TAR Milano, sez. IV, sentenza 2015-03-13, n. 201500716

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. IV, sentenza 2015-03-13, n. 201500716
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 201500716
Data del deposito : 13 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05171/1996 REG.RIC.

N. 00716/2015 REG.PROV.COLL.

N. 05171/1996 REG.RIC.

N. 00368/1997 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5171 del 1996, proposto da:
Pontida Fin S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempre, rappresentata e difesa dagli avv. F P, E G, M B, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Galleria S. Babila 4/A;

contro

Comune di Milano, in persona del Sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti A M, M G S, con domicilio eletto presso gli Uffici dell’avvocatura comunale, in Milano via Andreani 10;

Circoscrizione N.8 di Milano.

sul ricorso numero di registro generale 368 del 1997, proposto da:
Pontida Fin S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempre, rappresentata e difesa dagli avv. F P, E G, M B, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Galleria S. Babila 4/A;

contro

Comune di Milano, in persona del Sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti A M, M G S, con domicilio eletto presso gli Uffici dell’avvocatura comunale, in Milano via Andreani 10;

per l'annullamento

1) quanto al ricorso n. 5171 del 1996:

del provvedimento emanato dal Presidente del Consiglio di Zona n. 8 del Comune di Milano datato 9 luglio 1996 (prot. n. 584.96 CdZ n. 8 Pr.ds), notificato il 20 agosto 1996 e avente ad oggetto l’immobile di via Bellerio n. 41;

2) quanto al ricorso n. 368 del 1997:

del provvedimento emanato dal Comune di Milano – Settore Edilizia Privata e Settore Controllo Stabili Privati – datato 18 ottobre 1996.

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Milano e di Comune di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2014 il dott. F F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società Pontida Fin S.r.l. ha impugnato, con due separati ricorsi, i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili e ne ha chiesto l’annullamento.

Si è costituito in giudizio il Comune di Milano, eccependo l’infondatezza delle impugnazioni avversarie, chiedendone il rigetto.

Le parti hanno depositato memorie e documenti.

Nel corso del giudizio, il Tribunale ha disposto una consulenza tecnica d’ufficio, affidando il relativo incarico all’architetto F R, che ha svolto le operazioni nel contraddittorio con le parti e i rispettivi tecnici, depositando poi la relazione conclusiva e la successiva integrazione richiesta dal Tribunale.

Dopo il deposito della relazione integrativa, il Tribunale ha disposto, per l’udienza del 13 giugno 2014, la comparizione del C.T.U., dell’amministrazione resistente, con l’intervento del Tecnico Comunale competente, nonché della parte ricorrente e del relativo C.T.P., al fine di ottenere, alla presenza dei difensori delle parti medesime, i necessari chiarimenti sullo stato dei luoghi.

All’udienza del 29 ottobre 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1) Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi in esame, trattandosi di impugnazioni connesse sia soggettivamente, in ragione dell’identità delle parti processuali, sia oggettivamente, dato che i provvedimenti gravati incidono sul medesimo oggetto materiale e riguardano la stessa situazione soggettiva sostanziale.

2) Dalle allegazioni delle parti e dalla documentazione prodotta in giudizio emerge che la società ricorrente ha acquistato nel 1993, a titolo derivativo, la proprietà di un complesso immobiliare sito in Milano, via Bellerio n. 41 e composto, attualmente, da 12 corpi di fabbrica, per una superficie coperta totale di oltre 2.600,00 mq e una superficie lorda edificata di oltre 6.600 mq, articolata su più piani ed insistente su un fondo, sempre di proprietà della ricorrente, di circa 7.146 mq.

Con provvedimento del Presidente del Consiglio di zona, circoscrizione comunale n. 8, datato 9 luglio 1996, prot. n. 584.96 CdZ, il Comune di Milano ha disposto, nei confronti di Pontida Fin srl, la regolarizzazione degli interventi edilizi eseguiti sull’immobile sito in via Bellerio n. 41.

Il provvedimento afferma che, da un sopralluogo effettuato dal tecnico preposto all’Ufficio zonale in data 4 luglio 1996, sono emersi “interventi edilizi in contrasto con i vigenti strumenti urbanistici, in quanto, ricadendo l’immobile in zona con destinazione industriale ed essendosi constatato un cambiamento della destinazione d’uso, gli interventi stessi non sono compatibili con l’istituto dell’art. 9 del decreto legge n. 154 del 25 marzo 1996”.

La determinazione amministrativa dispone, seppure mediante la formulazione di un “invito”, affinché Pontida Fin s.r.l. provveda a “regolarizzare la situazione”, ossia ad adeguare gli interventi edilizi agli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti, con l’avviso che, diversamente, l’amministrazione adotterà ulteriori provvedimenti.

Al di là della letterale formulazione, non è dubitabile che si tratti di una determinazione di natura provvedimentale, tanto che l’amministrazione preannuncia ulteriori provvedimenti in caso di mancata ottemperanza e, nel contesto del medesimo atto, lo qualifica come impugnabile dinnanzi al giudice amministrativo.

