TAR Torino, sez. I, sentenza 2010-07-02, n. 201002982
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N. 02982/2010 REG.SEN.
N. 01248/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1248 del 2009, proposto da:
A M, P M, rappresentate e difese dall'avv. U D, con domicilio eletto presso l’avv. Maurizio Pittaluga in Torino, via Duchessa Jolanda, 7;
contro
Regione Piemonte, rappresentata e difesa dall'avv. I C, con domicilio eletto presso la stessa in Torino, piazza Castello, 165;Comune di San Pietro Mosezzo;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
della delibera di Giunta Regionale della Regione Piemonte n. 31-11859 del 28.7.2009 di approvazione del Nuovo Piano Regolatore Generale Comunale del Comune di San Pietro Mosezzo (NO);
tutti gli atti presupposti, consequenziali e connessi.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Piemonte;
Esaminate le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'Udienza pubblica del giorno 17 giugno 2010 il Referendario Avv. A G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1. Le ricorrente allegano di essere proprietarie di un terreno nel Comune di S. Pietro Mosezzo, prospiciente via Umberto I, foglio 8, mapp. 243, il quale riceveva destinazione residenziale e conseguente capacità edificatoria con da delibera di Consiglio comunale n. 38/2006 .
La Regione, in sede di approvazione dello strumento urbanistico comunale, con nota del 29.4.2008 (doc. 4 ricorrenti) richiedeva all’Ente locale di eliminare la predetta destinazione relativamente all’area delle deducenti, per un asserito sovradimensionamento del fabbisogno abitativo connesso all’incremento della popolazione residente
Con deliberazione consiliare n.15 del 25.8.2008 (doc. 5 ricorrenti) il Comune respingeva con argomentate controdeduzioni le suindicate richieste regionali, sulla scorta di una doviziosa relazione tecnica del professionista urbanista nonché della geologa incaricati.
Malgrado siffatte analitiche controdeduzioni, la Regione procedeva all’introduzione d’ufficio, con l’impugnata deliberazione di G.R. n. 31/2009, delle modifiche al PRG del Comune di S Pietro con cui approvava il PRG subordinatamente ad una serie di rilevanti modifiche apportate dichiaratamente “ex officio” e dettagliate in un Allegato “A” in data 3.7.2009 formante parte integrante della deliberazione di approvazione.
In tale allegato si precisava che “si intendono stralciate e ricondotte alla destinazione dello Strumento Urbanistico Generale vigente le seguenti aree: (…) - area residenziale di nuovo impianto assoggettata a pianificazione esecutiva, normale alla via Umberto I ed interposta tra le due rogge (Peltrenga)”, ovverosia i terreni di proprietà delle ricorrenti.
1.2. Alla Camera di Consiglio del 18.12.2009 la Sezione accoglieva la domanda cautelare motivando diffusamente, con l’Ordinanza n. 1002/2009, la sussistenza del fumus boni iuris.
1.3. Si costituiva in giudizio la Regione Piemonte con atto formale e produzione documentale del 13.4.2010, cui seguiva deposito di altri documenti il 19.5.2010.
L’Amministrazione appellava al Consiglio di Stato la suddetta decisione cautelare e il Giudice d’appello accoglieva il gravame, “ritenuto di poter individuare, nel complesso del procedimento, i necessari riferimenti normativi per i quali la destinazione residenziale delle aree degli appellati è stata oggetto di stralcio” (Cons. di Stato, IV, Ord. 5.5.2010, n. 2036).
Entrambe le parti producevano la rispettiva memoria per il merito in data 4.6.2010 e alla pubblica Udienza del 17.6.2010, udita la discussione dei patroni delle parti e la Relazione del Referendario Avv. A G, il ricorso è stato ritenuto in decisione..
