TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2019-12-05, n. 201913923
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Pubblicato il 05/12/2019
N. 13923/2019 REG.PROV.COLL.
N. 09111/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9111 del 2010, proposto da
C B, D S G, C C e P R, nonché D M F, C L e C G, questi ultimi in qualità di eredi di C A, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati L M e Marco D'Agostino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marco D'Agostino in Roma, via Oslavia, 28;
contro
Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. E P, domiciliataria in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
nei confronti
Associazione Agraria di Civitavecchia, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento della Direzione Regionale Agricoltura Area Territoriale Rurale, Credito del 21 luglio 2010, prot. 127231/D3/3D/26, notificato il 27 luglio 2010, con il quale è stata rigettata l'opposizione, ex art. 15 r.d. n.332/1928, avverso la "relazione di rivalutazione relativa alla proposta di legittimazione di terreni (demaniali gravati da uso civico) ricadenti nel comprensorio turistico - termale" del 9 marzo 2010;
della "relazione di rivalutazione alla proposta di legittimazione di terreni ricadenti nel comprensorio turistico - termale" del 9 marzo 2010 redatta dal Perito Demaniale, della nota della Regione Lazio del 4 febbraio 2010, prot. n. 20164-D3-3D-26 e di ogni altro atto indicato nell'epigrafe del ricorso;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2019 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I Sig. ri Buratti Carlo, De Sciciolo Graziano, C C, C A e P R, occupatori dei terreni demaniali gravati da uso civico siti nel Comune di Civitavecchia, località Banditella, in data 28 aprile 2010 presentavano ricorso in opposizione alla Regione Lazio avverso la determinazione con cui la Regione Lazio incaricava il perito demaniale R di porre in essere un nuovo progetto di legittimazione nell’ambito della procedura di legittimazione e seguente affrancazione afferente i suddetti terreni, progetto notificato ai ricorrenti in data 1 aprile 2010.
Gli odierni ricorrenti chiedevano in quella sede, in via principale, che venisse dichiarata la legittimazione dell’occupazione in oggetto alla stregua del primo progetto R a definitivo accoglimento dell’istanza di legittimazione formulata in data 9 gennaio 2009 e riformulata in data 10 luglio 2009, anche per ciò che riguardava l’affrancazione, ricorrendone tutte le condizioni di fatto e di diritto ed in via subordinata, qualora si fosse ritenuto di applicare la rivalutazione di cui al secondo progetto R, determinare un’equa riduzione del canone annuo e del capitale di affrancazione anche in via conciliativa e transattiva.
Rappresentavano infatti i ricorrenti la definitività del procedimento di legittimazione e affrancazione, atteso che il perito demaniale aveva già redatto un progetto di legittimazione in cui erano state accertate la regolarità del pagamento dei canoni annui da parte dei quotisti, la valenza sociale delle occupazioni e si era proceduto a calcolare il valore dei terreni ed il seguente capitale di affrancazione sulla base dei valori agricoli medi (V.A.M.) e che, dunque, ai sensi dell’art. 15 r. d. n. 332 del 1928, non essendo intervenute opposizioni entro trenta giorni dalla pubblicazione del progetto di legittimazione – atteso che l’unica opposizione intervenuta era quella tardiva dell’A.A.C. - il Commissario (oggi Regione Lazio a seguito dell’attribuzione delle relative competenze) avrebbe dovuto rendere esecutivo il progetto.
La determinazione della Regione Lazio volta a conferire al perito demaniale l’incarico a predisporre un nuovo progetto di legittimazione, a fronte dell’approvazione di una variante del PRG, doveva dirsi pertanto illegittima per violazione dei principi di irretroattività dell’azione amministrativa e lesione del legittimo affidamento.
Deducevano inoltre i ricorrenti che, qualora l’Amministrazione avesse rivalutato il progetto alla luce di un potere di autotutela, ai sensi dell’art. 25 quinquies della l. n. 241/1990 avrebbe dovuto riconoscere in favore dei medesimi un indennizzo a fronte del pregiudizio economico sofferto dai ricorrenti.
