TAR Palermo, sez. V, sentenza breve 2024-05-10, n. 202401569

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. V, sentenza breve 2024-05-10, n. 202401569
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202401569
Data del deposito : 10 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/05/2024

N. 01569/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00392/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 392 del 2024, proposto da
G C, rappresentato e difeso dall'avvocato M B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Carini, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G D E, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

previa sospensione,

- DELL’

AUTORIZZAZIONE ALLA DEMOLIZIONE RILASCIATA IL

5/2/2024;

e per la dichiarazione di nullità o illegittimità

DELLO SGOMBERO DE FACTO ESEGUITO SULL''IMMOBILE GIÀ DI PROPRIETÀ DEL RICORRENTE, ORDINANDO LA RE-IMMISSIONE NELLA DETENZIONE A SUO FAVORE;

in subordine, per la declaratoria di illegittimità

DEL SILENZIO DEL COMUNE DI CARINI SULLA DIFFIDA ALLA SOSPENSIONE DELLE OPERAZIONI DIRETTE ALLA DEMOLIZIONE DELLO STESSO IMMOBILE.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto il decreto presidenziale n. 121/2024;

Visto il decreto presidenziale n. 133/2024;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Carini;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 il dott. Roberto Valenti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm., in relazione all’avviso da parte del Presidente del Collegio sulla possibile immediata definizione nel merito del ricorso con sentenza in forma semplificata, come da verbale;


Con il ricorso in esame parte ricorrente impugna i provvedimenti in epigrafe indicati premettendo in fatto:

--di aver realizzato nel 1983, indivisamente al Sig. Macaluso Antonino, un immobile per civile abitazione in Carini, Via Amerigo Vespucci 132;

-di aver chiesto condono ex l. 47/1985 e successivamente ex l. 724/1994;

-che l’immobile ricade nell’ambito dei 150 metri dalla battigia, in violazione del relativo obbligo di arretramento ai sensi dell’art. 15, lett. a), L.R. n. 78/76, e pertanto la domanda di condono veniva denegata;
e conseguenzialmente, ne veniva prescritta la demolizione con ordinanza n. 8 del 22.1.1996, mai eseguita;

-che con determina n. 6 del 1997 veniva dichiarata l’acquisizione al patrimonio del Comune.

Osserva che “… di recente, senza alcun preavviso e senza l’adozione di un provvedimento di sgombero, men che meno notificato, il Comune di Carini, senza aver adottato una deliberazione diretta all’uso pubblico del bene, approfittando dell’assenza dell’odierno Istante, che abitava la casa solo nel periodo estivo, provvedeva ex abrupto ad interrompere tutte le forniture dei servizi pubblici e ad immettersi nel possesso dell’immobile, apponendovi propri sigilli, per potere quindi procedere alla materiale demolizione ”.

Espone di aver presentato in data 31/01/2024 l’autorizzazione alla demolizione in modo da evitare ulteriori maggiori spese: autorizzazione rilasciata in data 5/2/2024 prot. 6851, con cui erano assegnati 60 giorni.

Ciò posto, osserva di aver chiesto al Comune di Carini, con PEC del 12/03/2024, la sospensione dell’iter diretto alla demolizione dell’immobile avendo appreso che il C.G.A.R.S., con le più recenti sentenze n. 57/2024, 70/2024 e 72/2024, aveva preannunciato l'emissione di ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell' art. 2, comma 3, della l.r. n. 15 del 1991 (e, in subordine, dell’art. 23 della l.r. n. 37 del 1985), connessa alla violazione dell’obbligo di cui all’art. 15, lett. a) L.r. n. 78/71976, che era stata individuata come unica e sola causa di diniego della sanatoria e di demolizione dell’immobile in questione;
e che lo stesso CGARS – con l’Ordinanza n. 53/2024 del 14.2.2024 – aveva sospeso un ordine di demolizione su un immobile realizzato nella fascia di arretramento dei 150 metri dalla battigia, avendo considerato di aver deliberato, in altri giudizi, di proporre alla Corte Costituzionale la predetta questione di legittimità. Espone che tale richiesta restava inevasa.

Dal ché la proposizione dell’odierno ricorso nel quale si articolano le seguenti censure:

1) Eccesso di potere sotto diversi profili: con detta censura parte ricorrente evidenzia che il bene acquisito a seguito di mancata ottemperanza all’ordine di demolizione è riconducibile al patrimonio indisponibile dell’Ente locale solo a fronte di una deliberazione consiliare che ritenga prevalenti gli interessi pubblici al suo mantenimento;
in assenza di tale deliberazione, il bene dovrebbe essere ascritto tra quelli del patrimonio disponibile del Comune, con conseguente nullità degli atti di autotutela esecutoria adottati potendo, se del caso, l’ente locale rivolgersi all’autorità giudiziaria ordinaria per esperire l’azione di rivendica;

2) Violazione dell’art. 2 L. 241/1990, violazione di legge ed eccesso di potere: con detta censura parte ricorrente contesta il mancato riscontro alla richiesta di sospensione del procedimento volto all’esecuzione dei provvedimenti sanzionatori conseguenti al diniego di condono edilizio in considerazione della pur solo preannunciata (ma certa) ordinanza del CGARS di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell' art. 2, comma 3, della l.r. n. 15 del 1991 (e, in subordine, dell’art. 23 della l.r. n. 37 del 1985).