2.1. Il gravame è affidato a due motivi, arricchiti dalle deduzioni spiegate nella memoria del 4.6.2010.
Con il primo mezzo le ricorrenti rubricano la violazione degli artt. 10 della L. n. 1150/1942 e 15 della L. Reg. Piemonte n. 56/1977 nonché eccesso di potere per sviamento, lamentando che le modifiche introdotte “ex officio” dalla Regione con la delibera impugnata, e dettagliate nell’Allegato “A” del 3.7.2009 violano l’art. 15 della L. Reg. n. 56/1977 il quale consente alla Regione di apportare d’ufficio al PRG in corso di approvazione solo “modifiche riguardanti correzioni di errori, chiarimenti su singole prescrizioni e adeguamenti a norme di legge”.
Del pari infranto è per le deducenti l’art. 10 della legge urbanistica fondamentale, che alle lettere dalla a) alla d) consente alla Regione di apportare solo le modifiche necessarie ad assicurare il rispetto delle prescrizioni del piano territoriale di coordinamento, la razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti di interesse statale, la tutela del paesaggio, di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici e l’osservanza dei limiti di cui agli artt. 41-quinques, sesto e ottavo comma e 41-sexies della stessa legge.
Per le ricorrenti esulerebbero dai delineati circoscritti ambiti le sostanziali modifiche d’ufficio introdotte al PRGC del Comune di S. Pietro dalla Giunta regionale con l’impugnata deliberazione.
Rilevano ulteriormente come nello stralciare l’area di loro proprietà, prospiciente via Umberto I, la Regione non abbia minimamente motivato le non meglio precisate “problematiche idrogeologiche” di cui è cenno nelle osservazioni regionali di cui alla nota del 29.4.2009 (doc. 4 ricorrenti), alle quali, invece, il Comune aveva puntualmente controdedotto con le controdeduzioni approvate con la delibera n. 15/2008 (pag. 29).
2.2.1. La censura si presta a favorevole considerazione e va, pertanto, accolta.
Pur con la doverosa considerazione della tesi espressa dal Consiglio di Stato con l’Ordinanza cautelare del 5.5.2010 sopra riportata, la Sezione deve ribadire la valutazione di fondatezza del gravame enunciata con l’Ordinanza n. 1002/2009 oggetto di riforma ad opera della predetta decisione cautelare di secondo grado.
La decisione cautelare d’appello, invero, sembra arrestarsi al rilievo secondo cui agli atti del procedimento risulterebbero apprezzabili i necessari riferimenti normativi in forza dei quali la destinazione residenziale delle aree delle attuali ricorrenti è stata oggetto di stralcio.
2.2.2. Il Collegio, condividendo in pieno le argomentazioni giuridiche sottese al decisum cautelare del Consiglio di Stato e in particolare la ritenuta ammissibilità dell’istituto dello stralcio – peraltro discusso in giurisprudenza - ritiene, invece, di dover compiere una più approfondita valutazione intorno alla vicenda giuridico – fattuale posta alla sua attenzione, onde acclarare se nel caso all’esame si sia al cospetto di un consentito, per quanto discutibile, stralcio o, viceversa, di modifiche d’ufficio, pacificamente giudicate inammissibili dall’orientamento giurisprudenziale già citato nell’Ordinanza n. 1002/2009, ove non sussumibili nei rigorosi alvei normativi definiti dagli artt. 10 della L. n. 1150/1942 e 15 della L. Reg. Piemonte n. 56/77.
3.1.1. La tematica dei limiti alle modifiche d’ufficio ai PRGC adottati, ammissibile alla Regione in forza dell’art. 15, comma 11 della LUR, è stata già funditus indagata dalla Sezione con la recentissima sentenza di cui a T.A.R. Piemonte, Sez. I, 15.6.2010, n. 2580 opportunamente invocata da parte ricorrente nel corso della discussione di pubblica Udienza e resa in un ricorso nel quale si opponevano modifiche d’ufficio introdotte dalla Regione proprio al PRGC del Comune di S. Pietro Mosezzo.