Il provvedimento segue alla presentazione da parte di Pontida Fin s.r.l. di una denuncia di inizio attività, ricevuta a protocollo dall’amministrazione in data 28 marzo 1996, relativa all’esecuzione di opere interne all’edificio di via Bellerio e consistenti in “sistemazione servizi igienici” e “lieve modifica tavolati interni”, denuncia accompagnata da una relazione tecnica asseverata da un professionista abilitato.

La denuncia è stata preceduta nel 1995 dalla presentazione, sempre da parte di Pontida Fin s.r.l., di una comunicazione di cambio di destinazione d’uso dell’immobile, variato da “uso laboratori” ad “uso uffici”, cui ha fatto seguito una presa d’atto dell’amministrazione in data 22 gennaio 1996, recante l’avvertenza che l’eventuale esecuzione di opere edilizie tese a modificare lo stato dei luoghi, al fine di consolidare il cambio d’uso suindicato, sarebbe stata ritenuta ammissibile solo se conforme alla normativa urbanistica ed edilizia allora vigente.

Avverso l’indicato provvedimento del Presidente del Consiglio di zona datato 9 luglio 1996 e con prot. n. 584.96 CdZ, Pontida Fin spa ha proposto la prima delle impugnazioni in esame.

Il Comune di Milano, con successivo provvedimento del 18 ottobre 1996, prot AL 22988/96, ha ordinato a Pontida Fin s.r.l. di demolire le opere eseguite nel complesso immobiliare di via Bellerio n. 41, in quanto realizzate abusivamente ed ha contestualmente disposto il ripristino della situazione preesistente, vietando altresì l’ulteriore destinazione ad uffici della struttura.

Il provvedimento pone a fondamento della determinazione assunta, il fatto che a) il Consiglio di Zona n. 8 ha ritenuto “inammissibili, in quanto non veritiere, sia la relazione asseverata, … che la dichiarazione di inizio attività n. 581 del 28 marzo 1996”;
b) “l’U.T. settore urbanistico ed il Settore Urbanistica P.R. hanno verificato che la variazione di destinazione d’uso, senza opere edilizie, da laboratorio ad uffici presentata in data 16 gennaio 1996 … costituisce variazione agli standard urbanistici”.

Inoltre, l’amministrazione afferma che, a seguito di un sopralluogo effettuato dai tecnici comunali in data 10 luglio 1996 nel complesso immobiliare di via Bellerio, “si è accertata la presenza di opere edilizie eseguite senza la prescritta concessione”, consistenti in: a) “incremento di s.l.p. pari a 120 mq, distribuiti sull’intero edificio, di cui alla licenza edilizia n. 2669 del 15.07.59”;
b) “cambio di destinazione d’uso da industriale ad uffici pari a circa 4965 mq, in difformità della destinazione funzionale di P.R.G. – relativo agli edifici di cui alle licenze edilizie n. 2047 del 25.10.47, n. 701 del 26.03.53, n. 2669 del 15.07.59, n. 1545 del 15.6.64 e successiva licenze edilizia a variante n. 938 del 14.5.73”;
c) “opere interne di cui ai già citati art. 26 legge 47/85 e dichiarazione d’inizio attività art. 9 d.l. n. 30 del 24.1.96 nonché quelle relative a opere interne e di facciata interessanti il corpetto di fabbrica ad uso stabularium”.

L’atto in esame ribadisce che “tutte le opere sopra descritte sono abusive ad ogni effetto, in quanto eseguite in assenza di concessione edilizia ai sensi dell’art. 7 della legge n. 47 del 28.2.85”.

Va precisato che nelle premesse il provvedimento riferisce che l’ “amministrazione, a seguito di preliminare esame da parte dell’ufficio condono, si riserva di valutare l’ammissibilità o meno delle richieste di condono edilizio presentate rispettivamente in data 23.3.86 – atti E.P. 70195/86 – ed in data 31.3.95 – atti E.P. 14020/95”.

La determinazione appena richiamata è stata impugnata con il secondo dei ricorsi indicati in epigrafe.

3) Mediante i ricorsi riuniti, Pontida Fin s.r.l. articola più censure, che devono essere trattate congiuntamente perché strettamente connesse sul piano logico e giuridico, con le quali contesta la carenza motivazionale ed istruttoria del provvedimento, poiché da esso non emergono né le ragioni dell’asserita abusività degli immobili, né le modalità di determinazione dell’incremento di superficie ritenuto dall’amministrazione.

Inoltre, si evidenzia come la destinazione ad uffici sia coerente con la destinazione complessivamente assunta dalla struttura immobiliare nel corso degli anni.

Sotto altro profilo, si contesta l’irragionevolezza dell’operato dell’amministrazione che, nonostante la consolidazione della denuncia di inizio attività, per decorso del termine previsto per l’inibizione dell’intervento, non ha adottato determinazioni espressive di autotutela, limitandosi all’emanazione di un generico ordine di demolizione, da cui non risulta quale sia l’interesse pubblico sotteso alla determinazione assunta.

