TAR Napoli, sez. V, sentenza 2021-02-18, n. 202101052

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2021-02-18, n. 202101052
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202101052
Data del deposito : 18 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/02/2021

N. 01052/2021 REG.PROV.COLL.

N. 01068/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1068 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati O A, S F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M C, T M, M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Legione Carabinieri Campania, non costituita in giudizio;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comando Provinciale Carabinieri di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;

per l'annullamento:

- dell’ordinanza del Presidente della Regione Campania n. 15 del 13 marzo 2020, ad oggetto “ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Ordinanza, ai sensi dell’art. 32, comma, 3 della legge 23.12.1978 n. 833 e dell’art. 50 Tuel”, nella parte in cui prevede al punto 5) “la permanenza domiciliare con isolamento fiduciario, mantenendo lo stato di isolamento per 14 giorni, con divieto di contatti sociali e di rimanere raggiungibile per ogni eventuale attività di sorveglianza”;

- del verbale di “Intimazione ad osservare la permanenza domiciliare con isolamento fiduciario, mantenendo lo stato di isolamento per 14 giorni, con divieto di contatti sociali e di rimanere raggiungibile per ogni eventuale attività di sorveglianza”, applicato in data 15 marzo 2020 dalla Legione dei Carabinieri Campania – Compagnia Carabinieri di Salerno (N.O.R. - Sezione Radiomobile) con decorrenza dalla data di elevazione al giorno 30 marzo 2020;

- di tutti gli altri atti presupposti, connessi, collegati e conseguenziali;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Comando Provinciale dei Carabinieri di Salerno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 11 gennaio 2021, tenuta da remoto con modalità Microsoft teams, la dott.ssa Maria Abbruzzese e trattenuta la causa in decisione sulla base degli atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente impugnava gli atti in epigrafe individuati, mediante i quali, nel contesto emergenziale indotto dalla pandemia da COVID-19, gli era stata imposta la “quarantena” domiciliare per 14 giorni (dal 15 marzo 2020, data di elevazione della contestazione, al 30 marzo 2020), sul presupposto dell’accertamento della sua presenza a breve distanza dalla sua abitazione alle ore 17,14 del 15 marzo 2020, e tanto in pretesa violazione del “lockdown” imposto dall’ordinanza regionale n. 15 del 13.3.2020 e nonostante esso ricorrente avesse rappresentato la necessità di uscire per accudire la propria madre.

Deduceva, al riguardo:

1) Violazione delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 di dichiarazione dello stato di emergenza nazionale COVID-19. Violazione DD.PP.CC.MM. dell’1.3.2020, 8.3.2020. 9.3.2020, 11.3.2020, D.L. n. 6/2020, convertito in legge n. 13/2020 – eccesso di potere - arbitrarietà - incompetenza - Violazione art. 3 legge n. 241/90 – Violazione d.lgs. n. 1/2018 – violazione art. 13 della Costituzione, quali vizi propri della misura adottata dei carabinieri, di cui al verbale impugnato, difetto di motivazione dell’atto: il provvedimento si traduce in una non consentita limitazione della libertà personale, asseritamente imposta dall’ordinanza del presidente della giunta regionale della Campania n. 15 del 13.3.2020, che consente esclusivamente spostamenti temporanei e individuali, motivati da comprovate esigenze lavorative e/o situazioni di necessità, ovvero spostamenti per motivi di salute;
tale situazione, tuttavia, effettivamente ricorreva nel caso di specie, come autodichiarato ai sensi del D.P.R. n. 445/2020 dal ricorrente, che stava rientrando in casa dopo essere andato ad accudire la madre inferma, come comprovato dall’esibita documentazione, versando dunque in situazione di necessità;
il provvedimento limitativo ha dunque violato la stessa ordinanza regionale e l’art. 3 della legge n. 241/90, giacché i carabinieri verbalizzanti non hanno motivato circa la non sufficienza della addotta giustificazione;

2) Illegittimità dell’atto – eccesso di potere – Violazione delle norme costituzionali – Violazione dell’art. 13 Costituzione: l’imposta quarantena domiciliare lede la libertà personale, che può essere ristretta solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria, e che, nel caso di specie, non trova, invece, legittimazione in una previsione di legge;

3) Violazione delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 di dichiarazione dello stato di emergenza nazionale COVID-19 - Violazione DD.PP.CC.MM. dell’1.3.2020, 8.3.2020, 9.3.2020, 11.3.2020, D.L. n. 672020, convertito in legge n. 13/2020 – eccesso di potere – arbitrarietà - Incompetenza) – Violazione art. 3 legge n. 241/90) – Violazione D. Lgs. n. 1/0281 – Violazione art. 13 della Costituzione quali vizi dell’ordinanza del presidente della Giunta regionale della Campania n. 15 del 13.3.2020: ove conseguente alla ordinanza regionale, l’elevato verbale sconta i medesimi vizi della detta ordinanza regionale;
il potere di ordinanza regionale è infatti consentito nelle more dell’adozione dei decreti del presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 3, comma 2, del D.L. n. 6/2020, ma nel caso di specie, erano stati emanati, ben prima dell’ordinanza regionale, altri due DD.PP.CC.MM. in data 9 e 11 marzo 2020;
il presidente della regione Campania non aveva dunque il potere di imporre misure emergenziali in materia in maniera difforme da quanto stabilito dai DD.PP.CC.MM;
inoltre, l’ordinanza regionale prevede la misura della quarantena che in alcun modo è prevista dalla normativa statale;