3.1.2. In quella sede la Sezione ha statuito che il potere regionale di introdurre modifiche d’ufficio agli strumenti urbanistici non può spingersi fino a variare le scelte del Comune circa il mutamento di destinazione di aree e di zone, trattandosi di innovazioni sostanziali (T.A.R. Puglia – Bari, Sez. II, 13.5.2002, n. 2279).
In quest’ottica, non può che ribadire il Collegio come le scelte di pianificazione urbanistica, che si traducono nell’impressione a determinate aree di una destinazione piuttosto che di un’altra, afferiscono alla discrezionalità amministrativa pura, che pertiene unicamente all’ente locale (T.A.R. Sicilia – Catania, Sez. I, n. 706/2007).
Rimarca anche in chiave ricostruttiva la Sezione che l’art. 15 comma 15 della L. Reg. Piemonte n. 56/77 si pone nel solco della tratteggiata ermeneusi, poiché delimita il potere regionale di introduzione di modifiche d’ufficio al PRG, ai ben definiti casi di chiarimenti su singole prescrizioni, di errori od omissioni e di adeguamenti a norme di legge.
3.2. In tali ambiti non possono ragionevolmente ritenersi comprese le modifiche apportate dalla Regione Piemonte al Comune di S. Pietro Mosezzo.
Invero, l’eliminazione (“stralcio”, per usare la terminologia adoperata dalla Regione) della destinazione residenziale all’area prospiciente via Umberto I, di proprietà delle signore Marietta ricorrenti, configura una scelta di pianificazione di segno diametralmente opposto a quella voluta dal Comune in sede di variazione dello strumento urbanistico generale posta in essere con la delibera di Consiglio n. 38/2006, scelta che, in base ai principi più sopra rammentati, non può che competere all’Ente locale.
3.3.1. Non si è, dunque, al cospetto di un’ipotesi riconducibile a quelle tassative enunciate dall’art. 15 comma 15 della L.U.R piemontese, ossia ai casi di chiarimenti su singole prescrizioni, di errori od omissioni e di adeguamenti a norme di legge.
Rimarca in proposito il Collegio che nemmeno l’ultimo dei casi di consentito intervento, ovverosia per adeguamento a norme di legge, si profila emergere nella vicenda in scrutinio.
3.3.2. Non può, per vero, essere seguita la tesi articolata al riguardo dalla difesa regionale, per la quale la soppressione della vocazione edificatoria residenziale all’area in causa, risponda alla necessità di adeguare il PRGC al P.A.I. (piano di assetto idrogeologico), risolvendosi, per tale via ed in ultima analisi, in un intervento preaordinato a conseguire un adeguamento a norma di legge.
3.3.3. In primis et ante omnia osta al recepimento di siffatto avviso, la agevole considerazione che il P.A.I. non è una norma di legge, ne è ad essa assimilabile. E a ben guardare, ciò che il legislatore regionale ha inteso salvaguardare è il rispetto da parte del PRG di norme di legge in senso proprio, consentendo l’intervento correttivo della Regione al fine di adeguare lo strumento urbanistico a prescrizione dettate e in via diretta promananti, da norme di legge stricto sensu.
Atteso, infatti, che si versa in ambiti di regole che apportano eccezioni al principio della sovranità comunale in materia di scelte urbanistiche, della fattispecie delineata dall’ultimo inciso in analisi deve fornirsi una lettura rigorosamente tassativa, rifuggente da un’interpretazione estensiva o analogica.
3.3.4. Si oppone, inoltre, all’accoglimento della tesi propugnata dalla Regione, anche la constatazione di fatto, meglio sviluppata nel prosieguo, secondo cui sia dal testo della delibera impugnata che dalla relazione della competente Direzione regionale del 3.7.2009 posta a sostegno della delibera gravata, si evince che le esigenze di tutela e salvaguardia correlate al P.A.I. ed alle altre problematiche idrauliche non riguardano lo “stralcio” che ha toccato l’area delle ricorrenti, essendo state chiaramente posposte ed illustrate successivamente alla vicenda della modifica d’ufficio che ha eliminato l’edificabilità dei terreni delle deducenti e che sconta una motivazione alquanto lacunosa – ciò che suggerisce di accogliere anche il secondo motivo, sul quale infra – nella quale non sono minimamente menzionate ed illustrate le pretese esigenze di salvaguardia del P.A.I..
