TAR Catanzaro, sez. I, sentenza 2017-02-24, n. 201700307

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catanzaro, sez. I, sentenza 2017-02-24, n. 201700307
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catanzaro
Numero : 201700307
Data del deposito : 24 febbraio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/02/2017

N. 00307/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00438/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 438 del 2012, proposto da-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. P P, domiciliato presso la Segreteria del Tribunale amministrativo regionale, ai sensi dell’art. 25 c.p.a.;

contro

il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso cui è domiciliato in Catanzaro, via Gioacchino da Fiore n. 34;

per la condanna

del Ministero della Giustizia al risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale subiti dal Sig.-OMISSIS-, quantificati entrambi in € 62.062,85, o nella diversa somma maggiore o minore che risulterà in corso di causa, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dal sorgere dell’obbligazione fino al soddisfo;


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie prodotte;

Visti tutti gli atti di causa;

Relatore nella pubblica udienza del 25 gennaio 2017 il Cons. G I e sentiti i difensori delle parti, come da verbale di udienza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO

Con atto di citazione in data 25 novembre 2005 il sig. -OMISSIS-, -OMISSIS- del Corpo di polizia penitenziaria, ha convenuto il Ministero della Giustizia innanzi al Tribunale di Catanzaro, chiedendo l’accoglimento delle seguenti conclusioni:

Voglia il Giudice adito, contrariis reiectis, così provvedere:

1) Dichiarare che la causa delle ingiustizie patite dal sig. -OMISSIS-, e descritte in premessa, sia da ascriversi, in via del tutto esclusiva, a colpa del Ministero di Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, in quanto competente per la direzione generale del personale e della formazione;

2) Condannare il Ministero di Giustizia, a risarcire tutti i danni subiti dal Sig.-OMISSIS-, che si quantificano in € 62.062,85, a titolo di danno biologico, nonché € 62.062,85, o nella somma che il Giudice adito riterrà più opportuna, a titolo di danno esistenziale, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dal sorgere dell’obbligazione fino al soddisfo;

Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, oltre IVA. e C.P.A. come per legge, da distrarsi in favore del procuratore costituito ”.

Con sentenza dell’1 dicembre 2011 il Tribunale adito ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, spettando la cognizione della controversia al giudice amministrativo, assegnando alle parti il termine di tre mesi per la riassunzione.

Con ricorso notificato il 16 aprile 2012 il -OMISSIS- ha riassunto il giudizio innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Calabria, chiedendo la condanna del Ministero di Giustizia, a risarcire tutti i danni subiti, nella misura di € 62.062,85, a titolo di danno biologico, nonché € 62.062,85, o nella somma che il giudice riterrà più opportuna, a titolo di danno esistenziale, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dal sorgere dell’obbligazione fino al soddisfo, con vittoria di spese e competenza di giudizio, da distrarre in favore del procuratore.

In via istruttoria il ricorrente ha chiesto che siano acquisite le prove raccolte innanzi al Tribunale di Catanzaro ovvero sia disposta prova per testi e che sia disposta consulenza tecnica d’ufficio medico - legale.

Si è costituito il Ministero della Giustizia che ha dedotto l’infondatezza del ricorso, si è opposto alle richieste istruttorie e ha chiesto il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 25 gennaio 2017 la causa è stata assegnata in decisione.

DIRITTO

1. Con provvedimento del 22 novembre 2002 del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, comunicato alla Direzione della Casa circondariale di Catanzaro con nota del 20 gennaio 2003, è stata disposta la revoca della promozione alla qualifica di -OMISSIS--OMISSIS-. Ciò in quanto l’agente è risultato essere sottoposto a procedimento penale per il reato di truffa aggravata, perché, con artifizi e raggiri, consistenti nella produzione all’Amministrazione di ricevute fiscali di un albergo, aveva ottenuto il rimborso di spese in realtà non sostenute.

2. Con sentenza -OMISSIS-il Tribunale di Catanzaro ha disposto l’assoluzione del -OMISSIS-, perché il fatto non sussiste.

3. A seguito del passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione, l’Amministrazione, con D.M. 5 maggio 2004, ha disposto la promozione del -OMISSIS- alla qualifica di -OMISSIS-, con decorrenza giuridica ed economica dal 15 marzo 2002.

4. Il -OMISSIS-, con il ricorso in epigrafe, riprendendo i contenuti dell’atto di citazione a suo tempo proposto innanzi al Tribunale di Catanzaro, deduce che la revoca della promozione ha costituito un’ingiustificata anticipazione del giudizio di reità a carico dell’imputato, in contrasto con il principio di non colpevolezza fino al giudicato di condanna.

