TAR Palermo, sez. V, sentenza 2023-07-12, n. 202302330

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. V, sentenza 2023-07-12, n. 202302330
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202302330
Data del deposito : 12 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/07/2023

N. 02330/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00765/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 765 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato V D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lorenzo Dentici in Palermo, via Dante 322;

contro

Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amm.ne Penitenziaria - Provveditorato Regionale per la Sicilia, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, domicilio digitale come da PEC da Registri Giustizia e domicilio fisico reale in Palermo, via Valerio Villareale 6;

per l'annullamento

Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amm.ne Penitenziaria - Provveditorato Regionale per la Sicilia, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, domicilio digitale come da PEC da Registri Giustizia e domicilio fisico reale in Palermo, via Valerio Villareale 6.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2023 il dott. R V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, appartenente al corpo della Polizia Penitenziaria, ha impugnato, chiedendone il rigetto, il provvedimento notificato il 7/2/2018 con cui, a conclusione del procedimento penale definito con il rigetto da parte della Cassazione del ricorso proposto dal medesimo avverso la sentenza di condanna in sede di appello, è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi sei (con assegnazione di assegno alimentare pari al 50% dello stipendio).

Nel ricorso si articolano le seguenti censure:

1) Violazione dell'art. 7 comma 6 del D.Lgs 449/92 - Violazione della Circolare n. -OMISSIS- del 13.04.2012 e inerzia della P.a.;

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 103 T.U. D.P.R. n. 3/57, violazione art. 55 c. 5 D. lgs 165/01, nullità del procedimento per superamento del principio della contestazione immediata degli addebiti;

3) Eccesso di potere per travisamento dei fatti.

Resiste l’Avvocatura distrettuale dello Stato per l’amministrazione intimata.

Con memoria difensiva depositata il 9 maggio 2023 il Ministero della Giustizia ha ampiamente controdedotto al ricorso, insistendo sul rigetto dello stesso e comunque sulla infondatezza delle censure in ordine alla illegittima applicazione dell’art. 7 comma 6 del D.Lgs 449/92, sulla base dell’erronea applicabilità della normativa alla fattispecie.

All’udienza pubblica del 19 giugno 2023, presenti le parti costituite e dato altresì atto della dichiarazione dell’avvocato di parte ricorrente circa la persistenza all’interesse alla decisione, la causa è stata trattenuta dal Collegio, come da verbale.

Il ricorso è da respingere in quanto infondato.

Con la prima censura parte ricorrente lamenta la violazione dell'art. 7 comma 6 del D.Lgs 449/92, nonché la violazione della Circolare n. -OMISSIS- del 13.04.2012 e l’inerzia della P.a.. In tesi di parte, il procedimento disciplinare avrebbe dovuto essere avviato entro il termine di 120 gg dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure dalla data di notificazione all’Amministrazione;
nel caso in esame la sentenza della IV sezione della Corte di cassazione del 13/05/2018 è stata depositata il 22/09/2018, mentre il procedimento disciplinare è stato avviato ben due anni dopo;
anche ad ammettere l’applicazione dell’art. 6, comma 3 lett a) e comma 4 del D. Lgs. n. 449/1992, secondo cui la destituzione è inflitta all’esito del procedimento disciplinare da proseguire o promuovere antro 180 gg dalla data in cui l’Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna, in specie resterebbe comunque ingiustificata l’inerzia dell’Amministrazione nel chiedere informazioni sulla definizione del procedimento penale.

La doglianza è da disattendere.

Dalla documentazione in atti si ricava che l’amministrazione ebbe a richiedere informazioni circa lo stato del procedimento penale alla competente procura della Repubblica, ricevendo notizia unicamente in ordine alle sentenze di primo e secondo grado. Solo in data 14 giugno 2017, la Corte Suprema di Cassazione ebbe a trasmettere e a dare quindi notizia della sentenza emessa il 13 maggio 2015, con cui era stato rigettato il ricorso promosso dal -OMISSIS- avverso la sentenza di secondo grado. Risulta documentato in atti che l’Amministrazione ha quindi avviato nei confronti del -OMISSIS- l’inchiesta disciplinare ai sensi dell’art. 6 co. 2 lett. a) b) d) e co. 3 lett. a) del D.lgs. 30 ottobre 1992 n. 449: il funzionario istruttore formulava le contestazioni degli addebiti in data 1° luglio 2017, notificandole in data il 5 luglio 2017.

