TAR Roma, sez. I, sentenza 2014-04-24, n. 201404443

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2014-04-24, n. 201404443
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201404443
Data del deposito : 24 aprile 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10280/2011 REG.RIC.

N. 04443/2014 REG.PROV.COLL.

N. 10280/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10280 del 2011, proposto da:
A S, rappresentato e difeso dall'avv. A S, con domicilio eletto presso Daniele Vagnozzi in Roma, via Giunio Bazzoni, 3;

contro

Ministero della Giustizia, Consiglio Superiore della Magistratura, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della delibera di mancata conferma del rinnovo del ricorrente a giudice di pace di Salerno - risarcimento danni


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di Consiglio Superiore della Magistratura;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2014 il dott. R S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso in epigrafe l’avv. A S (difeso da se stesso) chiede l’annullamento della delibera del 22 settembre 2010, di mancata conferma quale Giudice di Pace di Salerno, nonché del D.M. 18 maggio 2011 (che l’ha recepita), unitamente alla declaratoria di nullità del preavviso di non conferma del 12 giugno 2009 e della richiamata delibera del 25 ottobre 2006. Vengono inoltre impugnati "ove necessario e possibile" la delibera del C.S.M. del 7 giugno 2006 e il successivo D.M. 7 luglio 2006, il parere del 24 maggio 2010 del Presidente del Tribunale di Salerno, il parere del 25 marzo 2010 del Presidente del Tribunale di Firenze, il parere del 15 aprile 2010 reso dalla Sezione autonoma dei giudici di pace presso il Consiglio giudiziario di Firenze, il parere del Presidente del Tribunale di Firenze del 3 novembre 2005, il parere del Presidente del Tribunale di Salerno del 13 giugno 2005, la nota "riservata" dell'11 marzo 2006 del Presidente del Tribunale di Firenze ed il parere del 6 marzo 2006 reso dal Consiglio giudiziario di Salerno.

2. Il ricorrente riferisce, in particolare, di essere stato giudice di pace di Firenze (dal 2001) e di Salerno (dal giugno del 2004, a seguito di trasferimento per motivi di salute), e di aver chiesto ed ottenuto l'annullamento di una precedente delibera di non conferma del 7 giugno 2006, con sentenza di questa Sezione n. 4992 dell'8 maggio 2009, a seguito della quale il C.S.M. ha rinnovato il preavviso di rigetto con atto del 12 giugno 2009. Successivamente l’avv. S ha proposto ricorso ex art. 21 bis L. 1034/1971, definito con sentenza 30423 del 9 agosto 2010, con la quale questa Sezione, rilevata l’inottemperanza alla citata sentenza n. 4992 dell'8 maggio 2009, ha ordinato al C.S.M. di darvi esecuzione nel termine di 120 giorni. Con ulteriore ricorso del 5 maggio 2011, l’interessato ha proposto ricorso per l’ottemperanza alla medesima alla sentenza 4992 dell'8 maggio 2009, ritenuto inammissibile da questa Sezione con sentenza n.8723/2011, confermata dal Consiglio di Stato, IV Sezione, con sentenza 4129 del 6.8.2013.

3. In particolare il ricorrente deduce la violazione degli articoli 1, 2, 3 comma 3, 6, 7, 8, 10, 10 bis, 21 bis, quater, quinquies, septies, octies e nonies della legge 241/1990, la violazione degli articoli 17 e 19 D.P.R. 10 giugno 2000 n. 198 e della circolare ministeriale 30 luglio 2002, la violazione degli articoli 5 e 7 della L. n. 374/1991, degli articoli 1375 e 2043 c.c. e degli articoli 97 e 111 Cost., oltreché la violazione del giudicato ed il vizio di eccesso di potere per inesistente, incongrua e/o apparente motivazione;
sviamento di potere per violazione dei precetti di logica, imparzialità e buon andamento della P.A.;
contraddittorietà manifesta fra provvedimenti;
travisamento di fatti;
difetto e/o erronea valutazione dei presupposti;
violazione del principio del giusto processo e dei tempi ragionevoli dello stesso;
mancanza di accertamenti istruttori da parte del C.S.M. e degli organi incaricati. da quest'ultimo;
discrezionalità esercitata in modo arbitrario ed in mancanza di presupposti di base;
insufficienza della campionatura.

