TAR Napoli, sez. V, sentenza 2020-12-05, n. 202005840

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2020-12-05, n. 202005840
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202005840
Data del deposito : 5 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/12/2020

N. 05840/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01858/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1858 del 2016, proposto da
A S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati M R, M R, con domicilio eletto presso lo studio M R in Napoli, via Campanile 2, Napoli;

contro

Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, A A, B C, A C, G P, A P, B R, E C, A I F, G R, con domicilio in Napoli, piazza Municipio;
Sindaco del Comune di Napoli - Commissario delegato per gli interventi di emergenza connessi al consolidamento del sottosuolo e dei versanti della Città di Napoli (ordinanza del Ministero dell’Interno n. 2509/1997), non costituito.

a) per l'accertamento e la dichiarazione, previa declaratoria dell'illegittimità dell'occupazione sine titulo, di nullità della procedura preordinata all'espropriazione per pubblica utilità relativi ai lavori approvati con decreto commissariale n. 94 del 18.07.2003, denominati: "Interventi di emergenza connessi alla sistemazione idrogeologica della Collina dei Camaldoli versante Pianura: alveo e collettore S. Antonio, collettore Nazareth, primo e secondo canale pedemontano Eremo", ed avente ad oggetto i suoli di proprietà della Società A S.r.l. siti in Napoli, Pianura, Località Monte Cava di Piperno (identificati in catasto terreni N.C.T. _di Napoli al foglio 46, pila 131 e p.11a 132), e b) per la condanna al pagamento del corrispondente valore delle aree occupate, al pagamento dell'indennizzo spettante a titolo di occupazione legittima e di tutti i danni derivati da quella illegittima, ovvero alla restituzione delle stesse, nonché al pagamento delle spese necessarie per l'eventuale riduzione in pristino, oltre i danni consequenziali.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 settembre 2020 la dott.ssa Diana Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato in data 13 aprile 2016 e depositato il successivo 27 aprile la società A S.r.l., ha agito in primo luogo per l’accertamento dell'illegittimità dell'occupazione sine titulo , previa declaratoria e di nullità (rectius, di inefficacia) della procedura preordinata all'espropriazione per pubblica utilità, relativa ai lavori approvati con decreto commissariale n. 94 del 18.07.2003, denominati: "Interventi di emergenza connessi alla sistemazione idrogeologica della Collina dei Camaldoli versante Pianura: alveo e collettore S. Antonio, collettore Nazareth, primo e secondo canale pedemontano Eremo", ed avente ad oggetto i suoli di sua proprietà, siti in Napoli, Pianura, Località Monte Cava di Piperno (identificati in catasto terreni N.C.T. -di Napoli al foglio 46, p.lla 131 e p.lla 132).

1.1. Ha inoltre richiesto la condanna delle amministrazioni intimate al pagamento del controvalore delle aree occupate ed illegittimamente trasformate, ex art. 42 bis T.U. espropri, al pagamento dell'indennizzo spettante a titolo di occupazione legittima e di tutti i danni derivati da quella illegittima;
in subordine, rispetto al richiesto pagamento del controvalore della aree illegittimamente occupate, ha richiesto la condanna alla restituzione delle stesse, nonché al pagamento delle spese necessarie per l'eventuale riduzione in pristino.

2. A sostegno del ricorso deduce, in punto di fatto, di essere proprietaria del suolo sito in Napoli, Pianura, Località Monte Cava di Piperno, in catasto terreni N.C.T. di Napoli al foglio 46, p.lla 115, fabbricato rurale;
p.lla 131 di mq. 5950 e p.lla 132 di mq. 480, come da acquisto per atto di compravendita del 05.12.2002 per Notaio Dr. A C.

