TAR Roma, sez. I, sentenza 2014-12-30, n. 201413293

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2014-12-30, n. 201413293
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201413293
Data del deposito : 30 dicembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04398/2007 REG.RIC.

N. 13293/2014 REG.PROV.COLL.

N. 04398/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4398 del 2007, proposto da:
C R nonchè Adusbef, Codacons e Federconsumatori, in persona dei relativi rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dallo stesso avv. prof. C R e dall’avv. G G, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale Nazionale del Codacons in Roma, v.le Mazzini, 73;

contro

Presidente del Senato della Repubblica e Presidente della Camera dei Deputati, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
Carla Rabitti B, Piero B;

per l'annullamento, previa sospensione,

della determinazione con la quale il Presidente del Senato ed il Presidente della Camera dei Deputati hanno nominato componenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato il prof. Piero B e la prof.ssa Carla Rabitti B, in sostituzione, rispettivamente, del prof. Carlo Santagata De Castro e del prof. Nicola Occhiocupo e hanno bocciato la candidatura presentata dai ricorrenti dell’avv. prof. C R, nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente, comunque connesso e

per il risarcimento del danno

a causa del comportamento omissivo e ingiurioso tenuto nei confronti dei designanti la candidatura del ricorrente e del designato ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dei Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 14 ottobre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, le associazioni in epigrafe nonché il prof. avv. C R chiedevano l’annullamento, previa sospensione, della determinazione del 3 marzo 2007 con la quale i Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati, ai sensi dell’art. 10, comma 2, l. n. 287/90, avevano nominato d’intesa i proff. Piero B e Carla Rabitti B componenti dell’AGCM in sostituzione dei proff. Carlo Santagata De Castro e Nicola Occhiocupo.

I ricorrenti premettevano, in fatto, che con lettera in data 31 gennaio 2007 il Codacons e il prof. avv. C R avevano presentato la candidatura di quest’ultimo a componente dell’Autorità in questione, allegando il relativo “curriculum”, in relazione alla prevista sostituzione di due componenti “in scadenza”. I Presidenti delle due assemblee parlamentari procedevano però in data 3 marzo 2007 alla nomina dei due soggetti sopra ricordati, riscontrando in maniera in sostanza generica, e solo successivamente alla suddetta data, la proposta di candidatura in questione e una formale istanza di accesso del prof. R ai “curricula” presentati.

I ricorrenti, quindi, in punto di diritto, evidenziavano la natura giuridica dell’atto di nomina, considerabile non come “atto politico” sottratto come tale al sindacato giurisdizionale ma come “atto di alta amministrazione”, sottoposto sì ad ampia discrezionalità da parte dell’organo amministrativo che lo adotta ma pur sempre sindacabile dal giudice amministrativo, dovendo altrimenti connotarsi di incostituzionalità la norma regolatrice del potere di nomina dei componenti dell’AGCM, che verrebbe ad affidare funzioni tipicamente amministrative ad un organo politico sottraendo però il relativo provvedimento di nomina alla possibilità del sindacato giurisdizionale.

Era altresì evidenziata la legittimazione ad agire del prof. R, che possedeva tutti i requisiti di cui all’art. 10 cit. per aspirare alla nomina in questione, come illustrato nella presentazione della sua candidatura, nonché delle associazioni ricorrenti, rappresentanti dei consumatori, che avevano un interesse preciso alla circostanza per la quale le nomine dei componenti dell’Autorità di settore avvenissero nel rispetto della disciplina di cui alla l. n. 287/90 che prendeva in considerazione, nell’istituire l’AGCM, anche l’interesse dei consumatori.

Entrando nel merito delle nomine contestate, i ricorrenti poi lamentavano, in sintesi quanto segue.

“1 ) Assenza di ‘notoria indipendenza’ in capo al prof. B. Assenza dei necessari requisiti di professionalità e competenza in capo alla prof.ssa B: Violazione art. 10 l. 287/90. Violazione art. 3 l. 241/90. Violazione art. 97 Cost. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria, irragionevolezza, illogicità, sviamento” .

