TAR Firenze, sez. III, sentenza 2019-04-16, n. 201900559

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. III, sentenza 2019-04-16, n. 201900559
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201900559
Data del deposito : 16 aprile 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/04/2019

N. 00559/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00563/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 563 del 2018, proposto da
L B e M B, rappresentati e difesi dall'avvocato A F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Cascina, rappresentato e difeso dagli avvocati G M e C D L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

- dell’ordinanza dirigenziale n. 22 del 24 gennaio 2018 (notificata in data 29 gennaio 2018) di rimessa in pristino, ai sensi degli artt. 31 e 33, d.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. e degli artt. 196 e 199 L.R.T. 65/2014 e s.m.i., e di applicazione del regime sanzionatorio, ai sensi dell’art. 136, comma 6, della L.R.T. 65/2014, per manufatti realizzati in Cascina, Via Pedichella n.1;

- di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cascina;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 aprile 2019 il dott. G B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I signori L B e M B (quali proprietari di fabbricato, resede e garage in forza di contratto di compravendita del 16.7.1999) hanno presentato, nel 2009, domanda di accertamento di conformità avente ad oggetto un porticato tamponato e munito di finestra posto sul lato nord dell’edificio (pratica edilizia n. 801/2009).

Il Comune, con nota del 27.5.2013 (documento n. 3 prodotto dall’Ente), ha preannunciato il rigetto dell’istanza, sull’assunto che l’addizione volumetrica non rispettava la prescritta distanza minima dai confini di proprietà e che non risultava correttamente rappresentata la consistenza dell’immobile antecedente alle opere oggetto di sanatoria.

Gli interessati, con missiva acquisita al protocollo comunale il 6.6.2013, hanno presentato le proprie osservazioni (documento n. 4 depositato in giudizio dall’Amministrazione).

La difesa del Comune sostiene che, in assenza di provvedimento conclusivo del procedimento di sanatoria, la predetta istanza deve ritenersi respinta per effetto del silenzio rigetto ex art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, perfezionatosi nel 2013.

In data 7.4.2016 due cittadini hanno presentato al Comune un esposto da cui risultava che i signori B e B avevano realizzato vari abusi edilizi.

Ed in effetti il Comune ha accertato, nel conseguente sopralluogo del 12.5.2016, l’esistenza di opere abusive ulteriori a quelle indicate nella domanda di sanatoria edilizia.

I ricorrenti, in data 29.7.2016 (documento n. 6), in relazione all’esposto hanno espresso la disponibilità a valutare quanto necessario a risolvere le problematiche denunciate.

Il Comune, riscontrata l’inerzia dei signori B e B, con ordinanza dirigenziale n. 22 del 24.1.2018 ha ordinato di demolire il porticato, la scala a chiocciola, il parapetto della terrazza, il manufatto in muratura, la tettoia in legno e la baracca coibentata di metri 6,30 X 3, ed ha contestualmente irrogato la sanzione pecuniaria per altre due opere, realizzate in assenza della pratica per edilizia libera (canna fumaria che fuoriesce verso la proprietà del confinante e basamento in cemento piastrellato sul quale è situato il manufatto in muratura oggetto dell’ordine di rimozione), ai sensi dell’art. 136, comma 6, della L.R. n. 65/2014.

Avverso la predetta ordinanza i ricorrenti sono insorti deducendo:

1) Violazione degli artt. 2 e 7 della legge n. 241/1990;
omesso invio della comunicazione di avvio del procedimento e inosservanza dei termini per la sua conclusione.

L’atto impugnato è stato emesso oltre 20 mesi dopo dal sopralluogo.

2) Difetto di motivazione;
violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990;
eccesso di potere per difetto di istruttoria;
erroneità e ingiustizia manifesta.

L’impugnata ordinanza non offre un quadro esaustivo delle pratiche edilizie avviate dai proprietari e non è chiara nel suo dispositivo;
criptiche le argomentazioni in merito agli abusi edilizi n. 2 (canna fumaria) e n. 6 (basamento in cemento), con le quali il Comune adduce la mancanza di titolo abilitativo ma poi fa riferimento all’attività edilizia libera e contesta l’inosservanza di una norma abrogata (art. 6, comma 2 lett. c, del d.p.r. n. 380/2001).

3) Eccesso di potere e violazione del legittimo affidamento.

