TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2021-07-22, n. 202105122
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Pubblicato il 22/07/2021
N. 05122/2021 REG.PROV.COLL.
N. 03382/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Ottava)
ha pronunciato la presente
S
C G G e P R P, rappresentati e difesi dall'avvocato M R F, con domicilio fisico eletto presso lo studio Lemmo in Napoli, alla Via del Parco Margherita, n. 31 e digitale come da p.e.c.: ricciardifederico.m@avocatoprc.com ;
contro
- Comune di San Gregorio Matese, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato E M, con domicilio digitale come da p.e.c.: eleonora.marzano@pec.it);
- Ministero per i Beni e Le Attività Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, alla via Diaz 11;
per l'annullamento
- quanto al ricorso introduttivo:
1) della determinazione prot. n. 2600 del 9.7.2019, successivamente notificata, a firma del Responsabile dell'Area Tecnica;
2) del verbale di seduta n. 6/2019, reso dalla Commissione Locale per il Paesaggio;
3) della nota di comunicazione prot. n. 2146 del 8.6.2019, successivamente pervenuta, a firma del Responsabile del procedimento;
4) di ogni altro atto, preordinato, collegato, connesso e conseguente, comunque, lesivo.
- quanto ai motivi aggiunti, notificati il 7.8.2019/15.11.2019 e depositati il 29.11.2019:
-per l’annullamento previa adozione delle opportune misure cautelari:
5) della nota resa dalla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le province di Caserta e Benevento n. 14242 del 11.10.2019 con relativi allegati;
6) del parere soprintendentizio n. 14011 del 9.10.2019;
7) della determinazione comunale prot. n. 4253 del 9.11.2019, recante diniego definitivo autorizzazione paesaggistica;
8) di ogni altro atto, preordinato, collegato, connesso e conseguente, per quanto di ragione.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di San Gregorio Matese e di Ministero per i Beni e le Attività' Culturali;
Viste le produzioni delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella udienza pubblica del giorno 23 giugno 2021 - tenutasi con le modalità di cui all’art. 25 del D.L. n. 137/2020, convertito dalla L. n. 176/2020, e al D.P.C.S. del 28 dicembre 2020 – il dott. Vincenzo Cernese;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso, notificato il 07.08.2019 e depositato il 08.08.2019, C G G e P R P - nella dedotta qualità di comproprietari di un fabbricato ubicato alla località “Defesa” del Comune di San Gregorio Matese (CE), distinto al catasto al foglio 16, p.lle nn. 5034 e 5089, relativamente al quale, con permesso di costruire n. 7 del 22 marzo 2003, veniva autorizzata l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione edilizia e di adeguamento igienico-funzionale e strutturale dello stabile - riferiscono, in fatto, che:
- in corso d’opera si assisteva al sequestro preventivo del cantiere emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 24/05/2006 ed il relativo giudizio penale si concludeva con sentenza del 07/06/2016 di non dover procedere con estinzione di tutti i reati ascritti, per modo che il Tribunale di S.M.C.V., in data 15/07/2016, provvedeva al dissequestro del cantiere;
- con l’intento di completare l’intervento avviato e sanare le piccole difformità rientranti nei limiti della tolleranza del 2% ex art. 34, D.P.R. n 380/01 ed All. A al D.P.R. n. 31 del 2017, i ricorrenti in data 09/06/2018 avanzavano S.C.I.A. prot. 2374 del 09/06/2018 - previo accertamento di conformità urbanistica e compatibilità paesaggistica;
- innanzitutto, non l’intero fabbricato esistente è oggetto dell’accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167, D.Lgs. n. 42/2004, in quanto le opere realizzate in difformità, sono localizzate esclusivamente al di sotto della quota +0,00 del fabbricato, a quota -2,86, ovvero, ad una maggiore profondità di realizzazione delle strutture di fondazione (rispetto all’assentito);
- nelle more del completamento delle opere, lo stato dei luoghi potrebbe indurre in errore, ovvero, sembrerebbe che sia stato creato un livello seminterrato, parzialmente aperto, che segue l’intero perimetro del piano superiore, comportando, di fatto, un ampliamento del fabbricato;al contrario, rispetto al progetto approvato con P.d.C. n. 7 del 21/03/2003 (piano terra), non vi è stato alcun incremento della cubatura ma soltanto la necessità di creare fondazioni di maggior profondità trattandosi di area sismica;
- trattasi di opere non completate a causa dell’intervenuto sequestro giudiziario (poi revocato) e dell’intervenuta scadenza dei titolo edilizio, con la conseguenza che le difformità, previo conseguimento di un nuovo titolo edilizio che autorizzi i lavori di completamento, possono essere ricondotte all’originaria conformità;
- necessitando il fabbricato de quo, ai fini della fruibilità, delle opere di completamento mai realizzate in precedenza per le motivazioni sopra menzionate, al fine di ottenere il titolo che abiliti all’esecuzione di dette opere è, tuttavia, necessario conseguire contestualmente l’accertamento di conformità urbanistica previo accertamento di compatibilità paesaggistica, ciò essendo possibile procedendo all’esecuzione dello opere di completamento e adeguamento paesaggistico ambientale;Richiamando l’originaria progettazione si evidenzia che strutturalmente il fabbricato è stato realizzato mediante un telaio in calcestruzzo armato.