Il prof. B non poteva essere considerato tra le persone di notoria indipendenza, secondo uno dei requisiti di cui all’art. 10 cit., in quanto già Presidente dell’ABI e ricoprente incarichi nel mondo bancario nonché Ministro del Tesoro sotto il “Governo Ciampi”, con conseguente serie sterminata di rapporti con numerose grandi banche italiane e potenziale conflitto di interessi ogni qual volta l’AGCM si fosse pronunciato in merito a istituti bancari, anche ai sensi dei “nuovi” poteri conferiti all’Autorità dall’art. 19, comma 12, l. n. 262/05., dovendo il requisito della “notoria indipendenza” essere individuato non solo nella sostanza ma anche nell’”apparenza”.

Analogamente, in relazione alla prof.ssa Rabitti B, i ricorrenti lamentavano che la stessa era già stata membro della Consob (nel periodo in cui si erano sviluppati grandi scandali finanziari) e che i Presidenti dei due rami del Parlamento non avevano considerato il disegno di legge che prevedeva il divieto di passaggio tra Autorità indipendenti al fine di evitare il c.d. “professionismo” delle Autorità.

La candidatura del prof. R, invece, garantiva il rispetto della disciplina normativa e meritava di essere presa in considerazione, proprio per la sua esperienza pressoché quotidiana in materia di violazione della concorrenza. La carenza di istruttoria, così, si evidenziava palese e idonea a minare il buon funzionamento dell’AGCM.

Si costituivano i Presidenti di Senato e Camera, chiedendo la reiezione del ricorso.

In prossimità della camera di consiglio per la trattazione della domanda cautelare, i ricorrenti depositavano una memoria a sostegno delle proprie tesi difensive e così facevano anche i Presidenti intimati, eccependo preliminarmente la carenza di interesse delle associazioni ricorrenti, non incidendo il provvedimento impugnato sull’interesse collettivo dei consumatori. La difesa erariale eccepiva anche il difetto assoluto di giurisdizione, per essere la determinazione di nomina in questione, assunta d’intesa, un atto politico di natura fiduciaria senza alcuna valutazione comparativa, essendo l’organizzazione amministrativa, nell’alveo della quale ricondurre anche gli atti di “alta amministrazione”, estranea ai principi applicabili agli organi costituzionali politici, come sono i Presidenti dei due rami del Parlamento e come confermato dalla circostanza per la quale la loro funzione nella Carta costituzionale era considerata in una Sezione diversa da quella per la Pubblica Amministrazione.

Il procedimento in questione, inoltre, non poteva assimilarsi ad una procedura comparativa concorsuale e non erano individuabili soggetti con posizioni giuridiche differenziate, per cui anche per tale ragione era sostanzialmente impossibile richiedere una motivazione sulle nomine nel senso richiesto dai ricorrenti, fermo restando che anche il prof. R poteva essere considerato privo del requisito di “indipendenza”, in quanto presidente di associazione che tutela interessi di parte che costituiscono solo uno dei tanti punti di riferimento del mercato concorrenziale.

La domanda cautelare, su istanza di parte, era rinviata alla trattazione del merito.

Alla pubblica udienza del 14 ottobre 2014 la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio, preliminarmente, non ritiene di condividere l’eccezione di difetto assoluto di giurisdizione sollevata dalla difesa erariale.