Infine, si lamenta la contraddittorietà dei provvedimenti emanati dall’amministrazione, che, da un lato, si riserva di valutare le domande di condono edilizio presentate dalla ricorrente e dal suo dante causa sin dal 1986, dall’altro, assume come abusivi gli interventi edilizi effettuati e ne ordina la demolizione.

Si è già evidenziato che il Tribunale, considerato che le censure proposte pongono questioni di fatto attinenti sia alla concreta consistenza dello stato dei luoghi, sia alle effettive variazioni edilizie ed urbanistiche che hanno interessato il complesso immobiliare, in forza dei provvedimenti edilizi e urbanistici assunti dall’amministrazione in circa sessant’anni, ha nominato, con ordinanza n. 2913/2012 depositata in data 5 dicembre 2012, quale c.t.u. l’architetto F R, sottoponendole i seguenti quesiti: “dopo aver esaminato la documentazione in atti, il c.t.u. verifichi se le opere realizzate e indicate nel provvedimento impugnato come abusive siano legittimate da titoli abilitativi, intervenuti anche in sanatoria. Precisi, ove possibile, se dagli atti prodotti nel fascicolo emerga la destinazione d’uso (industriale o ad uffici) impressa agli edifici di cui alle licenze edilizie n. 2047 del 25.10.1947, n. 701 del 23.3.1953, n. 2669 del 15.7.1959, n. 1545 del 15.6.1964 e 938 del 14.5.1973”.

Il Consulente ha depositato la relazione tecnica in data 15.07.2013, cui è seguita un’integrazione, su richiesta del Tribunale, in ragione delle contrarie deduzioni sviluppate dall’amministrazione resistente;
la relazione integrativa è stata depositata in data 15 marzo 2014.

Quindi, il Tribunale ha disposto, per l’udienza del 13 giugno 2014, la comparizione del C.T.U., dell’amministrazione resistente, con l’intervento del Tecnico Comunale competente, nonché della parte ricorrente e del relativo C.T.P., al fine di ottenere, alla presenza dei difensori delle parti medesime, i necessari chiarimenti sullo stato dei luoghi.

Va sin d’ora precisato che la relazione del consulente tecnico d’ufficio e la successiva integrazione si caratterizzano per l’evidente rigore tecnico, la coerenza metodologica, la puntuale aderenza all’oggetto dell’istruttoria, la completezza e la profondità di indagine, sicché, da un lato, integrano un rilevante supporto istruttorio, con riferimento ai profili tecnici delle censure dedotte dalla ricorrente, dall’altro, meritano piena condivisione in ordine alle conclusioni tecniche raggiunte.

3.1) Un primo gruppo di censure è diretto a contestare l’affermazione contenuta negli atti impugnati, secondo la quale il complesso immobiliare sarebbe stato oggetto di un cambio di destinazione d’uso, da industriale ad uffici, che avrebbe interessato circa 4965 mq, in violazione della destinazione funzionale di zona stabilita dal P.R.G.;
in particolare, il cambio avrebbe interessato gli edifici di cui alle “licenze edilizie n. 2047 del 25.10.47, n. 701 del 26.03.53, n. 2669 del 15.07.59, n. 1545 del 15.6.64 e successiva licenze edilizia a variante n. 938 del 14.5.73”

Le censure sono fondate.

La legittima destinazione dell’immobile deve essere valutata tenendo conto della diversa disciplina, urbanistica ed edilizia, cui il complesso immobiliare è stato sottoposto nel corso degli anni, nonché dei contenuti concreti delle licenze edilizie rilasciate dal Comune di Milano e non oggetto di determinazioni di ritiro in autotutela.

L’amministrazione sostiene che il complesso immobiliare ha assunto e conservato nel tempo solo una destinazione industriale, incompatibile con quella ad uffici, destinazione impressa dalle prime licenze edilizie del 1947 e del 1953 e successivamente mantenuta per effetto dei provvedimenti edilizi adottati nel corso degli anni.

La tesi non può essere condivisa, perché non tiene conto della successione della disciplina urbanistica e del concreto contenuto dei provvedimenti edilizi adottati dal Comune rispetto agli immobili di cui si tratta.

Non è controverso tra le parti il fatto che il complesso immobiliare in esame sia stato realizzato nella vigenza della disciplina dettata dal piano regolatore del 1934, la quale non contemplava la distinzione tra destinazioni d’uso, consentendo un’edificazione generica, senza specifiche connotazioni funzionali.

Sul presupposto di questa disciplina sono state rilasciate le prime due licenze edilizie richiamate nel provvedimento impugnato: la n. 2074 del 25 ottobre 1947 e la n. 701 del 26 marzo 1953, relative ai primi due edifici principali del complesso immobiliare, cui l’amministrazione riferisce l’abusivo cambio di destinazione d’uso.

La licenza n. 2074/1947 autorizza la realizzazione di un fabbricato descritto come ad uso industriale, precisando, nelle tavole allegate al provvedimento, che si tratta di un fabbricato da adibire a laboratorio;
la licenza n. 701/1953, consente l’edificazione del muro di cinta e di un fabbricato di due piani fuori terra, qualificato ad uso industriale, con la precisazione, contenuta nelle tavole che formano gli allegati al provvedimento, che si tratta di un fabbricato destinato a magazzini e servizi.