- la previsione di tamponare l’ambiente aperto al piano seminterrato e il conseguente rinterro per renderlo assolutamente inaccessibile, configurando di fatto la realizzazione di una intercapedine di isolamento (art. 49 del R.E.C.), non comporta incremento di superficie o volume da considerarsi ai fini urbanistici ed anche la costituzione del vano tecnico non ha comportato incremento della cubatura, sul punto richiamandosi anche la Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2474 del 31/01/1973 (Definizione dei volumi tecnici ai fini del calcolo della cubatura degli edifici) che stabilisce chiaramente l’esclusione dei volumi tecnici dal computo planovolumetrico;
- le opere di completamento, con contestuale richiesta di accertamento di conformità urbanistica, sono da ritenersi realizzabili in quanto rispondenti alle norme del vigente strumento urbanistico, atteso che, ai fini del presente giudizio, l’immobile ricade nell’ambito del vigente Piano Territoriale Paesistico “Ambito Massiccio del Matese” approvato con D.M. 4.9.2000, e segnatamente nella zona C.I.P. “Conservazione Integrata del Paesaggio di Pendice Montana e Collinare” - art. 14 della Normativa di Attuazione.
Per dimostrare la compatibilità dell’intervento eseguito parti ricorrenti riportano, in sintesi, il contenuto del punto 4 del citato articolo 14 avendo cura di evidenziare quali sarebbero gli interventi a loro dire ammessi e ciò che la realizzazione dell’intervento da loro proposto, nel suo complesso, non comporta.
Date tali premesse e preso atto che il responsabile del Settore Tecnico dapprima, con nota prot. n. 2146 del 8.6.2019 (cfr. doc. all. n. 1 al presente fascicolo), comunicava la conclusione della fase istruttoria ad opera della Commissione Locale per il Paesaggio (verbale n. 6 del 2019), ai fini della procedibilità della pratica con la seguente motivazione: “[....] La Commissione esprime parere sfavorevole in quanto l’accertamento non conforme a quanto previsto dall’art. 167 comma 4 lettera a del codice dei Beni Culturali e del Paesaggio [...]” trasmettendo il tutto alla Soprintendenza con determinazione prot. n. 2600 de 9.7.2019 (cfr. doc. all. n. 2 al presente fascicolo), i ricorrenti propongono la formale impugnativa in epigrafe.
Preso atto, a seguito della suddetta comunicazione prot. n. 2600, che l’Autorità ministeriale con parere n. 14011 del 9.10.2019 (cfr. doc. all. 2 al presente fascicolo), si pronunciava per la inammissibilità del procedimento di compatibilità paesaggistica ex art. 167, comma 4, lettera a), D.Lgs. n. 42/2004, parere fatto proprio nella relazione resa dalla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le province di Caserta e Benevento n. 14242 del 11.10.2019 con relativi allegati (cfr. doc. all. 3 al fascicolo di parte) nonché mutuato definitivamente dall’Ente con determinazione comunale prot. n.4253 del 9.11.2019 (cfr. doc. all. 4 al fascicolo di parte) i ricorrenti, con i motivi aggiunti in epigrafe impugnavano anche siffatti provvedimenti.
Si è costituito in giudizio il Comune di San Gregorio Matese eccependo l’inammissibilità, l’improponibilità e l’infondatezza del ricorso.
Ha resistito al ricorso anche il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Relatore all’udienza del 23 giugno 2021 il dott. Vincenzo Cernese la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 25 DL 137/2020.
DIRITTO
Il ricorso introduttivo è infondato nei termini e limiti di seguito precisati.
