funzione di realizzare l'assetto degli interessi delineato dalla pronuncia di annullamento, se del caso emettendo condanna al risarcimento del danno, sia attraverso la reintegrazione in forma specifica che per equivalente: Consiglio Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290;Sez. V, 14 aprile 2008, n. 1700).
E ciò per la semplice ragione che già in sede di giudizio cognitorio, conducente alla sentenza della cui esecuzione si tratta, era stato richiesto, in uno con l’annullamento dell’avversata aggiudicazione, il risarcimento del danno in forma specifica ed in subordine per equivalente. E, del resto, per come si è già ricordato, la stessa sentenza oggetto della richiesta di esecuzione si è pronunciata (favorevolmente) sul capo di domanda del risarcimento del danno, laddove il Tribunale ha osservato che la statuizione di annullamento dell’avversata aggiudicazione “reintegrando “in forma specifica” la “Genium” nella posizione che essa aveva al momento in cui era stato assunto il menzionato atto “ampliativo”, risponde – per ciò stesso (e, sotto questo particolare profilo, le pretese avanzate da tale soggetto devono ritenersi integralmente soddisfatte) – a quanto previsto, in tema di “risarcimento del danno ingiusto” dall’art. 35 (nuovo testo) del d.lg. 31.3.98 n. 80”. Quindi, la questione del risarcimento del danno è stata già posta in sede di giudizio cognitorio ed il risarcimento del danno disposto dal giudice (sub specie di reintegrazione in forma specifica).
Tuttavia, il detto risarcimento in forma specifica non ha avuto corso atteso che il contratto è stato interamente eseguito dalla controinteressata Associazione studenti moderati, al riguardo dovendosi rilevare che la sentenza del T.A.R. è stata pubblicata in data 29 ottobre 2007 e che è stata sospesa in sede cautelare dal Consiglio di Stato con ordinanza del 20 novembre 2007. Di qui la richiesta, di cui al presente ricorso per esecuzione del giudicato, di condanna di Ldisu al risarcimento del danno per equivalente.
Non vi sono conseguentemente dubbi, ad avviso del Collegio, in ordine alla ammissibilità di un ricorso per esecuzione del giudicato sul punto specifico del risarcimento del danno con richiesta di esatta esecuzione della pronuncia che ha accolto la domanda di risarcimento del danno, nella specie disponendo la reintegrazione in forma specifica. Esatta esecuzione che, non essendosi realizzata la reintegrazione in forma specifica mediante il subentro della ricorrente nell’esecuzione del servizio illegittimamente aggiudicato, non può che consistere in un risarcimento per equivalente. Del resto, osserva il Collegio, la tutela per equivalente rimane una forma alternativa a fronte della principale possibilità di conseguimento della tutela in forma specifica, consistente nell'annullamento degli atti di gara e nella conseguente rinnovazione del procedimento (cfr. T.A.R. L Roma, sez. II, 10 ottobre 2007, n. 9934).
A sostegno della esposta conclusione quanto al profilo procedurale dell’ammissibilità del ricorso in esame, giova anche ricordare, in via generale e di principi, come l'attribuzione al giudice amministrativo della competenza a conoscere delle questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, soprattutto laddove questo consegue alla lesione di un interesse legittimo, non si risolve nel mero trasferimento di una materia da una giurisdizione ad un'altra, in quanto, come rilevato dal giudice delle leggi, il potere di risarcire il danno ingiusto costituisce uno "strumento di tutela ulteriore " rispetto a quello demolitorio, strumento che, in armonia con l'art. 24 Cost. ne completa i poteri "non soltanto per effetto della esigenza di concentrare davanti ad un unico giudice l'intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela" ( Cort. cost. 27 aprile 2007, n. 140).