E’ evidente che i due provvedimenti citati autorizzano la realizzazione di fabbricati denominati industriali, ma ritenendo tale destinazione compatibile con l’adibizione dei locali a laboratorio, a servizi e a magazzini.

Vale precisare che le tavole in questione, oltre ad essere materialmente allegate al provvedimento e a contenere l’unica descrizione grafica delle opere assentite, recano anche l’apposizione del nulla osta da parte del Comando dei Vigili del Fuoco di Milano e della Commissione Igienico Edilizia di Milano, sicché è del tutto priva di fondamento la tesi, sostenuta dall’amministrazione negli atti difensivi, secondo la quale le destinazioni funzionali indicate nelle tavole avrebbero un valore solo indicativo.

Del resto, tra il tempo di adozione dell’una e dell’altra delle due licenze ora richiamate, si colloca l’autorizzazione n. 3047 del 16 novembre 1950, attinente alla realizzazione di un fabbricato di un piano fuori terra definito industriale, di cui le tavole allegate precisano la concreta destinazione a laboratorio.

Ne deriva, come già evidenziato, che proprio l’amministrazione, durante la vigenza del piano regolatore del 1934 ha ritenuto compatibile la qualificazione industriale con l’utilizzo a laboratorio, a servizi e a magazzini.

Nondimeno, la qualificazione dell’immobile come industriale non esprimeva una specifica e puntuale destinazione di zona contrapposta a quella residenziale, perché la normativa urbanistica dell’epoca si limitava a distinguere le aree edificabili da quelle non edificabili, consentendo nelle prime la realizzazione di edifici di differente destinazione.

Il piano regolatore del 1934 rendeva compatibile con l’edificabilità di un’area, prevista in sede di zonizzazione, qualunque destinazione d’uso, tranne quella agricola, in quanto l’edificabilità era individuata in modo generico, senza specifiche tipizzazioni funzionali, sicché la denominazione di un immobile come industriale era coerente con il suo utilizzo a laboratorio, a magazzino e, più genericamente, a servizi.

Insomma, il riferimento all’industrialità dell’immobile non sottendeva una specifica destinazione funzionale urbanistica, né delimitava sul piano urbanistico le caratteristiche tipologiche di una particolare tipologia edificatoria, ma esprimeva la circostanza che l’immobile era compreso in un’area edificabile, concretamente utilizzata anche per la produzione, con locali adibiti ad usi diversi, come laboratori, servizi e magazzini.

Simili risultanze provvedimentali sono del tutto in linea con l’attività di produzione di farmaci che veniva svolta, negli anni cui si riferiscono i titoli edilizi esaminati, dall’impresa utilizzatrice dei locali e ciò a ulteriore specificazione che l’espressione “fabbricato industriale” non può essere riferita ad un’attività di produzione industriale “pesante”, né ad una puntuale ed esclusiva destinazione ad attività produttive, ma vale a descrivere la natura dell’attività concretamente svolta in un complesso immobiliare gestito da un’impresa produttrice di farmaci, che necessita di laboratori, magazzini e servizi di vario genere.

La disciplina giuridica del complesso immobiliare muta con l’entrata in vigore del piano regolatore del 1953, che comprende i beni in zona esclusivamente residenziale ed in particolare in “zona residenziale semiestensiva”.

L’art. 6, del citato prg del 1953, stabilisce che “le zone residenziali devono essere destinate prevalentemente ad abitazioni”, precisando che in esse possono essere consentiti, tra l’altro, magazzini, depositi, laboratori con non più di sei dipendenti. L’ultimo comma della norma prevedeva, nella sua originaria formulazione, che nelle zone graficamente contraddistinte con la lettera A era “consentita la destinazione di interi edifici ad uso ufficio”;
tale norma è stata modificata con deliberazione del Consiglio Comunale del 20 aprile 1970, che ha generalizzato la possibilità di edificare, nelle aree a destinazione residenziale, immobili “totalmente o prevalentemente destinati ad uffici”, con l’eccezione - non riguardante il complesso di cui si discute – delle aree comprese nella zona interna della città, delimitata espressamente dalla disposizione.

Viceversa, la novella non consente che le zone residenziali vengano destinate ad uso industriale.

Ne consegue che, con l’entrata in vigore del nuovo p.r.g. del 1953, la funzione industriale in senso proprio è divenuta incompatibile con la destinazione residenziale della zona cui appartiene il complesso di via Bellerio n. 41.

Nella vigenza della nuova disciplina urbanistica sono state adottate dall’amministrazione le licenze edilizie n. 2669 del 15 luglio 1959, n. 1545 del 15 giugno 1964 e la successiva licenza edilizia a variante n. 938 del 14 maggio 1973, relative, oltre che ai due immobili già considerati dalle prime autorizzazioni, anche ad altri due edifici.