Nel merito, con la prima censura si deduce la violazione di legge (d.P.R. n. 380/01;art.167 D.L.vo. n. 42 del 2004), nonché l’eccesso di potere (per carenza di istruttoria e sviamento) al riguardo rilevandosi che:
- l’Amministrazione illegittimamente opponeva l’impugnato diniego senza tener conto della portata del precedente Permesso di Costruire n. 7 del 2003 rilasciato a seguito di un’istanza di parte ricorrente che assume i connotati di una richiesta di ultimazione delle opere intraprese in precedenza che, una volta completate, consentirebbero di configurare l’esatta portata dell’intervento, in linea con il disposto dell’art. 167, D.Lgs. n. 42/2004;vale a dire, la sola modifica delle fondazioni in sede di ristrutturazione edilizia (giusta P.d.C. n. 7 del 2003) non determina (né avrebbe mai potuto) alcun aumento di superficie o volume utile;
- indi, all’indomani della scadenza triennale del precedente titolo edilizio, i ricorrenti si ritrovano impossibilitati nel proseguire e completare i lavori già avviati, non senza considerare, ai fini del riesame della pratica che, la parte in questione (fondazioni) del manufatto non assume alcuna valenza dal punto di vista paesaggistico, così come testimonia il rilievo fotografico di cui alla allegata perizia tecnica che abbraccia da ogni angolatura l’intera area interessata dall’intervento di ristrutturazione;
- assume, pertanto, rilievo secondario, ma pure sempre meritevole di considerazione sotto il profilo del difetto dei presupposti, dell’istruttoria e della motivazione, l’elusione della Circolare M.I.B.A.C. del 13.9.2010 n. 16721, circolare che ha contribuito alla liberalizzazione di cui al recente D.P.R. n.31 del 2017;in essa, venivano offerte alcune coordinate interpretative sul concetto di “rilevanza paesaggistica” dell’intervento ai fini dell’accertamento della compatibilità ex art. 167, d.Lgs. n. 42/2004, sotto il profilo della “percepibilità della modificazione apportata” confidando l’Autorità ministeriale nella possibilità di: “pervenire a soluzioni ragionevoli e proporzionate dei numerosi casi -emersi nella pratica applicativa- di variazioni minimali e di marginali incrementi di superficie o di volume che risultino solo fisicamente misurabili, ma non siano in alcun modo percepibili e visibili e restino, perciò, paesaggisticamente irrilevanti”;
- l’indirizzo ministeriale troverebbe anche condivisone nella giurisprudenza richiamata, atteso che l’autorità interpellata deve chiedersi preliminarmente se il fatto portato alla sua attenzione presenti o meno rilevanza paesaggistica, sotto il profilo della percepibilità della modificazione apportata, secondo un criterio di media estimazione e valutazione e, ove addirittura l’incremento di volume o di superficie non risulti nemmeno visibile, allora dovrà evidentemente ritenersi insussistente in radice l’illecito e, dunque, la domanda di sanatoria dovrà (a rigore) essere dichiarata inammissibile... perché trattasi in realtà di illecito insussistente;
- da ultimo, il Consiglio di Stato, dopo aver rassegnato propri indirizzi sulla portata del limite di tolleranza del 2%, testé afferma: “l’autorità emanante non risulta avere valutato un aspetto rilevante, e del tutto peculiare, della fattispecie: quello per cui l’intervento contestato - come risulta dalla documentazione fotografica e dalla relazione arch. ..., in atti - non aveva comportato alcuna modificazione percepibile dell’aspetto esteriore del bene protetto;percepibilità dell’aspetto esteriore del bene protetto che, al di là di quanto statuito in taluni precedenti giurisprudenziali, sulla base delle indicazioni provenienti dal Mibac (nota 13 settembre 2010, n. 16721) costituisce pre requisito di rilevanza paesaggistica del fatto (...l’Ufficio procedente, prima ancora di verificare nella concreta fattispecie la sussistenza del suindicato presupposto negativo dell’assenza di superfici utili o volumi, ovvero di un aumento di quelli legittimamente realizzati, deve porsi la domanda preliminare se il fatto portato alla sua attenzione presenti o meno rilevanza paesaggistica, sotto il profilo della percepibilità così la circ. cit della modificazione apportata, secondo un criterio di media estimazione e valutazione... –.;conf. Cons. Stato, sez. VI, n. 1420 del 2015, p. 4.);
(…….).
- il d.P.R. n. 31 del 2017, per quanto qui interessa, individua una serie di interventi per i quali è esclusa la necessità di ottenere l’autorizzazione paesaggistica (v. art. 2 – Allegato A). Tra questi vi sono anche le opere ed interventi edilizi eseguiti in variante a progetti autorizzati ai fini paesaggistici che non eccedano il due per cento delle misure progettuali quanto ad altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta o traslazioni dell'area di sedime (A.31)”.
