TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2013-12-18, n. 201305853

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2013-12-18, n. 201305853
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201305853
Data del deposito : 18 dicembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02394/2012 REG.RIC.

N. 05853/2013 REG.PROV.COLL.

N. 02394/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2394 del 2012, proposto da:
Immobilsud Srl in persona del legale rappresentante D I, rappresentata e difesa dagli avv. F P, G R e R P, con domicilio eletto presso l’av. Erik Furno in N, via Cesario Console, 3;

contro

Comune di N, rappresentato e difeso dagli avv. G T, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, A A, E C, B C, A C, A I F, G P, A P, B R e G R, domiciliato in N, presso l’Avvocatura Municipale - p.zza S. Giacomo;

per l'annullamento, previa adozione di misura cautelare,

della disposizione dirigenziale n. 140/2012 di demolizione di opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi, nonché di ogni altro atto presupposto e connesso


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di N;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2013 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Parte ricorrente è proprietaria di un edificio consistente in una torre di undici livelli (in seguito anche denominata “torre”) e di diversi fabbricati ricadenti nell'area di cui alla particella n.151 del N.C.E.U., individuati con le lettere A, B, C, D, E, F, G, H, L, M, N, destinati ad attività alberghiera.

Il Comune di N adottava una serie di atti repressivi di abusi edilizi nei confronti della sola “torre”, rigettando una domanda di condono edilizio, ordinando la sua demolizione, adottando un provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale (Disposizione Dirigenziale n. 442/2011), infine, rigettando una istanza di accertamento di conformità.

Annullava, altresì, in autotutela, con Determinazione Dirigenziale n. 770 del 13 luglio 2009, una serie di dia (n.7/06 del 13.1.2006;
23/06 del 16.3.2006;
n. 47/06 del 12.5.2006;
n. 89/06 del 16.8.2006;
n. 109/06 del 6.11.2006;
n. 8/07 del 7.2.2007;
n. 14/07 del 20.2.2007), in base alle quali la società ricorrente aveva effettuato degli interventi sull’area in questione.

I suddetti provvedimenti venivano impugnati dinanzi a questo T.A.R. in diversi separati giudizi e non sono direttamente oggetto della presente controversia.

Il Comune di N, infine, con Disposizione Dirigenziale n. 140/2012, spedita nei confronti di D I, nella qualità di legale rappresentante della società proprietaria e responsabile Immobilsud S.r.l., ordinava quale responsabile, la demolizione di opere abusive realizzate senza titolo abilitativo in N, nell’immobile individuato nel N.C.E.U. alla particella 151 del foglio 5 e, in particolare:

1) manufatto strutturato su due livelli scatolari in acciaio e vetri di circa mq. 24,00, adibito a galleria di passaggio e collegamento tra l’edificio destinato ad albergo e i vari corpi di fabbrica insistenti sull’area circostante;

2) tettoia di circa mq. 45,00 insistente tra il corpo di fabbrica indicato nell’elaborato planimetrico catastale con la lettera “A” e il corpo con la lettere “B”;

3) tettoria di circa mq. 43,00 in corrispondenza del corpo indicato nell’elaborato planimetrico catastale con la lettera “I”;

4) n. 2 pensiline di collegamento tra il corpo di fabbrica indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “I” e il corpo indicato con la lettera “A”;

5) pensilina tra il corpo di fabbrica indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “E” e il corpo “L”;

6) piccolo manufatto adibito a portineria posto a sinistra dell’ingresso del complesso alberghiero indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “N”;

7) tettoia in legno, di circa mq. 59,20, posta in corrispondenza dei vani di accesso alle salette “meeting” del corpo indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “D”;

8) piccolo manufatto posto sulla parte sinistra dell’ingresso dell’area, adibito a controllo accessi e portineria;

9) tettoia in legno di circa mt. 6,00 per mt. 2,50;

10) n. 2 locali destinati al contenimento di impianti tecnologici;

11) passaggio carrabile coperto a forma di “ELLE”, lungo per un tratto mt. 34,40 e largo mt. 3,60 e per il tratto perpendicolare lungo mt. 9,60 e largo mt. 4,60, posto al di sotto dell’estremità del corpo indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “E”, i9n adiacenza del corpo indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “A”;

12) pensilina retrostante l’edificio principale destinato ad albergo;

13) corpo di fabbrica rettangolare indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “D” distribuito su due livelli posizionato sulla linea di confine con proprietà aliena, insistente su una superficie di mq. 509,12 per una cubatura di mc. 3.553,20, con sale meeting e servizi igienici al piano terra a n. 11 camere d’albergo al primo piano;

14) corpo di fabbrica rettangolare indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “E” distribuito su due livelli, insistente su una superficie di mq. 1.683,00 per una cubatura di mc. 16.661,70, con sale congressi e un negozio di abbigliamento al piano terra e stanze di albergo al primo piano;

15) parte di corpo di fabbrica di forma rettangolare, indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “E”, di circa mq. 1.472,60 di circa mc. 14.520,00;

16) corpo di fabbrica indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “L” , di circa mq. 1.350,62, compreso patio e zona soppalcata di circa mc. 5.841,54;

17) corpo di fabbrica indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “A” confinante con la via Benedetto Brin, di circa mq. 356,16 e di circa mc. 2.373,00 adibito a lavanderia;

18) corpo di fabbrica indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “B”, di forma rettangolare su due livelli di circa mq. 60,90 e di circa mc. 351,00;

19) corpo di fabbrica indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “G” , di forma trapezoidale distribuito su due livelli, insistenti su una superficie di circa mq. 103,51 e di circa mc. 923,36;

20) n. 2 manufatti di forma trapezoidale indicati nell’elaborato planimetrico catastale indicato con le lettere “H” e “G”, posizionate sul confine di via G. Di Tocco – il primo insistente su una superficie di circa mq. 35,72 con un volume di circa mc. 161,20 - il secondo insistente su una superficie di circa mq. 65,36 con un volume di circa mc. 376,10;

Parte ricorrente impugnava nel presente giudizio quest’ultima Disposizione Dirigenziale, nonché ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale, chiedendone l’annullamento.

Si costituiva in giudizio il Comune di N a mezzo dell’Avvocatura Comunale spiegando argomentazioni difensive.

L’adito T.A.R., con ordinanza n. 950/2012, accoglieva l’istanza cautelare in considerazione della sussistenza del requisito del periculum in mora in quanto l’esecuzione del provvedimento impugnato avrebbe comportato la demolizione delle opere di cui è causa con danno grave e irreparabile ed atteso che il ricorso necessitava di approfondimenti incompatibili con la fase cautelare.

Successivamente, il medesimo T.A.R., con ordinanza n. 400/2013, disponeva C.T.U., nominando quale consulente tecnico d’ufficio l’ing. Marco Ruggiero, che depositava la sua relazione in data 19.9.2013.

La causa veniva chiamata all’udienza pubblica del 30 ottobre 2013 e trattenuta in decisione

DIRITTO

1) Il ricorso si palesa solo in parte fondato.

In via preliminare si evidenzia come la Disposizione Dirigenziale impugnata riguardi la demolizione di numerose opere e come parte ricorrente abbia formulato sia delle censure relative all’intero provvedimento o comuni ad alcune opere, sia specifiche e distinte censure per ogni singola opera indicata nell’ordine di ripristino.

Il Collegio nello scrutinio seguirà, in linea di massima, l’ordine di esposizione dei motivi effettuato nel ricorso, avendo riguardo all’autonomia di alcuni interventi, salvo poi per ragioni di ordine logico e comodità espositiva, mutare l’ordine o procedere allo scrutino congiunto di alcuni motivi o, infine, richiamare, nella valutazioni di legittimità di specifici interventi, le motivazioni di decisione già indicate rispetto ad altre opere per cui sono state formulate analoghe censure.

Inoltre sempre per comodità espositiva e coerenza con le argomentazioni sviluppate nei motivi di ricorso motiverà al punto 4.11 l’insussistenza delle ragioni di riunione con altro procedimento pendente dinanzi a questo T.A.R., richiesto da parte ricorrente.

2) Il primo motivo di ricorso denuncia il difetto di istruttoria e l’indeterminatezza del provvedimento.

La censura è infondata il provvedimento gravato individua con precisione le opere abusive e pone alla base dell’ordine di demolizione la constatazione dell’assenza di titolo edilizio abilitativo per la realizzazione delle stesse.