4. Il ricorrente formula inoltre domanda di risarcimento dei danni, determinati equitativamente ai sensi dell'art. 26, comma 2, c.p.a., a decorrere dal giugno 2009, in relazione alla mancata stipula di una società tra professionisti ed ai mancati guadagni nello svolgimento delle funzioni onorarie.

5. Il Ministero della Giustizia e il Consiglio Superiore della Magistratura, costituitisi in giudizio, argomentano l’infondatezza del ricorso, segnalando che si tratta dell’ultimo di una copiosa serie di giudizi azionati dal ricorrente per la stessa vicenda, tutti definiti con decisioni del Consiglio di Stato negative.

6. A seguito della pubblica udienza del 26 febbraio 2014 il giudizio viene introitato dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe il ricorrente impugna la propria mancata conferma quale giudice di pace da parte del Ministero della Giustizia su conforme parere del CSM. La vicenda controversa risale al primo ricorso del ricorrente, in data 23 ottobre 2006, definito dalla sentenza di questa Sezione n. 4992 dell'8 maggio 2009, che ha ritenuto fondata ed assorbente, ai fini dell'accoglimento del ricorso, la dedotta violazione dell' art. 10 bis della L. n. 241/1990 quanto alla mancanza del c.d. "preavviso di rigetto", considerato che i fatti di causa non consentivano di presumere "in maniera incontroversa che, anche ove il C.S.M. avesse regolarmente provveduto ad avvisare il ricorrente della determinazione negativa che intendeva adottare, il procedimento si sarebbe sicuramente concluso con un diniego di conferma”. In particolare, secondo questo TAR, i procedimenti disciplinari erano stati tutti definiti con pronunce di archiviazione ovvero erano ancora pendenti, non consentendo quindi di trarre indicazioni circa l’inidoneità del ricorrente, mentre i suoi cosiddetti provvedimenti giurisdizionali abnormi si riducevano, in realtà, ad una sola pronuncia, sia pure singolare ma comunque difesa dal ricorrente con argomentazioni non puntualmente contraddette dall’Amministrazione, ed i pareri del Presidente del Tribunale di Firenze (3 novembre 2005) e del Presidente del Tribunale di Salerno (13 giugno 2005) non risultavano esaustivamente motivati. Veniva contestualmente respinta la domanda di risarcimento del danno, valutato il carattere procedimentale del vizio rilevato, con la conseguente necessità di rinnovazione del procedimento.

2. Il CSM, a seguito della predetta sentenza, ha comunicato, ai sensi dell'art. l0 bis della L. n. 241/1990, i motivi ostativi all'accoglimento della domanda di conferma nell'incarico di giudice di pace nella sede di Salerno all'avv. S (che ha tempestivamente inviato le proprie articolate controdeduzioni) e con delibera del 14 luglio 2009 dell’Ottava Commissione referente, ha invitato i Consigli Giudiziari di Salerno e di Firenze a svolgere, con le necessarie garanzie procedimentali, idonea attività istruttoria sui fatti e sulle circostanze indicati nella annullata delibera consiliare “nei limiti delle censure formulate dalla sentenza del TA.R Lazio n. 4992/2009". Il Consiglio giudiziario di Firenze e quello di Salerno hanno quindi inviato l'estratto del verbale relativo alla seduta della Sezione Autonoma Giudici di Pace rispettivamente del 15 aprile e del 5 luglio 2010, e l'Ottava Commissione nella seduta del 6 settembre 2010 ha formulato una nuova proposta di non conferma approvata all'unanimità nella seduta plenaria del 22 settembre 2010 (atto qui impugnato).