- nella specie, la preliminare valutazione in ordine alla portata dell’intervento e la percezione -di cui al predetto atto interpretativo d’indirizzo dell’Ufficio legislativo del Ministero per i beni culturali- risulta omessa confermando la dedotta illegittimità dell’operato quivi impugnato.
Resta dunque controverso l‘intervento con cui i ricorrenti, ritenendolo in ogni caso presidiato dall’originario permesso di costruire n. 7 del 22/03/2003, intendono portare a completamento, nei limiti della tolleranza del 2% ex art. 34, D.P.R. n 380/01 ed All. A al D.P.R. n. 31 del 2017, a mezzo della S.C.I.A. prot. 2374 del 09/06/2018 da loro prodotta e previo accertamento di conformità urbanistica e compatibilità paesaggistica, opere in precedenza assentite con permesso di costruire ma non potuto portare a compimento anche a cagione di un sequestro giudiziario dell’immobile de quo.
Si premette che con l’impugnata determinazione prot. n. 2600 del 9.7.2019, a firma del Responsabile dell'Area Tecnica e ad Oggetto: “S.c.i.a. prot. 2374 del 09.06.2018 e successive integrazioni, previo accertamento di conformità urbanistica e paesaggistica ai sensi dell’art. 34 e art. 36 d.P.R. 380/2001” in relazione all’accertamento di cui all’oggetto, a conclusione del procedimento istruttorio, si comunica l’espressione del parere in senso sfavorevole da parte della Commissione Locale per il Paesaggio (nella seduta del 14.06.2019 con verbale n. 06/2019) per la seguente motivazione: “l’accertamento non conforme a quanto previsto dall’art. 167, co. 4, lettera a) del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”
Osserva al riguardo il Collegio che parti ricorrenti tendono a minimizzare la portata dell’intervento da loro proposto, ritenendolo riconducibile al permesso di costruire loro in precedenza rilasciato, ed in funzione della ultimazione delle opere da esso previste, impedite dal disposto sequestro giudiziario, dando quasi per scontata la compatibilità paesaggistica e la conformità urbanistica, delle opere de quibus.
Ovviamente, resta inteso che, essendo l’Autorità paesaggistica chiamata a svolgere una diversa disamina della compatibilità dell'intervento proposto, che ha come parametro i valori paesaggistici riconosciuti dei luoghi, in funzione della tutela del bene paesaggistico (cfr C. di S, Sez. VI, Sent., 06/05/2013, n. 2410);è indubbio, quindi, che il titolo naturalistico è autonomo dal titolo edilizio come da quello paesaggistico e non vi è alcuna correlazione automatica tra gli interventi edilizi liberi, interventi assoggettati ad autorizzazione paesaggistica semplificata e interventi soggetti al preventivo nulla-osta dell'ente Parco (cfr. tar Lombardia, Brescia, Sez. II, 11 giugno 2013, n. 557).
Sotto il profilo paesaggistico le opere contestate, in quanto allocate al di sotto del piano di campagna in funzione della necessità (a cagione di una “sorpresa geologica”) di rafforzare le fondamenta dell’intero fabbricato non creerebbero alcun problema di compatibilità paesaggistica in quanto, a causa della loro “invisibilità” non sarebbero percepibili dall’esterno, riuscendo ad integrarsi pienamente con l’ambiente circostante e, giammai potrebbero divenire un elemento di detrazione ambientale.
Sotto il profilo strettamente urbanistico le opere realizzate non creerebbero alcun problema di carico urbanistico sul territorio non essendovi stato alcun incremento della cubatura ma soltanto la necessità di creare fondazioni di maggior profondità trattandosi di area sismica e si presenterebbero soltanto lievemente difformi dal permesso di costruire n. 7 del 21.03.2003 dal quale ci si sarebbe discostati per necessità collegate al sequestro penale, poi revocato, ed, in ogni caso, pienamente conformi agli strumenti urbanistici vigenti.
In contrario ed a prescindere dal fatto che esula dal nostro ordinamento urbanistico ogni considerazione correlata a qualsivoglia “abuso di necessità”, parti ricorrenti, premesso che “Il fabbricato ricade nella zona E1: Agricola Vincolata del vigente Piano Regolatore Generale”, laddove, nella citata zona urbanistica sono consentiti gli interventi di completamento in programma sostengono apoditticamente, senza cioè fornire alcuna prova, che, trattandosi dell’esecuzione di opere già autorizzati dall’originario titolo edilizio, “l’intervento richiesto è conforme alle suddette norme, ricadendo la sua tipologia tra quelli consentiti”, limitandosi a soggiungere in maniera, meramente descrittiva ed indimostrata ciò che la realizzazione dell’intervento, nel suo complesso, non comporta, mentre, secondo pacifica giurisprudenza, sarebbe stato suo preciso onere fornire una prova recisa e puntuale della conformità urbanistico-edilizia del contestato intervento.