2.1. Tale suolo veniva fatto oggetto della procedura di occupazione finalizzata all'esproprio per i lavori denominati: "interventi di emergenza connessi alla sistemazione idrogeologica della Collina dei Camaldoli versante Pianura: alveo e collettore S. Antonio: - collettore Nazareth, primo e secondo canale pedemontano Eremo", in relazione alla quale, in ordine cronologico, venivano emessi i seguenti atti:

a) in data 18.07.2003, con Decreto Commissariale n. 94, il Sindaco di Napoli - Commissario delegato approvava il progetto dei suddetti lavori con la contestuale dichiarazione di pubblica utilità nonché d'urgenza ed indifferibilità della loro esecuzione;

b) in data 20.04.2004, il precedente proprietario del fondo, Dr. Giorgio Di Francia, cui venivano comunicati i lavori di intervento, dichiarava al Comune di Napoli di aver alienato i suoli in data 05.12.2002 alla Società A S.r.l.;

c) in data 04.05.2004, con l'avviso prot. n. 524, veniva comunicata l'attivazione della procedura;

d) in data 18.10.2004, con Decreto Commissariale n. 138, veniva disposta l'occupazione d'urgenza per anni tre (3) dei suoli di proprietà della società A S.r.l., così identificati:

- p.lla 131, mq. 5950 di superficie di cui mq 750 in occupazione temporanea e mq 3020 in esproprio;

- p.lla 132, mq. 480 di superficie di cui. 30 mq. in occupazione e mq 23 in esproprio;

per un totale di 6430 mq. di superficie, di cui 780 mq in occupazione temporanea e mq. 3043 in esproprio;

e) in data 22 10 2004, con l'avviso prot. n. 1045, veniva comunicato che le operazioni di redazione del verbale di consistenza e presa di possesso avrebbero avuto inizio in data 08.11.2004;

f) in data 08.11.2004, venivano redatti i verbali di consistenza e immissione in possesso per il suolo di cui alla p.lla 131, di cui la superficie di mq. 750 in occupazione temporanea e la superficie di mq. 3020 in esproprio, per un totale di mq. 3770 e per il suolo p.lla 132 di cui la superficie di mq. 30 in occupazione temporanea e la superficie di mq. 23 in esproprio, per un totale di mq. 53 (in all.to doc. 6 e doc. 6.1), per cui in totale le superfici occupate erano pari a mq. 3770 + mq 53 = mq 3823.00;

g) in data 12 05 2006, con l'avviso prot. n. 423, veniva comunicata all'A S.r.l. dal coordinatore del Dipartimento Ambiente del Comune di Napoli, Arch. G R, la quantificazione relativa all'indennità principale di espropriazione, pari ad Euro 94.375,00 per il suolo della p.lla 131 e pari ad Euro 718,70 per il suolo della p.lla 132, per un totale di Euro 95.093,70;

h) alla data del 08/11/2007, di scadenza dell'occupazione triennale decorrente dal 08.11.2004 in cui erano stati redatti i verbali di consistenza e di immissione nel possesso, sui luoghi erano presenti i manufatti realizzati consistenti in opere idrauliche, grandi vasche in cemento armato, tubazioni, manufatti di grande ingombro ed altre opere, il tutto in evidente stato di abbandono.

Pertanto, nella prospettazione attorea, a tale data, non essendo stato adottato il decreto di esproprio, l’occupazione diveniva sine titulo e, in presenza di un irreversibile trasformazione del suolo, si verificava, a suo dire, un’occupazione appropriativa;

i) in data 23 09 2009, con la missiva prot. n. 20838, la società A S.r.l. formulava al Comune di Napoli, sulla scorta dell'intervenuta Sentenza della Corte Costituzionale n. 244/07, una proposta transattiva chiedendo al contempo di essere messa a conoscenza dell'iter espropriativo e dell'eventuale proroga dei poteri conferiti al Sindaco di Napoli;

l) in data 14 01 2010, con la nota prot. n. 55 indirizzata all'Avvocatura Comunale e per conoscenza al legale rappresentante della società A S.r.l., il coordinatore del Dipartimento Ambiente, Arch. G R, chiedeva il parere dell'Avvocatura Comunale in merito alla proposta dell'A S.r.l;

