TAR Napoli, sez. V, sentenza 2022-12-02, n. 202207542

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2022-12-02, n. 202207542
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202207542
Data del deposito : 2 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/12/2022

N. 07542/2022 REG.PROV.COLL.

N. 04300/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4300 del 2015, proposto da
A I, F I, G I, F F, A I, A I, I I, E I, rappresentati e difesi dagli avvocati F F e M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Ceppaloni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato L L, con domicilio domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la declaratoria

del diritto dei ricorrenti alla restituzione dell'area sita nel Comune di Ceppaloni al Foglio 19, particelle 861 e 863 e per la condanna del Comune alla restituzione della predetta area previa demolizione delle opere esistenti e ripristino dello stato dei luoghi ovvero, in subordine, per il risarcimento dei danni per equivalente monetario mediante pagamento del valore venale, maggiorato di interessi moratori e rivalutazione monetaria dalla data di maturazione fino all’effettivo soddisfo.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ceppaloni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 22 novembre 2022 svoltasi con le modalità di cui all’art. 87 comma 4 bis del c.p.a., il dott. G D V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso inviato per la notifica il 6.8.2015 e depositato il 1.9.2015, i ricorrenti, eredi di I F e I A, rappresentano di essere proprietari in comunione pro indiviso di un’area di circa mq.

3.930 sita nel Comune di Ceppaloni alla Frazione San Giovanni, riportata al Catasto Terreni, Foglio 19, p.lle 861 e 863.

Espongono che il predetto suolo è stato interessato da una dichiarazione di pubblica utilità disposta dal Comune di Ceppaloni con delibera di Giunta Municipale n. 396 del 28.9.1987, con contestuale approvazione del progetto di variante dei lavori di realizzazione di verde pubblico attrezzato, fissando in 5 anni il termine per il compimento dell’espropriazione ai sensi dell’art. 13 della L. n. 2359/1865 ed in mesi 24 e anni 5, rispettivamente, l’inizio ed il compimento dei lavori (cfr. pag. 2 della delibera depositata il 1.9.2021);
con decreto del 17.2.1988 l’amministrazione procedeva all’occupazione temporanea in via d’urgenza.

Espongono che l’occupazione perdura alla data di proposizione del gravame e, nonostante sia scaduta la dichiarazione di pubblica utilità e siano state eseguite le opere con conseguente irreversibile trasformazione dei fondi appresi, non risulta emesso il decreto di esproprio.

Chiedono, pertanto, accertarsi l’illegittimità dell’occupazione sine titulo dei fondi per scadenza del termine quinquennale decorrente dalla data di efficacia dell’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera (art. 13 del D.P.R. n. 327/2001 e art. 13 della L. n. 2359/1865), con conseguente condanna dell’intimata amministrazione alla restituzione dei suoli previa riduzione in pristino dello stato dei luoghi e al risarcimento per occupazione illegittima, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Affidano il gravame ai motivi di diritto di seguito riportati: violazione del D.P.R. n. 327/2001, eccesso di potere, difetto di istruttoria, violazione del giusto procedimento, violazione del principio di buon andamento della P.A. ex art. 97 della Costituzione.

Si è costituito in giudizio il Comune di Ceppaloni che eccepisce il difetto di giurisdizione dell’adito P, per essere devoluta la cognizione al giudice ordinario e la carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti, con particolare riguardo a I F e I I – rispettivamente, classe 1992 e 1990 - in quanto nati successivamente al compimento delle operazioni espropriative (cfr. memoria difensiva depositata il 10.9.2021).

Nel merito, il Comune chiede accertarsi in via riconvenzionale l’intervenuta usucapione ventennale sul fondo per effetto del possesso ininterrotto dell’area, a decorrere dalla scadenza del termine quinquennale di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità (28.9.1992) e, in ogni caso, a partire dalla data di ultimazione delle opere (1993).

Con ordinanza n. 6634 del 21.10.2021 è stata dichiarata l’interruzione del processo a cagione del decesso della ricorrente Imbriani Elisa.

Il giudizio è stato quindi riassunto dagli altri ricorrenti ai sensi dell’art. 80 c.p.a..

Dopo ulteriore scambio di memorie, all’udienza del 22.11.2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

In limine litis, non ha pregio l’eccezione sul difetto di giurisdizione.

Al riguardo, è principio consolidato (Cass., S.U., n. 8568/2021, n. 9334/2018, n. 15284/2016, n. 12178/2014) quello per cui, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e 191 del 2006, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie risarcitorie promosse in epoca successiva al 10 agosto 2000, aventi ad oggetto occupazioni illegittime preordinate all'espropriazione e realizzate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile come tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano, e ciò anche nel caso in cui l'ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione, nonchè la sua irreversibile trasformazione, siano avvenute senza alcun titolo che le consentisse, ovvero nonostante il venir meno di detto titolo.