Il Comune era a conoscenza delle irregolarità sin dal 2009 e non ha concluso il procedimento di sanatoria edilizia n. 801/2009, talché ha ingenerato il convincimento che non sarebbe stato adottato un ordine di ripristino dello stato dei luoghi.

4) Difetto di istruttoria ed erronea valutazione dei presupposti di fatto:

a) per quanto concerne il porticato, in forza di nulla osta n. 119 del 1975 rilasciato al precedente proprietario e della variante del 9.12.1975 è stata demolita la stalla avente il medesimo ingombro (visibile nell’estratto di mappa reperito);

b) la canna fumaria esterna era preesistente all’acquisto dell’immobile da parte dei ricorrenti (i quali chiedono prova per testi a dimostrazione di tale preesistenza);

c) la scala a chiocciola è un mero mezzo complementare rimovibile ed è più sicura della scala esterna sanata nel 1997;

d) il parapetto della terrazza fa parte del completamento del porticato;

e) il manufatto in muratura nel resede a nord fu assentito con concessione edilizia;
dalla fotografia aerea del 13.5.1973 (reperita presso l’Istituto geografico militare) è già visibile la sua copertura;
non vi è stato incremento di volume, e comunque il regolamento urbanistico ammette ampliamenti. I ricorrenti chiedono prova testimoniale circa l’anteriorità del manufatto rispetto all’acquisto dell’immobile;

f) per quanto concerne il basamento di cemento: del cemento (battuti di cemento grezzi: paragrafo 6 della relazione tecnica depositata in giudizio dai ricorrenti come documento n. 3) era presente sull’area in questione già al momento dell’acquisto della proprietà immobiliare da parte dei ricorrenti, i quali chiedono prova testimoniale su tale preesistenza;

g) la tettoia in legno è assimilabile ad una gronda necessaria a riparare l’ingresso dell’abitazione;

h) la baracca coibentata è stata oggetto di condono rilasciato al precedente proprietario, anche se l’usura della lamiera ha comportato la sostituzione con pannelli coibentati che comunque potrebbero essere disposti diversamente.

5) Violazione del principio di proporzionalità.

Le sanzioni comminate sono eccessive, trattandosi di opere di lieve entità e risalenti nel tempo. La demolizione o rimessa in pristino potrebbe danneggiare l’intera proprietà dei ricorrenti.

Si è costituito in giudizio il Comune di Cascina.

All’udienza del 10 aprile 2019 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

1. Con la prima censura i ricorrenti lamentano che l’impugnata ordinanza è stata emessa oltre 20 mesi dopo la data di sopralluogo, in violazione dei termini previsti dall’art. 2 della legge n. 241/1990;
lamentano inoltre la violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990.

Il motivo non ha pregio.

I ricorrenti, con missiva datata 29.7.2016 (documento n. 6 depositato in giudizio dal Comune), nel controdedurre, a sopralluogo avvenuto, ai contenuti dell’esposto presentato dai vicini (esposto che aveva portato al sopralluogo stesso), hanno espresso disponibilità a valutare quanto necessario a risolvere le denunciate problematiche, salvo poi restarsene inoperosi.

Il Comune pertanto ha verosimilmente atteso che alla dichiarazione d’intenti subentrasse una fattiva iniziativa degli interessati, nel senso ad esempio di rimuovere spontaneamente gli abusi edilizi realizzati.

In ogni caso, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale non sussiste un limite di tempo entro il quale deve essere adottato il provvedimento repressivo dell’abuso edilizio, trattandosi di atto vincolato e rilevando la natura di illecito permanente dell’abuso edilizio stesso. Pertanto, anche abusi edilizi risalenti ad epoca remota sono legittimamente fatti oggetto di ordinanza di demolizione: “ la repressione degli abusi edilizi costituisce espressione di attività strettamente vincolata, potendo la misura repressiva intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall'epoca della commissione dell'abuso ” (Cons. Stato, VI, 3.10.2017, n. 4580).

Vale comunque il principio, affermato da Cons. Stato, Ad. plen., n. 9/2017, secondo cui " il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino ".