I tre titoli appena richiamati sono stati valorizzati dall’amministrazione per sostenere che il complesso immobiliare sarebbe stato oggetto di un abusivo cambio di destinazione d’uso, da industriale ad uffici.

Il titolo n. 2669/1959 autorizza la realizzazione di tre nuovi piani fuori terra nel complesso immobiliare di via Bellerio e, tanto il provvedimento quanto le tavole allegate – che recano sia il protocollo di ricevimento dell’amministrazione, sia la dicitura “approvato da trattenere in atti” – ne prevedono la destinazione residenziale ad uso abitazioni, uffici e magazzini.

La successiva licenza n. 1545 del 15 giugno 1964, integrata dal provvedimento a variante n. 938 del 14 maggio 1973, presenta un duplice contenuto.

In primo luogo, reca l’autorizzazione alla costruzione di un nuovo fabbricato di tre piani fuori terra di tipo residenziale e destinazione ad uso uffici, abitazione, magazzino, mensa, cucina e spogliatoi;
tali destinazioni trovano conferma nelle tavole progettuali allegate, ove si precisa che la nuova costruzione è un fabbricato residenziale, centro cardiologico, laboratori scientifici, uffici e servizi.

Il titolo si compone anche delle determinazioni sfociate nella licenza in variante del 1973, che muove da una serie di ingiunzioni effettuate tra il 1960 e il 1972, con proroghe nel 1967 e nel 1968, con le quali l’amministrazione ha richiesto la produzione di tavole aggiornate delle opere edilizie autorizzate ed eseguite nel corso degli anni.

Ne è derivata l’allegazione al provvedimento in esame di vari elaborati grafici, tutti recanti l’espressa approvazione comunale, compresa la pianta generale del complesso immobiliare, suddiviso in due categorie di destinazione, residenziale e industriale.

In particolare, le tavole sono completate da tre tabelle: la prima, denominata A), indica la cubatura dei “fabbricati esistenti residenziali e industriali”, la seconda, denominata B), indica la “cubatura nuova costruzione residenziale”, la terza, denominata C), indica la “cubatura fabbricati da conservare in sistemazione residenziale”.

La tripartizione si correla al fatto che la nuova licenza edilizia rilasciata in variante, con approvazione di tutte le tavole progettuali prodotte dal richiedente, si correla alla pretesa di quest’ultimo di procedere ad una graduale demolizione degli immobili industriali;
invero, la planimetria generale delimita, segnandoli e tinteggiandoli in colore rosa, “i fabbricati da conservare in sistemazione residenziale della proprietà”, con la precisazione che “gli altri fabbricati industriali verranno gradualmente demoliti come da convenzione stipulata con il Comune, Ripartiz. Urbanistica-Piano Regolatore, in Atti n. 26234/504-P.R.1964”.

Questa analitica indicazione viene riassunta in due tabelle comprese nella “pianta generale della proprietà”, allegata al provvedimento di cui si tratta e approvata dall’amministrazione.

Le due tabelle riassuntive, denominate rispettivamente A) e B), contengono l’indicazione, l’una della “cubatura fabbricati esistenti residenziali e industriali”, l’altra della “cubatura fabbricati da conservare in sistemazione residenziale”.

Ne consegue che, siccome il nuovo p.r.g. del 1953 ha assegnato una destinazione residenziale al nuovo complesso immobiliare, incompatibile con una destinazione industriale in senso stretto, ma compatibile, come già evidenziato, con la realizzazione di magazzini, depositi, laboratori e uffici – destinazione, quest’ultima, generalizzata, per effetto della deliberazione del Consiglio Comunale del 20 aprile 1970 – l’amministrazione con la licenza del 1964 e la variante del 1973 ha consentito alla realizzazione di due nuovi fabbricati a destinazione residenziale e, nel contempo, ha ricondotto nel concetto di residenzialità la concreta destinazione degli immobili preesistenti, approvando le piante generali della proprietà. Piante che, nell’effettuare la ricognizione della situazione esistente, utilizzano ancora sul piano descrittivo l’espressione fabbricato industriale, ma per evidenziare la concreta destinazione dei diversi locali ad uffici, laboratori, magazzini, servizi, ossia ad usi già praticati in passato e da ricondurre, alla luce del nuovo p.r.g. del 1953 al concetto di destinazione residenziale.

Si tratta di una scelta amministrativa del tutto ragionevole e coerente con la disciplina urbanistica di riferimento.

Difatti, durante la vigenza del p.r.g. del 1934, che autorizzava un’edificazione generica, senza specifiche connotazioni funzionali, i due primi fabbricati del complesso avevano ricevuto una qualificazione industriale, che si concretizzava nella legittima realizzazione di laboratori, magazzini e locali adibiti genericamente a servizi, in coerenza con il fatto che qualunque destinazione concreta era compatibile con la vocazione edificatoria della zona.