Il relativo procedimento disciplinare seguiva quindi le seguenti ulteriori fasi: a) in data 11 agosto 2017, l’inchiesta veniva trasmessa al Consiglio Centrale di Disciplina, il quale, con deliberazione 20 novembre 2017 — 11 dicembre 2017 decideva di proporre al Capo del Dipartimento l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi 6;
b) con decreto 31 gennaio 2018 n.-OMISSIS-, notificato in data 7 febbraio 2018, veniva infine irrogata la contestata sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi 6.

Sul rapporto tra procedimento penale ed avvio del procedimento disciplinare persuadono le osservazioni dell’Avvocatura distrettuale dello Stato che, nel richiamare l’orientamento già espresso dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di stato n. 10 del 2006, nonché la pronuncia della Corte Costituzionale n. 186/2004, in caso di sentenza di condanna in sede penale trova applicazione la disciplina generale prevista per l’intero comparto pubblico di cui alla Legge n. 97/2001, per cui il termine di 90 giorni per l’instaurazione o la riattivazione del procedimento disciplinare, previsto dall’art. 5, co.4, l. 97/2001 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei/ dipendenti delle amministrazioni pubbliche) decorre dalla comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna all’Amministrazione datrice di lavoro e deve concludersi, secondo consolidato orientamento della Giurisprudenza amministrativa, entro 180 giorni decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento, fermo quanto disposto dall’art. 653 c.p.p. (in tal senso Consiglio di Stato sentenza n. 4350 del 18.9.2015);
termini, quelli sopra indicati, che si cumulano tra di loro con la conseguenza che all’amministrazione è concesso termine complessivo di 270 giorni per concludere il procedimento disciplinare (Consiglio di Stato, sez. III, 13/05/2015, n. 2374).

La normativa indicata dal ricorrente troverebbe invece applicazione solo nelle ipotesi, qui non ricorrenti, di assoluzione ovvero di patteggiamento tra le parti.

Ebbene, nel caso in esame, tenuto conto della data di comunicazione da parte della Cassazione della Sentenza di rigetto del ricorso proposto dal ricorrente, considerato altresì la data di avvio e di conclusione del procedimento disciplinare, la censura risulta priva di pregio.

Con la seconda doglianza, parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 103 del T.U. sul pubblico impiego, d.P.R. n. 3/1957, la violazione dell’art. 55, comma 5, del D.Lgs. 165/2001, nonché la nullità del procedimento per superamento del principio di contestazione immediata degli addebiti.

Anche tale censura è da disattendere alla stessa stregua delle considerazioni svolte nello scrutinio della precedente doglianza, cui si rinvia: si ribadisce che secondo la giurisprudenza, qui condivisa, in caso di condanna in sede penale, il procedimento disciplinare va avviato entro il termine di 90 giorni dalla comunicazione della sentenza penale definitiva e concluso entro il successivo termine di 180 giorni, con un arco temporale quindi complessivo di 270 giorni riconosciuto all’Amministrazione.

Quanto alla terza ed ultima doglianza, con cui parte ricorrente lamenta l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, si osserva quanto segue.

La sussistenza dei fatti risulta in primo luogo accertata in sede penale, per cui gli stessi non possono essere oggetto di rivisitazione nell’ambito dell’odierno procedimento.

Né in specie risultano sussistere margini per ritenere manifestamente errato o abnorme il giudizio discrezionale esercitato dall’Amministrazione nella valutazione della rilevanza dei medesimi fatti sotto il profilo disciplinare. Non rilevano in senso opposto le deduzioni di parte circa: a) la mancata divulgazione delle immagini scambiate con la vittima del reato e il risarcimento del danno già assicurato alla stessa;
b) la ritenuta involontarietà, invero non dimostrata, dello download di file di immagini di contenuto pedopornografico rinvenuti nel computer del ricorrente.

In conclusione, il ricorso va respinto in quanto infondato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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