m) in data 16.12.2013, con missiva indirizzata al Comune di Napoli, la Società A S.r.l. formulava una nuova proposta transattiva alla luce della Sentenza della Corte Costituzionale n. 349/07 e della nuova normativa introdotta dalla Legge n. 244/07, chiedendo nuovamente di essere resa edotta dell'iter espropriativo e dell'eventuale proroga dei poteri conferiti al Sindaco di Napoli, pena l'instaurazione del giudizio innanzi alle competenti autorità;

n) in data 23.04.2014, a seguito di richiesta di accesso agli atti formulata dalla società ricorrente, con la nota prot. n. 332402, il Servizio Difesa Idrogeologica del Territorio e Sicurezza Abitativa trasmetteva il presente riscontro: “ A seguito della cessazione delle attività del commissariato e della relativa chiusura delle contabilità speciali n. 1491, n. 3012 e n. 3244 intestate al Sindaco Commissario delegato ex art. 9 dell’O.P.C.M. n. 3932 del 7.04.2011, la Giunta Comunale, al fine di consentire il completamento degli interventi ai quali le relative somme erano vincolate, con delibera 384 del 24.05.2012, nel dettare gli indirizzi per il trasferimento delle residue risorse presenti sulle contabilità speciali delle gestioni commissariali agli interventi di bilancio comunale ha, tra l'altro, preso atto del trasferimento degli importi presenti sulla contabilità speciale n. 1491 per il pagamento degli interventi di emergenza connessi all'emergenza sottosuolo ex O.M.I. n. 2509197;
con la medesima deliberazione, la Giunta Comunale ha autorizzato il Servizio Programmazione e Monitoraggio delle Entrate, delle Spese e dei Mutui e Bilancio Comunale ad istituire nel Bilancio di Previsione 2012 - 2014 - annualità 2012, la risorsa 4.02.12.12 per l'introito delle relative somme, nonché autorizzato i Dirigenti assegnatari delle suddette risorse ad assumere, con proprie determinazioni, gli impegni di spesa e ad emettere i conseguenti atti di liquidazione, onde consentire il pagamento alle ditte/società aggiudicatarie dei lavori relativi agli interventi ricompresi nei programmi straordinari.

Tra le predette risorse, e precisamente al progressivo n. 5 dell'allegato alla medesima deliberazione n.384/2012, risulta il residuo importo degli accreditamenti del finanziamento, di euro 891.568,81, relativo ai lavori di cui al suddetto intervento, imputato alla direzione Ambiente.. .";

o) in data 17.072014, dopo numerosi tentativi di accesso agli atti della procedura da parte del tecnico incaricato dalla difesa della società ricorrente, lo stesso prendeva visione estraeva copia degli atti relativi alla procedura di occupazione presso gli uffici della Direzione Centrale Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare.

3. Ciò posto, la società ricorrente, stante la perduranza dell’occupazione sine titulo, senza adozione del decreto di esproprio e senza la corresponsione di alcun indennità né di alcuna posta risarcitoria, ha agito nella presente sede per la condanna delle resistenti al pagamento del controvalore del terreno ex art. 42 bis T.U. espropri, dell’indennizzo riferito al periodo di occupazione legittima, del risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima, nonché per il danno non patrimoniale ed il danno arrecato alla parte residua del fondo, deducendo che a seguito delle opere realizzate era rimasta interclusa una zona della parte residua di circa mq 650 ubicata a monte lato Est rispetto alla via Strada vicinale Pignatiello che fornisce l'accesso ai luoghi e che nel corso dei lavori erano stati versati nella parte residua del fondo di sua proprietà grandi quantità di terreno e materiale vario di riporto, nonché infine che lo stato di incuria e degrado in cui versavano le aree occupate ed i manufatti ivi insistenti comportava un notevole aggravio alle condizioni igieniche delle abitazioni ubicate nella parte residua del fondo a causa di esalazioni nocive e di insetti ed animali molesti dovuti, anche, alle acque meteoriche stagnanti nelle vasche a cielo aperto e alle altre strutture e manufatti abbandonati sul posto.