Non si ravvisa quindi alcuno specifico difetto di istruttoria, né la lamentata indeterminatezza dell’atto impugnato.

Parte ricorrente deduce, inoltre, che l’Amministrazione, prima di adottare eventuali misure demolitorie, avrebbe dovuto verificare la legittimità o meno degli interventi presenti sul territorio, distinguendo prima di intervenire in sede repressiva gli immobili originari e gli interventi successivi, e non limitarsi a prendere atto della mancata dimostrazione della presenza di un titolo abilitativo da parte del privato.

Anche tale censura risulta infondata, in quanto l’Amministrazione, nell’ambito del suo potere di vigilanza del territorio, qualora ravvisi un manufatto per il quale sia assente titolo edilizio legittimamente può intervenire, salvo che non vi siano circostanze particolari, in via repressiva in quanto la sola assenza di titolo giustifica l’adozione della misura ripristinatoria.

Sarà poi onere del privato dimostrare le concrete circostanze per cui un titolo edilizio non risultava necessario.

3) Il secondo motivo di ricorso è incentrato sulla circostanza che diverse delle opere in questione sarebbero risalenti sin dal 1956 (come risulterebbe da un rilievo fotogrammetrico dell’epoca) ovverosia a un periodo in cui non era necessario per la loro edificazione alcun titolo edilizio, mentre altre sarebbero alcune risalenti addirittura agli inizi del ‘900.

Deduce parte ricorrente che non vi sarebbe stata, sino all’1 settembre 1967 (data di entrata in vigore della legge n.765 del 6.8.1967, cosiddetta “legge Ponte”) alcuna norma prescrivente la necessità di titolo abilitativo per interventi, come quelli in questione, realizzati in area industriale.

Ciò né a livello di legislazione nazionale (le legge urbanistica n 1150/1942 limitava tale obbligo ai centri urbani), né a livello di regolamentazione edilizia comunale.

Al riguardo la medesima parte ricorrente, in contrasto con quanto invece dedotto dalla difesa del Comune, afferma che, proprio in forza del carattere industriale dell’area, non sarebbe stata applicabile alle opere in questione la disposizione dell’art. 1 del Regolamento del Comune di N del 1935 che prevedeva l’obbligo del permesso di costruire per gli interventi realizzati nel medesimo comune.

Ciò in quanto la zona industriale sarebbe stata esente dall’obbligo di preventiva autorizzazione in forza dall’art. 12 del medesimo regolamento comunale e, in ogni caso, perché l’art. 111 del Regio decreto 12/02/1911, n.297 (Regolamento per l’esecuzione della legge comunale e provinciale allora vigente) avrebbe limitato la potestà regolamentare del Comune in materia edilizia all’interno del centri abitato. Deduce, infine, parte ricorrente che la legge 8 luglio 1904, n. 351, avrebbe caratterizzato la zona industriale come zona franca dall’applicazione della normativa prevista nel regolamento edilizio.

Al riguardo il Collegio ritiene di dover precisare la disciplina edilizia applicabile alla fattispecie in esame, con particolare riferimento alle previsioni del Regolamento del Comune di N del 1935.

L’introduzione del regime legislativo impositivo della necessità di un titolo abilitativo edilizio (licenza edilizia) per l’esercizio dello ius edificandi è effettivamente da farsi risalire al 1942 per i soli centri urbani, con la legge urbanistica n. 1150/1942, e, per l’intero territorio nazionale, al 1967 con l’entrata in vigore della legge n. 765/1967.

Per il territorio del Comune di N, però, la necessità del titolo abilitativo edilizio deve farsi risalire al 1935 in forza di quanto stabilito nell’allora vigente regolamento edilizio.

Il Comune di N, difatti, già prima del 1942, pur in assenza di una norma primaria che imponesse ai proprietari di munirsi di titolo abilitativo per effettuare interventi edificatori, aveva adottato un regolamento edilizio, approvato appunto nel 1935, con cui aveva previsto l’obbligo di munirsi di licenza edilizia per gli interventi da effettuarsi sull’intero territorio comunale (T.A.R. Campania N, Sez. IV, n. 2051/2010;
T.A.R. Campania N, Sez. IV, 11362/2010;
T.A.R. Campania N, Sez. IV, n.6879/2009).

L'art. 1 del regolamento edilizio del 1935 aveva stabilito, difatti, al comma 2, che nel territorio del Comune di N, non era permesso eseguire, senza licenza del Sindaco e con modalità diverse da quelle stabilite: a) costruzione di nuovi edifici, sopralzi od ampliamenti di quelli esistenti;
b) demolizione, ricostruzione parziale o totale, modifica, trasformazione o restauro di edifici esistenti;
c) spostamento o rimozione di elementi di fabbricato di altre cose e materie che abbiano comunque carattere storico, archeologico, artistico od anche semplicemente panoramico, e che siano esposti alla vista del pubblico;
d) restauro, decorazione o attintatura delle facciate dei fabbricati rivolte alla strada pubblica o comunque visibili da strade giardini, o spazi pubblici;
e) apposizione sulle facciate esterne dei fabbricati, o impianto, comunque in vista del pubblico, di fanali insegne ecc....f) esecuzione di scavi od opere sotterranee in genere;
g) qualunque altra opera che possa interessare lo sviluppo, l'igiene e l'estetica della Città in relazione al contenuto del regolamento.

L’art. 9 del medesimo regolamento aveva previsto che, in caso di lavori eseguiti in assenza di licenza o in sua difformità, colui che li aveva fatti eseguire fosse “tenuto a ridurre ogni cosa al primitivo stato” e che in difetto avrebbe provveduto l’autorità.

Parte ricorrente ha, in proposito, invocato l’art. 12 del regolamento in questione per sostenere che fossero esenti dall’obbligo di licenza le opere realizzate in zona industriale.

Osserva il Collegio come l’articolo 12, posto nel titolo II del regolamento relativo alle norme igienico-edilizie per le costruzioni nuove e per i fabbricati esistenti, prevedeva che, ai fini dell’applicazione del medesimo regolamento, il territorio comunale fosse diviso in tre zone, specificamente individuate ai punti n.1, 2 e 3 del medesimo articolo, con riferimento alle singole aree del territorio.

Al punto 2 dell’articolo in questione, nella descrizione della seconda zona, veniva specificato, alla lettera a), che era ricompreso in questa zona, tra l’altro, “il territorio a sud-est della linea Salita di Campo, Voia San Maria del Pianto, Purgatorio, con gli attuali abitati di S. Giovanni, Barra e Ponticelli, esclusa la zona industriale”.

Tale esclusione della zona industriale dalla seconda zona non significava però che la stessa fosse esclusa dall’applicazione degli obblighi previsti dal regolamento, quasi come non fosse considerata territorio comunale ai fini urbanistici o comunque si trattasse di una “zona franca”.

Il punto 3 del medesimo articolo, identificava difatti la terza zona prevedendo che “la terza zona ad abitazione estensiva, o zona di espansione, è costituita dal territorio comunale non compreso nelle zone precedenti”.

Quest’ultima disposizione veniva quindi a porsi come norma di chiusura, idonea a far rientrare nella terza zona tutte le aree del territorio comunale che siano state escluse dalla zona prima e seconda, mantenendole nell’ambito di applicazione degli obblighi autorizzativi di cui all’art. 1 del medesimo regolamento.

L’art. 12 ha evidentemente operato una distinzione in tre zone solo al fine di differenziare la disciplina delle norme igienico-edilizie dettate dagli art. 13 e seguenti a seconda delle differenti aree senza però creare deroghe all’obbligo di preventiva licenza per l’effettuazione di interveti edilizi.

Questa interpretazione sulla necessità di titolo abilitativo per le zone industriali ha peraltro ricevuto l’avallo del Consiglio di Stato (Sez. IV Sent., 21-10-2008, n. 5141) che, riformando una sentenza di questo T.A.R. che si era espressa in senso contrario (T.A.R. Campania N Sez. IV, 18-3-2005, n. 1841), ha indicato come anche alla zona industriale “in quanto zona appartenente al territorio del Comune di N” fosse “applicabile l'inequivoco disposto dell'articolo 1 del regolamento edilizio, che sanciva l'obbligo di preventiva licenza del Sindaco per tutte le opere ed i lavori da eseguirsi nel territorio del Comune di N".