Tale giurisdizione non trova giustificazione nell'idoneità della dichiarazione di pubblica utilità a determinare l'affievolimento del diritto di proprietà, e quindi nella configurabilità della posizione giuridica del proprietario come interesse legittimo, ma nella riconducibilità della fattispecie alla materia urbanistico-edilizia, in forza della quale spettano alla cognizione del giudice amministrativo tutte le controversie aventi ad oggetto comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere da parte della Pubblica Amministrazione, quali che siano i diritti (reali o personali) fatti valere nei confronti di quest'ultima, nonchè la natura (restitutoria o risarcitoria) della pretesa avanzata.

Essa si estende, quindi, a tutte le ipotesi in cui l'esercizio del potere si è manifestato con l'adozione della dichiarazione di pubblica utilità, anche se poi quest'ultima sia stata annullata da parte della stessa autorità amministrativa che l'ha emessa o dal giudice amministrativo, oppure la sua efficacia sia altrimenti venuta meno, o ancora l'apprensione e/o l'irreversibile trasformazione del fondo abbiano avuto luogo in assenza di titolo o in virtù di un titolo a sua volta caducato.

Dunque, l'esistenza di una dichiarazione di pubblica utilità – pacificamente emessa nel procedimento espropriativo di cui si controverte - è condizione imprescindibile per ritenere che l'apprensione, l'utilizzazione e l'irreversibile trasformazione del bene in proprietà privata da parte della pubblica amministrazione siano riconducibili ad un concreto esercizio del potere autoritativo, quale condizione necessaria per affermare la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Va rigettata l’eccezione relativa al difetto di legittimazione.

Invero, dall’esame della documentazione depositata dai ricorrenti (avviso di immissione in possesso del 1988 e denunce di successione in atti depositate il 12.4.2022) emerge che i ricorrenti sono eredi ed aventi causa di I A, classe 1921 e I F, classe 1919 - deceduti rispettivamente il 2.8.2008 e il 24.6.1994 - e, quanto a F F, I I e I F (classe 1992), di I L, a sua volta erede di I F, classe 1919, titolari delle particelle oggetto della procedura espropriativa, sicché non può dubitarsi in ordine alla legittimazione attiva degli istanti.

In ordine alla presunta usucapione, valgano le considerazioni di seguito illustrate.

Al riguardo si è espressa l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che - nell'intento di "ricostruire ... il quadro dei condivisibili principi che, successivamente all'ordinanza di rimessione della IV Sezione, sono stati elaborati dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 71 del 2015 cit.), dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. decisioni n. 735 del 19 gennaio 2015 e n. 22096 del 29 ottobre 2015) e dal Consiglio di Stato (cfr. sentenze Sez. IV, n. 4777 del 19 ottobre 2015;
n. 4403 del 21 settembre 2015;
n. 3988 del 26 agosto 2015;
n. 2126 del 27 aprile 2015;
n. 3346 del 3 luglio 2014), all'interno della consolidata cornice di tutele delineata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per contrastare il deprecato fenomeno delle <<espropriazioni indirette>>
del diritto di proprietà o di altri diritti reali (cfr., ex plurimis e da ultimo, con riferimento all'ordinamento italiano, Corte europea dei diritti dell'uomo, Sez. II, 3 giugno 2014, Rossi e Variale;
Sez. II, 14 gennaio 2014, Pascucci;
Sez. II, 5 giugno 2012, Immobiliare Cerro;
Grande Camera, 22 dicembre 2009, Guiso;
Sez. II, 6 marzo 2007, Scordino;
Sez. III, 12 gennaio 2006, Sciarrotta;
Sez. II, 17 maggio 2005, Scordino;
Sez. II, 30 maggio 2000, Soc. Belvedere alberghiera;
Sez. II, 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura)" - ha chiarito come, in linea generale, la condotta dell'amministrazione incidente sul diritto di proprietà e manifestata per le vie di fatto (c.d. "occupazione acquisitiva") - configurante un illecito permanente ex art. 2043 c.c. - possa terminare anche in conseguenza "di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti individuati dal Consiglio di Stato, allo scopo di evitare che si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale della C.E.D.U. (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014).

Pertanto, l'usucapione può operare a condizione che: I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta;
II) si possa individuare il momento esatto della interversio possessionis;
III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003) perché solo l'art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il <<... giorno in cui il diritto può essere fatto valere>>".

Alla stregua dei riportati principi, da cui il Collegio non intende discostarsi, deve respingersi l'eccezione di usucapione, atteso che non può ritenersi maturato il tempo necessario ad usucapire, non essendo comunque compiuto il ventennio di occupazione decorrente dalla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 327/2001 (difatti, il ricorso è stato notificato nel 2015), come sopra computabile, sicché, ad oggi, non può dirsi realizzata alcuna pretesa fattispecie estintiva della proprietà in danno del ricorrente.

Nel merito il ricorso è fondato.

Si ravvisano nella detenzione e modificazione illegittima dei luoghi, gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana per danno ingiusto.