Anche sotto il profilo paesaggistico, (peraltro, preliminare rispetto a quello meramente urbanistico) - contrariamente a quanto infondatamente dedotto - deve rilevarsi che, al fine di ritenere un qualsivoglia intervento paesaggisticamente compatibile, la circostanza della visibilità ed immediata percebilità delle opere non è elemento decisivo, atteso che - per come si rileverà - anche i volumi interrati e tombati pongono seri problemi di integrazione ambientale.
La censura in esame induce quindi ad affrontare la questione inerente al grado di incidenza urbanistica e paesaggistica di volumi ricavati all’interno del sottosuolo, atteso che la giurisprudenza più recente, rivisitando l’orientamento tradizionale, inteso a dequotare di significanza paesaggistica e, prima ancora, urbanistica dell’utilizzazione dei manufatti interrati e, più in generale in generale, delle opere o dei volumi incassati nel sottosuolo, non ha escluso il sottosuolo dalle previsioni relative alle aree vincolate “allorché se ne progettino usi incompatibili con la tutela” dei valori paesaggistico-ambientali.
Al riguardo il Consiglio di Stato (sentenza sez. VI, n. 4079 del 5.8.2013) ha rilevato che: <<Come affermato dalla giurisprudenza, “non appare dubbio, invero, (che) alla luce dell’individuazione dei beni paesaggistici contenuta ….(negli artt. 136 e segg. del d.lgs. n. 42 del 2004) con il termine paesaggio il legislatore abbia inteso designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell'area vincolata, così che ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione” (Cass. Pen. Sez. III, 16 febbraio 2006, n. 11128).
Tale nozione ampia di paesaggio coincide, peraltro, con la definizione contenuta nella Convenzione europea sul paesaggio, firmata a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata con la legge 9 gennaio 2006, n. 14, secondo la quale il termine paesaggio “designa una determinata parte del territorio, così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (Cass. Pen., Sez. III, 16 febbraio 2006, n. 11128) >>.
Orbene, dalla predetta definizione di paesaggio deriva che il vincolo ambientale-paesaggistico si palesa operante anche con riferimento alle opere realizzate nel sottosuolo, in quanto anche queste ultime implicano una utilizzazione del territorio idonea a modificarne l'assetto, specie quando, come nel caso in esame, si tratti di opere di rilevante entità (Cass. pen., Sez. III, 16 gennaio 2007, n. 7292).
Quanto esposto risulta confermato, in primo luogo, dal contenuto dell’art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, che vieta l'esecuzione di lavori “di qualsiasi genere” su beni paesaggistici senza la necessaria autorizzazione o in difformità da essa ed, in secondo luogo, dalla giurisprudenza che – da un lato - ha ritenuto che il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, siano essi interrati o meno (Cons. Stato, Sez. IV, 12 febbraio 1997, n. 102), e – dall’altro – che il vigente art. 167, comma 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004) preclude il rilascio di autorizzazioni in sanatoria, quando siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura (anche ‘interrati’), pur quando ai fini urbanistici-edilizi non andrebbero ravvisati volumi in senso tecnico (Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3578) >>.
In tema la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, in ambito paesaggistico, rileva ancora che, trattandosi di tutela del paesaggio, vige il divieto di incremento dei volumi esistenti, motivo per cui non può distinguersi tra volume tecnico o meno;sul punto consolidata giurisprudenza avendo rilevato che hanno una indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se non vi è un volume da computare sotto il profilo edilizio (quale, per l’appunto, un volume tecnico) poiché le esigenze di tutela dell’area sottoposta a vincolo paesaggistico possono anche esigere l’immodificabilità dello stato dei luoghi (ovvero precludere una ulteriore modifica) (cfr. CdS, Sez. VI, sent. 7/1/14 n. 18).
Pertanto è andato consolidandosi l’orientamento per il quale: <<Il vigente art. 167, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio preclude il rilascio di autorizzazioni in sanatoria, quando siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura (anche ’interrati'). Il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume, sia esso interrato o meno >>Consiglio di Stato sez. VI, 02/07/2015, n.3289).
Nella motivazione della sentenza si afferma che la stessa lettera della norma avvalora tale conclusione poiché « nel consentire l'accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, si riferisce esclusivamente ai “lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”: non è quindi consentito all'interprete ampliare la portata di tale norma, che costituisce eccezione al principio generale delle necessità del previo assenso codificato dal precedente art. 146, per ammettere fattispecie letteralmente, e senza distinzione alcune, escluse ». Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 27 gennaio 2015 n. 303, Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 2015 n. 12, ivi;T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 5 novembre 2014 n. 5703, ivi;Cons. Stato, sez. VI, 30 maggio 2014 n. 2806, ivi.