3.4. Ritiene pertanto il Collegio, in esito ad un’attenta lettura delle variazioni di modifica apportate dalla Regione allo strumento urbanistico del Comune controinteressato, che le contestate modifiche non sono riconducibili all’istituto, di creazione pretoria, dello “stralcio” al Piano regolatore, ma sostanziano delle vere e proprie modifiche imperative, unilaterali, introdotte autoritativamente dalla Regione in conseguenza del rifiuto del Comune, articolatamente motivato con la delibera consiliare n. 15/2008, di apportare al PRG le variazioni richieste dall’Ente territoriale.
3.5. Si profila al riguardo dirimente in punto di fatto, onde appurare se la Regione ha unicamente inteso “stralciare” l’approvazione di talune porzioni del PRG rinviandole al Comune per una nuova valutazione, o se, invece, ha voluto porre in essere delle modifiche imperative, il rilievo che l’Allegato “A” alla Deliberazione di Giunta impugnata segue, appunto, al deliberato, il quale all’art. 1 si esprime nei categorici e chiari termini “di approvare, ai sensi dell’art. 15 della Legge Regionale 5.12.1977, n. 56 il Nuovo Piano Regolatore Generale del Comune di S. Pietro Mosezzo (…) subordinatamente all’introduzione “ex officio”, negli elaborati progettuali, delle ulteriori modifiche, specificatamente riportate nell’allegato documento “A” in data 3.7.2009, che costituisce parte integrante del presente provvedimento”.
Per espressa volontà dell’Ente regionale, dunque, le impugnate variazioni allo strumento urbanistico generale comunale sono state attuate attraverso l’istituto delle modifiche “ex officio” di cui all’art. 15 della L. Reg. n. 56/77 e non vi è spazio per sussunzione delle medesime nell’istituto dello stralcio, del quale vanno ora precisati i confini e i contorni giuridici, con l’ausilio dell’elaborazione sul punto condotta dalla giurisprudenza della stessa IV Sezione del Consiglio di Stato.
4.1. Ritiene sin da subito il Collegio di dover chiarire che la differenza tra modifiche ex officio del PRG e “stralcio” consiste nel dato che con le prime la Regione introduce delle variazioni imperative ed immediatamente efficaci e perciò circoscritte ai definiti ambiti delineati dall’art. 10 della legge urbanistica fondamentale e dall’art. 15 della L. Reg. Piemonte n. 56/1977 (errori, omissioni, adeguamenti a norme di legge), laddove lo stralcio integra un’approvazione di tutto il piano regolatore – in ossequio al principio in virtù del quale lo stesso disciplina tutto il territorio comunale – ad eccezione di alcune parti che vengono stralciate, ossia accantonate e rinviate al Comune per una nuova riflessione.
Lo stralcio, dunque, non concreta alcuna sovrapposizione delle scelte regionali alle opzioni di pianificazione fatte proprie dal Comune e ad esso unicamente appartenenti, ma dà luogo ad una sorta di approvazione con rinvio all’Ente locale affiche riveda le sue determinazioni limitatamente alla porzione di piano “stralciata” ossia momentaneamente accantonata dall’approvazione.
4.2. La distinzione testé tratteggiata si rinviene proprio nell’elaborazione all’uopo affinata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato.
Il Consiglio ha chiarito, in epoca alquanto recente, che “Per vero, l'approvazione di uno strumento urbanistico con uno o più «stralci» costituiva, originariamente, un espediente escogitato per non procrastinare eccessivamente, o addirittura sine die, l'entrata in vigore di un piano che, nel suo insieme appariva meritevole di approvazione, tranne che per qualche limitato particolare aspetto.
Ciò avveniva in un quadro normativo, anteriore alla I. n. 765 del 1967, che non prevedeva la possibilità di un'approvazione «con modifiche».