Il ricorrente aggiunge che, successivamente all’accusa risalente al 1998, è stato sottoposto dai superiori a vessazioni ed ingiustizie, al punto da costringerlo all’allontanamento momentaneo, mediante frequenti invii in missione, pur di non lavorare nel contesto la lavorativo negativo e per lui pregiudizievole. Inoltre, -OMISSIS- per circa 5 mesi dalla comunicazione del decreto avrebbe assunto incarichi di maggiore responsabilità, senza la relativa remunerazione.

La revoca della promozione avrebbe, inoltre, impedito al -OMISSIS- di partecipare al concorso interno per -OMISSIS-, con sofferenza tanto maggiore in dipendenza del passaggio al grado superiore dei propri colleghi.

Della vicenda si sarebbe anche occupato il sindacato -OMISSIS-

Deplorevole e irritante sarebbe stata la decisione dell’Amministrazione di non anticipare le spese legali per tutelare fatti inerenti il servizio svolto. La somma richiesta quale anticipo, peraltro, non sarebbe mai erogata all’agente -OMISSIS-.

Tardiva risulterebbe, pertanto, la comunicazione del 4 agosto 2004 dell’avvenuta promozione alla qualifica di -OMISSIS-, con decorrenza giuridica ed economica dal 15 marzo 2002.

I soprusi subiti avrebbero inciso sullo stato di salute del -OMISSIS-, con irrimediabile compromissione dell’integrità psicofisica dell’agente -OMISSIS-, oltre che nella sfera lavorativa, sociale e familiare.

In conseguenza di ciò, indipendentemente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato, andrebbe risarcito il danno biologico, costituito dalla compromissione dell’integrità psicofisica dell’uomo, come danno non patrimoniale il cui fondamento trova tutela nell’art. 2059 c.c.

Il ricorrente evidenzia che nella relazione di consulenza psichiatrica prodotta si legge che la vicenda ha avuto ricadute anche in ambito lavorativo e ha causato ripercussioni negative di carattere esistenziale derivanti dalla lesione alla salute, con conseguenze anche patrimoniali e morali.

Tutto ciò avrebbe causato un danno grave dal punto di vista neuropsichico, organico, relazionale, sociale e lavorativo.

Da qui la valutazione di cui alla perizia, secondo la quale “ il -OMISSIS- è portatore (...) di un: “disturbo traumatico, cronico, grave”. Tale disturbo nell’esaminato si caratterizza per una grave sintomatologia ansioso depressiva, con componente fobico ossessiva, comportamenti di evitamento, manifestazioni simildissociative, disturbi somatoformi molteplici (cardiovascolari, gastrointestinali neurovegetativi molteplici) disadattamento ”.

Il ricorrente precisa che nella perizia si chiarisce che tali disturbi depressivi possono provocare “ tutte quelle manifestazioni delicate e spiacevoli anche nel rapporto di coppia, e nelle relazioni sociali in genere ed una diminuzione delle performance in tutte le sfere di vita del soggetto, con perdita della progettazione del futuro ”.

Evidenzia, infine, che la diagnosi emersa è quella di “ disturbo postraumatico da stress, cronico, grave ”.

Il ricorrente, in conclusione, chiede la condanna del Ministero intimato al risarcimento del danno biologico quantificato, secondo le tabelle, in € 62.062,85. Chiede, inoltre al condanna al risarcimento del danno esistenziale, quantificato anch’esso nella misura di € 62.062,85. Il tutto aumentato di interessi e rivalutazione dal sorgere dell’obbligazione fino al soddisfo.

5. I fatti posti a fondamento della domanda risarcitoria riguardano essenzialmente la revoca della promozione alla qualifica di -OMISSIS-, che, secondo il ricorrente, sarebbe stata ingiustificata, anche se non mancano riferimenti ad altri fatti che avrebbero determinato i pregiudizi non patrimoniali lamentati. Tra essi la mancata possibilità di partecipare al concorso per -OMISSIS-, le vessazioni ed ingiustizie subite dai superiori, l’assunzione di incarichi di maggiore responsabilità, senza la relativa remunerazione.

L’accertamento della responsabilità presuppone la verifica che i fatti indicati, da cui si assume siano derivati i danni lamentati, costituiscano violazione degli obblighi incombenti sul datore di lavoro. È chiaro, infatti, che laddove i comportamenti dell’amministrazione pubblica risultino aderenti alle norme e rispettosi dei canoni di correttezza e buona fede, di cui i principi di imparzialità e buon andamento costituiscono specifica declinazione, non può sorgere alcuna responsabilità.