Ha inoltre richiesto anche il risarcimento dei danni riferito all’occupazione del suolo della parte residua del fondo rimasto nella sua disponibilità, a causa del materiale versato, per il periodo dal 9 maggio 2006 al 9 maggio 2014, nonché il risarcimento dei danni connesso agli interventi di ripristino necessari per provvedere alla rimozione del volume di terreno e del materiale di riporto versato sulla parte residua del fondo di sua proprietà.

In relazione alla domanda risarcitoria riferita al deprezzamento della parte residua del fondo la società ricorrente ha precisato che a seguito dell'occupazione detta parte era rimasta divisa in due porzioni:

a.1) La prima porzione, di circa mq 650, ubicata ad Est rispetto alle vasche realizzate ed a monte rispetto alla via Strada Vicinale Pignatiello ed identificata con la lettera "A" nell'allegata planimetria, era rimasta completamente interclusa, per cui allo stato la stessa sarebbe, nella prospettazione attorea, completamente inutilizzabile.

b.1) La seconda porzione residua, di circa mq 2.737, ubicata a Nord rispetto alle vasche realizzate ed identificata con la lettera "B" nell'allegata planimetria, aveva subito un deprezzamento dovuto alla diminuita possibilità di godimento e di uso, sia a causa delle ridotte dimensioni, sia a causa della presenza delle stesse opere realizzate, cioè delle vasche in cemento armato a cielo aperto e delle altre opere in cemento armato che arrecherebbero degrado ambientale ed igienico - sanitario alla zona.

In alternativa al pagamento del controvalore del terreno e della sua acquisizione al Comune, ai sensi dell’art. 42 bis T.U. Espropri, la società ricorrente ha richiesto la restituzione del suolo di sua proprietà.

4. Il Comune di Napoli si è costituito deducendo preliminarmente il difetto di giurisdizione del G.A. adito ed in subordine il suo difetto di legittimazione passiva, sulla base del rilievo che la procedura espropriativa di cui è causa era stata delegata al Commissario straordinario per l’emergenza del sottosuolo, essendo il Comune intervenuto solo nella fase finale, a seguito del passaggio di competenza per la chiusura di tale commissariato e che pertanto non poteva essere oggetto della richiesta di risarcimento, in mancanza dei relativi presupposti.

5. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza pubblica dell’8 settembre 2020, nella cui sede il Collegio ha dato avviso alla difesa delle, parti ex art. 73 comma 3 c.p.a., della sussistenza di profili di inammissibilità della domanda relativa al controvalore del fondo di proprietà della ricorrente, nonché del difetto di giurisdizione del G.A. adito (peraltro sollevata dalla difesa del Comune in relazione a tutte le domande articolate nell’odierno giudizio) relativamente all’indennizzo per il periodo di occupazione legittima.

6.La difesa di parte ricorrente preso atto di tali rilievi ha insistito nella nomina di un consulente tecnico d’ufficio.

7. In via preliminare vanno vagliate le eccezioni formulate dal Comune di Napoli.

7.1. In primis va vagliata l’eccezione di difetto di giurisdizione, opposta dal Comune in relazione a tutte le domande formulate dalla società ricorrente.

Ed invero, secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato, nella sua più autorevole composizione (AP n. 4/11 e di recente ribadito da AP n. 9/14), la norma positiva enucleabile dal combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., impone di risolvere le questioni processuali e di merito secondo l'ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali (nell'ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio, estinzione), rispetto alle condizioni dell'azione (tale fondamentale canone processuale è stato ribadito dall'Adunanza plenaria 3 giugno 2011, n. 10).

7.1.1. Ciò posto, deve osservarsi come l’eccezione sia senza dubbio infondata quanto alla richiesta di risarcimento dei danni riferiti all’occupazione illegittima in quanto, a seguito dell’adozione del decreto di occupazione d’urgenza e della conseguente immissione in possesso, non seguita dall’adozione del decreto di esproprio nei termini di legge, non viene in rilievo un danno da comportamento mero, essendo per contro il danno ricollegabile all’esercizio di un pubblico potere della P.A. (ex multis Cass. sez. un., 27/05/2015, n. 10879 secondo cui “ L'azione finalizzata al risarcimento dei danni che si pretendono conseguiti ad una occupazione iniziata, dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in virtù di un decreto di occupazione d'urgenza, e proseguita anche dopo la sopravvenuta inefficacia di tale dichiarazione rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. g), c. proc. amm., in quanto riconducibile in parte direttamente e in parte mediatamente a un provvedimento amministrativo ”).

