TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-01-30, n. 202301589

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-01-30, n. 202301589
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202301589
Data del deposito : 30 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/01/2023

N. 01589/2023 REG.PROV.COLL.

N. 13572/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13572 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato U F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto di diniego della cittadinanza italiana -OMISSIS-


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2022 il dott. Gianluca Verico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Con il ricorso in epigrafe viene impugnato il decreto emesso in data 26.07.2018 con cui il Ministero dell'Interno ha rigettato l'istanza della ricorrente, presentata il 26.02.2015, volta alla concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma primo, lettera f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91.

L’Amministrazione, in particolare, alla luce della documentazione acquisita e fornita dall’interessata, anche a seguito della comunicazione del preavviso di diniego di cui all’art. 10- bis , legge n. 241/90, ha negato la cittadinanza per la ritenuta insufficienza del reddito.

Avverso il predetto decreto di rigetto ha quindi proposto ricorso l’interessata la quale, senza rubricare i motivi di diritto, ha essenzialmente lamentato che l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto delle somme effettivamente percepite nel corso degli anni di permanenza in Italia, esponendo in particolare di aver prodotto, con riferimento agli anni di imposta 2011, 2012 e 2013, un reddito superiore alla soglia minima prevista dalla circolare ministeriale del 2007, tenendo conto anche del reddito percepito dal marito convivente come consentito dalla medesima circolare. Inoltre, deduce che dalla dichiarazione dei redditi “Certificazione Unica 2018” risulta che l’istante ha dichiarato, da sola, un reddito annuale da lavoro dipendente di €11.218,32, ampiamente superiore al minimo richiesto. Afferma, infine, di essersi ormai compiutamente e regolarmente integrata nel tessuto economico e sociale nazionale.

In data 11.07.2022 il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, depositando successivamente anche la documentazione inerente al procedimento e la relazione ministeriale.

Con ordinanza istruttoria pubblicata il 4.8.2022 il Collegio ha onerato il ricorrente di regolarizzare il deposito del ricorso introduttivo e degli allegati, in ragione del fatto che “ il ricorso introduttivo risulta depositato in difformità dalle norme giuridiche e tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico, poiché, anzitutto, manca il ricorso redatto in formato nativo di documento informatico sottoscritto con firma digitale, come prescritto dall’art. 136 c.p.a. e dall’art. 9 d.P.C.M. n. 40/2016 ”.

Adempiuta l’anzidetta ordinanza istruttoria, alla pubblica udienza del 19 dicembre 2022 la causa è passata in decisione.

2.- Il ricorso è infondato.

Giova premettere un richiamo ai principali punti d’arrivo della giurisprudenza in materia, come di recente sintetizzata dalla Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1590/22, 1698/22, 1724/22, 2945/22, 3692/22, 4619/22).

Va osservato, in via preliminare, che nel giudizio ampiamente discrezionale che l’amministrazione svolge ai fini della concessione della cittadinanza italiana rientra anche l’accertamento della sufficienza del reddito, in quanto la condizione del possesso di adeguati mezzi di sostentamento dell’istante non è solo funzionale a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica, considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 766;
id., 16 febbraio 2011, n. 974) – ratio che è alla base delle norme che prescrivono il possesso di tale requisito per l’ingresso in Italia, per il rinnovo del permesso di soggiorno e per il rilascio della carta di soggiorno – ma è anche funzionale ad assicurare che lo straniero possa conseguire l’utile inserimento nella collettività nazionale, con tutti i diritti e i doveri che competono ai suoi membri, cui verrebbe ad essere assoggettato;
in particolare, tra gli altri, al dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica, funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali (cfr., ex multis , Tar Lazio, I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;
id., 19 febbraio 2018, n. 1902;
Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).

La valutazione del requisito reddituale va effettuata tenendo conto non solo di quello già maturato al momento della presentazione della domanda (cfr., TAR Lazio, sez. I ter, 14 gennaio 2021, n. 507;
id., 31 dicembre 2021, n. 13690, nonché, da ultimo, sez. V bis, n. 1590/2022 e. 1724/2022) – che deve essere corredata dalla dichiarazione dei redditi dell’ultimo triennio, come prescritto dal DM 22.11.1994 - adottato in base all’art. 1 co. 4 del DPR 18 aprile 1994, n. 362 – ma anche di quello successivo, in quanto lo straniero deve dimostrare di possedere una certa stabilità e continuità nel possesso del requisito, che va mantenuto fino al momento del giuramento, come previsto dall’art. 4, co. 7, DPR 12.10.1993, n. 572 (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1724/2022;
sez. I ter, n. 507/2021, n. 13690/2021, n. 10750/2020, n. 2234/2009;
cfr. sez. II quater n. 1833/2015;
n. 8226/2008).