Quindi, una volta entrato in vigore il p.r.g. del 1953, le destinazioni ad uffici, magazzini, depositi e laboratori, già concretamente e legittimamente impresse ai primi fabbricati, sono transitate nella tipologia di zona residenziale, come precisato dall’art. 6 del citato p.r.g., sicché l’amministrazione ha coerentemente consentito, sulla base della ricognizione integrale delle destinazioni dei vari immobili del complesso di via Bellerio, sia alla realizzazione di nuovi fabbricati residenziali, sia alla destinazione residenziale, nei termini anzidetti, di quelli preesistenti, sia alla demolizione (sulla base di una convenzione del 1964) di una parte dei fabbricati “industriali” già realizzati.

Insomma, con la licenza n. 1545 del 1964 e la variante n. 938 del 1973 l’amministrazione ha riconosciuto la destinazione residenziale del complesso immobiliare, in coerenza con il nuovo p.r.g., che non ne consentiva la destinazione industriale in senso proprio, prendendo atto della circostanza che l’uso concreto dei locali (uffici, abitazioni, laboratori, magazzini e servizi), impresso sin dalle prime licenze, andava ricondotto, sempre per effetto del nuovo p.r.g. del 1953 (in particolare art. 6), proprio alla destinazione residenziale.

E’, allora, evidente che la presenza di laboratori non vale a dimostrare la giuridica e concreta destinazione dei locali ad uso industriale, come sostiene l’amministrazione comunale, perché l’autorizzazione alla realizzazione di laboratori durante la vigenza del prg del 1934 non esprime la volontà dell’amministrazione di imprimere una specifica destinazione industriale agli immobili, in quanto la zonizzazione era del tutto generica e l’edificabilità dell’area ne consentiva qualunque destinazione tranne quella agricola.

Ancora più evidente è la mancanza di una destinazione industriale in senso tecnico dopo le licenze del 1964 e del 1973, che, adeguando la situazione di fatto a quella di diritto risultante dal nuovo p.r.g. del 1953, riconducono i locali adibiti ad uffici, laboratori, magazzini, servizi e abitazioni alla vocazione residenziale del complesso, nell’accezione utilizzata dall’art. 6 del p.r.g..

In senso contrario, non rileva la circostanza che le tavole generali allegate alle ultime due licenze contengano la tabella A) che calcola la cubatura esistente rifacendosi alla “cubatura fabbricati esistenti residenziali e industriali”. Si tratta, infatti, di una espressione utilizzata per distinguere la cubatura precedente da quella di nuova realizzazione e che, proprio nel distinguere il vecchio dal nuovo, richiama a fini descrittivi il concetto di “ fabbricato industriale”, come utilizzato nelle prime licenze, fermo restando che il riferimento all’industria non valeva ad individuare una produzione industriale pesante, ma la gestione di laboratori uffici, magazzini e servizi, successivamente ricompresi nell’accezione di destinazione residenziale utilizzata dall’art. 6 del nuovo p.r.g..

La circostanza che, in base alle determinazioni comunali, il complesso edilizio fosse destinato ad uso residenziale, nell’accezione anzidetta, trova immediata conferma nella valutazione espressa dal Dirigente dell’Ufficio Urbanistico comunale con atto n. 460, del 5 febbraio 1963, ove si afferma che il complesso edilizio è destinato ad uffici e laboratori per la ricerca scientifica e detta destinazione viene espressamente ritenuta compatibile con la zona residenziale fissata dal p.r.g. approvato.

Le considerazioni sinora svolte rendono evidente la fondatezza delle censure dirette a contestare il provvedimento di demolizione – che di fatto, nella disciplina amministrativa della fattispecie, ha assorbito il provvedimento del Presidente del Consiglio di zona, circoscrizione comunale n. 8, datato 9 luglio 1996, prot. n. 584.96 CdZ, recante l’ordine di regolarizzare gli interventi edilizi eseguiti sull’immobile sito in via Bellerio n. 41 e oggetto della prima impugnazione – nella parte in cui asserisce che la ricorrente avrebbe posto in essere un cambio di destinazione d’uso, da industriale ad uffici pari a circa 4965 mq, in difformità della destinazione funzionale di P.R.G., rispetto agli edifici di cui alle licenze edilizie n. 2047 del 25 ottobre 1947, n. 701 del 26 marzo 1953, n. 2669 del 15 luglio 1959, n. 1545 del 15 giugno 1964 e successiva licenze edilizia a variante n. 938 del 14 maggio 1973.

La determinazione amministrativa presenta, in primo luogo, un’evidente genericità, poiché non esplicita i parametri utilizzati per il calcolo della superficie in ipotesi abusivamente destinata ad uffici, limitandosi ad un’affermazione del tutto apodittica, priva di concreti riscontri documentali.

Inoltre, l’affermazione secondo la quale la destinazione ad uffici integrerebbe un illecito cambio della destinazione industriale già impressa agli immobili cui si riferiscono le licenze richiamate dal provvedimento è smentita proprio dal contenuto di tali licenze, alla luce della zonizzazione operata, dapprima e in modo generico, dal p.r.g. del 1934, poi, in modo dettagliato, dal p.r.g. del 1953.

