TAR Napoli, sez. I, sentenza 2019-10-11, n. 201904832
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Pubblicato il 11/10/2019
N. 04832/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00786/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 786 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato L M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Giovenale, n. 25;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore non costituito in giudizio;
Ministero dell'Interno, Prefettura di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria in Napoli, via Armando Diaz, n. 11;
per l'annullamento
previa adozione di idonee misure cautelari,
della nota della Prefettura di Napoli, Prot. n. 25787 del 31/1/2018 avente ad oggetto la conferma dell’informazione interdittiva antimafia prot n. 95856 del 30/5/2016.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno - UTG di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2019 il dott. Domenico De Falco e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso in data 14 febbraio 2018 e depositato il successivo 24 febbraio, la -OMISSIS- ha impugnato, chiedendone l’annullamento e la sospensione cautelare, la nota Prot. interno n. 0025787 del 31/01/2018 del Prefetto della Provincia di Napoli - Prefettura Napoli Area I Ter OSP Antimafia, le determinazioni assunte nel corso della seduta del 12.12.2017 dal Gruppo Ispettivo Antimafia, menzionate nel provvedimento confermativo dell’informazione interdittiva antimafia nonché degli aggiornamenti – pure non conosciuti – fatti tenere dalle Forze di Polizia, (anch’essi) menzionati nel provvedimento di informativa interdittiva antimafia.
L’impresa ricorrente premette di avere impugnato una precedente informazione interdittiva (nota prot n. 0095856 del 30 maggio 2016) innanzi a questa Sezione che ha però respinto il ricorso, con sentenza n. -OMISSIS- confermata in appello dal Consiglio di Stato (sez. III, n. -OMISSIS-);pertanto con istanza del 20 luglio 2017 la società ricorrente ne ha chiesto al Prefetto della Provincia di Napoli l’aggiornamento, ex art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159/2011, ma il Prefetto ha confermato la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa ex artt. 84 e 91 del Codice Antimafia con il provvedimento oggetto dell’odierno giudizio.
Ciò premesso in fatto, parte ricorrente propone i motivi di censura così di seguito rubricati e sintetizzati.
I) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91, comma 5, in relazione al medesimo art. 91, comma 6, e art. 84 del d.lgs. N. 159/2011 – violazione del principio di legalità e del (derivato) principio di tipicità della fattispecie - violazione dei principi che regolano la prova presuntiva (artt. 2727 e 2729 c.c.) – violazione dei principi contenuti nell’art. 41 cost. – eccesso di potere – difetto di istruttoria – travisamento dei fatti – illogicità ed irragionevolezza – difetto di motivazione e/o motivazione meramente apparente – contraddittorietà – sviamento - ingiustizia manifesta.
La sentenza del -OMISSIS- della II sez. penale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, pur condannando il sig. -OMISSIS-, ex amministratore delegato della società ricorrente, per i reati di turbativa d’asta e corruzione ha escluso l’applicazione dell’aggravante mafiosa di cui all’art. 7 della l. n. 203/1991 per cui i reati contestati non sarebbero stati commessi per la finalità di agevolare il clan dei casalesi.
Tale sentenza non poteva ovviamente costituire oggetto di considerazione nell’ambito del procedimento giurisdizionale che aveva avuto ad oggetto la prima informazione interdittiva.
In particolare, nonostante il proscioglimento del -OMISSIS- dall’aggravante mafiosa e la sua fuoriuscita dalla compagine societaria, l’unico elemento aggiuntivo rispetto alla precedente informazione interdittiva sarebbe rappresentato dalla circostanza evidenziata nella gravata conferma, che l’attuale amministratore delegato, -OMISSIS-, fosse già procuratore speciale in precedenza della ricorrente e quindi avesse partecipato con l’ex amministratore delegato alla gestione della società.
Tale circostanza, ritiene tuttavia la ricorrente, avrebbe dovuto essere vagliata già al tempo dell’adozione del provvedimento interdittivo in quanto la preposizione institoria risale al 2003, ben prima quindi dell’informazione interdittiva, sicchè la sua posizione avrebbe dovuto essere vagliata già in sede di prima comunicazione interdittiva.