Sotto altro profilo, i provvedimenti aventi natura di atto vincolato, quali l'ordinanza di demolizione, non necessitano di essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, ciò in quanto non è prevista, in capo all'Amministrazione, la possibilità di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene (Cons. Stato, VI, 25.2.2019, n. 1281). L'ordinanza di demolizione è un atto dovuto e dal contenuto vincolato, il che esclude l'esigenza di instaurare il contraddittorio procedimentale volto all'adozione dell'ordine demolitorio dei manufatti abusivi: non è quindi necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento. Del resto, per effetto della dequotazione introdotta dall'art. 21 octies, l. n. 241/1990, è da escludere che la denunciata violazione di un vizio formale o procedimentale possa determinare l'annullamento di un provvedimento qualora emerga, come nel caso di specie (si veda la successiva trattazione delle censure dedotte) che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso (TAR Campania, Napoli, III, 24.12.2018, n. 7332).

2. Con la seconda doglianza i ricorrenti lamentano il difetto di motivazione e la sussistenza di profili sintomatici di eccesso di potere.

Il rilievo non ha pregio.

La motivazione dell’impugnato provvedimento è dettagliata, indica le pratiche edilizie pregresse relative a ciascuno degli abusi edilizi accertati, dà contezza della normativa applicata e distingue tra opere sottoposte al regime del permesso di costruire e opere di edilizia libera, in quanto sanzionabili e sanzionate diversamente. I manufatti n. 2 e 6 sono ascritti nell’atto impugnato all’edilizia libera, così da giustificare la sanzione pecuniaria anziché quella demolitoria.

Risulta quindi assolto dall’Amministrazione l’obbligo di cui all’art. 3 della legge n. 241/1990.

Priva di pregio è la deduzione dei ricorrenti relativa alla contestazione, da parte del Comune, dell’inosservanza dell’abrogato art. 6, comma 2, lett. c, del d.p.r. n. 380/2001, sia perché comunque vigono sul punto l’art. 6 bis del d.p.r. n. 380/2001 e l’art. 136 della L.R. n. 65/2014, sia perché si tratta di norma di favore per gli interessati, i quali sono colpiti da sanzione pecuniaria che comunque consente la conservazione della canna fumaria e del basamento in cemento piastrellato.

3. Il terzo mezzo si incentra sull’eccesso di potere e sulla violazione del legittimo affidamento;
secondo i deducenti, l’Amministrazione avrebbe potuto sin dal 2009 adottare il provvedimento repressivo degli abusi edilizi.

L’assunto non ha alcun pregio.

Valgono le considerazioni espresse nella trattazione del primo motivo di gravame. Peraltro, una parte degli abusi edilizi oggetto dell’impugnata ordinanza era anche oggetto dell’istanza di sanatoria presentata nel 2009, respinta per effetto del silenzio rigetto perfezionatosi nel 2013 ex art. 36 del d.p.r. n. 380/2006 (TAR Toscana, III, 8.6.2016, n. 944), non impugnato dai ricorrenti.

4. Con la quarta censura gli esponenti, nel soffermarsi su ciascuno degli abusi edilizi contestati dal Comune, lamentano il difetto di istruttoria e l’erronea valutazione dei presupposti di fatto.

Il motivo è infondato.

a) Per quanto concerne il porticato, rileva il silenzio rigetto della domanda di sanatoria edilizia, perfezionatosi nel 2013, dopo la compiuta partecipazione al procedimento da parte degli interessati, stante l’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001. Trattasi di provvedimento di diniego tacito che, in quanto non impugnato dai ricorrenti, rende incontestabile la natura abusiva del manufatto e la non regolarizzabilità dell’abuso edilizio de quo ;
in ogni caso, il fatto che esso derivi dalla demolizione della stalla non basta a legittimare l’opera, trattandosi di costruzione realizzata, sia pure a seguito di demolizione (asseritamente) assentita, senza la necessaria concessione edilizia.

b) Per quanto concerne la scala a chiocciola, si rileva che la stessa è stata rappresentata negli elaborati grafici allegati alla domanda di accertamento di conformità del 2009 e che, nella relazione tecnica integrativa della pratica di sanatoria edilizia del 14.3.2011 (documento n. 8 depositato in giudizio dal Comune), è stato precisato dagli interessati, tramite il tecnico incaricato, la sopravvenuta demolizione dell’originaria scala a chiocciola. Dalle foto (allegato 9 prodotto dal Comune) risulta che l’attuale scala a chiocciola ha conformazione del tutto diversa ed è posizionata diversamente (su altro lato della casa) rispetto all’originaria scala.

Né risulta, dalla documentazione prodotta, che si tratti di struttura facilmente rimovibile;
al contrario nella documentazione fotografica appare come opera di natura permanente, stabilmente adibita alla propria funzione di collegamento di piani diversi nell’immobile di proprietà dei deducenti.