Con provvedimento prot. n. 127231/D3/3D/26 adottato il 21 luglio 2010, notificato in data 27 luglio 2010, la Direzione Regionale Agricoltura Area Territorio Rurale Credito rigettava l’opposizione, rappresentando che il procedimento di legittimazione e seguente affrancazione doveva dirsi discrezionale e che dunque, a fronte della sopravvenienza di un interesse pubblico, quale quello a conseguire una maggiore utilità a seguito della edificabilità dei terreni disposta con la nuova variante al PRG, l’Amministrazione avrebbe potuto compiere un supplemento di indagine e che, a seguito dell’intervenuto mutamento di destinazione dei terreni in questione, l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere a revocare in autotutela il procedimento, atteso che i ricorrenti, per acquisire la titolarità dei terreni in questione, avrebbero dovuto agire con le procedure di cui all’art. 8 della l. n. 6 del 2005, che prevede che il prezzo di stima dei beni si calcoli tenendo conto del valore attuale di mercato. La Regione insisteva dunque nell’affermare la legittimità dell’esercizio del proprio ius poenitendi, rigettando anche la richiesta di indennizzo stante la qualifica di occupatori in mala fede dei ricorrenti e rimaneva in attesa delle determinazioni dell’Associazione Agraria Civitavecchia in merito alla soluzione transattiva della controversia.
Con lettera del 27 settembre 2010 la Regione Lazio chiedeva ai ricorrenti di aderire al secondo progetto provvedendo al pagamento delle differenze rispetto a quanto già versato, o in alternativa disponeva che l’A.A.C. avrebbe dovuto restituire le somme già versate dai ricorrenti.
In data 19 ottobre 2010 i ricorrenti notificavano alla Regione Lazio il ricorso che viene in decisione, chiedendo l’annullamento, previa sospensione di efficacia, del provvedimento prot. n. 127231/D3/3D/26 notificato in data 27 luglio 2010 con cui la Direzione Regionale Agricoltura Area Territorio Rurale Credito aveva rigettato l’opposizione avverso la relazione di rivalutazione, nonché di ogni altro atto presupposto, compresa la relazione di rivalutazione del 9 marzo 2010 redatta dal perito demaniale R, nonché la nota della Regione Lazio del 4 febbraio 2010 prot. n. 20164/D3/3D/26 con cui era stata disposta la rideterminazione del valore dei fondi oggetto di legittimazione, di ogni altro atto conseguente e comunque connesso, compresa la nota della Regione Lazio del 27 settembre 2010 prot. n. 168261 con cui è stato chiesto agli odierni ricorrenti il pagamento della parte restante del capitale di affrancazione;nonché il riconoscimento dei requisiti per l’accoglimento delle istanze di legittimazione e contestuale affrancazione formulate dai ricorrenti in relazione al primo progetto di legittimazione.
I ricorrenti sollevavano tre motivi di illegittimità.
Con il primo motivo deducevano la violazione, erronea e falsa applicazione dell’art. 15 del R.D. n. 332 del 1928, nonché la violazione, erronea e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies e nonies della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti, contraddittorietà ed illogicità della motivazione e del provvedimento, violazione degli artt. 3 e 10 bis della l. n. 241 del 1990, atteso che il progetto sarebbe divenuto esecutivo a seguito dei pagamenti ad opera dei ricorrenti ed il procedimento si sarebbe concluso con il rigetto dell’opposizione dell’A.A.C., risultando dunque illegittima una nuova istruttoria. Rappresentavano inoltre i ricorrenti che solo un mutamento delle condizioni di fatto e/o giuridiche avrebbe legittimato una diversa valutazione dell’interesse pubblico, nel caso di specie non avvenuto, deducendo dunque l’insussistenza dei presupposti legali della autotutela e della revoca. Asserivano i ricorrenti che, qualora un mutamento ci fosse stato, il provvedimento di rigetto della Regione Lazio avrebbe dovuto indicare specificamente le motivazioni addotte, nonché essere preceduto da una comunicazione dei motivi di diniego con la fissazione di un termine per presentare osservazioni e controdeduzioni.