Inoltre, se il fondamento della precedente comunicazione era da ravvisarsi nella speciale aggravante di cui all’art. 7 della l. 203/1991, una volta esclusa la sua ricorrenza con la predetta sentenza penale del Tribunale di Santa maria Capua Vetere è venuto meno un presupposto dell’informazione che andava quindi ricalibrata alla luce di tale nuova circostanza, ma ciò non sarebbe avvenuto. Inoltre il dott. -OMISSIS- era l’uomo di fiducia dell’azionista di controllo francese che lo avrebbe voluto in sostituzione del sig. -OMISSIS-, proprio in considerazione della sua professionalità ed onestà.
II) Illegittimità costituzionale degli artt. 84, comma, 4, lett. D) ed e), e 91, comma 6, d.lgs 159/2011 per contrasto con l’art. 117 cost. In relazione al parametro interposto dell’art. 1, protocollo 1 addizionale CEDU ed anche dell’art. 6 CEDU alla luce della sentenza “De Tommaso”. l’istituto dell’informazione interdittiva violerebbe l’art. 117 della Costituzione in riferimento all’art. 1 della CEDU per assenza della necessaria predeterminazione dei presupposti per l’adozione di tale misura “afflittiva” nonché in dipendenza del fatto che il controllo giurisdizionale, essendo affidato al giudice amministrativo e non a quello penale non potrebbe spingersi oltre quello di legittimità (art. 6 CEDU).
Si è costituito il Ministero dell’Interno – UTG di Napoli che, in esecuzione dell’ordinanza presidenziale 2 marzo 2018, n. 827, ha depositato tutti gli atti del procedimento oggetto di causa.
Con ordinanza 21 marzo 2018, n. 827 questa Sezione ha respinto l’istanza cautelare.
Parte ricorrente ha quindi depositato memoria ex art. 73 c.p.a. insistendo nelle proprie censure e conclusioni e all’udienza pubblica del 10 luglio 2019 la causa è stata introitata in decisione.
Con il primo motivo la -OMISSIS- contesta il provvedimento di conferma dell’informazione interdittiva in quanto, a suo dire, esso non terrebbe nella dovuta considerazione l’avvenuto proscioglimento del sig. -OMISSIS-, ex amministratore delegato della società -OMISSIS-, dall’aggravante speciale di cui all’art. 7 della l. n. 203/1991;carente poi sarebbe anche la motivazione del perdurante collegamento tra l’attuale amministratore delegato della società e il precedente manager.
Il motivo non merita positivo apprezzamento.
Come più volte ribadito dalla giurisprudenza costante, “ è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il «concorso esterno» o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la qualità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;– il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;– pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione ” (Cons. Stato, sez. III, 28 dicembre 2018, n. 7294).
In altre parole, le pronunce dell’Autorità giudiziaria penale non producono effetti diretti sui procedimenti antimafia del tipo di quello oggetto di causa, in considerazione delle diverse caratteristiche e finalità della valutazione rimessa al Prefetto rispetto a quella giurisdizionale. La prima ha finalità di tipo preventivo cautelare con massima anticipazione della soglia di tutela con la conseguente applicazione del canone di valutazione del più probabile che non, la seconda, come noto, persegue l’accertamento al di à di ogni ragionevole dubbio in ordine alla commissione di un determinato reato e della sua imputabilità all’incolpato.
Peraltro la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere -OMISSIS- cit., invocata da parte ricorrente, non contiene un accertamento negativo in ordine alla sussistenza della finalità agevolativa della consorteria criminale costituente il presupposto della ridetta aggravante, limitandosi ad affermare invece che gli elementi probatori raccolti nel corso del processo non siano sufficienti, appunto, a raggiungere quella certezza processuale necessaria per ascrivere penalmente una condotta ad un soggetto.
Anche a voler prescindere da tale dirimente considerazione, nella fattispecie oggetto del presente giudizio l’esclusione dell’aggravante speciale non implica alcun automatico riflesso ai fini della valutazione sulla sussistenza del pericolo di condizionamento mafioso, atteso che la prognosi elaborata in sede di informazione antimafia costituisce il prodotto della concorrenza di una pluralità di elementi, senza che il venir meno di uno di essi travolga il giudizio complessivo, salvo che l’indizio caduto non rivestisse carattere centrale. Ma non è questo il caso di specie, atteso che gli stessi reati per i quali l’ex amministratore delegato -OMISSIS- è stato condannato, anche se privi dell’aggravante della finalità mafiosa, rientrano nell’ambito dei c.d. reati spia per i quali l’art. 84 del d.lgs. n. 159/2011 esprime una presunzione di significatività ai fini del giudizio sulla sussistenza del rischio di condizionamento dell’impresa.