Senza indugiare ulteriormente su tali aspetti, invero scontati, va rilevato che la difesa erariale, sulla scorta di quanto evidenziato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha dedotto che la decisione di revocare la promozione ad -OMISSIS- è stata adottata in conseguenza del fatto che l’apposita Commissione competente ad esprimere il parere per le promozioni del personale, costituita ai sensi dell’art. 50 del d.lgs. 30 ottobre 1992 n. 443 (recante l’Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria), non ha avuto contezza dell’esistenza del procedimento penale a carico dell’odierno ricorrente o, comunque, non ne ha rilevato l’esistenza. L’Amministrazione ha sottolineato che, nella stessa seduta, la Commissione ha deciso di sospendere il giudizio nei confronti di altri dipendenti partecipanti alla procedura di promozione, nei casi in cui è risultata la pendenza a carico di essi di procedimenti instaurati dall’Autorità giudiziaria. Ciò, in coerenza con quanto disposto dall’art. 43 del d.lgs. n. 443/1992, che subordina la promozione per merito assoluto al possesso del requisito, tra gli altri, della buona condotta.

Il Collegio ritiene che la decisione di revocare la promozione sia conforme alle norme, oltre che aderente ai principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.

L’art. 10 del d.lgs. 30 ottobre 1992 n. 443 dispone che “ La qualifica di -OMISSIS- si consegue a ruolo aperto mediante scrutinio per merito assoluto, dopo cinque anni di effettivo servizio nella qualifica di agente scelto ”.

L’art. 43 del d.lgs. n. 443/1992 rinvia, quanto alla disciplina degli scrutini per merito assoluto, all’art. 39 del D.P.R. 28 dicembre 1970 n. 1077, che dispone che “ Le promozioni per merito assoluto sono conferite, secondo l’ordine di ruolo, agli impiegati che ne siano ritenuti meritevoli per capacità professionale, rendimento e buona condotta ”.

Il Collegio pur consapevole della presenza di un orientamento di segno diverso, che non ammette l’esercizio di un potere di sospensione da parte dell’amministrazione penitenziaria (per tutte, Tar Campania, Napoli, sez. VII, 26 novembre 2012 n. 4790;
Tar Lazio, Roma, sez. I quater , 23 aprile 2010 n. 8242), ritiene che la pendenza di un procedimento penale ben può giustificare una sospensione delle determinazioni nei confronti del dipendente sottoposto a scrutinio.

La norma dell’art. 43 del d.lgs. n. 433/1992 richiede che il dipendente che aspira alla promozione sia in possesso del requisito della buona condotta, che descrive un modello comportamentale che può essere oggettivamente incompatibile con la commissione di fatti di reato quale quello a suo tempo contestato all’odierno ricorrente. In tale vicenda l’interessato ha acquisito la qualità di imputato in un procedimento per il reato di truffa in danno della stessa amministrazione di appartenenza.

La giurisprudenza favorevole a tale orientamento ha precisato che “ ...non si dubita che la pendenza di un procedimento penale possa considerarsi rilevante ai fini della valutazione complessiva che la PA è chiamata ad effettuare in ordine alle qualità dimostrate dai propri dipendenti, nell’ottica della loro progressione in carriera. Di talché, non potrà certo apparire illegittima la decisione della Commissione preposta allo scrutinio di rinviare a data successiva la deliberazione sulla idoneità o non idoneità dell’indagato all’avanzamento alla qualifica superiore ” e che “ ...la capacità professionale, il rendimento e la buona condotta di un appartenente al Corpo di Polizia penitenziaria possono certamente essere messi in dubbio dalla pendenza di un procedimento penale, nonché dalla possibilità di rilievo disciplinare dei fatti relativi a quel procedimento ” (Cons. Stato, sez. II, parere 21 febbraio 2012 n. 770).

È stato, inoltre, evidenziato che il potere di sospendere il giudizio deve a maggior ragione essere affermato in quanto, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 443/1992, la pendenza penale ha effetto sospensivo sulle valutazioni disciplinari (così Tar Lazio, Roma, sez. I quater , 27 marzo 2008 n. 5799;
ammette la sospensione del giudizio anche Tar Sicilia, Catania, sez. III, 26 gennaio 2012 n. 229).