Infatti, come già precisato da questo Tribunale in relazione proprio all’atto di nomina di componente di Autorità indipendente (TAR Lazio, Sez. I, 5.3.12, n. 2223), con argomentazioni che il Collegio condivide e che possono essere utilizzate anche in relazione al caso di specie, “…Hanno…natura politica solo gli atti che sono riferibili a organi costituzionali dello Stato, collegati immediatamente e direttamente alla Costituzione e alle leggi costituzionali, nei quali si estrinsecano l'attività di direzione suprema della cosa pubblica e l'attività di coordinamento e controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si esprime nel rispetto degli interessi del regime politico canonizzati nella Costituzione;
detti atti non costituiscono attuazione dell'ordinamento ma sono espressione di una funzione diversa, libera nei fini e per tal motivo sono sottratti al sindacato del giudice amministrativo (Tar Lazio, Roma, II ter, 28 maggio 2001, n. 5076). Una siffatta qualificazione viene tuttavia esclusa per gli atti di nomina alle cariche dirigenziali dell'Amministrazione dello Stato o alle alte cariche pubbliche, per i quali, sulla scorta di un'attenta e seria valutazione del possesso dei prescritti requisiti in capo al designando, la scelta cade sul soggetto ritenuto più adatto a ricoprire una certa carica in vista del rispetto di obiettivi essenzialmente programmatici;
la giurisprudenza colloca tali atti nel novero degli atti di alta amministrazione (Cons. Stato, VI, 10 agosto 1993, n. 566;
id., IV, 22 maggio 1997, n. 553;
id., 3 dicembre 1986, n. 824;
id.,14 aprile 1981, n. 340). Gli atti di alta amministrazione, invero, svolgono un'opera di raccordo fra la funzione di governo e la funzione amministrativa e rappresentano il primo grado di attuazione dell'indirizzo politico nel campo amministrativo;
essi costituiscono manifestazioni d'impulso all'adozione di atti amministrativi, funzionali all'attuazione dei fini della legge e sono pacificamente ritenuti soggetti al regime giuridico dei provvedimenti amministrativi che vede l'applicazione, in primo luogo, degli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione, non potendo soffrire alcun vuoto di tutela giurisdizionale. Ne consegue che nel caso in esame, la nomina a componente di un'Agenzia indipendente preposta alla tutela degli interessi dei cittadini-utenti, va pianamente ricondotta all'attività amministrativa del Governo per essere ricompresa, nonostante il suo carattere altamente fiduciario, tra gli atti di alta amministrazione”.

Il Collegio, quindi, in relazione alla determinazione impugnata, rileva che con tale atto si è manifestata una scelta - in base al verificato possesso dei requisiti di legge - di soggetti ritenuti più adatti a ricoprire quella carica in vista del rispetto degli obiettivi programmatici posti nella disciplina di settore e, di conseguenza, esso non si palesa come espressione di un'attività libera “nei fini” ma come una attività di “alta amministrazione”, come tale sottoposta alla disciplina generale degli atti amministrativi, dato che non è la configurazione “soggettiva” di colui (o di coloro come nel caso di specie) che adotta(no) l’atto a rilevare per qualificare la natura del medesimo ma la consistenza “oggettiva” e funzionale dell’atto stesso.

Chiarito ciò, il Collegio però non ritiene di poter utilizzare oltre i principi di cui alla ricordata sentenza di questo Tribunale, perchè in quell’occasione – relativa a nomina di componente dell’ANSP – il candidato ricorrente risultava titolare di una posizione giuridica differenziata e qualificata rispetto alla platea dei consociati, in quanto era stato oggetto di una prima, originaria, individuazione quale possibile designato a componente mediante specifica proposta, salvo poi risultare estromesso esplicitamente con un successivo emendamento.

Nel caso di specie ciò non è accaduto e, per tale ragione, il Collegio ritiene invece di condividere l’altra eccezione proposta dalla difesa erariale, di sostanziale difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti.

Si ricorda, infatti, che la legittimazione a ricorrere - elemento imprescindibile per adire l’autorità giudiziaria (amministrativa) - discende dalla speciale posizione qualificata del soggetto ricorrente, protetta dall'ordinamento e riferita ad un “bene della vita” oggetto della funzione svolta dall'Amministrazione, che lo distingue dal “quisque de populo” rispetto all'esercizio dello specifico potere amministrativo (per tutte: C.G.R.S. 7.9.12, n. 727;
Cass. Civ. SS.UU., 21.6.12, n. 10294).

Nel caso di specie, per quel che riguarda la posizione del prof. R, il Collegio rileva che il medesimo non si pone nella qualificazione soggettiva sopra rappresentata, sia perché la procedura di nomina in questione non è assimilabile ad una procedura (para)concorsuale, con un bando pubblico, un termine per presentare domande e una specificazione di requisiti da parte di candidati da selezionare, ma come una procedura legata a nomina di carattere fiduciario, non libera “nel fine” per quanto sopra precisato ma libera nelle modalità di individuazione dei soggetti ritenuti più idonei.