Sotto altro profilo, poi, parte ricorrente contesta la gravata conferma dell’informazione antimafia nella parte in cui afferma la sussistenza di un collegamento e di una continuità tra il precedente e il nuovo amministratore delegato, per poi inferirne la perduranza dei rischi di condizionamento mafioso. Secondo la società attrice tale presunto collegamento non poteva essere rilevato a distanza di oltre un decennio dalla preposizione institoria del sig. -OMISSIS- e senza che di tale collegamento fosse stato dato conto nella precedente informazione.
Anche tale profilo di doglianza non coglie nel segno.
Non si vede, infatti, per quale ragione tale collegamento personale tra i due esponenti avrebbe dovuto essere scrutinato con la prima informazione interdittiva, laddove ciò che assumeva rilievo ai fini dell’adozione del precedente provvedimento interdittivo non era la figura -OMISSIS-, ma quella del -OMISSIS- al quale, d’altronde, si riferivano i gravi indizi di condizionamento mafioso e che aveva la gestione diretta della società senza l’intermediazione di alcuno.
Il collegamento tra i due ha assunto, invece, rilievo nel momento in cui il -OMISSIS- è stato allontanato dalla società e la gestione di essa è stata affidata -OMISSIS-, rendendo solo a questo punto necessario valutare, in sede di richiesta di aggiornamento dell’informazione interdittiva, se fosse ravvisabile una perdurante influenza dell’ex esponente sulla gestione attuale di -OMISSIS- al fine di verificare la permanenza dei relativi rischi di condizionamento.
Permanenza, peraltro, effettivamente riscontrata sulla base di un oggettivo dato costituito dalla precedente preposizione institoria del dott. -OMISSIS- nella -OMISSIS- che non può non considerarsi come indizio particolarmente significativo dello stretto rapporto con il -OMISSIS- che tale preposizione ha disposto e che ha reso il dott. -OMISSIS- compartecipe alla gestione societaria anche nel periodo in cui il primo ha posto in essere le condotte criminose che hanno condotto all’originaria informazione interdittiva e alla condanna disposta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
A tale oggettivo elemento, poi, si aggiunge la presenza tra i dipendenti della società di familiari e persone legate al sig. -OMISSIS-, ad ulteriore rafforzamento della ragionevolezza della prognosi di persistenza dell’influenza di quest’ultimo sulla società espressa dalla resistente Prefettura.
Con il secondo motivo parte ricorrente contesta il sistema delle informazioni antimafia per contrarietà alla CEDU, in relazione all’art. 117 Cost., in quanto sarebbe fondato su presupposti non predeterminati e affidato alla tutela giurisdizionale di un giudice sprovvisto di sindacato di merito.
Ritiene il Collegio che la questione sia manifestamente infondata.
Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 1 della CEDU, la Sezione rinvia a due proprie recenti pronunce (TAR Campania, Sez. I, 14 febbraio 2018, nn. 1017 e 1019) con le quali è stata negativamente scrutinata un’analoga eccezione.
In particolare nelle pronunce in questione, da cui il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi, la Sezione ha affermato che la dedotta questione di legittimità costituzionale per contrasto dell’art. 84, comma 4, lett. e, del d.lgs. n. 159/2011 con l’art. 117 Cost. in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale 1 CEDU è manifestamente infondata, ritenendo che i principi enucleati nella pronuncia “De Tommaso” della Corte di Strasburgo non possano essere esportati nella disciplina dell’antimafia.
E infatti, questa Sezione ha evidenziato che la sentenza ‘De Tommaso’ “si riferisce alle sole misure di prevenzione personali (in ipotesi di c.d. pericolosità generica), limitative, come tali, della libertà fondamentale di circolazione di cui all’art. 2 del Protocollo IV alla CEDU, mentre non considera le misure di prevenzione patrimoniali, limitative del diritto fondamentale di proprietà di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale 1 alla CEDU. E’ altrettanto evidente, poi, che le misure di prevenzione personali vagliate nella sentenza De Tommaso non sono specificamente collegate all’indizio di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso. E’, infine, evidente che l’informativa interdittiva antimafia è oggettivamente insuscettibile di comprimere la menzionata libertà fondamentale di circolazione né – a dispetto degli assunti di parte ricorrente – il menzionato diritto fondamentale di proprietà, (parzialmente) incidendo, piuttosto, sulla libertà di iniziativa economica, la quale non trova, però, specifica tutela nella CEDU, mentre è contemplata dall’art. 41 Cost.”.