Ed è proprio nell'ottica di una tutela piena della situazione giuridica offesa dall'atto dell'Amministrazione, nella specie in esame censurato in via principale, che si muove la giurisprudenza amministrativa che ha avuto modo di ribadire come la struttura stessa della tutela del giudice amministrativo è nel senso che il provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale (e non, perciò, il mero comportamento) può essere aggredito e in via impugnatoria, per la sua demolizione, e "conseguenzialmente" in via risarcitoria, per i suoi effetti lesivi, ponendosi, nell'uno e nell'altro caso, la questione della sua legittimità.
Dal nesso di consequenzialità che corre tra l'azione risarcitoria e quella di annullamento, discende, con riferimento alla questione qui trattata, che la pronuncia sulla legittimità del provvedimento impugnato, e il suo eventuale annullamento, nella specie richiesta, si pongono come indefettibile presupposto per la domanda di risarcimento del danno, che pur se proposta unitamente alla domanda di annullamento, prende corpo concreto solo nel momento in cui questo è pronunciato, perché solo in tale momento può essere apprezzato, nella sua esatta dimensione, non solo il pregiudizio arrecato dall'attività illegittima posta in essere dall'Amministrazione, ma anche quanto di esso sia riparabile in forma specifica, cioè grazie all'effetto diretto dell'annullamento, e quanto per equivalente.
Se così è, il danno, seppur definibile fin dalla proposizione congiunta delle domande di annullamento dell'atto e di risarcimento del danno come "causa petendi", con l'onere del ricorrente di indicare gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità dell'amministrazione, acquista concretezza, sotto il profilo della quantificazione, solo nel momento in cui, dopo l'annullamento dell'atto, è possibile valutare se sia possibile, ed in quale misura, procedere alla reintegrazione in forma specifica dell'interesse illegittimamente sacrificato dal provvedimento illegittimo o se residuino aree di pregiudizio per cui si debba ricorrere alla riparazione per equivalente (cfr. Cons. Stato, V Sezione, 14 aprile 2008 n. 1700).
Ad ogni buon conto, come ha esattamente osservato la giurisprudenza, il fatto che l'amministrazione non abbia più nella sua disponibilità giuridica il bene della vita cui aspira il ricorrente non determina, di per sé solo, l’impossibilità di tutelarne la posizione in sede di esecuzione del giudicato per sopravvenuta mancanza dell'oggetto del giudizio. Infatti, con la nuova formulazione dell'articolo 7 , terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotta dall'articolo 7, comma 1, lettera c, della legge 21 luglio 2000, n. 205, la funzione del processo di ottemperanza, di realizzare l'assetto degli interessi delineato dalla pronuncia irrevocabile di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo, è stata arricchita e completata dal potere attribuito al giudice amministrativo di condannare l'amministrazione al risarcimento del danno, sia attraverso reintegrazione in forma specifica che per equivalente. In tal modo l'impossibilità di realizzare puntualmente il giudicato, per effetto delle sopravvenienze di fatto o di diritto, non determina l'impossibilità di ristorare, sia pur per equivalente, il pregiudizio patrimoniale che derivò dal provvedimento annullato (cfr. Cons. Stato, V Sezione, 25 febbraio 2003 n. 1077).
Quindi, è ammissibile il ricorso con cui si chiede il risarcimento del danno per equivalente a titolo di esecuzione della pronuncia che il risarcimento ha disposto, sia pure sub reintegrazione in forma specifica, non essendo stata questa possibile.
Il risarcimento, peraltro, in sede di ottemperanza, deve essere necessariamente disposto – per equivalente – direttamente dal giudice. La condanna al risarcimento del danno nella forma di « sentenza sui criteri », ex art. 35 comma 2, d.lg. 31 marzo 1998 n. 80, modificato dalla l. 21 luglio 2000 n. 205 è infatti applicabile solo nell’ambito del giudizio ordinario di cognizione, ove la quantificazione del danno necessiti di una ulteriore attività collaborativa dell'Amministrazione;infatti in tali casi, ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla Pubblica amministrazione, può essere utilizzato lo strumento previsto dal succitato art. 35 comma 2, d.lg. n. 80 del 1998, che consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l'Amministrazione deve proporre in favore dell'avente titolo il pagamento della somma entro un congruo termine, prevedendo che, qualora permanga il disaccordo, le parti possano rivolgersi nuovamente al giudice per la determinazione delle somme dovute nelle forme del giudizio di ottemperanza (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 6 luglio 2009, n. 4325).