Per quanto riguarda, invece, la soglia minima del reddito, non stabilita direttamente dalla normativa soprarichiamata, l’Amministrazione ha ritenuto di fissare ex ante dei parametri minimi indefettibili di reddito, facendo a monte una valutazione circa la congruità degli stessi a garantire l’autosufficienza economica del richiedente.

Segnatamente, l’Amministrazione – come esplicitato nella circolare del Ministero dell’Interno prot. n. K.60.1 del 5 febbraio 2007 a sua volta ricognitiva del consolidato orientamento giurisprudenziale in subiecta materia - ha assunto a parametro di riferimento l’ammontare prescritto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria dall’art. 3, d.l. 25 novembre1989, n. 382, convertito in l. 25 gennaio 1990, n. 8, confermato dall’art. 2, comma 15, l. 28 dicembre 1995, n. 549, fissato in € 8.263,31 annui, incrementato ad € 11.362,05 in presenza di coniuge a carico e di ulteriori € 516,00 per ciascun figlio a carico, in quanto indicatore di un livello di adeguatezza reddituale ritenuto idoneo a garantire la possibilità per il soggetto di mantenere in modo stabile e continuativo se medesimo e la propria famiglia.

La consolidata giurisprudenza ha altresì precisato che, nella valutazione sulla sussistenza del requisito della capacità reddituale, l’Amministrazione deve tenere conto non soltanto del reddito dell’istante ma deve anche verificare l’eventuale, effettivo, contributo offerto dagli altri membri del nucleo familiare ( ex plurimis , Cons. St., III, 25 giugno 2019, n. 4372). Tale orientamento è stato anche recepito in via espressa dalla sopra menzionata circolare ministeriale, la quale ha ribadito che è necessario, « nel rispetto del concetto di solidarietà familiare cui sono tenuti i membri della famiglia, valutare la consistenza economica dell’intero nucleo al quale l’aspirante cittadino appartiene quando, dalla documentazione prodotta e/o dalla istruttoria esperita, si può evincere che esistono altre risorse che concorrono a formare il reddito ».

In definitiva, il parametro su riferito costituisce un requisito minimo indefettibile, ragion per cui l’insufficienza del reddito dichiarato può costituire causa ex se di diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro, e titolare di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro ovvero del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

Di qui, la conclusione che il requisito reddituale (unitamente agli altri) debba ritenersi implicitamente incluso nel requisito della residenza “legale” espressamente previsto dal citato art. 9, comma 1, lett. f) legge n. 91/1992.

La legittimità della suddetta valutazione è stata affermata anche dalla giurisprudenza costante in materia, condivisa anche da questo Tribunale (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1590/22, 1698/22, 1724/22, 2945/22, 3692/22, 4619/22;
cfr.: Tar Lazio, sez. I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;
6 settembre 2019, n. 10791;
Tar Lazio, sez. II quater, 2 febbraio 2015, n. 1833;
13 maggio 2014, n. 4959;
3 marzo 2014, n. 2450;
18 febbraio 2014, n. 1956, 10 dicembre 2013, n. 10647;
Cons. Stato sez. I, parere n. 240/2021;
parere n. 2152/2020;
Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).

3.- Ciò posto, nel caso in esame l’Amministrazione ha motivato il diniego ritenendo “ che non si ravvisa la coincidenza tra l’interesse pubblico e quello privato del richiedente alla concessione della cittadinanza italiana” sul presupposto che “ la straniera percepisce un reddito inferiore ai parametri sopra menzionati ”.

Ebbene, dalle coordinate sopra esposte deriva che era onere dell’odierna ricorrente dimostrare il conseguimento di un reddito non inferiore ai parametri minimi innanzi indicati, in particolare ad € 8.263,31 annui, tenuto conto che non risultano fiscalmente a carico della richiedente né il coniuge né i figli.