Con il secondo motivo, censuravano la violazione dell’art. 21 quinquies e nonies della l. n. 241/1990, in relazione al rigetto della richiesta di indennizzo che, a detta dei ricorrenti, avrebbe dovuto poggiare sul bilanciamento tra i poteri di autotutela dell’Amministrazione e il principio di affidamento dei privati, atteso il pregiudizio economico sofferto dai ricorrenti, stante la frustrazione delle aspettative maturate con l’avvenuto pagamento del capitale di affrancazione ed il decorso del termine per proporre opposizione.
Con il terzo motivo, deducevano la violazione del principio di irretroattività dell’azione amministrativa, atteso che la Regione avrebbe perso la discrezionalità, non potendo comportare la variante al PRG, peraltro asseritamente tenuta in considerazione nella determinazione dei canoni, la decadenza dei precedenti atti.
Con atto formale depositato in data 4 novembre 2010 si costituiva in giudizio la Regione Lazio, depositando successiva memoria con cui chiedeva il rigetto dell’istanza cautelare, nonché il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto, con vittoria di spese e competenze di lite, atteso che la variante del PRG avrebbe fatto venire meno il carattere agricolo dell’area oggetto del progetto di legittimazione, con la sopravvenienza di un superiore interesse pubblico ad un supplemento di istruttoria, stante la modificazione economica del valore dell’area de qua, nonché attesa la mancata conclusione del procedimento di affrancazione che avrebbe legittimato l’esercizio dello ius poenitendi della Regione, non legittimante alcun riconoscimento di indennizzo in capo ai ricorrenti usurpatori in mala fede.
All’udienza in Camera di Consiglio del 16 dicembre 2010 la parte ricorrente rinunciava alla richiesta di sospensiva.
Nelle more della trattazione di merito, essendo deceduto il signor A C, gli eredi del defunto si costituivano per la prosecuzione del giudizio, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Con ulteriore memoria, i ricorrenti insistevano per l’accoglimento delle già rassegnate conclusioni.
All’udienza pubblica del 21 maggio 2019 la trattazione della causa era rinviata alla pubblica udienza del 26 novembre 2019, su richiesta di parte ricorrente, cui non si opponeva la difesa regionale, essendo in corso la definizione del giudizio in via conciliativa.
All’udienza pubblica del 26 novembre 2019 le parti chiedevano il passaggio in decisione della causa, per cui il ricorso veniva deciso.
DIRITTO
I ricorrenti sono da oltre un ventennio occupanti di alcuni terreni siti in Civitavecchia, località Banditella, ricadenti nel Comprensorio Turistico Termale della Variante di P.R.G. di proprietà dell’Associazione Agraria di Civitavecchia.
In seguito alla domanda di legittimazione, presentata all’inizio dell’anno 2009, l’associazione Agraria di Civitavecchia ha comunicato agli interessati, nel luglio del 2009, ai sensi e per gli effetti degli articoli 15 e 16 del R.D. 26.02.1928 n. 332, una proposta di legittimazione, a loro favore, delle occupazioni di terreni demaniali gravati da uso civico.
La legge 16 giugno 1927, numero 1766 “Conversione in legge del R.D. 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R.D. 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l'art. 26 del R.D. 22 maggio 1924, n. 751, e del R.D. 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall'art. 2 del R.D.L. 22 maggio 1924, n. 751” all’articolo 9 prevede che “Qualora sulle terre di uso civico appartenenti ai Comuni, alle frazioni ed alle associazioni o ad esse pervenute per effetto della liquidazione dei diritti di cui all'art. l siano avvenute occupazioni, queste, su domanda degli occupatori, potranno essere legittimate, sempre che concorrano unitamente le seguenti condizioni:
a) che l'occupatore vi abbia apportato sostanziali e permanenti migliorie;
b) che la zona occupata non interrompa la continuità dei terreni;
c) che l'occupazione duri almeno da dieci anni.”