Ed invero, secondo i recenti approdi della Suprema Corte, a sostegno della giurisdizione del G.A. depongono le seguenti circostanze: la Corte costituzionale nella sentenza (11 maggio 2006 n. 191, in Giur. cost., 2006, 1921, relativa all'art. 53, comma 1, d.p.r. n. 327 del 2001) ha precisato che “deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a “comportamenti” di impossessamento del bene altrui collegati all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di “comportamenti” posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto”;
l'art. 133 citato estende la giurisdizione esclusiva amministrativa alle controversie in materia di espropriazioni per pubblica utilità relative a comportamenti “mediatamente” riconducibili all'esercizio di un pubblico potere;
“la riconducibilità all'esercizio di un pubblico potere sussiste anche quando l'occupazione inizia, dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in virtù di un decreto di occupazione d'urgenza, e prosegue dopo la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità”;
anche in questo caso, infatti, ricorre “il concreto esercizio del potere ablatorio, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano, pur se poi l'ingerenza nella proprietà privata e la sua utilizzazione siano avvenute senza alcun titolo che le consentiva” (Cass., Sez. un., ord. 29 marzo 2013 n. 7938;
Id., ord. 16 dicembre 2013 n. 27994).

Pertanto, ad avviso della Suprema Corte, “anche il successivo comportamento della pubblica amministrazione che omette di restituire il bene, pur dopo l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, si deve connettere, ancorché mediatamente, a quel provvedimento, senza il quale non vi sarebbe stata apprensione e, quindi, neppure la mancata restituzione”. Nella pronuncia Cass. sez. un., 27/05/2015, n. 10879 cit. si aggiunge che, “in considerazione della necessità di privilegiare soluzioni interpretative che, in aderenza ai principi del giusto processo realizzino economie processuali”, non è possibile prospettare una giurisdizione differenziata quanto al danno da apprensione e quanto al danno da mancata restituzione.

La Cassazione ha pertanto con i recenti approdi (tra le altre, le recenti pronunce Cassazione civile, sez. un., 29/01/2018, n. 2145, Cassazione civile, sez. un., 16/04/2018, n. 9334) definitivamente superato un proprio precedente orientamento che, in tema di occupazione di un fondo sulla base di una dichiarazione di pubblica utilità divenuta inefficace per l'inutile decorso dei termini previsti per l'esecuzione dell'opera pubblica e per l'emissione del decreto di esproprio, aveva affermato la giurisdizione del g.o. per le domande risarcitorie e restitutorie fondate sulla predetta occupazione (Cass., Sez. un., 16 luglio 2008 n. 19501;
Id., 23 dicembre 2008 n. 30254;
Id., 23 gennaio 2012 n. 832).

Come noto, peraltro, la prevalente giurisprudenza amministrativa ha invece da sempre affermato la giurisdizione amministrativa (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2012 n. 6012, C.d.S., 2012, 2856;
Id., 31 maggio 2012, n. 3269, ivi, 1201;
Id., 28 febbraio 2012 n. 1133, ivi, 2012, 316).

Alla luce di tale giurisprudenza deve ritenersi compresa nella giurisdizione del G.A. adito, quanto alle domande formulate nel presente giudizio, anche la domanda relativa al risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima delle aree oggetto di occupazione temporanea, secondo i decreti di occupazione d’urgenza adottati, e pertanto, ove riferita a tali aree e comunque nei relativi limiti, anche la domanda relativa all’occupazione del suolo di proprietà della società ricorrente con terreno di riporto, per il periodo indicato da parte ricorrente e non oggetto di specifica contestazione, esulando per contro dalla giurisdizione di questo G.A. l’occupazione di aree ulteriori non coperte dalla dichiarazione di pubblica utilità, alla luce della costante giurisprudenza in materia relativa all’occupazione usurpativa.

