TAR Napoli, sez. III, sentenza 2020-12-10, n. 202006025

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. III, sentenza 2020-12-10, n. 202006025
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202006025
Data del deposito : 10 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/12/2020

N. 06025/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02451/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2451 del 2016, proposto da A M C e A C, rappresentati e difesi dall'avvocato F U, con domicilio fisico presso il suo studio in Napoli, c.so V. Emanuele n. 670 e domicilio digitale come da Pec dei registri di giustizia;

contro

Comune di San Giuseppe Vesuviano, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato V A, con domicilio digitale come da Pec dei registri di giustizia;

per l'annullamento

del provvedimento n. 24 del 16 marzo 2016 emesso dal responsabile del servizio urbanistica del comune di San Giuseppe Vesuviano, notificato, rispettivamente in data 25 marzo 2016-7 aprile 2016, con il quale è stata ordinata la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi di opere abusive che sarebbero state realizzate dagli attuali ricorrenti in San Giuseppe Vesuviano (NA) alla Via Degli Ulivi 62/2, (già contrada Capocresti).


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Giuseppe Vesuviano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2020 la dott.ssa Maria Barbara Cavallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Con ricorso notificato il 19 maggio 2016, i ricorrenti indicati in epigrafe hanno impugnato il provvedimento di demolizione loro notificato, relativo a presunte opere abusive realizzate su un terreno agricolo, sito in San Giuseppe Vesuviano alla Via Degli Ulivi n. 62/2 (già contrada Capocresti).

A sostegno del ricorso prospettano la violazione di una serie di disposizioni di legge, analiticamente indicate, nonché per varie forme di eccesso di potere (erroneità ed illegittimità dei presupposti, omessa erronea ed illegittima motivazione, ingiustizia ed illogicità manifesta, etc) e ciò in quanto:

-il manufatto sarebbe stato realizzato da tempo immemorabile, e, comunque, sicuramente in epoca anteriore al 1960 come risulta dagli atti notarili che lo hanno avuto ad oggetto indicandolo quale "fabbricato rurale fatiscente", che solo successivamente alla data della donazione (1992) è stato interessato da lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza che non hanno mutato volumetrie e sagoma originariamente esistenti.

- in data 11.5.2016 è stata depositata SCIA (prot. n.0017431) in sanatoria ex 1. 326/03, che sospenderebbe gli effetti dell’ordinanza di demolizione;

- l’automatica acquisizione al patrimonio comunale dell'opera in caso di inottemperanza, cui si fa riferimento nel provvedimento, sarebbe illegittima non essendo stata specificata l'area interessata da tale provvedimento ablativo;

- non sarebbe stato rispettato il principio del giusto procedimento e la dialettica tra interessi pubblici e privati, e vi sarebbe una evidente violazione dell’obbligo di motivazione.

2. Si è costituito il Comune di San Giuseppe Vesuviano, contestando puntualmente le prospettazioni avversarie e chiedendo il rigetto del ricorso.

3. All’udienza pubblica del 13 ottobre 2020 – calendarizzata in attuazione del Piano di riduzione dell’arretrato approvato dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa in applicazione dell’art. 16 delle norme di attuazione del c.p.a. - il ricorso è stato trattenuto in decisione.

4. Il provvedimento di demolizione impugnato ha ad oggetto opere di recente manifattura, realizzate nella parte antistante di un capannone occupante una superficie di mq. 103 ca. già oggetto di ordinanza di demolizione n. 143 del 3 ottobre 2005; si tratta, infatti, di un “fabbricato formato da un piano terra con struttura portante in c.a., solaio di copertura, tompagnature, tramezzi, intonaco con pitturazione, impianti, pavimenti con rivestimenti, infissi interni ed esterni, con antistante porticato ecc. il tutto già completo ed adibito ad abitazione, tenuto in uso dal Sig. Casillo Aniello, avente una superficie di mq. 152,00 ed una volumetria di mc. 504 ca .”, oltre ad una “ sopraelevazione di un primo piano, in corso di esecuzione, formato da tompagnature, tramezzi, abbozzo interno ed esterno, copertura in lamiere coibentate a falda inclinata con grondaie, inizio predisposizione di impianti e rampa scala in c.a. adiacente in piano terra di cui sopra, occupante una superficie di mq. 136.73 ca. ed una volumetria di mc. 492. ca ..”.

Il tutto in un’area soggetta ai vincoli del D.L. 42/04 e L.R. 21 del 10/12/2003 (Zona Rossa).

4.1. La descrizione delle opere riportata nell’ordine di demolizione consente, in primo luogo, di escludere che il manufatto possa corrispondere alla struttura fatiscente e vetusta cui i ricorrenti fanno riferimento nel ricorso, il che consente di respingere la relativa censura.

Infatti, il capannone era stato oggetto di ordine di demolizione nel 2005, senza che all’epoca vi fosse alcun riferimento al manufatto antistante, il che ne conferma la realizzazione in epoca successiva.