Proprio, l’esame del contenuto delle licenze citate ha consentito di chiarire che l’amministrazione ha consentito, durante la vigenza del p.r.g. del 1934, l’utilizzo dei primi fabbricati per la realizzazione di laboratori, magazzini e servizi di vario genere, compresi gli uffici, nel contesto della generica destinazione edificatoria dell’area e senza che il riferimento a fabbricati industriali assumesse una specifica valenza delimitativa delle destinazioni concretamente praticabili.

Quindi, dopo l’entrata in vigore del p.r.g. del 1953, sempre l’amministrazione, con le ultime tre licenze richiamate nel provvedimento, ha confermato la generale destinazione residenziale del complesso immobiliare, riconoscendo come legittima la sua destinazione specifica ad uffici, abitazioni, magazzini, mense attività di servizio, in coerenza con l’art. 6 del p.r.g. da ultimo richiamato.

Simili considerazioni non sono superate dal riferimento, svolto dall’amministrazione negli atti difensivi, al contenuto del permesso di costruire in sanatoria rilasciato, con provvedimento n. 24 del 2012, a seguito della presentazione di un’apposita domanda risalente al 1986.

Vero è che tale provvedimento richiama una generale destinazione catastale di tipo industriale, ma, da un lato, si riferisce a locali accessori (magazzini, depositi, stabulari e servizi) e a parti di edifici, dall’altro, è privo di qualunque planimetria o rappresentazione fotografica, tanto che il CTU ha precisato che “le parti condonate sono individuate e restituite graficamente in pianta in base alle indicazioni fornite dalle relazioni descrittive di idoneità statica”.

Già il primo degli aspetti ora considerati esclude che la domanda di condono e il relativo atto di accoglimento assumano concreta rilevanza ai fini della determinazione della destinazione d’uso dell’immobile, in quanto i fabbricati cui accedono i locali accessori e cui si riferiscono le porzioni anzidette hanno assunto destinazione residenziale per effetto delle licenze richiamate proprio dal provvedimento impugnato, licenze mai annullate o revocate dall’amministrazione, sicché risulta del tutto incoerente con le precedenti determinazioni amministrative, oltre che giuridicamente non comprensibile, la scelta dell’amministrazione di condonare immobili che, in base alle pregresse determinazioni amministrative, avevano già assunto destinazione residenziale.

Non solo, il provvedimento è privo di documentazione planimetrica e fotografica e ciò rende oltremodo approssimativa l’individuazione degli specifici locali cui si riferisce e, quindi, l’oggetto materiale della determinazione di sanatoria.

In ogni caso, si tratta di un condono riferito ad una superficie complessiva di mq 1.865,15 e, pertanto, molto inferiore a quella ritenuta oggetto di abusivo mutamento di destinazione d’uso, pari a 4965 mq.

Quest’ultimo profilo rende palese, come già evidenziato, la fondatezza anche della censura diretta a contestare la quantificazione del ritenuto cambiamento di destinazione d’uso, atteso che il riferimento ad una superficie di 4965 mq è del tutto generico e non supportato da calcoli e riferimenti puntuali.

Va, pertanto, ribadita la fondatezza delle censure esaminate.

3.2) Parimenti, sono fondate le doglianze tese a confutare l’affermazione, posta a base dell’ordine di demolizione, secondo la quale la ricorrente avrebbe realizzato un “incremento di s.l.p. pari a 120 mq, distribuiti sull’intero edificio, di cui alla licenza edilizia n. 2669 del 15.07.59”.

Anche in questo caso l’amministrazione si è limitata ad un’affermazione apodittica, ma non ha in alcun modo documentato l’effettivo incremento di s.l.p. contestato alla ricorrente.

Ciò nonostante, il Tribunale ha formulato sul punto uno specifico quesito al CTU, il quale, all’esito degli accertamenti di fatto e documentali eseguiti, ha evidenziato l’assenza di incrementi di s.l.p. nell’edificio la cui edificazione è stata autorizzata con la licenza edilizia n. 2669 del 15 luglio 1959.

Ne deriva che, rispetto al profilo in esame, il provvedimento contiene una mera asserzione, priva di elementi di riscontro e non supportata da una concreta istruttoria, con conseguente fondatezza della censura in esame.

3.3) Il provvedimento gravato pone a fondamento dell’ordine di demolizione anche l’esecuzione di opere edilizie eseguite senza la prescritta concessione consistenti in “opere interne di cui ai già citati art. 26 legge 47/85 e dichiarazione d’inizio attività art. 9 d.l. n. 30 del 24.1.96 nonché quelle relative a opere interne e di facciata interessanti il corpetto di fabbrica ad uso stabularium”.

In relazione a questo profilo, la società ricorrente lamenta espressamente il difetto di motivazione e la carenza istruttoria, in quanto l’amministrazione non ha indicato quali opere interne tra quelle di cui all’art. 26 della legge n. 47/1985 e alla denuncia di inizio attività del 24 gennaio 1996 sarebbero prive di titolo autorizzatorio.

La censura è fondata.