Il procedimento di legittimazione è disciplinato dal regio decreto 26/02/1928, n. 332,
“Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno” che, al Capo IV - Legittimazione e reintegra delle occupazioni, così dispone: Art. 25: “Sono soggette all'applicazione degli articoli 9 e 10 della legge le terre di origine comune o provenienti da affrancazione di uso civico da chiunque possedute per le quali manchi il titolo”
L’art. 29 del regolamento prevede che “Qualora il Commissario regionale abbia ritenuto disporre la verifica delle occupazioni delle terre comuni o demani comunali si procederà anzitutto alla ricognizione dei fondi ed alla loro circoscrizione in base ai documenti e piante, e solamente in difetto di documenti originari si potrà supplire con le notizie desunte dai catasti antichi e recenti e con quelle fornite da indicatori locali.
Precisata la consistenza del fondo nei suoi confini esterni, il perito rileverà tutti i possessori in esso esistenti, e, col confronto degli atti delle precedenti legittimazioni, quotizzazioni e censuazioni ritualmente eseguite, distinguerà i possessi legittimi dalle arbitrarie occupazioni. Di queste ultime redigerà uno stato indicante il nome, cognome e domicilio dell'occupatore, l'estensione occupata, le migliorie introdottevi e farà la proposta del canone da imporre, ai termini dell'art. 10 della legge, sulle terre rispetto alle quali concorrano i requisiti per la legittimazione. Per le terre che dovranno essere reintegrate accerterà pure la misura dei frutti indebitamente percepiti da restituire al Comune od all'Associazione agraria”.
Il successivo art. 30 prescrive che “Gli atti istruttori così formati saranno sottoposti all'esame del Commissario, che, previa rettifica nel caso non li riconosca regolari, disporrà il deposito di essi presso la segreteria del Comune o della Associazione agraria, la pubblicazione del bando e la notificazione agli interessati ai termini dell'art. 15 del regolamento.
Contro le operazioni come sopra fatte potranno proporre opposizioni il Comune, l'Associazione agraria ed i possessori delle terre nei termini indicati dal suddetto articolo.
I possessori inoltre nei termini medesimi potranno presentare al Commissario o la domanda di legittimazione, ovvero la dichiarazione di bonario rilascio delle terre occupate.”
Per il seguente art. 31 “Il Commissario provvederà a norma di legge sulle opposizioni e sulle domande di legittimazione.”
L’art. 33 prevede che “I canoni imposti in applicazione degli articoli 7 e 10 della legge possono essere affrancati anche all'atto stesso della conciliazione o della legittimazione ed il capitale di affrancazione resterà vincolato ai termini dell'art. 24 della legge stessa”.
Affrancazione disciplinata dal Capo II del Regolamento che, all’art. 15, così dispone: “Il Commissario può incaricare uno dei suoi assessori od istruttori della formazione di un progetto di liquidazione dei diritti di cui all'art. 1 della legge.
Il progetto, con le eventuali modificazioni che il Commissario crederà apportarvi, dovrà essere depositato nella segreteria del Comune o dell'Associazione agraria del luogo dove sono situate le terre e tutti gl'interessati avranno diritto di prenderne visione.
Del deposito sarà dato avviso mediante bando da affiggersi all'albo pretorio e con la notificazione per biglietto in carta libera ai singoli interessati per mezzo del messo addetto all'ufficio di conciliazione.
Hanno diritto di opporsi al progetto il Comune o l'Associazione agraria nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione del bando ed i possessori delle terre su cui si pretendono i diritti di uso civico entro trenta giorni dalle rispettive notificazioni.
Se entro i termini stabiliti non siano pervenute opposizioni al Commissario, questi con suo decreto renderà esecutivo il progetto.
Se invece saranno fatte opposizioni, il Commissario provvederà per la risoluzione di esse in contenzioso e potrà rendere esecutivo il progetto nelle parti non impugnate.”
Con il trasferimento alle Regioni delle relative funzioni amministrative, il Commissario per gli usi civici ha conservato le sole funzioni giurisdizionali, essendo subentrata l’autorità regionale in tutte le suddette funzioni amministrative, tra le quali sono comprese le legittimazioni delle occupazioni delle terre di uso civico.
