TAR Parma, sez. I, sentenza 2011-05-25, n. 201100153
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N. 00153/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00296/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 296 del 2009 proposto da P L, rappresentato e difeso dall’avv. P S, con domicilio presso la Segreteria della Sezione;
contro
l’U.T.G. - Prefettura di Piacenza, in persona del legale rappresentante p.t., difeso e rappresentato dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria
ex lege
;
per l'annullamento
del provvedimento della Prefettura della Provincia di Piacenza in data 26 agosto 2009 (prot. n. 10629/09/U/Area I), recante il rigetto del ricorso gerarchico presentato dal ricorrente avverso l’atto di «avviso orale» emesso il 9 luglio 2009 dalla Questura di Piacenza.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’U.T.G. - Prefettura di Piacenza;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. I C;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza in data 11 maggio 2011 i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Richiamando la circostanza che il ricorrente risultava indagato per “… guida in stato di ebbrezza, reati in materia di immigrazione, contravvenzioni, false attestazioni a P.U., furto aggravato, danneggiamento, danneggiamento del patrimonio archeologico/storico nazionale, nonché sanzionato per ubriachezza e, da ultimo, sottoposto a fermo di indiziato di delitto per tentato omicidio, lesioni dolose, porto di oggetti idonei all’offesa, in concorso …”, e adducendo che da tutto ciò si desumeva la condizione di persona “… abitualmente dedita alla commissione di reati, anche gravi, tanto da farla ritenere pericolosa per la sicurezza pubblica …”, in data 9 luglio 2009 la Questura di Piacenza provvedeva ad avvisare oralmente l’interessato, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 1423 del 1956, circa l’eventualità di una proposta di applicazione delle misure di prevenzione di cui all’art. 3 della medesima legge ove non fosse intervenuto un mutamento di condotta. Avverso l’atto di «avviso orale» proponeva poi ricorso gerarchico il Preci, ma con rigetto disposto dalla Prefettura della Provincia di Piacenza a mezzo di provvedimento prot. n. 10629/09/U/Area I in data 26 agosto 2009.
Il decreto prefettizio di rigetto del ricorso gerarchico è stato impugnato dall’interessato, il quale assume carenti gli elementi di fatto idonei a ricondurre la sua persona ad una delle categorie previste dall’art. 4 della legge n. 1423 del 1956, posto che alcuni precedenti penali risalirebbero al 1994, al 2004 e al 2006 e non avrebbero oramai più rilevanza, mentre la più recente posizione di indagato per “tentato omicidio” sarebbe priva di valore stante la sua già intervenuta rimessione in libertà e la carenza di significativi sospetti a suo carico, donde l’assenza di quella condotta indice di pericolosità sociale che la legge richiede per l’«avviso orale» ex art. 4 della legge n. 1423 del 1956. Conclude dunque il ricorrente per l’annullamento dell’atto impugnato.
Si è costituito in giudizio l’U.T.G. - Prefettura di Piacenza, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, resistendo al gravame.
L’istanza cautelare del ricorrente veniva respinta dalla Sezione alla Camera di Consiglio del 3 novembre 2009 (ord. n. 215/09).
All’udienza in data 11 maggio 2011, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato.
Come è noto, l’«avviso orale» di cui all’art. 4 della legge 1423 del 1956 consiste nell’avvertimento della sussistenza di sospetti a carico di una persona, per la quale si profilano “elementi di fatto” che ne facciano ritenere l’appartenenza ad una delle categorie previste dall’art. 1 della medesima legge, e non ha altro effetto se non quello di consentire, entro i successivi tre anni, la formulazione della proposta all’Autorità giudiziaria circa l’applicazione di misure di prevenzione. Il giudizio sulla pericolosità sociale del soggetto “avvisato”, pertanto, non richiede la sussistenza di prove compiute sulla commissione di reati, essendo sufficienti anche mere supposizioni sulla base di circostanze fattuali tali da indurre l’Autorità di polizia a ritenere sussistenti le condizioni di pericolosità sociale che possono dar luogo all’applicazione giudiziale delle misure di prevenzione. In definitiva, come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2011 n. 2468), è legittimo procedere all’«avviso orale» anche in assenza di addebiti specifici, purché emerga una situazione rivelatrice di personalità incline a comportamenti antisociali che ne fanno ragionevolmente ascrivere l’appartenenza ad una delle categorie di cui all’art. 1 della legge n. 1423 del 1956, e ciò anche qualora non sia possibile documentare che l’interessato vive dei proventi di attività delittuosa o è dedito a traffici illeciti o si associa con pregiudicati, se tuttavia il modello comportamentale complessivo del soggetto presenti caratteristiche atte a fare non illogicamente presumere l’esistenza di una pericolosità sociale.
Ciò posto, il Collegio è dell’avviso che le circostanze nella fattispecie prese in considerazione dall’Amministrazione rivelino un quadro di comportamenti che fanno apparire congrue le conclusioni dell’Autorità di Polizia, pur a fronte di talune condanne risalenti nel tempo ma evidentemente utili a sorreggere un giudizio prognostico ancorato ad una protratta propensione a condotte antisociali, rispetto alle quali l’episodio che vede da ultimo il ricorrente indagato per tentato omicidio, lesioni dolose e porto di oggetti idonei all’offesa, pur in mancanza di un definitivo accertamento in sede giudiziaria, ben può costituire, nell’ambito dell’autonomo apprezzamento rimesso all’Amministrazione quanto alla sussistenza di meri sospetti, un ulteriore elemento idoneo alla configurabilità, nel soggetto destinatario dell’avviso, di una spiccata e attuale inclinazione a violare le regole del vivere civile. Si tratta insomma di valutazioni che si presentano come il risultato di un non arbitrario esercizio del potere discrezionale in materia, ovvero come l’esito di una equilibrata ponderazione dei vari interessi coinvolti nel procedimento.
Di qui il rigetto del ricorso.
Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente, e vengono liquidate come da dispositivo.