In punto di diritto vi osta l'art. 146 del D.Lgs. 22 aprile 2004, n. 42, in materia di tutela paesistica - che ha posto la regola generale secondo cui ogni intervento che comporti modificazioni o rechi pregiudizio all'aspetto esteriore delle aree vincolate è assoggettato al previo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, prevedendo, poi, al comma 9, che <<sono stabilite procedure semplificate per il rilascio dell'autorizzazione in relazione ad interventi di lieve entità in base a criteri di snellimento e concentrazione dei procedimenti >>.
Nel caso di specie, è incontestata l’assenza di titolo abilitativo ed il considerevole aumento di volume emerso a seguito di approfondita istruttoria (anche se a volerlo ritenere “tecnico”) non escluso dalla sua insistenza al di sotto del piano di campagna.
Con la seconda censura si ribadisce il medesimo motivo precedente, oltre all’eccesso di potere (per illogicità, irragionevolezza sproporzione), non potendo pretermettersi inoltre di considerare come l’azione della P.A. debba essere guidata innanzitutto dal (l’applicazione del) principio di ragionevolezza e proporzionalità. Infatti, secondo parti ricorrenti l’osservanza di tali coordinate dell’agere pubblico, ha condotto la giurisprudenza richiamata ad affermare che l'azione dei pubblici poteri non deve essere censurabile sotto il profilo della logicità e dell'aderenza ai dati di fatto risultanti dal caso concreto: da ciò deriva che l'amministrazione, nell'esercizio del proprio potere, non può applicare meccanicamente le norme, ma deve necessariamente eseguirle in coerenza con i parametri della logicità, proporzionalità e adeguatezza” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 febbraio 2017 n. 746 e Sez. VI, 28 luglio 2017 n. 3789);nella specie, il provvedimento impugnato è stato adottato dall’Amministrazione prescindendo dal rispetto dei suindicati principi di derivazione comunitaria: le cui ricadute implicano che le singole situazioni di carattere privato non possano essere sacrificate al di là di quanto strettamente necessario per il soddisfacimento dell’interesse primario perseguito in concreto, imponendosi alla P.A. di effettuare un giudizio fondato su tre criteri: idoneità, necessarietà e adeguatezza della misura prescelta, parametri che non hanno formato oggetto di considerazione alcuna.
La censura è inammissibile per genericità, non spiegandosi i profili sotto i quali sarebbero stati violati i principi di ragionevolezza e proporzionalità ed, ancor prima, le ragioni di tale violazione.
Inoltre, neppure si individua un preciso vizio di legittimità da cui l’atto sarebbe affetto, ché se poi esso volesse ravvisarsi nel difetto di istruttorio, la censura si appalesa anche infondata.
Con la terza censura è dedotta la violazione di legge (artt. 1 e 3, 7 e 10 bis L. n. 241/90), oltre all’eccesso di potere (per carenza di motivazione, genericità, apoditticità), stante la elusione dei precipui oneri codificati nella legge n. 241 del 1990, in quanto:
- manca(va), in violazione dell’art. 3, L. n.241/90, ed ancor prima dell’art. 1, co. I°, così come integr. dalla L. n. 15/2005, la necessaria specificazione delle ragioni che hanno indotto l’Amm.ne a denegare la chiesta abilitazione, peraltro senza notiziare, in maniera trasparente, prima i ricorrenti sul puntuale percorso argomentativo che chiarisca i motivi ostativi al rilascio del titolo, il metodo, le indagini e le modalità di valutazione seguite dall’Amministrazione che si limitava a pronunciarsi genericamente sulla istanza di parte ricorrente;
- e tale iter logico-giuridico deve essere tanto più chiaro ed esauriente quanto più l’atto va ad incidere negativamente sulla sfera giuridica del destinatario, al fine di garantire al medesimo la tutela dei diritti e degli interessi di cui è titolare, mentre, nella specie, le tracce della lacunosità e della imperscrutabilità dell’iter amministrativo seguito dall’Amministrazione procedente sono quanto mai evidenti e percepibili nel provvedimento di definitivo diniego emanato dal Dirigente che rimanda per relationem al verbale di seduta n. 6 del 2019 reso dalla Commissione Locale per il Paesaggio;sul punto, alla luce degli insegnamenti resi dalla Giurisprudenza, dovendo denunciarsi l’insufficienza della motivazione dell’atto amministrativo operata con l’uso di frasi laconiche e stringate, magari accompagnate dalla citazione di articoli di legge o addirittura riproducendone il testo, quando non si riesca a percepirne il suo legame al caso concreto e, quindi, a comprendere il ragionamento seguito nell’emanare l’atto;
- nella specie, l’Amministrazione è pervenuta ad adottare il provvedimento di diniego, indubbiamente assistito da motivazione erronea e carente per aver dato rilievo a diverse circostanze indimostrate, ultronee e, quel che più conta, del tutto inconferenti ed irrilevanti, prive di adeguato supporto normativo, mentre i riscontri richiamati nella determinazione impugnata, generici, apodittici ed espressi per di più acriticamente, necessitavano per contro una approfondita analisi tale da rendere la massima garanzia di attendibilità.