Nel caso controverso, con un primo progetto di legittimazione, ravvisandosi le condizioni stabilite dall’art. 9 della Legge n. 1756 del 1927, è stata proposta la legittimazione delle occupazioni e l’affrancazione dei terreni mediante il pagamento di determinate somme di denaro, in unica soluzione a titolo di capitale di affrancazione, corrispondente al canone enfiteutico capitalizzato.
Tale prima proposta di legittimazione, valorizzata nell’ambito di un progetto redatto il 28 aprile 2009 dal perito regionale, è stata opposta, tardivamente, dall’Associazione Agraria di Civitavecchia, rappresentante della titolarità degli usi civici.
L’Amministrazione regionale, pur rigettando l’opposizione dell’Associazione agraria, in quanto tardiva, ha disposto una nuova perizia di stima dei terreni oggetto di legittimazione che ha determinato la redazione di un secondo progetto.
Il secondo progetto di legittimazione è stato contestato dai ricorrenti, dapprima con un ricorso amministrativo e, in seguito al rigetto del ricorso in opposizione, con il ricorso giurisdizionale che viene in decisione.
Il provvedimento impugnato, adottato dalla Regione il 21 luglio 2010 notificato agli interessati il 27 luglio 2010 reca, appunto, il rigetto del ricorso in opposizione.
Il rigetto è motivato con la discrezionalità amministrativa riconosciuta dall’articolo 9 e seguenti della legge numero 1766 del 1927 in merito alla legittimazione delle occupazioni illegittime di terreni demaniali civici, essendo sopravvenuto il mutamento della destinazione d’uso dei terreni.
Infatti, sebbene tardive, le opposizioni dell’associazione agraria di Civitavecchia sarebbero state sostanzialmente condivise dall’Amministrazione regionale. Pertanto, nell’esercizio del potere di controllo e in fase istruttoria, la Regione avrebbe proceduto ad un supplemento di indagine. Nel primo progetto di legittimazione, il tecnico avrebbe tenuto conto della delibera del consiglio comunale numero 37 del 2002 di adozione della variante al piano regolatore generale, ma avrebbe considerato non modificata la destinazione urbanistica delle quote di terreni, in quanto la variante risultava adottata solamente e non ancora approvata. Con la successiva approvazione della variante al piano regolatore generale, con delibera di giunta regionale numero 499 del 6 luglio 2009, il procedimento di legittimazione in corso avrebbe dovuto essere revocato in autotutela, essendo venuto meno il carattere agricolo dei terreni interessati dalla legittimazione. Di conseguenza, il prezzo base dei fondi avrebbe dovuto corrispondere al valore attuale di mercato.
Con il primo motivo di impugnazione, i ricorrenti censurano il provvedimento della Direzione regionale agricoltura, notificato il 27 luglio 2010, con cui è stata rigettata l’opposizione ex articolo 15 del regio decreto numero 332 del 1928 avverso la relazione di rivalutazione relativa alla proposta di legittimazione di terreni demaniali gravati da uso civico ricadenti nel comprensorio turistico-termale.
Ad avviso dei ricorrenti, in applicazione dell’articolo 15 del regio decreto 26 febbraio 1928, numero 332, la scadenza dei termini per le opposizioni avrebbe dovuto obbligare l’autorità competente a rendere esecutivo il progetto con proprio decreto. Il procedimento di legittimazione si sarebbe completamente esaurito, il progetto redatto dal tecnico architettonico sarebbe divenuto definitivo non essendo stata perfezionata nei termini di legge alcuna opposizione. Il rigetto dell’opposizione proposta dalla associazione agraria di Civitavecchia confermerebbe l’esaurimento del procedimento di legittimazione e affrancazione. La Regione Lazio, quindi, non avrebbe potuto esercitare un potere di controllo in fase istruttoria. Essa stessa, nel respingere l’opposizione dei ricorrenti, dichiara di aver esercitato il potere di revoca in autotutela. Ma il termine di 30 giorni dalla pubblicazione dell’elaborato, fissato dall’articolo 15, commi 4 e 5 del regio decreto 332 del 1928, sarebbe perentorio, obbligando l’autorità amministrativa a rendere esecutivo il progetto con proprio decreto. Mancherebbero comunque i presupposti della revoca, non essendo intervenuta alcuna modificazione sostanziale di terreni tra il primo progetto dell’architetto R in data 28 aprile 2009 e il secondo progetto dell’architetto R in data 9 marzo 2010;la variante di piano regolatore generale, adottata nel 2002 e approvata il 6 luglio 2009, sarebbe stata già presa in considerazione nel primo progetto. Il criterio di determinazione del canone di affrancazione sarebbe immodificato, l’indice di edificabilità sarebbe rimasto sostanzialmente identico, non risulterebbe motivato il nuovo maggior valore attribuito ai terreni. Infine, non sarebbe stato comunicato il preavviso di rigetto, in violazione dell’articolo 10 bis della legge sul procedimento amministrativo.