Le Sezioni Unite, con Ordinanza n° 1642/2017, hanno confermato infatti che, nel caso di “occupazione usurpativa”, ovvero di manipolazione del fondo di proprietà privata in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, si verifica un comportamento di fatto dell’Amministrazione, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, che è ravvisabile anche per i terreni nei quali si sia verificato uno sconfinamento, nel corso dell’esecuzione dell’opera pubblica su aree legittimamente occupate.

In particolare, la domanda di risarcimento del danno del proprietario, relativamente ad area contigua a quella in cui è realizzata l’opera pubblica, appartiene alla giurisdizione ordinaria ove, nella prospettazione dell’attore, fonte del danno non siano né il “se” né il “come” dell’opera progettata, ma le sue concrete modalità esecutive, atteso che la giurisdizione esclusiva amministrativa si fonda su un comportamento della P.A. (o del suo concessionario) che non sia semplicemente occasionato dall’esercizio del potere, ma si traduca, in base alla norma attributiva, in una sua manifestazione e, cioè, risulti necessario, considerate le sue caratteristiche in relazione all’oggetto del potere, al raggiungimento del risultato da perseguire (Cassazione, Sezioni Unite, 3 febbraio 2016, n. 2052, m. 638281).

7.1.2. L’eccezione di difetto di giurisdizione è invece fondata quanto alla richiesta di condanna alla corresponsione dell’indennizzo relativo al periodo di occupazione legittima, rientrando la stessa nella giurisdizione del G.O., ai sensi dell’art. 133 comma 1 lett. g), secondo cui resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie relative la determinazione e alla corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa, fra le quali rientra anche la condanna all’indennizzo per il periodo di occupazione legittima (cfr., in riferimento alla disciplina previgente di cui al disposto dell’art. 7 l. 205 del 2000, Sez. UU, Ordinanza n. 5055 del 28/02/2017, secondo cui “Ai sensi dell'art. 34 della l. n. 80/1998, come sostituito dall'art. 7, comma 1, lett. b), l. n. 205/2000 (applicabile ratione temporis), che regola il riparto di giurisdizione in materia edilizia ed urbanistica, le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità di occupazione legittima dovute in conseguenza di atti ablativi appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario”).

7.2. Non meritevole di accoglimento è infine l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata, peraltro in termini assolutamente generici, dal Comune di Napoli, atteso che quale Commissario delegato per l’emergenza del sottosuolo era stato nominato il sindaco del Comune di Napoli e che comunque, all’esito della chiusura della gestione commissariale, è subentrato il Comune di Napoli;
né il Comune ha dedotto e provato, come suo onere, dovendo il giudice giudicare iuxta alligata et probata partium, di non essere subentrato, all’esito del passaggio di competenze, nei rapporti attivi e passivi e nella gestione dei fondi che erano stati destinati per la realizzazione degli interventi de quibus.

Peraltro, da quanto allegato e documentato da parte ricorrente ed esposto nella parte in fatto, emerge che nella gestione di fondi della gestione commissariale sia subentrata la Direzione Centrale Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare del Comune di Napoli.

Alla stregua di tali rilievi, pertanto, l’eccezione di difetto di legittimazione passiva va pertanto disattesa.

8. Ciò posto, prima della disamina delle domanda formulate da parte ricorrente, appare utile, ad avviso del collegio, ripercorrere l'evoluzione giurisprudenziale e normativa che, al fine di contemperare le ragioni proprietarie con le finalità di pubblico interesse perseguite dall'amministrazione espropriante, ha caratterizzato la disciplina dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità qualificati da un esito patologico, ovvero dalla realizzazione sine titulo dell'opera pubblica per sopravvenuta inefficacia o annullamento degli atti del procedimento.