3. Il ricorrente ha quindi proposto ricorso per l'esecuzione della sentenza n. 4992 dell'8 maggio 2009, respinto con sentenza di questa Sezione n. 8723 dell'11 novembre 2011 (confermata dal Giudice di Appello con sentenza n.4129/2013), in quanto secondo il giudice amministrativo l’Amministrazione si è limitata ad esercitare il proprio margine di discrezionalità nell’esecuzione della sentenza, adottando, previa comunicazione all'interessato ai sensi dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990, una delibera motivata in modo più articolato rispetto a quella annullata in sede giurisdizionale. L’interessato ha altresì proposto un ricorso ex art. 21 bis della legge 1034/1971 contro il silenzio sull'istanza volta ad ottenere la conferma quale giudice di pace di Salerno, conclusosi con sentenza di accoglimento n. 30423/2010, peraltro annullata con sentenza n. 8024 dell'11 novembre 2010 del Consiglio di Stato.

4. Con il ricorso in epigrafe viene ora contestata la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 4992/2009 del T.A.R. Lazio (che coprirebbe il dedotto ed il deducibile), e vengono dedotte le ulteriori censure di violazione di legge ed eccesso di potere sopra sintetizzate per avere, l’Amministrazione, richiamato gli atti del primo procedimento di non conferma ed utilizzato i medesimi esposti e procedimenti, pur già ritenuti non idonei allo scopo da questo TAR. Il ricorrente contesta il preavviso di rigetto del 12 giugno 2009, perché incompleto rispetto alla delibera del 25 ottobre 2006, che a propria volta richiama alcuni procedimenti disciplinari, peraltro conclusisi, espone, senza specifici accertamenti di responsabilità. La predetta illegittimità si ripercuoterebbe sulla delibera conclusiva, invalidandola. La medesima delibera, inoltre, non fornirebbe risposte alle censure formulate dalla sentenza 4992/2009 del T.A.R. Lazio.

5. In particolare, quanto al vecchio giudizio di non conferma già formulato nel 2006, l'istante contesta i nuovi pareri espressi dal Presidente del Tribunale di Salerno e dal Presidente del Tribunale di Firenze, poiché a suo giudizio privi degli approfondimenti richiesti dalla sentenza 4992/2009 del T.A.R. Lazio;
parimenti carenti sarebbero i pareri dei due Consigli giudiziari, poiché si richiamano ai pareri dei due dirigenti. Il ricorrente censura anche i pareri resi nel 2005 e 2006, a supporto della prima delibera di non conferma, per carenza di motivazione;
inoltre egli censura i richiami della delibera del 22 settembre 2010 alla precedente delibera di non conferma ed ai pareri ad essa presupposti, perché annullati con la sentenza 4992 del 2009 del T.A.R. Lazio. Quanto alla sentenza, emessa come giudice di pace di Firenze, n. 2415/2004, il ricorrente difende la correttezza giuridica della prevista istituzione di una camera arbitrale poiché emessa secondo equità e nell'intento di risolvere una situazione di conflittualità condominiale, in linea con i principi affermati da una decisione della Corte di Cassazione (sent. n. 9754 del l ottobre 1998). Infine, quanto alla rilevanza degli esposti e procedimenti disciplinari che lo hanno riguardato, secondo il ricorrente a seguito della scadenza del suo primo mandato tutti i procedimenti disciplinari avviati dal Consiglio giudiziario di Salerno avrebbero dovuto essere archiviati e non avrebbero potuto essere valutati ai fini della sua conferma a magistrato onorario. Si contesta poi la omessa comunicazione della delibera di non conferma del 22 settembre 2010 e del D.M. di recepimento, in quanto tali atti andrebbero comunicati al destinatario, in quanto pregiudizievoli o comunque limitativi della sua sfera giuridica.

6. L’Amministrazione eccepisce in primo luogo le eccezioni di inammissibilità e tardività ex art.29 CPA, posto che l'atto impugnato è stato depositato dall’Avvocatura dello Stato il 6.10.2010 nel procedimento d'appello pendente dinanzi al Consiglio di Stato R.G.8594/2010, definito con la sentenza della Sez. IV, n.8024/2010 (e poi nel successivo giudizio di revocazione proposto dal ricorrente), e per la mancata articolazione di specifici profili di illegittimità degli atti amministrativi impugnati.