4) Violazione della riserva di legge statale – inesistenza di potere della regione di adottare provvedimenti restrittivi della libertà personale – eccesso di potere: non è consentito introdurre una fattispecie sanzionatoria atipica non prevista dalla legge dello Stato;
la sanzione privativa della libertà personale non è prevista dal sistema penale e viola il principio di legalità nelle sue implicazioni in materia di riserva di legge e tassatività.

Concludeva per l’accoglimento del ricorso e dell’istanza cautelare, che, dapprima respinta in sede monocratica, veniva poi accolta prima con decreto n. 436/2020 e poi con ordinanza n. 713/2020.

Le parti depositavano note di udienza con richiesta di passaggio in decisione in vista della trattazione di merito fissata all’udienza dell’11 gennaio 2021, tenuta da remoto ai sensi del D.L. 137/2020 e del D.P.C.S. 28 dicembre 2020.

All’esito il collegio riservava la decisione in camera di consiglio.

Osserva il Collegio che tutti i provvedimenti impugnati hanno perso efficacia, stante il decorso dei termini di vigenza in essi indicati;
tanto, sia con riguardo alla “quarantena domiciliare” imposta dal verbale dei Carabinieri in data 15 marzo 2021 (fino al 30 marzo 2020), sia alla stessa ordinanza regionale, sostituita da successive ordinanze del presidente della regione Campania e comunque da ordinanze e DD.PP.CC.MM. di matrice statale.

Tanto impone la declaratoria di sopravvenuto difetto di interesse all’annullamento degli atti impugnati in applicazione del disposto di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a., secondo il quale il giudice dichiara il ricorso improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione.

Il ricorrente, nondimeno, nelle conclusioni insistite nelle note d’udienza in data 9 gennaio 2021, ha rappresentato il persistente interesse alla definizione del ricorso “anche ai fini del risarcimento dei danni materiali e morali derivanti dalla esecuzione dei provvedimenti impugnati, che hanno determinato l’impossibilità di esso ricorrente di assistere la madre in condizioni patologiche gravi”, con effetti qualificati “irreversibili”, in quanto non elisi dai successivi provvedimenti delle amministrazioni evocate.

Osserva al riguardo il Collegio cha il provvedimento di “quarantena” impugnato, sia pure per un limitato periodo di tempo (dal 15 marzo 2020 al 21 marzo 2020, data in cui è stato sospeso con provvedimento cautelare monocratico) ha nondimeno prodotto effetti a carico del ricorrente, che è stato costretto alla “quarantena domiciliare” per circa una settimana.

Deducendo, dunque, la sussistenza di un pregiudizio non eliso dalla sopravvenuta inefficacia degli atti impugnati, astrattamente suscettibile di risarcimento, salva la verifica dei presupposti oggettivi e soggettivi del danno nella eventuale sede di un proponendo giudizio risarcitorio, il ricorrente ha chiesto di dichiarare fondato il ricorso.

Osserva il Collegio che, nella sostanza, il ricorrente chiede al Collegio di verificare l’astratta sussistenza di un mero “interesse” risarcitorio, scrutinando l’illegittimità degli atti ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a. (“Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse a fini risarcitori”).

Al riguardo, il Collegio osserva, in adesione al consolidato indirizzo giurisprudenzale, che “se è vero che, con l’accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati ai soli fini del risarcimento, il giudice non si esprime sul fumus boni iuris della susseguente azione di danni, a lui spetta comunque valutare almeno la sussistenza dell’interesse ai fini risarcitori, in difetto del quale la declaratoria di legittimità correrebbe il rischio di rimanere meramente astratta. Pertanto è ragionevole ritenere che, proprio a evitare un possibile inutile esercizio della funzione giurisdizionale, il ricorrente abbia almeno l’onere di allegare compiutamente i presupposti per la successiva proposizione dell’azione risarcitoria a partire ovviamente dal danno sofferto (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 28 dicembre 2012, 6703).