9. In siffatte evenienze si è tradizionalmente negata al privato la tutela possessoria, riconoscendosi solo una limitata tutela risarcitoria, in ragione dell'esigenza di assicurare l'opera pubblica alla collettività pur in assenza di un legittimo atto traslativo della proprietà in capo alla pubblica amministrazione, sia esso di tipo autoritativo (decreto di esproprio) ovvero di natura consensuale (accordo di cessione del bene espropriando).

L'acquisto della proprietà dell'opera pubblica così realizzata si è fatto risalire all'istituto di creazione pretoria dell'accessione invertita, elaborata in base ai principi di diritto desumibili per analogia iuris dall'art. 938 c.c., comportante l'acquisto della proprietà del suolo illegittimamente occupato a partire dal momento della sua irreversibile trasformazione, ovvero dalla modifica della consistenza e natura, con l'emersione di un bene nuovo e diverso, incorporato inscindibilmente al suolo.

L'istituto in questione è stato reputato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo contrario all'art. 1 Prot. 1 della Carta E.D.U., in quanto contrastante con il riconoscimento della natura fondamentale del diritto del proprietario al rispetto dei propri beni, stigmatizzandolo nella misura in cui lasciava il privato danneggiato in balia di regole non sufficientemente chiare, accessibili e prevedibili, auspicandone la damnatio memoriae (sentenze 30 maggio 2000 Carbonara e Ventura c/ Italia e Belvedere Alberghiera c/ Italia).

Al fine di adeguare l'ordinamento interno ai principi espressi dalle surrichiamate pronunce della Corte Europea, in adempimento agli obblighi specificamente assunti dall'Italia con la riforma dell'art. 117, comma 1, Cost, che impegna il legislatore al rispetto dei "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario", è stata introdotta all'art. 43 T.U espropri (DPR 327/2001) la cd. acquisizione sanante o occupazione provvedimentale. Essa rilevava quale “legale via d'uscita” per l'amministrazione nei casi in cui fosse riscontrabile la realizzazione di un'opera pubblica su terreno di proprietà privata in assenza di valido ed efficace decreto di esproprio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 5830 del 2007;
n. 1552 del 2008).

Abiurata l'occupazione appropriativa tra i modi di acquisto della proprietà, sulla base della ratio e dei principi sottesi al nuovo istituto, la giurisprudenza amministrativa ha ampliato gli strumenti a tutela del diritto di proprietà, non più limitati a quelli risarcitori, ma estesi a piena ragione alla tutela ripristinatoria di natura reale, mediante azione di restituzione, ancorché accompagnata dalla richiesta di riduzione in pristino.

Si è dunque ravvisata nel provvedimento di acquisizione sanante l'unico possibile presupposto ostativo alla tutela reale accordata dall'ordinamento al proprietario illegittimamente privato dei propri beni, non essendo infatti predicabili i limiti intrinseci alla disciplina risarcitoria, come l'eccessiva onerosità prevista dall'art. 2058 c.c., comma 2;
né potendo farsi ricorso alla previsione dell'art. 2933 cod. civ., comma 2, ove non risulti che la distruzione della "res" indebitamente edificata sia di pregiudizio all'intera economia del Paese, ma abbia, al contrario, riflessi di natura individuale o locale (v. decisione Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 29 aprile 2005 n. 2, sent. Corte di Cassazione, sez. I civile, 23 agosto 2012 n. 14609, sent. TAR. Toscana, sez. I, 23 ottobre 2012 n. 1707).

A seguito della declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 43, per eccesso di delega, l'istituto dell'acquisizione sanante, sia pure rivisitato nei presupposti e modalità applicative, è stato reintrodotto con l'art. 42 bis inserito nel testo unico sugli espropri dall'art. 34, comma 1, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, per cui si può in tutta evidenza affermare che alcuni fondamentali arresti giurisprudenziali elaborati con riferimento all'istituto in questione conservino tuttora la loro validità.