Sono state rigettate le domande cautelari inaudita altera parte e l’emanazione di provvedimento interinale, giusti decreti nn. 121/2024 e 133/2024.

Resiste il Comune di Carini che, con memoria del 19/04/2024, deduce profili di inammissibilità del ricorso considerato che lo stesso si rivela unicamente finalizzato ad una mera dilazione dei tempi di demolizione dell'immobile, stante la piena legittimità dell'iter procedurale susseguitosi. Nel merito –ricostruiti i fatti precedenti e i provvedimenti già consolidati- chiede il rigetto del ricorso, vinte le spese. Quanto all'asserita preannunciata ordinanza del C.G.A.R.S. di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità sull'art. 2 co. 3 della l.r. n. 15/1991, il Comune deduce che la stessa non ostacolerebbe in alcun modo l’ente locale a porre in esecuzione provvedimenti definiti ed inoppugnabili, pertanto, nessun dovere di riscontro alla diffida risulterebbe ipotizzabile. L'Ente, con lo sgombero e l'autorizzazione alla demolizione, avrebbe legittimamente tutelato il proprio patrimonio precedentemente acquisito, stante l'inoppugnabilità dei precedenti provvedimenti sui quali sono intervenute le ordinanze cautelari del Tar, nonché decreti di perenzione.

Alla Camera di Consiglio dell’otto maggio 2024, presenti i procuratori delle parti costituite, il Presidente del Collegio ha rappresentato, ai sensi dell’art 60 c.p.a., la possibile immediata definizione nel merito del ricorso con sentenza in forma semplificata.

Quindi la causa è stata trattenuta per la decisione.

Ritiene il Collegio che sussistano i presupposti per l’immediata definizione della controversia con sentenza resa ai sensi dell’art. 60 c.p.a. in esito alla trattazione della domanda cautelare, risultando integro il contraddittorio, esaustiva l’esposizione in fatto e in diritto delle questioni dedotte, nonché sufficiente il compendio documentale che non necessita di ulteriori integrazioni, dandosi altresì atto dell’espresso avviso da parte del Presidente del Collegio ex art. 60 c.p.a., come da verbale, e la mancata opposizione delle parti presenti che non hanno dedotto la necessità di ulteriori atti difensionali.

Il ricorso non è meritorio di accoglimento per le considerazioni che seguono, potendosi prescindere anche dai profili in rito sollevati dall’Amministrazione resistente.

La questione dedotta in giudizio attiene, come sopra esposto, all’impugnazione rispettivamente:

-del comportamento asseritamente materiale del Comune concretizzatosi nello sgombero dell’immobile sito in Carini, via Amerigo Vespucci n. 132, in catasto al fg. 7, part.lla 107, preordinato alla demolizione dello stesso;

-di ogni altro provvedimento presupposto, connesso e conseguenziale, tra cui: a) l’Autorizzazione alla Demolizione in data 5 febbraio 2024, prot. n. 6851, emessa su richiesta dello stesso ricorrente;
b) il silenzio inadempimento sulla richiesta di sospensione dell’iter finalizzato alla demolizione, avanzata con PEC del 12.3.2024.

Occorre rimarcare in questa sede la definitività dei provvedimenti presupposti, con particolare riferimento:

i- al diniego di sanatoria del 22/01/1996 (in atti) e al successivo ordine di demolizione n. 8 del 22/01/1996 (parimenti in atti), gravati entrambi dall’interessato con ricorso RG. n. 1721/1996, la cui domanda cautelare è stata rigettata con ordinanza n. 1169/1996, non appellata;
ricorso dichiarato perento con Decreto n. 10534/2010;

ii- all’ordinanza di acquisizione n. 6 del 16/01/1997, gravata dall’interessato con ricorso RG. n. 1489/1994, la cui domanda cautelare è stata rigettata con ordinanza, non appellata, n. 1090/1997;
ricorso dichiarato perento con Decreto n. 8493/2010;

iii- all’ordine di sgombero di cui all’ordinanza n. 319 dell’1/06/1997, gravato in s.g. con ricorso RG. n. 3626/1997, la cui domanda cautelare è stata rigettata con ordinanza n. 2397/1997, non appellata;
ricorso dichiarato perento con Decreto n. 9743/2010;

iv- alla deliberazione del Consiglio Comunale del 19/01/1999, in atti, con sui è stata approvata la proposta avente ad oggetto la “ dichiarazione di insussistenza di interesse pubblico per la conservazione e conseguente demolizione di un immobile ricadente all'interno della fascia di inedificabilità assoluta di mt. 150 dalla battigia acquisita al patrimonio comunale – Via Vespucci n. 132 – fg. 07 p.lla 1071 ”;

v- alla successiva nuova ordinanza n. 178 del 18/08/2010 di rilascio dell’immobile di che trattasi.