E’ quindi corretta la qualificazione di opera richiedente il previo rilascio del permesso di costruire, l’assenza del quale giustifica la sanzione demolitoria.

c) Il parapetto situato sulla terrazza è parte integrante del completamento del porticato, con la conseguenza che non può che subirne le sorti.

d) Per quanto attiene al manufatto in muratura nel resede a nord, il Collegio rileva che esso è stato introdotto nell’oggetto della domanda di sanatoria edilizia con l’integrazione del 15.9.2010 e non viene menzionato in nessuna pratica edilizia agli atti del Comune (vedi pagina 10 della relazione tecnica dei ricorrenti –documento n. 3-);
da un lato non è stata emessa alcuna concessione edilizia legittimante la costruzione del suddetto manufatto, dall’altro la circostanza che esso faccia parte dell’oggetto della domanda di sanatoria edilizia respinta con il meccanismo del silenzio rigetto (non impugnato) rende incontestabile la sua mancata regolarizzazione.

Né potrebbe rilevare la preesistenza del manufatto rispetto al momento dell’acquisto dell’immobile da parte dei ricorrenti, giacché la sanzione demolitoria ha natura reale e non personale, talché obbliga all’eliminazione dell’opera abusiva a prescindere dal fatto che la sua realizzazione sia imputabile al dante causa del destinatario dell’ordine di demolizione.

e) Per quanto concerne il basamento in cemento (valutato come frutto di edilizia libera ex art. 6, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 e quindi sanzionato solo in via pecuniaria), il Collegio rileva che prima del contratto di compravendita sottoscritto dai ricorrenti vi erano battuti di cemento grezzi, che poi i ricorrenti stessi hanno livellato, rifinito e pavimentato (vedi relazione tecnica di parte: documento n. 3). Orbene, tale opera di livellamento e pavimentazione richiedeva la comunicazione di inizio lavori (art. 6, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001), la cui omissione giustifica la contestata sanzione pecuniaria.

L’infondatezza della censura riferita al basamento in cemento rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura riferita alla canna fumaria (altra opera sanzionata in via pecuniaria quale risultato di attività di edilizia libera), in quanto il Comune, con l’atto impugnato, ha applicato la sanzione pecuniaria complessiva di euro mille per entrambe le opere, con la conseguenza che l’accoglimento della censura riguardante la canna fumaria non sortirebbe effetto alcuno, considerato che l’art. 136, comma 6, della L.R. n. 65/2014 e l’art. 6, comma 7, del d.p.r. n. 380/2001 prevedono la sanzione di euro 1.000 per ogni mancata comunicazione di inizio dei lavori.

In altri termini, l’eventuale accoglimento della censura incentrata sulla preesistenza della canna fumaria non farebbe venire meno la sanzione pecuniaria, la quale resterebbe giustificata dalla mancata comunicazione di inizio dei lavori relativi al basamento di cemento.

f) Per quanto riguarda la tettoia in legno (priva di titolo edilizio ed estranea alla domanda di sanatoria edilizia), rilevano le consistenti dimensioni (lunghezza di 6,30 metri, aggetto di 1,20 metri), talché la sanzione demolitoria risulta giustificata.

g) Per quanto concerne la baracca coibentata, nessun rilevo può assumere la preesistenza della condonata struttura in lamiera, in quanto l’attuale conformazione del manufatto non ha nessuna somiglianza e nessun nesso di continuità (per conformazione, materiali impiegati, tipologia) con l’originaria baracca (si veda la foto depositata in giudizio dal Comune come documento n. 10). Pertanto, si tratta di nuova costruzione realizzata laddove prima era situata una baracca in lamiera, con la conseguenza che la mancanza del necessario permesso di costruire ha legittimato l’adozione della misura demolitoria.

5. Il quinto motivo si incentra sulla violazione del principio di proporzionalità.

L’assunto non ha pregio.

L’impugnata ordinanza costituisce espressione di una potestà amministrativa vincolata, che non lascia spazio a valutazioni di graduazione della sanzione diverse da quelle preventivamente e astrattamente compiute dal legislatore.

Nel caso di specie l’unica graduazione possibile dell’afflittività della sanzione era quella, tipizzata dal legislatore, incentrata sulla distinzione tra opere prive del permesso di costruire e opere realizzate con attività edilizia libera, distinzione correttamente operata dal Comune.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, vista la particolarità di alcune delle questioni dedotte.

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