In questo contesto, lo «stralcio» veniva legittimato con riferimento al principio secondo cui l'autorità cui compete approvare un atto o un provvedimento può approvarlo anche parzialmente, riservandosi un riesame per le parti residue.
E poiché per il piano regolatore generale vigeva e vige la regola secondo cui esso deve riguardare la totalità del territorio comunale, si ammetteva lo «stralcio» a condizione che non lasciasse indefinito o incerto l'impianto generale dello strumento urbanistico caratterizzato dalle scelte fondamentali.
Una volta che la I. n. 765 del 1967, modificando l'art. (10, nota dell’Estensore) della legge urbanistica, ha ampliato i poteri dell'autorità competente all'approvazione, consentendole, entro certi limiti ed a certe condizioni, di introdurre direttamente talune modifiche al piano, con lo stesso atto di approvazione, si poteva forse ritenere venuta meno quella necessità che, empiricamente, aveva indotto ad escogitare la figura dello «stralcio».
Ma, di fatto, questa figura non è scomparsa dalla prassi, e la giurisprudenza ha continuato a riconoscerne la legittimità ;verosimilmente nella considerazione che chi avrebbe il potere d'introdurre direttamente una modifica allo strumento urbanistico, facendolo entrare in vigore così modificato, può anche limitarsi a sospendere, in parte qua, l'approvazione, invitando il comune a rinnovare l'esame della situazione delle aree stralciate e a formulare una nuova proposta.
Poiché con lo «stralcio» la Regione restituisce al comune l'iniziativa, mentre con le «modifiche d'ufficio» sovrappone ultimativamente la propria volontà a quella del comune, si comprende perché ai fini dello stralcio non si ritenga necessaria quella preventiva consultazione del comune, che la legge richiede, invece, rispetto alle modifiche”(Consiglio di Stato, Sez. IV, 7.9.2006, 5203).
4.3. Rilevante pare al Collegio l’ultima riportata osservazione contenuta nella citata decisione del Giudice d’appello, secondo la quale lo stralcio lascia invulnerata la competenza e l’autorità del Comune in merito alle scelte urbanistiche, posto che in relazione alle parti stralciate il Comune viene invitato a svolgere un supplemento di riflessione di istruttoria, là dove, con le modifiche d’ufficio si determina la sovrapposizione della volontà della Regione alle determinazioni del Comune, che, invece, deve rimanere il principale artefice delle scelte di pianificazione urbanistica.
Alla riportata pronuncia fa eco una precedente della stessa IV Sezione, opportunamente segnalata dalla difesa delle ricorrenti con la memoria del 4.6.010, a stare alla quale “a differenza delle modifiche d’ufficio, nelle quali la regione, in sede di approvazione di piano regolatore comunale, sovrappone definitivamente la propria volontà a quella del comune, nell’ipotesi del c.d. stralcio con raccomandazioni, la stessa si limita a restituire l’iniziativa all’ente locale, invitandolo a rinnovare l’esame della situazione delle aree stralciate e a formulare nuove proposte” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 6.9.205, n. 4653)
4.4. Orbene, nel caso all’esame, come più sopra illustrato, le variazioni al PRGC apportate dalla Regione, da un lato sostanziano delle modifiche espressamente qualificate “ex officio”, ragion per cui dirime la questione il rilievo da conferire doverosamente al profilo formale dell’espressione del potere posta in essere;dall’altro rileva anche l’aspetto sostanziale, da individuarsi nel concreto atteggiarsi delle variazioni apportate al PRG: queste ultime, invero, si atteggiano a unilaterali ed imperative variazioni della destinazione urbanistica dell’area delle ricorrenti, la quale viene unilateralmente dalla Regione mutata da residenziale a non residenziale, attraverso la soppressione recata con l’Allegato “A” alla deliberazione regionale, la quale di fatto riporta la destinazione urbanistica dell’area de qua al regime agricolo previgente la modifica operata dal Comune con la delibera consiliare n. 38/2006.