Ciò posto, occorre poi esaminare la questione della sussistenza, nel caso di specie, dell’elemento soggettivo della colpa ex art. 2043 cod. civ..
Questione che, ad avviso del Collegio, va risolta positivamente.
Il primo giudice, la cui sentenza è oggetto della richiesta di esecuzione, ha in maniera invero particolarmente chiara rilevato “l’illogicità dell’operato della Commissione giudicatrice nell’attribuzione del…punteggio: conseguente alla erronea valutazione (della prevalenza qualitativa) dell’offerta della controinteressata rispetto a quella – obiettivamente più completa, dettagliata e documentata – propria della ricorrente”. Ora, se la semplice violazione della norma e quindi l'illegittimità del provvedimento non implica di per sé, in materia di risarcimento danni, la sussistenza della colpa dell'amministrazione, di norma tale medesima illegittimità del provvedimento costituisce la base per l'operare di una presunzione semplice che consente al giudice di inferire la colpa dell'amministrazione in assenza di altri elementi che inducano a ritenere la scusabilità dell'errore, quali la particolare complessità dell'istruttoria, l'equivocità degli orientamenti giurisprudenziali la novità della normativa e così via (cfr. T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 21 ottobre 2009 , n. 2914). E, comunque, l’accertamento in ordine alla ricorrenza del requisito della colpa è un accertamento coperto da giudicato, avendo il primo giudice comunque disposto il risarcimento del danno (in forma specifica), il che implica evidentemente l’accertamento della sussistenza del profilo della colpa in capo all’amministrazione procedente. Se riguardata, invece, la questione della “colpa” con riferimento all’esecuzione del comando del giudice, la colpa del pari sussiste se è vero come è vero che la stessa decisione del Consiglio di Stato che dichiara inammissibile l’appello avverso la sentenza di prime cure rileva che il riferimento contenuto nella sentenza del T.A.R. del L alla reintegrazione in forma specifica “peraltro in modo del tutto generico” lasciasse “comunque all’ente il compito di stabilire le modalità di esecuzione della decisione”. Di contro, Ldisu (che peraltro non ha appellato la prima sentenza) non ha posto in essere alcuna attività per dare esecuzione alla sentenza quanto al punto specifico del risarcimento del danno, prima che il 20 novembre 2007, preceduta dal decreto presidenziale del 14 novembre 2007, intervenisse l’ordinanza cautelare del giudice di appello che ha sospeso l’esecuzione della sentenza del T.A.R. del L, non a caso evocando a sostegno del disposto accoglimento della misura cautelare la “risarcibilità del pregiudizio lamentato dalla ricorrente di primo grado”. Ed è allora evidente che il risarcimento conseguibile (cui fa un diretto riferimento lo stesso giudice di appello nel sospendere la sentenza per - in sostanza - consentire la continuazione del servizio oramai prossimo al suo prefissato termine) non può che essere che quello per equivalente.
Quanto alla quantificazione del danno di che trattasi, non può essere considerata quale voce di danno “l’utile economico che l’impresa avrebbe ragionevolmente ricavato dall’esecuzione del servizio di cui è causa”, che la ricorrente quantifica in euro 49.830,24 sullascorta dell’argomento per cui il servizio in questione avrebbe generato un fatturato non inferiore ad euro 498.302,48 (di cui la voce di danno invocata rappresenta l’utile di esercizio nella misura del 10% del valore della prestazione). E ciò per la semplice ragione che il servizio di cui è questione non comporta utile economico, bensì solamente la corresponsione da parte di Ldisu di un contributo annuale. Infatti, lo stesso bando di gara di cui trattasi chiarisce che “Ldisu a fronte dello svolgimento dei servizi corrisponderà all’associazione o alla cooperativa aggiudicataria di ognuno dei lotti un contributo annuale di euro 30.000,00, IVA compresa”. Non sono previsti oneri a carico degli utenti il servizio e lo stesso capitolato tecnico, nell’articolare il punteggio per le varie voci considerate, non contempla una voce “prezzo”, “costo del servizio”, “costo delle prestazioni”. La gara è in sostanza aggiudicata in relazione “alla valutazione della qualità”. Né il detto contributo annuale di euro 30.000,00 può essere invocato per intero, per come di contro richiede la ricorrente, perché trattasi di contributo previsto a fronte di un servizio erogato per l’intero anno. Non può non rilevare, allora, la circostanza di fatto per cui, sia pure in ragione della illegittimità dell’operato di Ldisu, il servizio nei fatti non è stato reso e non è dunque invocabile per intero il contributo previsto.