La censura non coglie nel segno.
Riguardo al lamentato deficit motivazionale, per costante giurisprudenza dalla quale il Collegio non ha motivo per discostarsene, i provvedimenti di repressione degli abusi edilizi sono atti dovuti con carattere essenzialmente vincolato e privi di margini discrezionali (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. III, 22/8/2016, n. 4088). In proposito, secondo condivisa giurisprudenza l'esercizio del potere repressivo delle opere edilizie realizzate in assenza del titolo edilizio mediante l'applicazione della misura ripristinatoria può ritenersi sufficientemente motivato (oltre che con l’indicazione del referente normativo a fondamento del potere esercitato), per effetto della stessa descrizione dell'abuso (Cfr. T.A.R. Napoli, (Campania), sez. VI, 03/08/2016, n. 4017), accertato con atti facenti fede fino a querela di falso, esplicitante in dettaglio la natura e consistenza delle opere abusive riscontrate, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria (Cfr. T.A.R. Napoli, (Campania), sez. VI, 03/08/2016, n. 4017 e C. di S., sez. V, 11 giugno 2013, n. 3235), elementi questi di cui non difetta l’impugnata ordinanza, non essendo necessario, in ogni caso, alcun ulteriore obbligo motivazionale, come il riferimento ad eventuali ragioni di interesse pubblico, dovendo, anzi, quest’ultimo ritenersi sussistente “in re ipsa”.
Nella presente fattispecie, la motivazione, anche se espressa in maniera sintetica e per relationem, è in grado di esprimere tutta la carica di disvalore paesaggistico del parere impugnato.
Come ritenuto da pacifica giurisprudenza, deve ritenersi assolto l’obbligo della motivazione del provvedimento anche quando questa sia esplicitata in maniera succinta a condizione che risulti idonea a disvelare l’iter logico e procedimentale che consenta di inquadrare la fattispecie nell’ipotesi astratta considerata dalla legge.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che sia altresì assolto l’obbligo in argomento anche in presenza di una motivazione per relationem purché: a) le ragioni dell’atto richiamato siano esaurienti;b) l’atto indicato al quale viene fatto riferimento, sia reso disponibile agli interessati;c) non vi siano pareri richiamati che siano in contrasto con altri pareri o determinazioni rese all’interno del medesimo procedimento.
Nel caso di specie, il provvedimento gravato è – contrariamente a quanto sostenuto da controparte – sufficientemente motivato attraverso l’espressa indicazione della norma di legge (art. 167, co. 4 del D. Lgs. n. 42/04) presa a riferimento ai fini del diniego di conformità urbanistica, realizzando tale “rinvio” solo una legittima “economia di scrittura” che non arreca alcun danno perché trattasi di elementi senz’altro noti al ricorrente, anche tenuto conto della puntuale allegazione al provvedimento in questione del verbale n. 3/2019 della Commissione Locale per il Paesaggio.
Per tali motivi va escluso, pertanto, quanto sostenuto da parte ricorrente, non rilevandosi alcun deficit argomentativo, tantomeno la pretesa illegittimità della motivazione per relationem del diniego di conformità urbanistica adottato dall’Ente comunale.
D’altronde, in ragione della funzione di tutela preventiva dei valori anche di rilievo costituzionale, apprestata dal vincolo paesaggistico-ambientale, bastando l’esistenza di un pregiudizio anche soltanto meramente potenziale, è la sua mera apposizione che attua la predetta tutela, mentre arbitraria sarebbe ogni indagine sull’idoneità dell’opera contestata ad incidere in concreto sull’assetto paesaggistico circostante in argomento la giurisprudenza avendo già rilevato che: <<I provvedimenti repressivi di abusi edilizi non abbisognano di una specifica e diffusa motivazione, bastando al riguardo un ampio riferimento alle norme violate, nonché un adeguato e analitico richiamo di tutti i vincoli, paesaggistico - ambientali e di rischio sismico, nonché del fondamentale e corretto assunto circa l'insussistenza di un permesso di costruire >>(T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 22/10/2015, n. 4968);nella specie, l’area dove sorge l’opera è soggetta ai vincoli paesaggistici per la qual cosa sia il Comune che la Soprintendenza hanno ritenuto necessario il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistico-ambientale ai sensi dell’art. 146 del D.L. vo 42/2004.