Non hanno rilevanza le valutazioni effettuate dal C.T.U. sull’inapplicabilità del suddetto regolamento alla fattispecie in questione, avendo il suddetto consulente chiaramente esulato dal suo ambito tecnico di valutazione, sconfinando in valutazioni prettamente giuridiche riservate all’organo giudicante.

Allo stesso modo non può avere rilevanza la tavola rivenuta dal medesimo C.T.U. secondo cui vi sarebbe una quarta zona (appunto la zona industriale) non soggetta alle previsioni del regolamento edilizio, in quanto è del tutto incerta la provenienza e la valenza di siffatto documento, né , nel regolamento edilizio vi è alcun cenno a quest’ultima tavola, né all’esistenza di una quarta zona.

Non può, inoltre, deporre in senso contrario l’invocata disposizione dell’art. 111 del Regio decreto 12/02/1911, n.297 che disponeva “Sono materie dei regolamenti edilizi le norme concernenti:

1° .....;
2° la determinazione del perimetro dell'abitato a cui si devono intendere circoscritte le prescrizioni dei regolamenti stessi”;
3° ......”.

La disposizione in questione prevede che il regolamento edilizio comunale definisca il suo ambito territoriale di applicazione ma non pone una limitazione espressa alla potestà regolamentare del Comune in materia edilizia, non presentandosi come norma sulla competenza bensì quale disposizione meramente esemplificativa o suppletiva.

Peraltro la stessa circolare sull’applicazione del Regio decreto 12/02/1911, n.297, invocata da parte ricorrente per indicare la limitazione ai centri abitati della potestà regolamentare del Comune (circ. 4052 del 10 ottobre 1013 contenente istruzioni circa la compilazione dei Regolamenti), indica la mancanza di tassatività delle previsione dell’art. 111, indirettamente confermando che non si tratta di una norma sulla competenza regolamentare dell’ente locale.

Sul punto la circolare specifica che l’enumerazione delle materie contenute nell’art. 111 del regolamento per l'esecuzione della legge comunale e provinciale non è tassativa, e quindi vi si possono includere anche norme che riflettano altri rapporti, purchè intese al fine di impedire il deturpamento del ornato pubblico, di assicurare la tutela della viabilità e della sicurezza pubblica in relazione all'esecuzione dei lavori e di proteggere consimili pubblici interessi.

Priva di pregio è, altresì, l’argomentazione secondo cui la legge 8 luglio 1904, n. 351 (Provvedimenti per il risorgimento economico della città di N), abbia creato una zona franca relativamente all’applicazione della normativa urbanistica, impedendo di introdurre per l’area in questione una disposizione sulla necessità di titoli abilitativi per l’esercizio dello ius edificandi.

Nessuna previsione del genere è contenuta nell’indicata legge, che contempla delle misure agevolative per lo sviluppo della zona industriale di carattere del tutto differenti, quali ad esempio misure in materia di dazi e imposte, che nulla hanno a che fare con l’aspetto edilizio venuto in rilievo in questo giudizio.

Fissato quindi il principio che dal 1935 era necessario un titolo abilitativo espresso (licenza del Sindaco) per edificare, il Collegio ne va a trarre le dovute conclusioni in base all’epoca di realizzazione dei singoli manufatti, anche sulla base delle risultanze tecniche della C.T.U., che il Collegio condivide.

Il motivo della preesistenza delle opere all’intervento di una previsione normativa sulla necessità del titolo edilizio risulta fondato solo per alcune delle opere per cui è stata disposta la demolizione.

3.1) In particolare risulta fondato per le opere di cui ai seguenti punti dell’ordinanza di demolizione:

- n. 15) parte di corpo di fabbrica di forma rettangolare di circa mq. 1.472,60 di circa mc. 14.520,00);

- 16) corpo di fabbrica di circa mq. 1.350,62, compreso patio e zona soppalcata di circa mc. 5.841,54;

- n. 19) corpo di fabbrica di forma trapezoidale distribuito su due livelli, insistenti su una superficie di circa mq. 103,51 e di circa mc. 923,36

- 20) n. 2 manufatti di forma trapezoidale posizionate sul confine di via G. Di Tocco – il primo insistente su una superficie di circa mq. 35,72 con un volume di circa mc. 161,20 - il secondo insistente su una superficie di circa mq. 65,36 con un volume di circa mc. 376,10;

Dalle risultanze dell’espletata C.T. U. risulta che tali manufatti erano preesistenti al 1935 e, quindi, la loro realizzazione è precedente all’introduzione della necessità del titolo edilizio e non ne poteva esserne intimata la demolizione.

Per quanto riguardo gli interventi di cui ai punti 15 e 16, peraltro, la perizia da atto che sugli immobili pressistenti sono sopravvenuti più recenti interventi di ristrutturazione che ne avrebbero modificato la consistenza.

L’ordinanza di demolizione però si riferisce all’intero manufatto senza distinguere gli interventi di ristrutturazione sui quali soli di doveva appuntare l’eventuale intervento repressivo del Comune che avrebbe dovuto valutare la natura e consistenza degli interventi di ristrutturazione e, qualora ritenuti passibili di provvedimenti demolitori, limitare a questi interventi l’ordine di riduzione in pristino.

3.2) Il motivo di ricorso risulta invece infondato per le opere di cui ai seguenti punti dell’ordinanza di demolizione:

- 1) manufatto strutturato su due livelli scatolari in acciaio e vetri di circa mq. 24,00, adibito a galleria di passaggio e collegamento tra l’edificio destinato ad albergo e i vari corpi di fabbrica insistenti sull’area circostante;

- n. 2) tettoia di circa mq. 45,00 insistente tra il corpo di fabbrica indicato nell’elaborato planimetrico catastale con la lettera “A” e il corpo con la lettere “B”;

- 3) tettoria di circa mq. 43,00 in corrispondenza del corpo indicato nell’elaborato planimetrico catastale con la lettera “I”;

- 4) n. 2 pensiline di collegamento tra il corpo di fabbrica indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “I” e il corpo indicato con la lettera “A”;

- 5) pensilina tra il corpo di fabbrica indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “E” e il corpo “L”;

- 6) piccolo manufatto adibito a portineria posto a sinistra dell’ingresso del complesso alberghiero indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “N”;

- 7) tettoia in legno, di circa mq. 59,20, posta in corrispondenza dei vani di accesso alle salette “meeting” del corpo indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “D”;

- 8) piccolo manufatto posto sulla parte sinistra dell’ingresso dell’area, adibito a controllo accessi e portineria;

- 9) tettoia in legno di circa mt. 6,00 per mt. 2,50;

- 10) n. 2 locali destinati al contenimento di impianti tecnologici;

- 11) passaggio carrabile coperto a forma di “ELLE”, lungo per un tratto mt. 34,40 e largo mt. 3,60 e per il tratto perpendicolare lungo mt. 9,60 e largo mt. 4,60, posto al di sotto dell’estremità del corpo indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “E”, in adiacenza del corpo indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “A”;

- 12) pensilina retrostante l’edificio principale destinato ad albergo;

- 13) corpo di fabbrica rettangolare distribuito su due livelli posizionato sulla linea di confine con proprietà aliena, insistente su una superficie di mq. 509,12 per una cubatura di mc. 3.553,20, con sale meeting e servizi igienici al piano terra a n. 11 camere d’albergo al primo piano;

- 14) corpo di fabbrica rettangolare distribuito su due livelli, insistente su una superficie di mq. 1.683,00 per una cubatura di mc. 16.661,70, con sale congressi e un negozio di abbigliamento al piano terra e stanze di albergo al primo piano;

- n. 17) corpo di fabbrica confinante con la via Benedetto Brin, di circa mq. 356,16 e di circa mc. 2.373,00 adibito a lavanderia;

- n. 18) corpo di fabbrica di forma rettangolare su due livelli di circa mq. 60,90 e di circa mc. 351,00.

Dalle risultanze dell’espletata CTU risulta che tali manufatti sono successivi al 1935 o, comunque, non ne è stata dimostrata la preesistenza alla suddetta data.

La realizzazione di tali interventi necessitava, quindi, il rilascio di un titolo abilitativo che risulta assente o per mancanza iniziale o perché successivamente annullato dall’amministrazione in autotutela (la Disposizione Dirigenziale n. 770/2009 di annullamento delle dia indicate nella parte in fatto.