Il prof. R, quindi, alla pari di chiunque altro si ritenesse dotato dei requisiti generici di cui all’art. 10, comma 2, l. n. 287/90 (nel caso di specie “professori ordinari di materie economiche o giuridiche, e personalità provenienti da settori economici dotate di alta e riconosciuta professionalità”), non ha assunto alcuna posizione qualificata e protetta riferita al “bene della vita” oggetto della designazione, in quanto i requisiti suddetti si riferivano ad una platea indifferenziata di soggetti.

Né può dirsi che la circostanza di avere autonomamente promosso, unitamente al Codacons, la propria “candidatura” con invio del proprio “curriculum” aveva reso la sua posizione legittimante ai fini del presente ricorso.

Ciò sia perché la procedura di cui all’art. 10 cit. non prevedeva, come detto, modalità di presentazione di candidature - né specifiche formalità – solo in relazione alle quali era possibile individuare per i Presidenti delle assemblee parlamentari il soggetto ritenuto più idoneo, sia perché la presentazione di una mera istanza alla p.a. da parte di un privato, in sé non fa sorgere nello stesso alcuna aspettativa giuridicamente qualificata al fine di considerare nella sostanza la richiesta e di provvedere in merito, in assenza – come nel caso di specie – di una norma che individua a monte la platea specifica dei soggetti giuridicamente interessati ad una legittima conclusione di un procedimento e/o al conseguente obbligo di provvedere, con costituzione di una posizione giuridica differenziata (Cons. Stato, Sez. IV, 14.5.10, n. 3024).

Né, infine, può opporsi da parte del ricorrente in questione un interesse di ordine “morale” a conoscere le ragioni della mancata considerazione della sua candidatura, sia perché non risulta dalla norma, come detto, la necessità di dare luogo ad una valutazione comparativa tra soggetti specifici, sia perché non risulta una esplicita “bocciatura senza motivazione”, come lamentato nel ricorso, dato che non era prevista alcuna comparazione relativa, sia perché, in merito, la giurisprudenza ha precisato che la figura dell'”interesse morale”, se intesa quale requisito di legittimazione al ricorso, deve essere valutato in senso particolarmente restrittivo, essendo immanente, altrimenti, il rischio di snaturare l'essenza della giurisdizione amministrativa, rendendola una sorta di giurisdizione di “diritto oggettivo”, in cui si prescinde da ogni verifica circa l'esistenza di una concreta utilità che il ricorrente possa trarre dall'accoglimento della domanda giudiziale (Cons. Stato, Sez. VI, 22.2.13, n. 1089).

Constatata, quindi, la carenza di legittimazione a ricorrere del prof. R, ad analoga conclusione deve pervenirsi anche per le tre associazioni ricorrenti.

Sul punto, anche in questo caso il Collegio richiama un precedente in termini di questa Sezione (TAR Lazio, Sez. I, 6.12.05, n. 13163) che si è occupato di tale profilo, riferito anche al Codacons, arrivando alla conclusione dell’inammissibilità del ricorso anche in quella sede proposto avverso atto di nomina di componente dell’AGCM.

In sintesi, la Sezione - con argomenti che il Collegio condivide e ritiene pienamente applicabili anche al presente caso di specie - ha avuto modo di precisare che più volte in giurisprudenza è stato affrontato il problema della legittimazione a ricorrere o a intervenire delle associazioni dei consumatori e degli utenti nelle varie materie in cui sono coinvolti interessi dei medesimi

Nelle decisioni riguardanti gli enti portatori di interessi collettivi il problema dell’accesso al giudice si è nelle varie fattispecie risolto soffermandosi tanto sull’interesse a ricorrere quanto sulla sussistenza di una posizione differenziata e qualificata, anche perché è stato costantemente escluso che l’azione possa essere esperita per perseguire “mere finalità di giustizia” ovvero per tutelare il “generico interesse, generale ed indifferenziato, di tutti i cittadini al ripristino della legalità violata”., per cui deve sempre operare di conseguenza il canone giurisprudenziale secondo cui la legittimazione a ricorrere di un’associazione di consumatori deve essere verificata “caso per caso”, alla luce dei provvedimenti effettivamente impugnati e della loro concreta attitudine a ledere, in rapporto di diretta congruità, gli interessi” di cui l’ente è portatore statutario (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4116/2001 e Sez. IV, n. 1271/2002).