Il Collegio individua, in particolare, sia il compimento di un atto illecito, derivante dalla perdurante occupazione sine titulo dei suoli, sia l'elemento psicologico della colpa, per la negligenza dimostrata nella mancata conclusione della procedura espropriativa, sia il nesso causale tra l'azione appropriativa e il danno patito per effetto della sottrazione del bene e la trasformazione dei luoghi.

Ricorre il concreto esercizio del potere ablatorio, sebbene l’ingerenza nei fondi si sia protratta senza alcun titolo legittimante. Infatti il comportamento dell’amministrazione - consistito nell’apprensione e modificazione dei fondi della ricorrente - è mediamente riconducibile all’esercizio di un potere amministrativo, segnatamente all’approvazione di un progetto definitivo dell’opera pubblica comportante dichiarazione di pubblica utilità dell’opera ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. n. 327/2001 e alla successiva apprensione dei suoli.

Al riguardo, giova rammentare in termini generali come l’occupazione sine titulo di un immobile, nella quale rientra qualsiasi situazione originaria (apprensione del bene diretta da parte della P.A., senza alcuna previa attivazione di procedure ablatorie) o sopravvenuta (a seguito di declaratoria di illegittimità di procedure espropriative, ovvero di inefficacia delle stesse) di acquisizione della disponibilità materiale di immobili da parte della mano pubblica, costituisce un illecito permanente rientrante nel genus dell’art. 2043 c.c. fino a che perdura l'apprensione dell'area.

Ribadita l’illegittima occupazione del fondo, va dichiarato l'obbligo per il Comune Ceppaloni di valutare se acquisire o meno i suoli in questione ai sensi dell’art. 42 bis D.P.R. n. 327/2001, nell’esercizio della propria discrezionalità (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1514/2012) - fatto salvo l’eventuale acquisto iure privatorum - prospettandosi, in caso di motivata decisione di non acquisizione, l’obbligo di restituzione al titolare, previa rimessione in pristino a spese dell’amministrazione (cfr. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2/2016 secondo cui “la scelta che l’amministrazione è tenuta ad esprimere nell’ipotesi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dai primi due commi dell’art. 42-bis, non concerne l’alternativa fra l’acquisizione autoritativa e la concreta restituzione del bene, ma quella fra la sua acquisizione e la non acquisizione, in quanto la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico - cioè una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l’immobile assunta dall’amministrazione in sede procedimentale - ed essa non costituisce, né può costituire, espressione di una specifica volontà provvedimentale dell’autorità, atteso che, nell’adempiere gli obblighi di diritto comune, l’amministrazione opera alla stregua di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento e non agisce iure auctoritatis”).

Difatti, per le fattispecie disciplinate dall'art. 42 bis citato, l'illecito permanente viene meno nei casi da esso previsti (l'acquisizione del bene o la sua restituzione), salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti, di natura transattiva (Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 2/2020), visto che nessuna disposizione o principio ordinamentale autorizzano l'amministrazione a permanere nel pieno ed illecito possesso del bene quantunque per fini di pubblico interesse.

La dichiarazione dell'obbligo per l’amministrazione di determinarsi sulla eventuale acquisizione del bene ex art. 42 bis (ovvero, in caso contrario, di restituire il bene) si pone, in tal senso, nel solco dei principi che governano l'azione di adempimento di cui all’art. 34, comma 1, lett. c) cod. proc. amm., ai sensi del quale il giudice, nei limiti della domanda, condanna, tra l'altro, "all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell'articolo 2058 del codice civile".

In accoglimento della domanda giudiziale, spetta poi al ricorrente il risarcimento del danno causato dall'illegittima detenzione da parte del Comune del fondo di sua proprietà, non legittimamente espropriato, né altrimenti acquisito al patrimonio dell'ente, per il periodo intercorrente tra l’inizio dell’occupazione illegittima e la regolarizzazione dell’acquisto della proprietà da parte del Comune secondo le modalità sopra descritte.

Quanto al predetto risarcimento, il Tribunale fornisce i seguenti criteri ai sensi dell’art. 34, comma 4, del c.p.a.: l’importo sarà liquidato dal Comune, facendo applicazione in via equitativa del parametro di cui all'art. 42 bis (Consiglio di Stato, Sez, VI, n. 5700/2019) e, dunque, determinando una somma pari al 5% annuo del valore venale del bene, secondo la relativa destinazione urbanistica (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, n. 5840/2020 sul metodo della “stima diretta o sintetica” che “consiste nella determinazione del più probabile valore di mercato di un bene mediante la comparazione di valori di beni della stessa tipologia di quello oggetto di stima”), oltre rivalutazione - trattandosi di debito di valore - e interessi legali.

La regolazione delle spese processuali segue la soccombenza ai sensi dell’art. 26 c.p.a. e 91 c.p.c. nella misura indicata in dispositivo;
per l’effetto, il Comune di Ceppaloni va condannato al pagamento in favore del ricorrente, con distrazione ai procuratori antistatari che hanno avanzato rituale istanza ai sensi dell’art. 26 cod. proc. amm. e dell’art. 93 cod. proc. civ..

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