Il motivo è fondato, nei limiti di seguito specificati.
Con la scadenza del termine legale di pubblicità del progetto di legittimazione, ai sensi dell’articolo 15, comma quinto, del regio decreto numero 332 del 1928, l’autorità procedente, in mancanza di opposizioni, sarebbe stata obbligata a rendere esecutivo il progetto con proprio decreto.
Solo nel caso fossero pervenute, tempestivamente, opposizioni, la stessa autorità, in applicazione del comma sesto del richiamato articolo 15, avrebbe dovuto procedere alla risoluzione delle opposizioni in contenzioso.
Contraddittoriamente, l’Amministrazione regionale, pur ritenendo tardiva l’opposizione presentata dall’associazione controinteressata, non ha adottato il provvedimento integrativo dell’efficacia del progetto di legittimazione, ma ha disposto un supplemento di istruttoria.
Si deve ritenere, quindi, che l’Amministrazione abbia esercitato il potere di autotutela, riaprendo un procedimento amministrativo oramai concluso e disponendo un supplemento di indagine, avendo ravvisato un mutamento delle condizioni giuridiche dei terreni, in misura tale da incidere sulla opportunità del provvedimento risultante dal primo procedimento, per ragioni di pubblico interesse.
A giudizio del Collegio, per la risoluzione della controversia, devono essere precisate le condizioni legittimanti l’esercizio del potere di revoca, in autotutela, di un provvedimento amministrativo perfezionato, in quanto mancante del solo decreto di esecutività, qualificabile come atto integrativo dell’efficacia.
In relazione ai diversi profili di praticabilità del potere di revoca dei provvedimenti amministrativi, non meno che ai sottesi impegni giustificativi gravanti sull'Amministrazione, l'art. 21 quinquies, l. 7 agosto 1990, n. 241 impone di distinguere tra: a) revoca per sopravvenienza di interessi, ammessa senza particolari limiti (ex art. 97 Cost., avuto riguardo al necessario e dinamico adeguamento dell'azione amministrativa alla salvaguardia del pubblico interesse);b) revoca per sopravvenienza di norme, non codificata ma implicita nella clausola rebus sic stantibus;c) revoca per sopravvenienza di fatti, ora ammessa solo in caso di imprevedibilità del mutamento della situazione fattuale sussistente al momento di adozione del provvedimento;d) revoca penitenziale, esclusa per i provvedimenti di matrice autorizzatoria e per quelli attributivi di vantaggi economici (Consiglio di Stato, sez. V , 19/02/2018 , n. 1036).
Applicando i principi appena richiamati al caso specifico, si deve ritenere che la revoca sia intervenuta per un fatto sopravvenuto, ravvisabile nel mutamento di destinazione d’uso dei terreni.
Affinché il potere di revoca sia esercitato legittimamente, peraltro, è necessario che il fatto sopravvenuto fosse imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento revocato.