Quanto al riparto dell’onere probatorio, è appena il caso di rammentare che, ai sensi dell'art. 64 c.p.a., il processo amministrativo è governato, in linea generale, dal principio dell'onere della prova, in base al quale ciascuna parte è tenuta a fornire gli elementi probatori, riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni, che siano nella rispettiva disponibilità. Infatti, sebbene tale principio sia temperato dal metodo acquisitivo nell'azione di annullamento, nondimeno il potere del giudice di acquisire d’ufficio documenti utili alla decisione - al fine di compensare lo squilibrio normalmente esistente tra parte pubblica e privata nella disponibilità del materiale documentale – è limitato alle ipotesi in cui la parte privata non abbia la possibilità di produrre la documentazione necessaria a dimostrazione dei propri assunti difensivi (cfr., ex multis , Consiglio di Stato sez. V, 27/12/2017, n.6082).

Ne consegue che, nella fattispecie in esame, non vi è dubbio che, a fronte di un provvedimento di diniego motivato sulla base della carenza del requisito reddituale, gravi sulla parte che assuma di essere in possesso di detto requisito fornire la prova della sussistenza di un reddito sufficiente e regolarmente dichiarato ai fini fiscali, tenuto conto che la correlata documentazione a supporto è agevolmente nella disponibilità di ogni contribuente (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 8693/22, 11928/22, 11188/22¸n. 1198/23).

Ora, dalla documentazione prodotta e dalle medesime allegazioni difensive della ricorrente risulta comprovata la carenza delle condizioni reddituali in relazione ad una pluralità di annualità, tenuto conto che non risulta depositata in giudizio alcuna documentazione in relazione agli anni di imposta 2014, 2015, 2016 e 2017.

Al riguardo, si rende opportuno evidenziare che l’Amministrazione ha senza dubbio il potere di apprezzare anche la condizione economica dell’istante successiva alla presentazione della domanda al fine stabilire se il richiedente sia effettivamente titolare in modo stabile e continuativo del requisito reddituale, e ciò sia in virtù di quanto previsto dal menzionato art. 4, comma 7, del d.P.R. n. 572/1993, che stabilisce che le condizioni previste per la proposizione dell'istanza di concessione della cittadinanza italiana per residenza di cui all'art. 9 della legge n. 91/1992 devono permanere sino alla prestazione del giuramento”, e sia in considerazione della naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di idonei mezzi di sussistenza.

Ne consegue, pertanto, che il decreto di rigetto appare immune dai vizi denunciati, dovendo ritenersi non manifestamente irragionevole o illogica la valutazione cui è pervenuta l’Amministrazione, tenuto conto che il mancato raggiungimento della soglia reddituale per tutte le annualità rientranti nel “periodo di osservazione” - poiché ricadenti sia nel triennio anteriore all’istanza presentata nel 2015 che nel periodo successivo sino al decreto di rigetto del 2018 - può legittimamente giustificare il diniego della cittadinanza sulla scorta di tutti i rilievi innanzi descritti.

4.- In conclusione, valga ribadire che il provvedimento di riconoscimento della cittadinanza è atto altamente discrezionale, in quanto l'Amministrazione, dopo aver accertato l'esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli di solidarietà economica e sociale.

In tale quadro, l'interesse pubblico alla concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante;
prospettive a cui non può essere estranea la produzione di un reddito, che accresca le risorse del Paese stesso sotto il profilo sia produttivo che contributivo onde evitare di gravare, al contrario, sugli oneri di solidarietà sociale previsti per i soggetti indigenti.

L’anzidetta valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo di legittimità, con esclusione di ogni sindacato sostitutivo di merito;
il sindacato del giudice, dunque, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;
Tar Lazio II quater n. 5665 del 19 giugno 2012).

Ebbene, considerato che la disponibilità di un reddito minimo da parte del richiedente, onde raggiungere l’autosufficienza economica, costituisce uno dei presupposti fondamentali richiesti al cittadino straniero per ottenere la cittadinanza italiana, ne consegue che l’insufficienza dei mezzi economici può essere valutata come circostanza ostativa alla concessione della cittadinanza sulla scorta di tutte le considerazioni sinora esposte.

D’altronde, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro e di conseguire lo status anelato ove concorrano tutte le condizioni richieste, per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici), dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima.

In conclusione, il provvedimento appare adeguatamente motivato e scevro dalle dedotte censure, pertanto il ricorso proposto deve essere respinto.

5.- Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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