Il motivo della risalenza delle opere deve essere quindi rigettato per questi ultimi interventi, stante che la questione del ricadere degli interventi edilizi nel regime del permesso di costruire (già licenza del sindaco sotto il regime del regolamento del 1935) e non in quello della dia, necessario ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione, verrà affrontato intervento per intervento nel punto che segue.

4) Nel terzo motivo di ricorso parte ricorrente ha lamentato che l’ordinanza di demolizione riguarda venti interventi di natura eterogenea tra loro e contesta per ogni singolo intervento la sussistenza dei presupposti per disporne la riduzione in pristino.

Nel quinto motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto che gli interventi indicati nell’ordinanza di demolizione risulterebbero assentibili con dia e, comunque, consisterebbero in interventi di ristrutturazione, tutt’al più assoggettabili alla disciplina sanzionatoria di cui agli art. 33 e 37 del DPR 380/01.

Ha lamentato, altresì, che l’Amministrazione avrebbe erroneamente irrogato la sanzione demolitoria ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, prevista per gli interventi di nuova costruzione, anziché ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001 contemplata per gli interventi di ristrutturazione assoggettati al regime del permesso di costruire.

In particolare, ha dedotto parte ricorrente che le opere sanzionate non fossero interventi di nuova costruzione, in quanto relative ad interventi effettuati su immobili preesistenti, bensì di ristrutturazione che, qualora non ritenuti realizzabili tramite dia, sarebbero dovuti essere sanzionati ai sensi dell’art. 33 e non dell’art. 31 del più volte indicato D.P.R..

L’art. 33 non contempla, difatti, a differenza dell’art. 31, l’acquisizione delle opere al patrimonio comunale in caso di mancata ottemperanza all’ordine di demolizione.

Il Collegio pertanto procederà allo scrutinio congiunto dei due motivi di ricorso, valutando le censure sollevate per ogni singolo intervento:

4.1) Quanto all’opera di cui al punto 1 del provvedimento gravato, di cui è stata ordinata la demolizione per l’assenza di titolo abilitativo, l’ordine demolitorio si palesa legittimo.

L’intervento in questione (una galleria di passaggio e collegamento tra l’edificio destinato ad albergo e i vari corpi di fabbrica circostanti) era stato assentito con dia, successivamente annullata in via di autotutela dall’Amministrazione con il provvedimento n. 770/2009.

Parte ricorrente ha lamentato che l’opera in esame costituirebbe una pertinenza dell’edificio qui denominato la“torre”, già sanzionato dal Comune con ordinanza di demolizione e per cui è stato già disposto provvedimento di acquisizione.

Il provvedimento di acquisizione riguarderebbe anche il manufatto di cui si tratta (ordinanza n. 442/11 impugnata anch’essa dinanzi a questo T.A.R. nel giudizio di cui al R.G. 377/2012) e l’ente comunale starebbe tentando di acquisire l’intera struttura senza rispettare le norme del procedimento di acquisizione.

Queste ultime circostanze non appaiono dimostrate, né decisive.

Non risulta, infatti, che il provvedimento di acquisizione riguardi anche il manufatto in esame, che comunque è stato qui trattato dall’amministrazione in modo autonomo. Inoltre qualora il manufatto risultasse effettivamente acquisito dal Comune parte ricorrente non avrebbe interesse a ricorrente sul punto.

Allo stesso modo priva di pregio è l’affermazione del tentativo da parte del Comune di aggiramento della corretta procedura di acquisizione in quanto l’autonomia di quest’ultimo ordine di demolizione consente e anzi impone il pieno svolgersi, anche in termini di garanzie per il soggetto interessato, del relativo iter procedimentale.

Inoltre, l’opera si presenterebbe in ogni caso quale pertinenza di un immobile (la “torre”) che allo stato deve considerarsi abusivo, per il quale è stata già adottata una ordinanza di demolizione e rigettata una istanza di accertamento di conformità e quest’ultimo provvedimento è stato ritenuto legittimo dalla sentenza di questo T.A.R. n. 16439/ 2010.

Non può quindi applicarsi il regime edilizio delle opere pertinenziali (più favorevole per quanto riguarda il titolo edilizio) riservato agli interventi accessori a immobili legittimamente edificati.

Né, essendo l‘opera in questione accessiva a immobile abusivo, si può contestare neanche in teoria la scelta di disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 anziché dell’art. 33 del medesimo D.P.R..

Ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 sono di ristrutturazione edilizia quegli interventi rivolti a trasformare organismi edilizi già esistenti mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

La natura di ristrutturazione edilizia dell’intervento presuppone un immobile preesistente sui le opere di trasformazione intervengono e può rilevare, ai fini di una sanzione differenziata dalla nuova costruzione, solo qualora sia presente un immobile iniziale legittimamente edificato e non fabbricato privo di titolo edilizio.

Quanto alla questione della sufficienza dalla dia quale titolo edilizio, in forza della natura pertinenziale degli interventi, il Collegio ritiene di dover comunque precisarne i termini, anche ai fini dello scrutinio relativo alla legittimità dell’ordine demolitorio per le opere che seguono, specificando immediatamente come sul punto non può rilevare quanto indicato dal C.T.U. circa il regime normativo delle pertinenze, perchè tale tema esula dall’ambito esclusivamente tecnico delle valutazioni che lo stesso è tenuto a compiere rientrando nell’ambito di competenza esclusiva del Collegio giudicante.

Al riguardo, si evidenzia come, secondo giurisprudenza, la nozione civilistica di pertinenza è più ampia di quella applicata nella materia urbanistica, nel senso che beni, che in diritto civile assumono senz'altro natura pertinenziale, non sono tali ai fini dell'applicazione delle regole che governano l'attività edilizia, ogniqualvolta assumono autonomia rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio. In materia edilizia, pertanto, sono qualificabili come pertinenze solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (Cons. Stato Sez. IV, 10-05-2012, n. 2723;
Cons. Stato Sez. IV, 18-10-2010, n. 7549;
Cons. Stato Sez. IV, 31-03-2010, n. 1842).

Il vincolo pertinenziale in senso urbanistico è caratterizzato sia da un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e principale, cioè da un nesso che non consenta, per natura e struttura dell'accessorio, altro che la destinazione della cosa a un uso pertinenziale durevole, sia dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a concessione edilizia la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa (Cons. Stato Sez. IV, 20-02-2013, n. 1059).

Nel caso di specie, le dimensioni non trascurabili del manufatto in questione (si tratta di una struttura chiusa di acciaio e vetro su due livelli di circa 24 metri quadri) e l’incidenza sull’aspetto del territorio comportano che, in ogni csso, lo stesso non possa definirsi in ogni caso come pertinenza.

L’opera si palesa pertanto assoggettata al regime del permesso di costruire, in quanto l’art. 10, comma 1, lett. c), D.P.R. 6-6-2001 n. 380, indica come interventi soggetti al permesso di costruire quelli di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio anche in parte diverso dal precedente, che comportino, come nel caso di specie, aumento modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici.

4.2) quanto all’opera di cui al punto 2 del provvedimento gravato (tettoia di circa mq. 45,00 insistente tra il corpo di fabbrica indicato nell’elaborato planimetrico catastale con la lettera A e con la lettera B ) parte ricorrente ha lamentato la sua risalenza ad un periodo in cui non sarebbe stato necessario alcun titolo edilizio.

La censura è stata già scrutinata nel precedente punto 3 e rigettata, in quanto dalle risultanze del C.T.U. non è dimostrata la risalenza dell’opera a prima del regolamento comunale del 1935, a partire dal quale è divenuto era necessario un titolo edilizio.

In ordine alla ipotetica natura di ristrutturazione edilizia dell’intervento di realizzazione della tettoia e alla sufficienza della dia quale titolo edilizio, il Collegio osserva in primo luogo come ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 sono di ristrutturazione edilizia quegli interventi rivolti a trasformare organismi edilizi già esistenti mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

La natura di ristrutturazione edilizia dell’intervento presuppone un immobile preesistente sui le opere di trasformazione intervengono.

Non può pertanto considerarsi pertinenza, ma nuova costruzione, una tettoia autonoma sia strutturalmente che funzionalmente (T.A.R. Veneto, Sez. II, 6.10.2006 n. 3299), ovverosia che non sia accessiva ad altro immobile preesistente.