L'istituto dell'acquisizione sanante, nel testo introdotto dall'art. 42 bis, è stato, tuttavia, sospettato d'incostituzionalità dalla Corte di Cassazione, sezioni unite civili, con due ordinanze del 13 gennaio 2014 e dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con ordinanze del 12 maggio e del 5 giugno 2014, per una serie di plurime considerazioni, che di seguito sinteticamente si riportano e cioè:

- perché avrebbe riservato un trattamento privilegiato alla pubblica amministrazione che abbia commesso un fatto illecito, concedendole la facoltà di mutare - successivamente all'evento dannoso - il titolo e l'ambito di responsabilità, nonché il tipo di sanzione (da risarcimento in indennizzo), traendo vantaggio da una situazione di illegalità da essa stessa determinata;

- perché avrebbe trasformato il precedente regime risarcitorio in un indennizzo derivante da atto lecito;

- perché, prescindendo dalla dichiarazione di pubblica utilità, autorizzerebbe l'espropriazione in assenza di una predeterminazione dei motivi di interesse generale che, nella prospettiva dell'art. 42 Cost., dovrebbero palesarsi gradualmente ed anteriormente al sacrificio del diritto di proprietà, in un momento in cui la comparazione tra l'interesse pubblico e l'interesse privato possa effettivamente evidenziare la scelta migliore;

- perché non vi sarebbero termini certi di avvio e conclusione del procedimento;

- perché la nuova operazione "sanante" presenterebbe numerosi ed insuperabili profili di contrasto con le norme convenzionali, non risolvibili in via ermeneutica, sulla base dell'interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo che, in più occasioni, avrebbe considerato "in radicale contrasto" con la CEDU il principio dell'"espropriazione indiretta", nella quale il trasferimento della proprietà del bene dal privato alla pubblica amministrazione avviene in virtù della constatazione della situazione di illegalità o illiceità commessa dalla stessa amministrazione, con l'effetto di convalidarla, consentendo a quest'ultima di trarne vantaggio e di passare oltre le regole fissate in materia di espropriazione. In sostanza, la "legalizzazione dell'illegale" non sarebbe consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tanto meno ad un provvedimento amministrativo di essa attuativo, qual è quello che disponga la cosiddetta acquisizione "sanante";

- perché la Corte EDU avrebbe ripetutamente considerato lecita l'applicazione dello ius superveniens in cause già pendenti soltanto in presenza di "ragioni imperative di interesse generale", pena la violazione del principio di legalità nonché del diritto ad un processo equo. La norma censurata violerebbe questo principio perché avrebbe confermato la possibilità dell'amministrazione di utilizzare il provvedimento ex tunc, per fatti anteriori alla sua entrata in vigore, al fine di attribuire alle amministrazioni occupanti una legale via d'uscita dalle situazioni di illegalità.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 71/2015 del 30/4/2015, ha respinto tutte le censure.

Dopo aver sommariamente descritto il contesto, anche giurisprudenziale, nel quale sono stati inseriti dapprima l'art. 43 e poi l'art. 42 bis del T.U. sulle espropriazioni, finalizzati a risolvere le anomalie del procedimento espropriativo per le quali la giurisprudenza amministrativa aveva elaborato gli istituti dell'occupazione "appropriativa" ed "usurpativa", ha rimarcato le ragioni poste a fondamento della declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 43 del T.U. sulle espropriazioni e segnatamente che "l'intervento della pubblica amministrazione sulle procedure ablatorie, come disciplinato dalla norma da ultimo richiamata, eccedeva gli istituti della occupazione appropriativa ed usurpativa, così come delineati dalla giurisprudenza di legittimità, prevedendo un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che aveva commesso l'illecito, addirittura a dispetto di un giudicato che avesse disposto il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato", oltre ai numerosi dubbi sulla compatibilità del meccanismo di "acquisizione sanate" con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, orientata a ritenere l'espropriazione cosiddetta indiretta in contrasto con il principio di legalità e non utilizzabile come valida alternativa ad un'espropriazione adottata secondo "buona e debita forma" (sentenza 12 gennaio 2006, Sciarrotta ed altri

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