4.2. Va altresì respinta la censura con la quale i ricorrenti deducono l'improduttività di effetti del provvedimento impugnato fino a conclusione del procedimento di sanatoria, in quanto per le opere in questione, in data 11 maggio 2016, avrebbero presentato domanda-SCIA, assunta al prot. 17431, con richiesta di concessione in sanatoria ex L. 326/03.

Infatti, dall’esame di questo documento, allegato al ricorso, appare palese che trattasi di una richiesta di SCIA in sanatoria ma non ai sensi della normativa sul condono edilizio, sicchè ad essa non è riconducibile alcun effetto sospensivo ex lege dell’ordine di demolizione.

Inoltre ciò comporta il superamento della censura per due ordini di motivi.

4.2.1. In primo luogo, se è vero che in base a una giurisprudenza -anche di questo Tribunale- ma ormai superata, si riteneva che la presentazione di una istanza di sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/2001 rendesse inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso, è ormai invalsa in giurisprudenza la tesi che la domanda di accertamento di conformità determini un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, operante in termini di mera sospensione e non di inefficacia definitiva.

In caso di rigetto dell'istanza di sanatoria, l'ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (cfr. la recentissima Cons. St., sez. VI, 28 settembre 2020, n.5669 e sentenze ivi citate, nn. 2681/2017, 1565/2017, 1393/2016, 466/2015) e non vi è dunque una automatica necessità per l'amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione.

Infatti, per i principi di legalità e di tipicità del provvedimento amministrativo e dei suoi effetti, soltanto nei casi previsti dalla legge una successiva iniziativa procedimentale del destinatario dell'atto può essere idonea a determinare ipso iure la cessazione della sua efficacia, come per esempio nei casi di cui alla legge n. 47 del 1985 (per come richiamata dalle successive leggi sul condono del 1994 e del 2003), che ha previsto che la presentazione della domanda di condono - nei casi ivi previsti ed in presenza dei relativi presupposti - determina la cessazione degli effetti dei precedenti atti sanzionatori.

4.2.2. In secondo luogo, una SCIA presentata nel 2016 non può valere quale richiesta di sanatoria ai sensi della l. 326/2003, senza considerare che l’opera ricade comunque in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e che il provvedimento fa riferimento ad abusi consistiti in costruzioni ex novo , con incremento volumetrico, per le quali nessuna SCIA sarebbe idonea alla sanatoria, dovendo necessariamente intervenire un permesso di costruire.

4.3. Del pari destituito di fondamento è il motivo di ricorso con il quale i ricorrenti lamentano la violazione del principio del giusto procedimento, non essendo stata preceduta l'ordinanza di demolizione dalla comunicazione d'avvio del relativo procedimento.

Infatti, per giurisprudenza costante, le disposizioni de quo non sono applicabili nel caso di procedimento che consegue all'accertamento di abusi edilizi, per la cui repressione sono normativamente previsti provvedimenti tipici in stretta corrispondenza con le varie tipologie abusive anch'esse normativamente individuate, alla cui applicazione il Comune resta vincolato, non essendo al medesimo rimesso alcun margine per l'effettuazione di valutazioni a carattere discrezionale in ordine alla scelta tra l'una e l'altra sanzione tra quelle tassativamente previste.

4.4. Risulta infondato anche il motivo di appello con cui si deduce il difetto di motivazione dell'ordinanza di demolizione.

Il provvedimento impugnato contiene una esauriente indicazione dei motivi (di fatto e diritto) che hanno condotto all'adozione del provvedimento sanzionatorio, in quanto non solo descrive precisamente gli interventi abusivi, ma indica le ragioni dell'abusività (assenza di permesso di costruire).

In questa sede, deve solo ricordarsi il costante orientamento in base al quale "l'ingiunzione di demolizione, in quanto atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell'opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso, è in linea di principio sufficientemente motivata con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera” ( ex plurimis, Cons. St., sez. IV, n. 4577/2016;
Sez. VI, n. 1393/2016).

Infatti, poiché l'adozione dell'ingiunzione di demolizione non può ascriversi al genus dell'autotutela decisoria, si deve conseguentemente escludere che l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo, pur se tardivamente adottata, debba essere motivata circa la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. Ciò in quanto giammai il decorso del tempo può incidere sull'ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l'illecito attraverso l'adozione della relativa sanzione;
ed infatti nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio delle doverose attività finalizzate alla tutela di rilevanti interessi pubblici non consuma il potere di reprimere l'abuso né è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo ) è sin dall'origine illegittimo, realizzando una forma di sanatoria automatica o praeter legem . Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere "legittimo" in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole, idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata (come accade nella diversa ipotesi della autotutela decisoria su titoli edilizi illegittimamente rilasciati).

4.5. Infine, con riguardo alla presunta illegittimità del provvedimento gravato in ragione dell'omessa specifica individuazione dell'area di sedime da acquisire in caso di inottemperanza, deve ricordarsi che tale elemento non va riportato nell’ordine di demolizione, ma solo nell’ordine di acquisizione successivo, emesso a seguito dell’accertamento dell’inottemperanza (vedi ex multis , T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 17 settembre 2020, n. 3870).

5. In conclusione il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

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