Nel caso di specie non è comprovato, e in verità nemmeno espressamente affermato da parte ricorrente, che la tettoia in esame fosse accessiva a un immobile preesistente legittimamente edificato e, pertanto, l’intervento si deve considerare di nuova costruzione conseguente necessità di permesso di costruire.

In ogni caso pur a voler considerare la tettoia accessiva a corpi di fabbrica preesistenti, il Collegio osserva che, com’è noto, gli interventi di ristrutturazione edilizia possono o meno essere assoggettati al regime della dia a seconda che rientrino meno tra quelli indicati nell’art. 10, comma 1, lett. c, del D.P.R. 6-6-2001 n. 380, che necessitano il permesso di costruire.

Il medesimo Collegio, aderisce alla giurisprudenza di questo T.A.R., formatasi sotto il regime di vigenza regime, applicabile ratione temporis al caso in esame, del testo del suddetto art. 10 prima della sua modifica ad opera D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.

Secondo tale orientamento giurisprudenziale gli interventi consistenti nell'installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi (cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito) possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto e nei limiti in cui la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono. Tali strutture non possono invece ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando abbiano dimensioni tali da arrecare una visibile alterazione del prospetto e della sagoma dell'edificio (ex multis, T.A.R. Campania N, Sez. VII, 27 aprile 2001, n. 2313;
T.A.R. Campania N, Sez. IV, 13 gennaio 2011, n. 84).

In quest’ultimo caso la realizzazione di una tettoia, indipendentemente dalla sua eventuale natura pertinenziale, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/01, nella misura in cui realizza "l'inserimento di nuovi elementi ed impianti", ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui accede.

La tettoia in esame, avendo rilevati dimensioni (mq. 45), era assoggettata al regime del permesso di costruire e pertanto l’ordine demolitorio adottato si palesa giustificato.

Né appare fondata la censura relativa alla scelta di disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, relativa agli interventi di nuova costruzione, anziché dell’art. 33 del medesimo D.P.R. inerente alle opere di ristrutturazioe

Come già indicato la natura di ristrutturazione edilizia dell’intervento presuppone un immobile preesistente sui le opere di trasformazione intervengono e nel caso di specie non è stato comprovato che la tettoia fosse accessiva ad altro immobile preesistente e pertanto deve considerarsi intervento di nuova costruzione.

In ogni caso anche qualora si volesse considerare la tettoia non come nuova opera ma come opera che interviene a trasformare immobili preesistenti, l’intervento di ristrutturazione sarebbe relativo a immobili abusivi e non rileverebbe ai fini della censura in esame.

La soluzione non cambierebbe infatti anche se la tettoia in questione fosse ritenuta accessiva agli adiacenti manufatti indicati nell’elaborato planimetrico catastale con la lettera A e con la lettera B, e corrispondenti alle opere di cui al punto 18 (corpo F nella C.T.U.), e 17 (corpo G nella C.T.U.) sanzionate dall’ordine di demolizione qui impugnato a causa della loro abusività.

Le opere di ristrutturazione sarebbero infatti intervenute su immobili abusivi e pertanto, come indicato nel precedente punto 4.1 che si richiama, non sarebbe illegittima la scelta di disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 anziché dell’art. 33 del medesimo D.P.R..

4.3) Allo stesso modo è legittimo il provvedimento impugnato nella parte in cui sanziona l’opera di cui al punto 3 del provvedimento gravato (tettoria di circa mq. 43,00).

Parte ricorrente ha dedotto che si tratta di un intervento marginale di carattere pertinenziale, consistendo in una tettoia funzionale alla copertura delle macchine dell’aria condizionata, assentibile tramite dia e, pertanto, per il quale non poteva adottarsi ordine di demolizione ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380/2001.

Il motivo è infondato.

Il Collegio richiama in proposito integralmente quando già indicato nel precedente 4.2 in ordine alla mancata dimostrazione dell’accessività della tettoia ad altro immobile preesistente, nonché al requisito di modestissima entità, che anche nel caso di specie non ricorre, che deve possedere una tettoia affinchè possa essere assoggettata al regime della dia, indipendentemente dalla sua natura pertinenziale.

Allo stesso modo per quanto riguarda la scelta di disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, anziché dell’art. 33 del medesimo D.P.R. si richiama quanto indicato nel precedente punto 4.2 in ordine alla circostanza che la natura di ristrutturazione edilizia dell’intervento presuppone un immobile preesistente su cui le opere di trasformazione intervengono.

Anche in questo caso, infatti, non è stato comprovato che la tettoia fosse accessiva ad altro immobile preesistente e pertanto deve considerarsi intervento di nuova costruzione.

Quanto all’ulteriore doglianza che l’intervento sarebbe assentibile in sanatoria (che però non è stata richiesta), il Collegio ne rileva l’infondatezza osservando come l'abusività di un'opera edilizia costituisca già di per sé sola presupposto per l'applicazione della prescritta sanzione demolitoria e non sia necessaria una motivazione "ad hoc" sulla non sanabilità dell'opera. (T.A.R. Campania N Sez. VII, 27 maggio 2013, n. 2755;
T.A.R. Campania, sez. III, 27 settembre 2006, n. 8331;
Consiglio Stato, sez. V, 30 novembre 2000, n. 6357).

In presenza di un abuso edilizio, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all'autorità comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di verificarne la contrarietà delle opere alla normativa urbanistico-ambientale, essendo sufficiente l’assenza del titolo abilitativo.

Tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31, D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia) che, in tal caso, obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l'abuso, senza alcuna ulteriore valutazione in ordine alla contrarietà delle opere alla normativa urbanistico-ambientale o alla eventuale sanabilità degli abusi (T.A.R. Campania N, Sez. III, 8 novembre 2013, n. 5023;
T.A.R. Campania N Sez. VI, 26 settembre 2012, n. 3950).

4.4) Quanto all’opera di cui al punto 4 del provvedimento gravato (n. 2 pensiline di collegamento) di cui è stata ordinata la demolizione per l’assenza di titolo abilitativo, l’intervento in questione era stato assentito con dia successivamente annullata in via di annullata in via di autotutela dall’Amministrazione con il provvedimento n. 770/2009.

Parte ricorrente ne afferma in via generica la sufficienza della dia.

La censura è fondata.

La natura e modestia dell’intervento, anche in relazione a quanto indicato nel punto 4.2, comporta che l’intervento era realizzabile con dia e, conseguentemente, l’ordine demolitorio risulta illegittimo.

Inoltre dei due edifici collegati dalla pensilina uno si rileva legittimo per essere lo stesso risalente ad epoca anteriore al 1935, come indicato nel punto 3, e pertanto non può dedursene l’accessorietà in via esclusiva ad edifici abusivi.

4.5) Quanto all’opera di cui al punto 5 del provvedimento gravato (pensilina tra il corpo di fabbrica indicato con la lettera “E” e il corpo “L”), parte ricorrente ha dedotto che si tratta di un intervento marginale di carattere pertinenziale, facilmente rimuovibile e assentibile tramite dia e, pertanto, per il quale non poteva adottarsi ordine di demolizione ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380/2001.

Inoltre, l’intervento sarebbe assentibile in sanatoria (che però non è stata richiesta).

Il motivo è infondato.

Indipendente dall’entità dell’intervento, la pensilina risulta infatti essere una pertinenza di immobili che, anche all’esito di quanto indicato nel punto 3, risultano abusivi e sono stati colpiti dal medesimo ordine di demolizione.

Allo stesso non può quindi applicarsi il regime edilizio delle opere pertinenziali (più favorevole per quanto riguarda il titolo edilizio) riservato agli interventi accessori a immobili legittimamente edificati.

Dalla natura abusiva degli immobili cui le opere accedono deriva anche, richiamando integralmente quanto indicato nel punto 4.1, deriva l’infondatezza della censura sulla scelta di disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 anziché dell’art. 33 del medesimo D.P.R.., considerato che la ristrutturazione edilizia presuppone un immobile preesistente sui le opere di trasformazione intervengono e può rilevare, ai fini di una sanzione differenziata dalla nuova costruzione, solo qualora sia presente un immobile iniziale legittimamente edificato e non fabbricato privo di titolo edilizio.