7. Le due eccezioni non possono peraltro essere accolte dal Collegio, in quanto la mancata notifica individuale del provvedimento, viceversa doverosa trattandosi di atto limitativo delle preesistenti facoltà giuridiche specificamente attribuite al singolo ricorrente, ha a lungo, e fino all’ordinario termine di pubblicazione, privato lo stesso provvedimento di una concreta ed attuale lesività idonea a determinare la decorrenza del termine di impugnazione, indipendentemente da una sua fortuita conoscenza anticipata nell’ambito di un diverso contenzioso giudiziario. Inoltre, alle generali, e generiche, doglianze di violazione del giudicato implicito il ricorrente abbina numerose e puntuali censure di violazione di legge ed eccesso di potere riferite alla affermata puntuale inidoneità dei presupposti valutati dall’Amministrazione ai fini della non riconferma, rispetto alle quali l’affermata distonia dalla precedente sentenza di questo TAR assume un valore meramente indiziario.

8. Nel merito, l’Amministrazione afferma, inoltre, l’infondatezza del ricorso, in quanto l’annullamento della prima delibera di non conferma non era avvenuto per vizi sostanziali dell'atto, ma esclusivamente per un vizio di tipo procedimentale, mentre non era stata mai affermata la fondatezza della pretesa sostanziale, rinviando la sentenza a valutazioni di merito "precluse al giudice amministrativo" e, viceversa, correttamente svolte dall’Amministrazione. Le doglianze sostanziali atterrebbero invece alla sostanza del giudizio di inidoneità reso dal C.S.M., mentre la valutazione demandata dalla legge al Consiglio Superiore della Magistratura nella procedura di conferma del giudice di pace presenta caratteri di ampia discrezionalità amministrativa, al pari di quella relativa alla prima nomina. Anche nella fase della conferma, dunque, il C.S.M. dovrebbe accertare la sussistenza nel candidato dei requisiti previsti dall'art. 5, comma 3, L. n. 374 del 1991, vale a dire la sua capacità di assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito e per esperienza giuridica e culturale, le funzioni di magistrato onorario (tra le ultime, Consiglio di Stato, sez. IV, 12 maggio 2009, n. 2944;
T.A.R. Lazio, sez. I, 23 marzo 2010, n. 4558). Inoltre, la valutazione del C.S.M. configurando un giudizio di merito, sarebbe sindacabile sotto il solo profilo della congruità e ragionevolezza della motivazione, spettando esclusivamente all'Organo di autogoverno valutare nel concreto se determinati fatti o accadimenti incidano o meno sulle capacità del giudice onorario anche prescindendo dal puntuale riscontro in ordine alla imputabilità soggettiva degli specifici fatti negativi ascritti all'interessato (Consiglio di Stato, sez. IV, 12 maggio 2009, n. 2944).

9. Le predette affermazioni difensive si prestano, a giudizio del Collegio, ad una duplice considerazione: alla stregua del principio di legalità che informa il nostro ordinamento ai sensi dell’articolo 1 della Costituzione, non appare lecito dubitate che né la rilevanza, come in questo caso, delle funzioni esercitate, né la pretesa gravità degli addebiti, possano fare velo, ed anzi debbano accentuare la necessità di una idonea verifica circa la rispondenza dell’attività amministrativa svolta ai generali principi di buon andamento ed imparzialità di cui all’articolo 97 della Costituzione, e quindi circa il rispetto dei canoni di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità come attestati dalla presenza di una idonea istruttoria e di una puntuale motivazione. In tale ambito, dunque, non vi è dubbio che la anche la verifica in occasione della conferma deve accertare la sussistenza nel candidato dei medesimi requisiti di indipendenza, equilibrio, prestigio acquisito ed esperienza giuridica e culturale, previsti dall'art. 5, comma 3, L. n. 374 del 1991 ai fini dell’avvio dello svolgimento delle funzioni di magistrato onorario. Allo stesso tempo, però, risulta evidente la differenza logica fra l’accertamento ex ante di una ipotetica idoneità, volto a scremare i maggiormente idonei rispetto alla generalità dei soggetti che fanno domanda, e la verifica ex post della idoneità dimostrata dai soggetti che la stessa Amministrazione ha già sottoposto a verifica ed ammesso fino ad un momento prima all’esercizio delle funzioni di giudice onorario, senza rimuoverlo o sospenderlo fino a quel momento a conferma di un giudizio di permanenza dell’idoneità, e ciò si riverbera su un maggiore onere istruttorio e motivazionale, necessario alle tutela del legittimo affidamento e dell’onorabilità professionale dell’interessato già ammesso all’esercizio della funzione ma, prima ancora indispensabile, ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione, per la stessa credibilità del servizio giustizia affidato dal legislatore pro tempore alla magistratura ordinaria.