E, dunque, questa voce di danno dovrà essere equitativamente valutata dal Collegio.
Altri 14.949,07 euro sono chiesti dalla ricorrente a titolo di cd. danno curriculare. Com’è noto, il danno "curriculare" consiste nel pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale, per non aver potuto avere la chance di indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto, a causa del comportamento illegittimo dell’amministrazione. La giurisprudenza ha, in via generale, osservato che il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), può essere comunque fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti. L’interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un'impresa, va, invero, ben oltre l'interesse all'esecuzione dell'opera in sé, e al relativo incasso. Alla mancata esecuzione di un'opera o di un servizio appaltato si ricollegano, infatti, indiretti nocumenti all'immagine della società ed al suo radicamento nel mercato, per non dire del potenziamento di imprese concorrenti che operino su medesimo target di mercato, in modo illegittimo dichiarate aggiudicatarie della gara. In linea di massima, allora, deve ammettersi che l’impresa illegittimamente privata dell’esecuzione di un appalto possa rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale (cfr. Cons. Stato, VI Sezione, 9 giugno 2008 n. 2751). Danno curriculare che la stessa giurisprudenza amministrativa calcola però come percentuale della somma già liquidata a titolo di lucro cessante, secondo una percentuale destinata a variare in considerazione dell’importanza dell’appalto in questione (cfr. Cons. Stato, VI Sezione, 21 maggio 2009 n. 1344). Poiché nel caso di specie, in ragione delle peculiarità del servizio di che trattasi, non viene in considerazione una questione di lucro cessante, non vi è spazio per il Collegio per risarcire il danno curriculare calcolandolo come percentuale del valore del servizio, come richiesto dalla ricorrente, bensì solo in via equitativa.
In definitiva, il Collegio ritiene equo disporre in favore della cooperativa ricorrente un complessivo risarcimento del danno per equivalente pari ad euro 15.000,00, importo complessivo nel quale confluiscono le voci di danno relative alla perdita del contributo, al danno curriculare ed alle spese di partecipazione, ciascuna di queste singolarmente apprezzata in via equitativa.
Deve essere però ricordato che, in base ai principi generali sulla liquidazione dell'obbligazione risarcitoria, alla indicata somma dovuta a titolo risarcitorio vanno aggiunti, trattandosi di debito di valore (che si converte in debito di valuta con la liquidazione giudiziale), la rivalutazione monetaria, secondo l'indice ISTAT dei prezzi al consumo con riferimento alla data della presente sentenza, nonchè gli interessi legali sulla predetta somma a decorrere dalla data in cui sarebbe stato corrisposto alla ricorrente, qualora fosse stata aggiudicataria della gara, il previsto contributo per lo svolgimento del servizio e fino alla data del saldo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 luglio 2007, n. 3917).
Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il Collegio accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso per esecuzione del giudicato in esame e, per l’effetto, condanna l’Agenzia per il Diritto agli studi universitari nel L – Ldisu al pagamento in favore della ricorrente dell’importo di euro 15.000,00 oltre accessori a titolo di risarcimento del danno per equivalente.
Condanna Ldisu, in ragione della soccombenza, al pagamento in favore della ricorrente delle spese della presente fase del giudizio, che liquida in euro 2.000,00.