Ciò posto, osserva, a questo punto, il Collegio che la formula ‘elastica’ adottata dal legislatore nel disciplinare l’informazione interdittiva antimafia su base indiziaria riviene dalla ragionevole ponderazione tra l’interesse privato al libero esercizio dell’attività imprenditoriale e l’interesse pubblico alla salvaguardia del sistema socio-economico dagli inquinamenti mafiosi, dove il primo, siccome non specificamente tutelato dalla CEDU né riconducibile alla sfera dei diritti costituzionali inviolabili, si rivela recessivo rispetto al secondo, siccome collegato alle preminenti esigenze di difesa dell’ordinamento contro l’azione antagonistica della criminalità organizzata.
Non senza soggiungere che la formula ‘elastica’ in parola riflette l’obiettivo di apprestare all’autorità amministrativa statale competente strumenti di contrasto alle organizzazioni malavitose, tanto più efficaci, quanto più adattabili – in virtù di apprezzamenti discrezionali modulabili caso per caso – ai peculiari fenomeni proteiformi, occulti, impenetrabili e pervasivi di infiltrazione mafiosa nelle imprese operanti nel mercato, potenzialmente destinate a instaurare rapporti negoziali con la pubblica amministrazione.
Nella stessa sentenza De Tommaso c. Italia, sopra ricordata, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rammentato, in via generale, che “mentre la certezza è altamente auspicabile, può portare come strascico una eccessiva rigidità e la legge deve essere in grado di tenere il passo con il mutare delle circostanze”, conseguendone che “molte leggi sono inevitabilmente formulate in termini che, in misura maggiore o minore, sono vaghi e la cui interpretazione e applicazione sono questioni di pratica” (§ 107), e ha precisato altresì che “una legge che conferisce una discrezionalità deve indicare la portata di tale discrezionalità” (§ 108).
Ora non si può negare che la legge italiana, nell’ancorare l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, come si è visto, abbia fatto ricorso, inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi “tipizzati” (quelli dell’art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f)), ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, anche la portata della sua discrezionalità.
Del resto, l’annullamento di qualsivoglia discrezionalità in questa materia, patrocinata da parte ricorrente, prova troppo perché l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa.
Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio dei principî di imparzialità e buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost., è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare la prognosi di permeabilità mafiosa, secondo una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105).
Non può quindi ravvisarsi incertezza applicativa, ma necessaria ed ineliminabile flessibilità applicativa.
Peraltro, e si viene all’ulteriore profilo di censura relativo all’asserita violazione dell’art. 6 CEDU, il criterio civilistico del ‘più probabile che non’ si pone quale regola, garanzia e, insieme, strumento di controllo, fondato anche su irrinunciabili dati di esperienza, della valutazione prefettizia e, in particolare, consente di verificare la correttezza dell’inferenza causale che da un insieme di fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo una logica che nulla ha a che fare con le esigenze del diritto punitivo e del sistema sanzionatorio, laddove, come detto, vige la regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio per pervenire alla condanna penale.
Quest’ultima regola si palesa consentanea alla garanzia fondamentale della ‘presunzione di non colpevolezza’ di cui all’art. 27, comma 2, Cost., alla quale è ispirato anche l’art. 6 CEDU, cosicché è evidente che l’istituto dell’informativa antimafia non possa in alcun modo ricondursi all’alveo della garanzia anzidetta, in quanto non attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilità penale, ma riguarda la prevenzione amministrativa antimafia. In tale contesto il giudice amministrativo è chiamato di un potere giurisdizionale idoneo a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo esame sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti sintomatici del pericolo, consentendo così non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame (Cons. Stato, 6105/2019 cit.).
Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio.
Sotto questo aspetto, pertanto, deve ritenersi che il sistema di controllo giudiziale sulle decisioni prefettizie in materia di antimafia realizzi un giusto equilibrio tra l’esigenza di garantire la giustiziabilità dei diritti dei soggetti incisi da informazione antimafia e quella di riservare all’Amministrazione in un ambito di così elevata specificità una sfera di valutazione soggetta al sindacato giurisdizionale per le ipotesi di irragionevolezza e illogicità manifeste.
In definitiva tutte le censure si appalesano infondate e il ricorso deve quindi essere respinto.
La peculiarità della vicenda e la rilevanza degli interessi fatti valere giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.