Quanto alla doglianza che l’intervento sarebbe assentibile in sanatoria (che però non è stata richiesta), il Collegio ne rileva l’infondatezza sulla base di quanto indicato nel precedente punto 4.3, in ordine alla non necessarietà di una motivazione "ad hoc" sull’astratta sanabilità dell'opera.

4.6) Quanto agli interventi di cui ai punti 6 ed 8 (piccolo manufatto adibito a portineria posto a sinistra dell’ingresso del complesso alberghiero), in realtà, come indicato nella C.T.U., si tratta di un solo intervento indicato due volte nel provvedimento di demolizione.

In proposito parte ricorrente ha lamentato la sua risalenza al periodo in cui non sarebbe stato necessario alcun titolo edilizio.

La censura è stata già scrutinata nel precedente punto 3 e rigettata, in quanto dalle risultanze del C.T.U. non è dimostrata la risalenza dell’opera a prima del regolamento comunale del 1935, a partire dal quale è divenuto era necessario un titolo edilizio.

Quanto al titolo necessario per la sua edificazione, il Collegio rileva che la realizzazione di un separato e autonomo manufatto che crea volumetria non può essere classificato come intervento di ristrutturazione “leggera” realizzabile tramite dia ma rientri nella categoria della nuova costruzione.

Dalla natura di nuova costruzione deriva anche la legittimità della scelta dell’amministrazione comunale di sanzionare l’abuso con un ordine di demolizione adottato ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, anziché, come lamentato da parte ricorrente ex art. 33 del medesimo D.P.R..

4.7) Quanto all’opera di cui al punto 7 del provvedimento gravato (tettoia in legno, di circa mq. 59,20, posta in corrispondenza dei vani di accesso alle salette “meeting” del corpo indicato nell’elaborato planimetrico catastale indicato con la lettera “D”), parte ricorrente ne deduce la risalenza e la natura pertinenziale.

Il motivo è infondato.

Per ciò che concerne la risalenza la censura è stata già scrutinata nel precedente punto 3 e rigettata, in quanto dalle risultanze del C.T.U. non è dimostrata la risalenza dell’opera a prima del regolamento comunale del 1935, a partire dal quale è divenuto era necessario un titolo edilizio.

Per quanto invece attiene alla natura pertinenziale, il Collegio richiama integralmente quando già indicato nel precedente 4.2 in ordine al requisito di modestissima entità, che nel caso di specie non ricorre, che deve possedere una tettoia affinchè possa essere assoggettata al regime della dia, indipendentemente dalla qualificabilità come pertinenza.

Infine la pensilina risulterebbe in ogni caso essere pertinenza di un immobile che, all’esito di quanto indicato nel punto 3, risulta abusivo ed è stato colpito dal medesimo ordine di demolizione e, pertanto, come indicato anche nel punto 4.5, allo stesso non può quindi applicarsi il regime edilizio delle opere pertinenziali (più favorevole per quanto riguarda il titolo edilizio) riservato agli interventi accessori a immobili legittimamente edificati.

Allo stesso modo dall’abusività dell’immobile a cui la pensilina accede deriva, per quanto indicato nel punto 4.1, la legittimità della scelta di sanzionare l’abuso con un ordine di demolizione adottato ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, anziché, come lamentato da parte ricorrente, ex art. 33 del medesimo D.P.R..

4.8) Per quanto riguarda il l’opera di cui al punto 9 dell’atto impugnato (tettoia in legno di circa mt. 6,00 per mt. 2,50) parte ricorrente ne deduce la natura pertinenziale, la sua facile rimuovibilità, la sua astratta sanabilità e l’assentibilità tramite dia di tal chè non poteva adottarsi ordine di demolizione ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380/2001.

Inoltre l’intervento sarebbe assentibile in sanatoria (che però non è stata richiesta).

Il motivo è infondato.

Il Collegio richiama in proposito integralmente quando già indicato nel precedente 4.2 in ordine alla mancata dimostrazione dell’accessività della tettoia ad altro immobile preesistente, nonché al requisito di modestissima entità, che anche nel caso di specie non ricorre, che deve possedere una tettoia affinchè possa essere assoggettata al regime della dia, indipendentemente dalla sua natura pertinenziale.

Allo stesso modo per quanto riguarda la scelta di disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, anziché dell’art. 33 del medesimo D.P.R., si richiama quanto indicato nel precedente punto 4.2 in ordine alla circostanza che la natura di ristrutturazione edilizia dell’intervento presuppone un immobile preesistente su cui le opere di trasformazione intervengono. Anche in questo caso infatti non risulta comprovato che la tettoia fosse accessiva ad altro immobile preesistente e pertanto deve considerarsi intervento di nuova costruzione.

Quanto alla doglianza che l’intervento sarebbe assentibile in sanatoria (che però non è stata richiesta), il Collegio ne rileva l’infondatezza sulla base di quanto indicato nel punto 4.3, in ordine alla non necessarietà di una motivazione "ad hoc" sull’astratta sanabilità dell'opera

Infondata è anche la censura fondata sulla facile rimovibilità dell’opera.

La precarietà di un manufatto, al fine di escludere la necessità del rilascio di un titolo edilizio non deve essere desunta dalla facile e rapida rimovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente e non prolungata nel tempo (T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 07-04-2011, n. 580).

Il carattere di precarietà va quindi escluso quando, come nel caso di specie, trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo (Consiglio di Stato, Sez. V, 30 Ottobre 2000, n. 5828;
Tar Campania - N, Sez. VI, 18 Febbraio 2005, n. 1182;
Tar Lazio - Roma Sez. II Ter, 5 aprile 2007, n. 2986).

4.9) Quanto all’opera di cui al punto 10 del provvedimento gravato (n. 2 locali destinati al contenimento di impianti tecnologici), parte ricorrente deduce che si tratterebbe di due manufatti di nuova edificazione, corrispondenti alle centrali elettriche di trasformazione dell'energia, assentiti con DIA n.7/06, prot.n.94 del 13.1.2006 poi annullata con provvedimento prot.n.770/2009.

Si tratterebbe di interventi assentibili con dia in quanto opere pertinenziali ad immobili legittimi preesistenti.

La censura è infondata.

Facendo riferimento a quanto indicato nel punto 4.1, relativamente al regime delle pertinenze, le dimensioni non trascurabili dei manufatti in questione e l’incidenza sull’aspetto del territorio comportano che lo stesso non possa definirsi pertinenza.

Né le opere stesse possono essere ritenute di manutenzione straordinaria ai sensi dell’art. 6 del Regolamento Edilizio in quanto comportano realizzazione di nuova volumetria.

Allo stesso modo legittima si palesa la scelta di disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 anziché dell’art. 33 del medesimo D.P.R. in quanto la realizzazione di un separato e autonomo manufatto che crea volumetria rientra nella categoria della nuova costruzione.

4.10) Quanto all’opera di cui al punto 11 (passaggio carrabile coperto a forma di “ELLE”, lungo per un tratto mt. 34,40 e largo mt. 3,60 e per il tratto perpendicolare lungo mt. 9,60 e largo mt. 4,60), tale intervento, secondo parte ricorrente, sarebbe preesistente e, comunque, assentibile con DIA, in quanto rientrante nella tipologia della ristrutturazione edilizia, e non potrebbe trovare applicazione la sanzione demolitoria ma semmai l'applicazione del regime sanzionatorio di cui al secondo comma dell'art.33 del DPR 380/01.

Il motivo di ricorso è infondato.

Quanto alla preesistenza la censura è stata già scrutinata nel precedente punto 3 e rigettata, in quanto dalle risultanze del C.T.U. non è dimostrata la risalenza dell’opera a prima del regolamento comunale del 1935, a partire dal quale è divenuto era necessario un titolo edilizio.

Inoltre, l’intervento per la sua natura ed entità non rientra tra le opere di ristrutturazione edilizia assoggettata a dia, trattandosi di un lungo passaggio coperto, come si evince tra l’altro dalla foto n.12 della perizia del CTU, ma tutt’al più tra gli interventi di ristrutturazione edilizia assoggettati al regime del permesso di costruire di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), D.P.R. 6-6-2001 n. 380.

In ogni caso poi l’intervento accede a un immobile abusivo (al corpo di fabbrica di cui al punto 14 dell’ordine di demolizione)

Essendo poi l‘opera in questione accessiva a immobile abusivo appare legittima la scelta di disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 anziché dell’art. 33 del medesimo D.P.R..