Nello stesso senso si è affermato che “deve ritenersi che gravi sul soggetto istante quanto meno un onere di allegazione di elementi concreti i quali depongano nel senso dell’effettiva sussistenza di un interesse ai fini risarcitori”, non richiedendosi “la prova piena del fatto illecito generatore di danno” ma neppure “la mera e indimostrata allegazione di un generico interesse ai fini risarcitori”, che potrebbe rappresentare “un vero e proprio “passepartout” attraverso il quale scardinare (rectius. aggirare) il dato oggettivo costituito dall’insussistenza di un interesse all’ulteriore coltivazione del ricorso e attraverso cui far surrettiziamente rientrare nel giudizio un interesse all’impugnativa di cui si sia in concreto accertata l’insussistenza” (cfr. Cons. di Stato, VI, 20 luglio 2011, n. 4388).

Più recentemente, e in continuità con l’indirizzo indicato, si è affermato che, a reggere un autonomo interesse ad agire, non “può qui valere la generica riserva, formulata in sede di gravame, di voler chiedere in un separato giudizio il risarcimento dei danni, del quale non risultano nemmeno preannunciati i relativi fatti costitutivi (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 28.2.2018, n. 1214). Sul punto, mette conto evidenziare che l’art. 34, comma 3, Cod. proc. amm. non può essere interpretato nel senso che, in seguito ad una semplice generica indicazione della parte, il giudice debba verificare la sussistenza di un interesse a fini risarcitori, anche perché, sul piano sistematico, diversamente opinando, perderebbe di senso il principio dell’autonomia dell’azione risarcitoria enucleato dall’art. 30 dello stesso Cod. proc. Amm e verrebbe svuotato anche il principio dispositivo che informa anche il giudizio amministrativo e precludente la mutabilità ex officio del giudizio di annullamento, una volta azionato (Cons. di Stato, sez. V, 28.2.2018, n. 1214;
Cons. di Stato, Ad pl., 13 aprile 2015, n 4)” (così Cons.di Stato, III, 1059/2021).

Nel caso di specie, il ricorrente, che nel contesto del ricorso non ha formulato alcuna istanza risarcitoria, ha dedotto, solo con le note d’udienza contenenti la richiesta di passaggio in decisione in data 9 gennaio 2021, di aver “interesse alla definizione del presente ricorso anche ai fini del risarcimento dei danni materiali e morali derivanti dalla esecuzione dei provvedimenti impugnati, che hanno determinato l’impossibilità del (…) di assistere la madre in condizioni patologiche gravi. Gli effetti prodotti a carico del ricorrente e della sua sfera familiare sono irreversibili e non sono stati eliminati dai successivi provvedimenti delle amministrazioni evocate”.

Osserva il Collegio che, alla stregua di quanto sopra chiarito dalla superiore giurisprudenza del giudice di appello, il ricorrente non ha affatto allegato i “fatti costitutivi” del danno di cui intenderebbe chiedere il risarcimento (e non integrati dalla mera affermazione apodittica dell’evento di danno privo della descrizione dei fatti in esso si sarebbe materializzato), solo genericamente prospettando danni “morali e materiali” derivanti dai provvedimenti impugnati e con ciò non affatto integrando i presupposti minimi per verificare la sussistenza dell’interesse a fini risarcitori.

Più puntualmente, mentre quanto ai danni “materiali” non ha offerto alcun elemento dal quale desumere la potenziale produzione di danni, i prospettati danni “morali” possono ritenersi certamente insussistenti, giacché alcuna ipotesi di reato, cui i danni “morali” sono ancorati, è stata neppure prospettata e, in ogni caso, anche a volere ritenere irrilevante i nomina juris, non vi è alcuna enucleazione dei fatti in cui si sarebbe estrinsecato il relativo pregiudizio (tanto anche tenuto conto della costante indicazione della Corte regolatoria civile: cfr. Cass. 17 luglio 2012, n. 12236;
11 ottobre 2013, n. 23147;
4 settembre 2012, n. 14803;
ma anche, Cass. 30 giugno 2015, n. 13328).

Mette conto aggiungere che la ritenuta mancata allegazione non può recuperarsi neppure sostenendo che il fatto lesivo coincida con l’atto illegittimo, giacché “quod demonstrandum est” è che l’atto, in tesi illegittimo, non solo abbia leso la sfera giuridica del destinatario, ma abbia prodotto “danni” risarcibili, così radicando l’interesse “a fini risarcitori”, che è presupposto della declaratoria di illegittimità dell’atto impugnato il cui annullamento sia divenuto non più “utile” per il ricorrente.

La mancata dimostrazione della sussistenza di un interesse ii fini risarcitori determina dunque che non possa residuare se non la sola pronuncia di improcedibilità derivante dalla conclamata inefficacia sopravvenuta degli atti impugnati.

Il ricorso è dunque improcedibile.

La oggettiva novità delle questioni sollevate, all’epoca della proposizione del ricorso, consente la compensazione delle spese di giudizio inter partes, fatta salva la ripetibilità del contributo unificato versato dal ricorrente a carico in solido delle Amministrazioni soccombenti, i cui atti, già oggetto di sospensione cautelare, hanno comunque dato luogo alla lite.

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