Dunque nessun rinvio con raccomandazioni al Comune ma autoritativa sostituzione di un regime urbanistico con un altro un altro.
4.5. Sostiene la Regione Piemonte, con la memoria del 4.6.2010 la tesi, ribadita nel corso della pubblica Udienza, secondo la quale l’eliminazione della destinazione residenziale all’area delle ricorrenti sarebbe discesa dall’esigenza di adeguare il proposto PRGC “a vigenti norme di legge in materia di sicurezza idrogeologica e al Piano di Assetto Idrogeologico (PAI” (memoria cit., pag. 2) all’uopo invocando un rilievo che sarebbe contenuto nella relazione regionale del 18.4.2008 (doc. 6 produzione Regione) la quale a dire della difesa dell’Ente, “evidenziava da un lato, come la stessa risultasse “interessata da problematiche idrogeologiche che ne sconsigliano l’utilizzo (pag. 11)” (memoria 4.6.2010, pag. 3).
4.6. L’argomento difensivo in analisi va disatteso poiché è smentito in fatto dalla stessa produzione regionale.
Intanto, non riscontra il Collegio, a pag. 11 della relazione del 18.4.2008 l’inciso appena riportato, invocato dalla difesa dell’Ente. Invero, lo stesso non consta né alla pag. 11 della citata relazione, né alla pag. 12, alla quale ultima consta, invece, un’affermazione dal tenore radicalmente diverso, assolutamente condizionale e non categorico come invece sostenuto nella memoria. Alla fine del par. 3.3., pag. 12 della relazione regionale del 18.4.2008, infatti, si legge: “E’ altresì condizione necessaria, laddove il parere dell’Arpa Piemonte individua le aree oggetto di problematiche di ordine idraulico per le quali ne sconsiglia l’utilizzo, che l’Amministrazione comunale provveda ad ottemperare alle richieste eliminando le previsioni areali così come indicate nel parere allegato alla presente”.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa regionale, dunque, nell’invocata relazione del 18.4.2008 non è dato leggere che l’area di proprietà delle deducenti, è “interessata da problematiche idrogeologiche che ne sconsigliano l’utilizzo”: vi si legge solo che secondo l’Arpa Piemonte vi sono alcune aree per le quali a fini idraulici la medesima sconsiglia l’utilizzo;aree che vanno eliminate conformemente alla loro indicazione nell’allegato parere dell’Arpa, cioè solo se ivi menzionate.
Ma in tale parere dell’Arpa del 8.10.2007 allegato alla relazione regionale in analisi, non è dato evincere che i terreni delle ricorrenti siano annoverati tra le aree di cui si sconsiglia l’utilizzo per ragioni idrogeologiche.
Vengono infatti ivi menzionate con dei numeri alcune aree tra le quali non è certo che sia ricompreso anche il fondo delle ricorrenti. Me anche se detti terreni fossero da annoverare tra quelle aree, non discende da ciò, automaticamente, la loro inedificabilità, poiché a pag. 4, par. IV del predetto parere dell’Arpa si legge che, per le aree indicate con i numeri in questione, “tuttavia, in base alle indicazioni della Circolare PGR 7/LAB, non si ritiene giustificabile un vincolo di inedificabilità”.
4.7. Non solo, inoltre, come avvertito più sopra, negli atti indicati dalla difesa dell’Amministrazione non si rileva la problematica idrogeologica quale ragione della sottrazione di edificabilità ai terreni delle ricorrenti, ma ciò non risulta nemmeno dalla relazione regionale successiva, della medesima Direzione, in data 3.7.2009 (doc. 7 ricorrenti) di corredo e supporto all’impugnata deliberazione.
Ebbene, a pag. 7 della stessa si tratta delle previsioni residenziali proposte con il nuovo PRG del Comune di S. Pietro e si propone lo stralcio dell’area delle ricorrenti prospiciente via Umberto I per ragioni afferenti allo sviluppo della popolazione e per altre motivazioni di ordine urbanistico ma non per ragioni concernenti il dissesto idrogeologico.