Ciò premesso, la prima censura è da disattendere.

Secondo la giurisprudenza amministrativa ormai consolidata, diversamente da quanto opinato da parte ricorrente, l’Amministrazione può agire autoritativamente ordinando lo sgombero nell’ambito del procedimento repressivo-ripristinatorio degli abusi edilizi, così come tratteggiato dalla disciplina del d.P.R. n. 380/2001, per il rilascio dell’immobile occupato da soggetti privati, al fine di conseguirne l’immissione in possesso e procedere da sé alla demolizione (cfr. di recente Consiglio di Stato, sentenza 9 febbraio 2024, n. 1337).

Dalla documentazione in atti, versata dall’ente locale resistente, è utile rilevare che il consolidato ordine di sgombero n. 319/1997 risulta ampiamente motivato in relazione alla sua effettiva natura di atto posto in essere a chiusura del procedimento sanzionatorio connesso e conseguente al diniego di sanatoria e al definitivo ordine di demolizione rimasto inottemperato. Sicché risulta ininfluente ogni rilievo sulla natura del bene acquisito, se rientrante o meno nel patrimonio indisponibile dell’ente locale in asserita assenza di una espressa deliberazione consiliare. Deliberazione che l’organo assembleare ha emanato nel 1999 disconoscendo la sussistenza di ogni di interesse pubblico al mantenimento delle opere abusive opinando, invece, per la conseguente demolizione di un immobile ricadente in area inedificabile.

Ne discende che l’Amministrazione comunale, in specie, non ha posto in essere alcun “comportamento” abusivo in relazione allo sgombero effettuato per cui va disattesa la domanda volta alla “ re-immissione del ricorrente – pur in qualità di proprietario espropriato – nella detenzione dell’immobile, e ciò in attesa che il Comune promuova azione di rilascio davanti al Giudice Ordinario ”.

Quanto all’impugnazione dell’Autorizzazione alla Demolizione notificata in data 5 febbraio 2024, prot. n. 6851, emessa su richiesta dello stesso ricorrente, occorre osservare, anche a prescindere dai profili in rito sollevati dall’amministrazione resistente, che la stessa è decaduta per decorso del termine assegnato (sessanta giorni), come espressamente previsto nel contesto della stessa autorizzazione.

Anche la seconda censura è da disattendere.

A fronte di provvedimenti ormai definitivi e consolidati, tenuto anche conto del termine “decadenziale” assegnato dall’Amministrazione al ricorrente per procedere autonomamente alla demolizione delle opere abusive, non sussisteva alcun obbligo per l’Amministrazione di dare riscontro, ex art. 2 L. 241/1990, all’istanza dell’interessato volta alla sospensione del procedimento preordinato alla demolizione dell’immobile. Come già evidenziato da questo T.A.R. (cfr. Sez. IV, sent. 28/03/2024, n. 1133) nemmeno sussistono i presupposti per la “ sospensione impropria ” del giudizio, non essendovi allo stato alcuna pendenza della questione, solamente prospettata in altri giudizi pendenti presso il giudice di appello amministrativo regionale (avverso atti, evidentemente, ancora “non definitivi”, a differenza del caso qui in esame), ma non ancora formalizzata in un’ordinanza di rimessione che investa la Corte Costituzionale dell’incidente di legittimità, ai sensi dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953.

Per altro, osserva il Collegio che anche dopo la pubblicazione delle sentenze parziali con cui il giudice di appello amministrativo siciliano, sezione giurisdizionale, preannunciava che con separato provvedimento –ad oggi ancora non pubblicato-avrebbe rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale palesata dal ricorrente, lo stesso C.G.A, sez. consultiva, con parere 9 aprile 2024, n. 101 (numero affare 00066/2023), ha comunque rigettato nel merito un ricorso straordinario al Presidente della Regione avverso atti relativi al diniego di sanatorie e provvedimenti conseguenziali inerenti un immobile abusivo realizzato nell’ambito della fascia di inedificabilità prevista dall’art. 15 della l.r. n. 78/1976.