Ammesso il potere di sospendere il giudizio, occorre riconoscere che l’Amministrazione non avesse altra strada che quella di revocare la promozione, in attesa delle definitive statuizioni dell’Autorità giudiziaria.

La revoca della promozione, lungi dall’essere un’ingiustificata anticipazione di giudizio, ha costituito un atto reso necessario, oltre che dal rispetto della previsione normativa che subordina la promozione al requisito della buona condotta, anche dall’esigenza di rispettare la par condicio con gli altri dipendenti in posizione analoga, per i quali era stato sospeso il giudizio. Essa, com’è evidente, non è stata frutto di una valutazione sfavorevole, ma della necessità di attendere l’esito del procedimento penale prima di esprimere un giudizio. Ciò è tanto vero che, chiuso il procedimento penale con sentenza di assoluzione divenuta irrevocabile, la Commissione ha espresso parere favorevole, con conseguente promozione con decorrenza 15 marzo 2002.

Il Collegio è consapevole che la determinazione di revocare la promozione ha ulteriormente appesantito la condizione di per sé penosa di indiziato e, poi, di imputato in un processo per un reato quale quello contestato al -OMISSIS-. Ciò, tuttavia, non significa che l’Amministrazione di appartenenza debba essere chiamata a rispondere di pregiudizi eventualmente subiti, dovuti a un atto che deve considerarsi conforme alle norme e ai principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità, oltre che non in contrasto con il principio di logicità.

Si deve escludere, quindi, che il pregiudizio lamentato dal -OMISSIS-, se anche se ne accertasse l’esistenza, sia stato inferto in conseguenza di un comportamento illegittimo e non conforme ai principi sopra richiamati.

È chiaro, inoltre, che in termini analoghi si presenta il pregiudizio derivante dalla mancata possibilità di partecipare al concorso per -OMISSIS-.

Risulta, pertanto, infondata la pretesa del ricorrente volta a ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali, conseguenti all’adozione del provvedimento.

6. Il ricorrente deduce, inoltre, che i pregiudizi di carattere non patrimoniale subiti sarebbero frutto anche di comportamenti ingiusti e vessatori subiti dai superiori, che lo avrebbero costretto all’allontanamento dalla sede lavorativa, mediante l’invio in missione.

Il ricorrente, in sostanza, lamenta di essere stato vittima di mobbing .

Osserva il Collegio che la giurisprudenza del giudice amministrativo è ormai consolidata nel ritenere che “ ...per mobbing deve intendersi una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica e con l’ulteriore conseguenza che, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati: a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;
b) dall’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;
c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore;
d) dalla prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio
(in questi termini, Cons. Stato, sez. III, 1 agosto 2014 n. 4105;
l’orientamento è richiamato in Tar Molise, 19 gennaio 2016 n. 23, che richiama, inoltre, Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2013 n. 4135 e Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 2012 n. 1388;
in materia anche Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 30 marzo 2016 n. 578; id. 29 aprile 2011 n. 563).

Ne discende che accanto all’elemento oggettivo, costituito da molteplici comportamenti a carattere persecutorio, dalla lesione della salute psicofisica del dipendente e dal nesso di causalità tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore, deve potersi ravvisare un elemento soggettivo, consistente in un intento persecutorio.

Il lavoratore che intenda affermare la sussistenza di condotte integranti mobbing e far valere le relative conseguenze deve, pertanto, dimostrare il compimento di condotte illecite o di specifici atti illegittimi che abbiano causato la lesione dell’integrità psicofisica e deve dedurre e dimostrare elementi concreti dai quali desumere l’esistenza di un preordinato disegno persecutorio (Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2013 n. 4135;
Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 2012 n. 1388).

L’odierno ricorrente si è limitato ad affermare l’esistenza di comportamento ingiusti e vessatori, ma ha del tutto omesso, non solo di provare le circostanze affermate, ma di descrivere gli stessi fatti che avrebbero integrato detti comportamenti.

Lo stesso ricorrente afferma di avere assunto incarichi di maggiore responsabilità, senza la relativa remunerazione. Anche in questo caso si tratta di affermazione del tutto generica e priva di riscontri. D’altra parte, non risulta chiaro in quale modo tali circostanze avrebbero potuto determinare un danno non patrimoniale risarcibile.

7. Ne consegue il rigetto del ricorso.

Tenuto conto dei contrasti giurisprudenziali ravvisabili in materia, di cui sopra si è dato conto, e della natura della controversia, appare equo compensare tra le parti le spese del giudizio.

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