Inoltre, per costante e condivisibile giurisprudenza (T.A.R. Lazio, Roma. sez. I, 03/04/2018, n. 3646) un'esegesi e un'applicazione della disposizione di cui all'art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990 che siano coerenti con i principi generali dell'ordinamento di tutela della buona fede, di lealtà nei rapporti tra privati e P.A e del buon andamento dell'azione amministrativa (che ne implica, a sua volta, l'imparzialità e la proporzionalità) impongono la lettura e l'attuazione della norma secondo i canoni stringenti enunciati dalla giurisprudenza: a) la revisione dell'assetto di interessi recato dall'atto originario deve essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell'atto che si intende revocare;b) non è sufficiente, per legittimare la revoca, un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell'emanazione dell'atto originario;c) le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l'intensità dell'interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell'atto originario;d) la motivazione della revoca deve essere profonda e convincente, nell'esplicitare non solo i contenuti della nuova valutazione dell'interesse pubblico, ma anche la sua prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole. A differenza del potere di annullamento d'ufficio, che postula l'illegittimità dell'atto rimosso d'ufficio, quello di revoca esige, infatti, solo una valutazione di opportunità, seppur ancorata alle condizioni legittimanti dettagliate all'art. 21 quinquies sicché il valido esercizio dello stesso resta, comunque, rimesso a un apprezzamento ampiamente discrezionale dell'Amministrazione procedente.
Nel caso di specie, si può dubitare fondatamente della imprevedibilità della sopravvenienza, trattandosi di una variante di piano regolatore generale già adottata in attesa dell’approvazione.
Si deve certamente escludere, comunque, che la revisione del precedente progetto di legittimazione sia stata preceduta dal necessario confronto procedimentale con gli interessati, non essendo stato nemmeno comunicato l’avvio del procedimento di riesame.
Ammesso che un fatto rilevante, in termini di opportunità del provvedimento, possa sopravvenire anche successivamente al perfezionamento del progetto di legittimazione, affinché il potere di revoca sia esercitato legittimamente, è indispensabile il coinvolgimento dei soggetti che ne possono subire un pregiudizio, in modo che questi possano presentare osservazioni.
Non vi è dubbio che, sebbene il procedimento non si fosse concluso con il decreto di esecutività, i ricorrenti vantavano comunque un interesse all’emissione del provvedimento finale, meramente ricognitivo della sussistenza delle condizioni previste dalla legge (ovvero deposito somma di affrancazione e progetto di legittimazione).
Pertanto, la Regione, non coinvolgendo gli interessati ha violato i principi di partecipazione sanciti dalla legge n. 241/1990
In conclusione, il ricorso deve essere accolto, per violazione delle garanzie procedimentali necessarie per l’avvio di un procedimento di revoca.
Espletato il necessario confronto in contraddittorio con le controparti, l’autorità procedente potrà esercitare nuovamente la propria discrezionalità tecnica, ma attenendosi ai parametri in precedenza precisati delimitanti l’esercizio del potere di revoca.
Per completezza di trattazione devono essere esaminati gli ulteriori motivi di impugnazione.
Con il 2º motivo i ricorrenti deducono violazione dell’articolo 21 quinquies della legge sul procedimento amministrativo per omessa previsione dell’indennizzo, incidendo la revoca su un rapporto ad efficacia durevole e la violazione dell’articolo 21 nonies per violazione del principio dell’affidamento.
Il motivo è inammissibile, per difetto di interesse.
Essendo stata accertata la illegittimità del provvedimento di revoca, i ricorrenti non hanno alcun interesse a chiedere l’indennizzo, eventualmente configurabile sul presupposto della legittimità dell’atto impugnato.
Con il 3º motivo, infine, deducono violazione del principio di irretroattività dell’azione amministrativa, intervenendo il provvedimento amministrativo impugnato su un rapporto giuridico già regolato da precedente provvedimento.
Il motivo, così come proposto, è infondato, non essendo astrattamente impedito alla pubblica amministrazione di intervenire, mediante l’esercizio del potere di autotutela decisoria, su un rapporto giuridico già determinato da un precedente provvedimento di primo grado, oltre tutto, nel caso specifico, non ancora efficace.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, devono essere annullati i provvedimenti impugnati.
Le spese processuali, tenuto conto della particolare complessità della fattispecie, devono essere interamente compensate tra le parti.