Né a differenti conclusioni induce il richiamo operato dalla parte ricorrente alla sentenza del C.G.A. n. 411/2022 posto che:

-con la predetta sentenza il C.G.A. ha affrontato una questione del tutto differente a quella odierna e relativa al rapporto tra condono ex L. 37/1985 ed ex L. 724/1994, applicando correttamente a quella diversa fattispecie il comma 19 dell’art. 30 della L. n. 724/1994 che espressamente stabilisce: a) al comma 11, che “ I soggetti che hanno presentato entro il 31 dicembre 1993 istanza di concessione ai sensi dell'articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, possono chiedere, nel rispetto dei termini e degli obblighi previsti dal presente articolo, che l'istanza sia considerata domanda di concessione in sanatoria ”;
che sia considerata, cioè, alla stregua di una nuova istanza di condono da scrutinare ai sensi della normativa sopravvenuta;
b) al comma 19, che “ Per le opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge, il proprietario che ha adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha il diritto di ottenere l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell'area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in attuazione dell'articolo 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare dietro esibizione di certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria ”;

-come ha precisato lo stesso C.G.A., ciò significa che: a) le “vecchie” domande di condono (proposte ai sensi della l. n.47 del 1985: c.d. “primo condono”) ancora pendenti alla data di entrata in vigore del “secondo condono” (introdotto con la l. n.724/1994) possono essere valutate, ove ciò sia richiesto dall’interessato, facendo riferimento alla nuova disciplina sopravvenuta (avendo riguardo, dunque, ai termini ed ai requisiti da questa innovativamente stabiliti);
b) che anche i provvedimenti di rigetto delle domande di condono adottati in forza della “vecchia disciplina” (ormai superata) possono essere riesaminati e valutati, ove ciò sia richiesto dall’interessato, con riferimento alla nuova disciplina;
e che in tal caso, ove il procedimento possa concludersi con esito fausto per il soggetto richiedente, tutti gli atti del precedente procedimento che siano incompatibili con tale soluzione di miglior favore adottabile nei confronti del predetto soggetto (id est: diniego di condono, ordinanza di demolizione, eventuale accertamento dell’inottemperanza con conseguente acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio comunale), vanno “ritirati”;

- tuttavia, nel caso in esame, diversamente, non si pone alcun rapporto tra la normativa del 1985 e quelle successive in ragione di nuove domande condono, essendo per altro l’ipotesi abusiva sottesa insuscettibile di sanatoria sia ai sensi della legge del 1985 (c.d. primo condono, come recepito con modifiche in Sicilia, che del 1994 (secondo condono) e finanche del 2003 (terzo condono).

Ed è altresì indubbio che la Corte costituzionale, con la sentenza 28 giugno 2006, n. 246 ha da tempo delineato i rapporti tra legislazione nazionale e regionale in punto di tutela del “bene” primario denominato ambiente, nel cui ambito ad avviso del Collegio è certamente da annoverare anche la tutela delle coste cui è stata apprestata, in Sicilia, la disciplina normativa ex art. 15 della legge regionale n. 78/1976. Per quanto qui rileva, “ La giurisprudenza costituzionale è costante nel senso di ritenere che la circostanza che una determinata disciplina sia ascrivibile alla materia “tutela dell’ambiente” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, se certamente comporta il potere dello Stato di dettare standard di protezione uniformi validi su tutto il territorio nazionale e non derogabili in senso peggiorativo da parte delle Regioni, non esclude affatto che le leggi regionali emanate nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, o di quella “residuale” di cui all’art. 117, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale (si vedano, tra le molte, le sentenze numeri 336 e 232 del 2005;
n. 259 del 2004 e n. 407 del 2002)
”.

Sempre la Corte costituzionale, ancora più di recente, ha altresì precisato che “ la collocazione della materia «tutela dell'ambiente [e] dell'ecosistema» tra quelle di esclusiva competenza statale non comporta che la disciplina statale vincoli in ogni caso l'autonomia delle Regioni ”, atteso che “«Il carattere trasversale della materia, e quindi la sua potenzialità di estendersi anche nell'ambito delle competenze riconosciute alle Regioni, mantiene, infatti, salva la facoltà di queste di adottare, nell'esercizio delle loro attribuzioni legislative, norme di tutela più elevata» ” (sentenze nn. 7 e 147 del 2019, richiamate, da ultimo, dalla sentenza n. 21 del 2021;
Id. n. 178 del 2019 e n. 258 del 2020), come in specie previsto, ad avviso del Collegio e dalla giurisprudenza sin qui granitica, dal legislatore regionale con la disciplina normativa contenuta sia nell’art. 15 della L.R. n. 78/1976, sia nell’art. 23, comma 10 della l.r. n. 37/1985 che rinvia in senso materiale proprio al comma 1, lett. a) dell’art. 15 della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78.

In conclusione, il ricorso è da respingere in quanto infondato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

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