In definitiva, il ricorso introduttivo si appalesa infondato e va, quindi, respinto.
Esaurita la disamina della fase “ascendente” del complesso procedimento di verifica della compatibilità paesaggistica delineato dall’art. 146 del D.L. vo 42/2004, si passa alla trattazione dei motivi aggiunti con i quali vengono censurati gli atti inerenti alla fase “discendente” della predetta procedura: parere soprintendentizio n. 14011 del 9.10.2019 e consequenziale determinazione comunale prot. n. 4253 del 9.11.2019 di definitivo diniego di autorizzazione paesaggistica.
Anche siffatti motivi sono infondati
Con la prima censura è dedotto l’eccesso di potere (per inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto, difetto assoluto di istruttoria, violazione dell’allegato A al d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, sviamento di potere), al riguardo rilevandosi che:
- l’Autorità ministeriale nel riscontrare la richiesta di compatibilità paesaggistica oblitera(va) la circostanza secondo cui l’immobile, edificato in virtù del permesso di costruire n. 7 del 22.3.2003, allo stato non risulta completato, atteso che, dopo aver realizzato le fondamenta in sede di ristrutturazione integrale del manufatto, in ossequio alla vigente normativa antisismica, il ricorrente, nel mentre si accingeva a sistemare l’area esterna riportando il terreno vegetazionale e ricoprire le stesse (fondamenta), subiva il sequestro penale del cantiere;
- ne consegue che, ciò che appare “attualmente” agli occhi del Soprintendente è soltanto all’apparenza un immobile articolato su due livelli;tuttavia, la parte seminterrata chiusa su tre lati neanche collegata con l’unico piano sovrastante necessita di completamento sul lato ancora aperto mediante il previsto riporto del terreno per uniformare i livelli dell’area esterna di campagna, così come contemplato originariamente nel permesso di costruire n. 7 del 2013 (la cui efficacia è scaduta nelle more del dissequestro penale);
- quindi, una volta completato l’intervento ciò che risulterà sarà un unico piano originario e la sistemazione esterna dell’area occluderà anche l’unica parte ancora scoperta;Il risultano finale non è il primo piano ed un seminterrato emergente dal piano di campagna come impropriamente dedotto, per modo che non è riscontrabile alcun incremento di superfice o volume utile bensì esclusivamente il ripristino dell’area esterna conformemente alla morfologia originaria dei luoghi lasciato incompiuto;quanto al locale tecnico che ospita i macchinari (caldaia, botte con autoclave
ecc.) lo stesso non risulta fuori terra, come comprovato dalla allegata perizia tecnica di parte;
- l’ampliamento non sarebbe, in ogni caso, soggetto ad autorizzazione paesaggistica in base al punto A31 dell’allegato A al D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 che esenta da tale titolo le “opere ed interventi edilizi eseguiti in variante a progetti autorizzati ai fini paesaggistici che non eccedano il due per cento delle misure progettuali quanto ad altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta o traslazioni dell'area di sedime”;i locali tecnici invece non sarebbero assoggettati a autorizzazione paesaggistica in base al punto A5 che esonera da titolo gli: “impianti tecnologici esterni a servizio di singoli edifici non soggetti ad alcun titolo abilitativo edilizio, quali condizionatori e impianti di climatizzazione dotati di unità esterna, caldaie, parabole, antenne, purché effettuate su prospetti secondari, o in spazi pertinenziali interni, o in posizioni comunque non visibili dallo spazio pubblico, o purché si tratti di impianti integrati nella configurazione esterna degli edifici, ed a condizione che tali installazioni non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a), b) e c) limitatamente, per quest'ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l'edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici”.
La censura non coglie nel segno.
Si impongono brevi cenni sulla natura dei poteri esercitati dalla Soprintendenza (anche in rapporto alla determinazione finale assunta dal Comune), alla luce della entrata in vigore, a far data daI 1° gennaio 2010, della nuova procedura contemplata dall’art. 146, che dopo aver precisato al comma 4, che l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio (Fuori dai casi di cui all' articolo 167 , commi 4 e 5, l'autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi), al successivo comma 5, prevede che: <<