Si richiama in proposito quanto indicato nel punto 4.1, sulla circostanza che la natura di ristrutturazione edilizia dell’intervento presuppone un immobile preesistente sui le opere di trasformazione intervengono e può rilevare, ai fini di una sanzione differenziata dalla nuova costruzione, solo qualora sia presente un immobile iniziale legittimamente edificato e non fabbricato privo di titolo edilizio.

Per ciò che concerne infine il riferimento al comma 2, dell’art. 33, D.P.R. n. 380/2001, la censura è così generica, limitandosi al mero richiamo della norma senza alcuna puntualizzazione di circostanze o di ragioni di applicabilità.

In ogni la norma in questione prevede, per gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, che qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore.

Parte ricorrente non ha inoltre fornito alcuno specifico elemento nel senso dell’impossibilità di rimozione e, pertanto, non si può supporre nemmeno in linea teorica la fondatezza della censura.

4.11) Quanto all’opera di cui al punto 12 (pensilina retrostante l’edificio principale destinato ad albergo), l’intervento in questione era stato assentito con dia n. 140/2012 successivamente annullata in via di autotutela dall’Amministrazione con il provvedimento n. 770/2009.

Parte ricorrente ha lamentato che l’intervento in questione avrebbe natura pertinenziale rispetto alla “la torre”, la cui realizzazione è stata già sanzionata dal Comune con ordinanza di demolizione e per cui è stata già disposto provvedimento di acquisizione, che pertanto riguarderebbe anche l’opera in questione (ordinanza n. 442/11 impugnata dinanzi a questo T.A.R.).

La medesima parte ricorrente evidenzia la necessità di riunire il presente procedimento a quello di cui al R.G. 377/2012 relativo all’impugnativa del provvedimento di acquisizione, in quanto da un lato parte delle opere qui in questione sarebbero state già acquisite dal Comune con la precedente ordinanza di acquisizione e il provvedimento di demolizione dell’edificio indicato come la “torre” sarebbe stato “annullato” dalla sentenza di questo T.A.R. n. 16439/ 2010, che avrebbe dichiarato l’improcedibilità del ricorso avverso il medesimo provvedimento demolitorio a causa della presentazione di una istanza di accertamento di conformità.

Il Collegio ritiene che non vi siano i presupposti per disporre la riunione e che il motivo di ricorso sia da rigettare.

La natura pertinenziale del manufatto in questione non rileva, nel caso di specie, ai fini dell’assentibilità della medesima opera con dia, stante, allo stato, l’abusività dell’edificio principale cui tale manufatto accederebbe.

L’edificio in questione è già stato oggetto di un provvedimento di demolizione e di un provvedimento di rigetto di un accertamento di conformità.

La sentenza di questo T.A.R. n. 16439/ 2010, contrariamente a quanto indicato da parte ricorrente, non si è limitata a dichiarare l’improcedibilità del ricorso avverso l’ordine di demolizione per una sopravvenuta istanza di accertamento di conformità ma ha altresì dichiarato legittimo il provvedimento di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità impugnato con motivi aggiunti.

In tal senso pertanto la sentenza in esame ha confermato l’abusività dell’edificio principale, già affermata dall’amministrazione con il provvedimento di demolizione e dal provvedimento di rigetto dell’istanza di conformità allo stato del tutto valido ed efficace.

Per tale motivo il Collegio non ravvisa gli estremi per riunire il presente giudizio con quello avverso il differente provvedimento di acquisizione, che ha ad oggetto la differente vicenda acquisitiva sulla base del provvedimento di demolizione, stante anche non trascurabili ragioni di celerità dei tempi del processo, in linea con il principio di ragionevole durata.

Nel merito il motivo è infondato.

La pensilina risulta, infatti, essere una pertinenza di un immobile che allo stato risulta abusivo e, pertanto, allo stesso non può quindi applicarsi il regime edilizio delle opere pertinenziali invocato da parte ricorrente (più favorevole per quanto riguarda il titolo edilizio) riservato agli interventi accessori a immobili legittimamente edificati.

Essendo poi l‘opera in questione accessiva a immobile abusivo appare legittima la scelta di disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 anziché dell’art. 33 del medesimo D.P.R..

Si richiama in proposito quanto indicato nel punto 4.1, sulla circostanza che la natura di ristrutturazione edilizia dell’intervento presuppone un immobile preesistente sui le opere di trasformazione intervengono può rilevare, ai fini di una sanzione differenziata dalla nuova costruzione, solo qualora sia presente un immobile iniziale legittimamente edificato e non fabbricato in assenza di titolo edilizio.

4.12) Quanto all’opera di cui al punto 13 dell’atto impugnato (corpo di fabbrica rettangolare indicato con la lettera “D” distribuito su due livelli posizionato sulla linea di confine con proprietà aliena, insistente su una superficie di mq. 509,12 per una cubatura di mc. 3.553,20), parte ricorrente ha lamentato la sua risalenza al periodo in cui non sarebbe stato necessario alcun titolo edilizio.

La censura è stata già scrutinata nel precedente punto 3 e rigettata, in quanto dalle risultanze del C.T.U. non è dimostrata la risalenza dell’opera a prima del regolamento comunale del 1935, a partire dal quale è divenuto era necessario un titolo edilizio.

Inoltre, le opere in questione (corpo di fabbrica con autonoma volumetria) si presenta come intervento di nuova costruzione.

Dalla natura di nuova costruzione dell’intervento deriva anche la legittimità della scelta dell’amministrazione comunale di sanzionare l’abuso con un ordine di demolizione adottato ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, anziché, come lamentato da parte ricorrente ex art. 33 del medesimo D.P.R..

4.13) Quanto alle opere di cui al punto 14 dell’atto impugnato (corpo di fabbrica rettangolare indicato con la lettera “E” distribuito su due livelli, insistente su una superficie di mq. 1.683,00 per una cubatura di mc. 16.661,70) parte ricorrente ha lamentato la loro risalenza al periodo in cui non era necessario alcun titolo edilizio e che le stesse consisterebbero in opere di ristrutturazione edilizia soggette al regime sanzionatorio di cui all’art. 33, comma 2, D.P.R. n. 380/2001.

Il motivo è da rigettare.

La censura sulla risalenza dell’intervento edilizio è stata già scrutinata nel precedente punto 3 e rigettata, in quanto dalle risultanze del C.T.U. non è dimostrata la risalenza dell’opera a prima del regolamento comunale del 1935, a partire dal quale è divenuto era necessario un titolo edilizio per la realizzazione di opere.

Quanto al titolo edilizio necessario le opere in questione (separato corpo di fabbrica con autonoma volumetria) si presenta come intervento di nuova costruzione.

Dalla natura di nuova costruzione dell’intervento deriva anche la legittimità della scelta dell’amministrazione comunale di sanzionare l’abuso con un ordine di demolizione adottato ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, anziché, come lamentato da parte ricorrente ex art. 33 del medesimo D.P.R.

Per ciò che concerne, infine, il riferimento al comma 2, dell’art. 33, D.P.R. n. 380/2001, la censura è così generica, limitandosi al mero richiamo della norma senza alcuna puntualizzazione di circostanze o di ragioni di applicabilità, da risultare inammissibile.

In ogni la norma in questione prevede, per gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, che qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore.

Parte ricorrente non ha al riguardo fornito alcuno specifico elemento nel senso dell’impossibilità di rimozione e, anzi, la natura dell’intervento in questione (autonomo corpo di fabbrica) depone logicamente in senso contrario, in modo che non si può supporre nemmeno in linea teorica la fondatezza della censura.

4.14) Quanto al manufatto di cui al punto 17 dell’atto impugnato ( corpo di fabbrica confinante con la via Benedetto Brin, di circa mq. 356,16 e di circa mc. 2.373,00 adibito a lavanderia) parte ricorrente ha lamentato la sua risalenza al periodo in cui non era necessario alcun titolo edilizio.

Ha dedotto altresì che gli interventi su tale immobile tale immobile sarebbe stato assentiti con la DIA n.32/06, prot.n. 590, poi annullata con provvedimento prot.n.770/2009, e che in quest’ultimo provvedimento l’amministrazione avrebbe indicato gli interventi come restauro conservativo che, come tali, sarebbero a parere del ricorrente assoggettati al regime del permesso di costruire.