In ordine al livello di dettaglio che deve assumere la motivazione dei provvedimenti di ingiunzione di demolizione di opere edilizie, la giurisprudenza dominante, cui aderisce il Tribunale, considera che è necessaria una specifica motivazione rispetto alla descrizione dell’abuso commesso ed alla sua identificazione oggettiva, mentre non occorre che si dia conto anche della valutazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione o della comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, senza che ciò comporti violazione dell’67-89db-7cd87fe6171c::LR105B27BE097CA1C72771::2005-02-21" href="/norms/laws/itatextzdiicn0qt10rfg/articles/itaartkdw0pa9h7sad06?version=463d6cb9-dcd3-5f67-89db-7cd87fe6171c::LR105B27BE097CA1C72771::2005-02-21">art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, atteso che il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo in re ipsa l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione.

Insomma, il provvedimento di ingiunzione a demolire è adeguatamente giustificato e motivato quando presenta un’analitica descrizione delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente (cfr. T.A.R. Campania Napoli, Sez. VIII, 16 aprile 2014, n. 2174;
T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 14 gennaio 2011, n. 164;
Consiglio di Stato, sez. V, 11 luglio 2014, n. 3568)

Nel caso di specie è palese che il provvedimento impugnato non contiene l’analitica descrizione delle opere abusivamente realizzate, siano esse interne o di facciata, sicché dal suo contenuto non è possibile evincere quali delle opere inserite nell’art. 26 della legge n. 47/1985 e nella denuncia di inizio attività del 24 gennaio 1996 sarebbero prive di titolo autorizzatorio e, pertanto, abusive.

Solo il CTU ha dato atto, nel quadro della verifica di rispondenza effettuata su tutto il complesso immobiliare, comprensivo dei fabbricati principali e di quelli accessori, di una serie di difetti di rispondenza, che non attengono strettamente alle opere interne e di facciata, così evidenziando che, anche per l’aspetto in esame, il provvedimento non si basa su puntuali risultanze tecniche.

In definitiva, anche per l’aspetto in esame, le affermazioni contenute nel provvedimento sono del tutto generiche, non trovano riscontro in precise risultanze istruttorie e in dati tecnici documentati, sicché si traducono in mere asserzioni, legate ad una descrizione approssimativa degli abusi e, pertanto, inidonee a rendere percepibile la natura e la consistenza delle opere di cui è contestata l’abusività.

Va, pertanto, ribadita la fondatezza delle censure in esame.

4) Occorre precisare che il provvedimento del Presidente del Consiglio di zona, circoscrizione comunale n. 8, datato 9 luglio 1996 e con prot. n. 584.96 CdZ, impugnato con il primo dei ricorsi riuniti risulta di fatto assorbito, nella disciplina amministrativa della fattispecie concreta, dal successivo provvedimento del 18 ottobre 1996 prot AL 22988/96, con il quale il Comune di Milano ha ordinato la demolizione di immobili ritenuti abusivi.

Ne consegue che la evidenziata fondatezza delle censure articolate avverso quest’ultimo provvedimento si estende a quello impugnato con il primo ricorso, con conseguente suo annullamento

5) Con memoria depositata in data 28 aprile 2014, il Comune di Milano non si è limitato a contestare i contenuti della relazione del CTU, ma, a pag. 15, rigo 10, ha qualificato come “mistificazione” la individuazione dei volumi residenziali effettuata dal consulente d’ufficio.

Si tratta di un’espressione non solo sconveniente, ma evidentemente offensiva per il Consulente Tecnico d’Ufficio, atteso che essa nulla aggiunge alla deduzione difensiva articolata dall’amministrazione, risultando, invece, diretta esclusivamente alla denigrazione dell’operato dell’organo ausiliario del giudice, cui imputa una deliberata distorsione della realtà fattuale e documentale;
imputazione del tutto priva di fondamento e non supportata da alcun elemento di riscontro.

Insomma, si tratta di un’espressione che sottende solo un intento dispregiativo e che non riflette alcuna concreta esigenza difensiva, sicché se ne deve disporre la cancellazione ai sensi dell’art. 89 c.p.c..

6) In definitiva, i ricorsi in esame sono fondati e devono essere accolti, con conseguente annullamento dei provvedimenti indicati in epigrafe.

7) Ai sensi degli artt. 66, comma 4 e 67, comma 5, c.p.a. deve essere liquidato il compenso al Consulente tecnico d’ufficio, all’architetto F R, la quale ha presentato una dettagliata nota di liquidazione di 10.196,82 euro per onorari e spese, oltre IVA e Inarcassa.

Il Tribunale reputa congruo l’importo richiesto, in considerazione dell’impegno profuso dal consulente tecnico, della complessità dell’oggetto della consulenza, nonché dell’ampiezza ed esaustività della relazione prodotta, in cui si dà anche ampio riscontro del contraddittorio svolto con i consulenti tecnici di parte, le cui prospettazioni sono state diffusamente illustrate nella relazione conclusiva.

Il compenso del Consulente tecnico deve essere posto a carico dell’amministrazione resistente, soccombente in giudizio.

Le spese della lite seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

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