Queste ultime, infatti, sono sviluppate nel par. 2.(3.3.), immediatamente successivo e non recante menzione dei terreni delle ricorrenti.
In definitiva, il primo motivo di gravame si profila fondato e pertanto deve essere accolto.
5.1. Al secondo mezzo sono invece affidate le censure di eccesso di potere per carenza di motivazione, illogicità, contraddittorietà e travisamento di fatti, lamentandosi, con prima sub censura, che a fronte delle analitiche ed estese controdeduzioni comunali, approvate con la delibera consiliare n. 15/2008, alle osservazioni della Regione, quest’ultima ha motivato le modifiche apportate al PRGC con rinvio alla relazione tecnica del competente ufficio del 3.7.2009 (doc. 7 ricorrenti), di cui si è detto poc’anzi, la quale ripropone letteralmente le argomentazioni svolte dal Comune con le controdeduzioni citate.
Per le ricorrenti era preciso obbligo della Regione motivare adeguatamente le ragioni delle introdotte modifiche ex officio, atte ad incidere pesantemente la scelta urbanistica effettuata dall’ente locale, primo interprete delle scelte urbanistiche ella comunità esponenziata.
5.2. La doglianza persuade il Collegio e va accolta.
Dalla disamina della predetta relazione emerge che le prime cinque pagine riportano le osservazioni regionali al piano e le relative controdeduzioni del Comune. Per quanto concerne, invece, l’area di proprietà delle ricorrenti, incisa dal contestato “stralcio”, la motivazione si riduce a poche righe, incentrate sulle motivazioni già contenute nelle precedenti osservazioni – a cui, ripetesi, il Comune ha poi profusamente controdedotto – che “miravano (…) ad evitare compromissioni di ambiti territoriali esterni al disegno urbano consolidato e ampliato attraverso i previsti interventi di ricucitura (…) e sui quali nulla si era osservato, ancorché le quantità previste ed in essere e non ancora attuale, non fossero certamente trascurabili rispetto alla popolazione residente del Comune, all’andamento demografico, al trend di attuazione dello strumento urbanistico generale vigente e non ultimo alla mancata attuazione di numerose previsioni in essere nello S.U.G. vigente”.
Ebbene, poste tali scarne premesse motive si propone lo stralcio, tra le altre, delle aree delle ricorrenti.
Traspare evidente la carenza di motivazione della determinazione di privare queste ultime della destinazione edificatoria impressa dal Comune, sol che si consideri che, viceversa, in sede di controdeduzioni espresse con la delibera consiliare n. 15/2008 ( (doc. 5 ricorrenti), l’Ente locale aveva dato conto della previsione di futuri insediamenti residenziali (pag. 30 delibera cit.), della stima del fabbisogno di fabbricati (pag. 32) della capacità insediativa residenziale (pag. 33) ,della adeguata dotazione di infrastrutture (pag. 34) nonché dell’effettivo avvenuto sfruttamento delle possibilità edificatorie del precedente PRG (pag. 36) che invece per la Regione era rimasto non completamente attuato.
La delineata ampiezza e adeguatezza motiva delle controdeduzioni comunali, specie in relazione al tratteggiato ultimo profilo, afferente alla avvenuta utilizzazione delle capacità previsionali del previgente piano regolatore, ben evidenziata dal Comune (la dove la Regione ha negato siffatta circostanza), pone in luce anche la fondatezza della censura di travisamento dei fatti pure svolta con il secondo motivo in analisi.
Ne consegue che anche il secondo motivo di ricorso si prospetta fondato e va conseguentemente accolto.
In conclusione, sulla scorta delle argomentazioni finora illustrate il ricorso si profila fondato e deve essere accolto, con annullamento della deliberazione regionale limitatamente all’esclusione della destinazione edificatoria ai terreni di proprietà delle ricorrenti.
La delicatezza delle questioni affrontate suggerisce peraltro la compensazione delle spese di lite tra le costituite parti.