10. Non appare neppure dubbio, allora, che la eventuale mancata conferma debba essere rigorosamente ancorata a un giudizio di inidoneità dell'Organo di autogoverno, che può certamente valutare –come affermato dalla difesa erariale- se determinati fatti o accadimenti incidano o meno sulle capacità del giudice onorario anche prescindendo da un puntuale riscontro circa la loro imputabilità all'interessato, ma che non può certamente prescindere dal rigoroso accertamento sia della reale esistenza dei predetti fatti ed accadimenti, sia della loro reale valenza –anche alla stregua delle complessive valutazioni già adottate dall’Amministrazione- a denotare una oggettiva inidoneità allo svolgimento dell’incarico.

Ai fini del predetto giudizio non possono dunque ritenersi sufficienti (sempreché non sussistano illeciti) nè la mera presenza di esposti e denuncie di altri soggetti (magistrati, avvocati del foro, personale amministrativo e di segreteria) in quanto legittimi portatori di interessi, aspettative ed opinioni non necessariamente coincidenti con quelli dell’interessato, né il mero avvio di procedimenti disciplinari per fatti ipoteticamente idonei a causare l’allontanamento dalle funzioni di giudice onorario, ove ciò non abbia condotto alle predette conseguenze nel rispetto delle procedure e delle garanzie previste dall’ordinamento, né l’avvenuta irrogazione di sanzioni disciplinari “minori”, ove il loro insieme non concreti motivatamente, per numero, gravità e ricorrenza, una oggettiva inidoneità allo svolgimento della funzione, né, infine, l’eventuale giudizio negativo dei capi degli uffici sul contenuto delle decisioni adottate, ove le stesse non siano state fatte oggetto dei rimedi approntati dall’ordinamento processuale o non concretino fattispecie abnormi o illecite, in quanto in caso contrario si determinerebbe una lesione dei requisiti di terzietà ed indipendenza che non possono non caratterizzare anche la magistratura onoraria.

11. Ciò premesso, occorre evidenziare che, prescindendo dai singoli addebiti che hanno motivato la mancata conferma del ricorrente, e che ricadono nelle fattispecie sopra considerate, il Consiglio Superiore della Magistratura ha fondato il proprio convincimento anche sui pareri negativi espressi dai Consigli giudiziari di Firenze e di Salerno e dai Presidenti dei rispettivi Tribunali, a propria volta basati non solo sugli esposti degli avvocati o dei loro Ordini e su procedimenti e sanzioni disciplinari non incompatibili con la prosecuzione dell’attività di giudice onorario, bensì anche sull’oggettivo apprezzamento di un complessivo comportamento consistente, secondo quanto dagli stessi riferito, nel ripetuto ricorso a consulenze tecniche d’ufficio non indispensabili, o eccessivamente onerose, o non attinenti alla causa o affidate a soggetti non idonei, che pertanto, secondo quanto prospettato, non si limita ad incidere sui rapporti con il Tribunale e con il Foro (fattispecie non direttamente rilevanti ai fini della conferma), bensì sui rapporti con i cittadini,, risolvendosi in un aggravamento ed in una dilazione (e quindi in un almeno parziale diniego) del servizio-giustizia assicurato dalla magistratura onoraria, e motivando in tal modo un legittimo avviso negativo circa la possibilità di conferma dell’interessato.

12. Il ricorso deve essere pertanto respinto, risultando la mancata conferma non illegittima. Tuttavia le narrate considerazioni giustificano ampiamente la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti.

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