Il motivo è da rigettare.

La censura sulla risalenza dell’intervento edilizio è stata già scrutinata nel precedente punto 3 e rigettata, in quanto dalle risultanze del C.T.U. non è dimostrata la risalenza dell’opera a prima del regolamento comunale del 1935, a partire dal quale è divenuto era necessario un titolo edilizio per la realizzazione di opere.

Priva di pregio è, altresì, la censura relativa al fatto che nel provvedimento di annullamento della dia si facesse menzione di interventi di restauro conservativo, in quanto l’ordine di demolizione qui gravato è basato sul diverso presupposto dell’assenza di un titolo edilizio per l’intero manufatto, indipendentemente dalla natura e tipologia delle specifiche successive opere (realizzate nel 2006) oggetto della dia poi annullata.

Allo stesso modo legittima si palesa la scelta di disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 anziché dell’art. 33 del medesimo D.P.R., in quanto la realizzazione di un separato e autonomo manufatto che crea volumetria rientra nella categoria della nuova costruzione.

4.15) Quanto al manufatto di cui al punto 18 dell’atto impugnato (corpo di fabbrica di forma rettangolare su due livelli di circa mq. 60,90 e di circa mc. 351,00) parte ricorrente ha lamentato la sua risalenza al periodo in cui non era necessario alcun titolo edilizio.

Il motivo è da rigettare.

La censura sulla risalenza dell’intervento edilizio è stata già scrutinata nel precedente punto 3 e rigettata, in quanto dalle risultanze del C.T.U. non è dimostrata la risalenza dell’opera a prima del regolamento comunale del 1935, a partire dal quale è divenuto era necessario un titolo edilizio per la realizzazione di opere.

Allo stesso modo legittima si palesa la scelta di disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 anziché dell’art. 33 del medesimo D.P.R., in quanto la realizzazione di un separato e autonomo manufatto che crea volumetria rientra nella categoria della nuova costruzione.

14.16) Non si scrutinano gli specifici motivi formulati nei confronti degli interventi di cui ai punti 15, 16, 19 e 20, perché assorbiti dall’accoglimento per tali opere del ricorso secondo quanto indicato nel precedente punto 3.

5) Da rigettare è, altresì, il quarto motivo di ricorso incentrato sulla violazione dell’art.10 bis legge n.241/90 che prevede la necessità della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell’istanza del privato.

Tale disposizione si riferisce, difatti, per espressa previsione legislativa, solo ai procedimenti ad istanza di parte e non risulta, quindi, applicabile all’ordine di demolizione impugnato in questa sede.

6) Con il sesto motivo di ricorso parte ricorrente ha lamentato che il Comune non avrebbe valutato la difformità delle opere alla normativa urbanistico-ambientale, né condotto una appropriata istruttoria, storicizzando gli abusi, e non avrebbe congruamente motivato la scelta della sanzione demolitoria.

Le censure sono infondate.

Il Comune ha correttamente motivato la sanzione demolitoria, l’ordinanza gravata descrive specificamente le opere abusive e indica il presupposto della mancanza di titolo abilitativo posto alla base del provvedimento di riduzione in pristino, facendo riferimento agli atti istruttori, così soddisfacendo in pieno il requisito dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 3, legge n. 241/90.

Inoltre, la diffida a demolire manufatti abusivi è atto vincolato (ex multis, C.d.S., VI, 28 giugno 2004, n. 4743;
C.d.S., sez. V, 10 luglio 2003, n. 4107;
T.A.R. Campania N, Sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 617;
15 luglio 2003, n. 8246) e come tale non necessita di motivazione in ordine alla scelta della sanzione demolitoria.

Quanto alla doglianza della mancata verifica da parte dell’amministrazione del contrasto delle opere con la vigente normativa urbanistico-ambientale il Collegio richiama quanto già indicato nel punto 4.3 sul fatto che l'abusività di un'opera edilizia costituisce già di per sé sola presupposto per l'applicazione della prescritta sanzione demolitoria e non sia necessaria una motivazione "ad hoc" sulla non sanabilità dell'opera. In presenza di un abuso edilizio, la vigente normativa urbanistica non pone, infatti, alcun obbligo in capo all'autorità comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di verificarne la contrarietà delle opere alla normativa urbanistico-ambientale, essendo sufficiente l’assenza del titolo abilitativo.

6) Con il settimo motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 per aver l’ordine di demolizione omesso l’indicazione dell’area di sedime e di quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quella abusiva che saranno acquisite gratuitamente nell’ipotesi in cui il responsabile dell’abuso non provveda alla riduzione in pristino.

La censura è infondata in quanto il contenuto essenziale dell'ingiunzione di demolizione deve essere individuato in relazione alla funzione tipica del provvedimento che è quella di prescrivere la rimozione delle opere abusive.

Pertanto, ai fini della legittimità dell'atto in esame è necessaria e sufficiente l'analitica indicazione delle opere abusivamente realizzate in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente;
l'indicazione dell'area di sedime, quindi, non deve essere necessariamente presente nell'ordinanza di demolizione ma può essere contenuta nel successivo atto dichiarativo dell'acquisizione (TAR Lazio Latina n. 780/09;
TAR Campania N n. 3530/09;
TAR Toscana n. 117/08).

7) Infondato è l’ottavo motivo di ricorso basato sulla violazione dell’art.7 della legge n.241/90.

Il Collegio evidenzia l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in ragione del contenuto rigidamente vincolato che li caratterizza, gli atti sanzionatori in materia edilizia, tra cui l'ordine di demolizione di costruzione abusiva, non devono essere preceduti dalla comunicazione d'avvio del relativo procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7129).

In ogni caso il Collegio, in considerazione delle espresse ragioni di rigetto degli altri motivi di ricorso, ritiene applicabile al caso in esame, per la parte del provvedimento di cui non è stata accertata l’illegittimità per i motivi scrutinati nei punti precedenti, il disposto dell’art.21 octies della legge n.241/90, ai sensi del quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, vertendosi in ambito provvedimentale vincolato e risultando che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Consiglio Stato, sez. VI, 18 febbraio 2011, n. 1040).

Ciò in forza della ratio della norma dell’art. 21 octies, l. n. 241 del 1990 volta a far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell'Amministrazione.

8) Il Collegio, infine, si sofferma sulla circostanza dedotta da parte ricorrente (peraltro solo in una memoria difensiva) secondo cui parte delle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione (quelle insistenti sugli edifici A, B, C, D ed E) sarebbero ricomprese nella concessione edilizia n. 16 del 1992, rilasciata in sanatoria.

Tale circostanza è stata smentita in toto dalle risultanze della relazione finale di C.T.U..

Quest’ultima, tra l’altro, riporta testualmente nelle conclusioni che “nel provvedimento gravato non sono – e non potrebbero esservi - comprese opere sanate in virtù del condono edilizio n. 16 del 1992, in quanto quest’ultimo riguardava manufatti demoliti nello stesso anno 1992 per far posto all’attuale edificio a torre, dunque ben prima ch si mettesse in moto l’istruttoria tecnica culminata circa vent’anni dopo” nell’impugnato ordine di demolizione.

9) Concludendo il ricorso è fondato per quanto riguarda le opere di cui ai punti n. 4, 15, 16, 19 e 20, dell’ordine di demolizione impugnato, per le ragioni e nei termini suindicati, mentre è da rigettare per tutto il resto.

Attesa la complessità delle questioni trattate e l’accoglimento solo parziale del ricorso, il Collegio ritiene sussistano eccezionali ragioni per compensare le spese di giudizio tra le parti, ponendo le spese di CTU a carico di entrambe le parti in ragione della metà ciascuna.

Quanto a queste ultime, il Collegio ritiene congruo, sulla base dell’attività espletata, della nota spese presentata e attesa la ritenuta la non completa congruità del numero di vacazioni indicate, liquidare in favore del C.T.U., Arch. Marco Ruggiero, l’importo complessivo di euro 4.000,00 (quattromila), e comprensivo di ogni onorario e spesa, oltre IVA (21%) e Contr. Integrativo (4%).

Il suddetto importo sarà corrisposto al C.T.U. dalle parti costituite in ragione di metà ciascuna, fatto salvo l’importo già percepito quale anticipo che verrà imputato alla parte che lo ha versato

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