La Sezione, quindi, specificava che “…non vi è dubbio che la qualità del Codacons di associazione di consumatori ed utenti, in possesso di regolare iscrizione nell’apposito elenco ministeriale, permetta a tale ente di esperire iniziative a tutela dei “diritti fondamentali” che l’art. 2, 2° comma, Cod. cons. (riproduttivo dell’art. 1, 2° comma, l. n. 281/1998) “riconosce” in favore dei consumatori e degli utenti (si tratta dei diritti: “a) alla tutela della salute;
b) alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi;
c) ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità;
d) all’educazione al consumo;
e) alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali;
f) alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti;
g) all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza”)… che “il successivo art. 139 (“legittimazione ad agire”), contenuto nel Titolo II (significativamente dedicato all’“accesso alla giustizia”), Parte V, Cod. cons., sancisce (con norma sostanzialmente coincidente con l’art. 3 l. n. 281/98) che tali “associazioni […] sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti”, mentre l’art. 140 (“procedura”) specifica come esse possano richiedere “al tribunale: a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;
b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;
c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate…”.

Ne conseguiva però che “…la pur ampia legittimazione ad agire in giudizio del Codacons non è tuttavia così vasta da ricomprendere qualsiasi attività di tipo pubblicistico che si rifletta economicamente, in modo diretto o indiretto, sui cittadini, dovendo al contrario esser commisurata a quegli atti che siano idonei ad interferire con specificità ed immediatezza sulla posizione dei consumatori e degli utenti…”

Sulla base di tali considerazioni si concludeva nel senso che “…l’atto di nomina del controinteressato…non è idoneo a incidere sull’interesse collettivo dei consumatori e degli utenti in guisa tale da cagionare a costoro un pregiudizio meritevole di riparazione in sede giudiziaria”. Anche qui non si rinviene alcun interesse, tra quelli tutelati dal Codacons, intaccato in modo diretto dalla nomina, non essendo d’altro canto percepibile nemmeno il danno inferto alla categoria dei consumatori e degli utenti in ragione della pretesa carenza di requisiti in capo al nominato.

Al Collegio non rimane dunque che rilevare, in linea con quanto già affermato dalla Sezione in un caso analogo (v. sent. 24 dicembre 2002, n. 14089, sulla nomina del Presidente dell’Istat), l’inammissibilità dell’impugnazione anche per questa parte, risultando essa preordinata non già alla protezione di un interesse collettivo quanto piuttosto alla “tutela oggettiva della legittimità degli atti amministrativi”.

Nel caso di specie, ad analoga conclusione deve pervenirsi ancor più per quel che riguarda l’Adusbef e la Federconsumatori, che non hanno neanche sottoscritto la nota del 25.1.07 con cui si sosteneva l’istanza del prof. R (e del Codacons) di essere valutato ai fini in questione e che non possono lamentare alcuna violazione ulteriore della propria posizione giuridica soggettiva sotto tale profilo.

Né, infine, può sostenersi che inquadrando la carenza di legittimazione sotto tale profilo ne deriverebbe una violazione delle norme costituzionali a tutela del diritto assoluto di difesa, di cui all’art. 24 Cost., e dei presupposti di ricorso all’A.G., di cui agli artt. 101, 103 e 113 Cost., in quanto l’atto di nomina in questione ben potrebbe in astratto essere impugnato dagli stessi altri componenti dell’AGCM, qualora ritenessero che la scelta non fosse caduta su soggetti in possesso dei requisiti di cui all’art. 10, comma 2, l. cit., ovvero dagli organi rappresentativi dell’Autorità in questione, per la medesima ragione.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso deve dichiararsi inammissibile per carenza di legittimazione. Di conseguenza, deve ritenersi inammissibile anche la correlata domanda risarcitoria.

Le spese di lite possono però eccezionalmente compensarsi per la peculiarità della fattispecie.

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