TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2021-09-06, n. 202100634

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2021-09-06, n. 202100634
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Cagliari
Numero : 202100634
Data del deposito : 6 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/09/2021

N. 00634/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00158/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 158 del 2021, proposto da
-O-, rappresentato e difeso dall'avvocato A F T, con domicilio eletto presso lo studio Caterina Usala in Cagliari, via Baylle n. 3;

contro

MINISTERO DELLA DIFESA e MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE - Comitato di Verifica per Le Cause di Servizio, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Cagliari, domiciliataria ex lege in Cagliari, via Dante, 23;

per l'ottemperanza

della sentenza n. 232 del 18.3.2019 della Sezione Seconda del TAR della Sardegna (R.G. 698/2014), pubblicata in data 18.03.2019, non appellata dall’Amministrazione, nella parte in cui il Comitato di Verifica ha omesso di effettuare, contrariamente a quanto stabilito nella pronunzia, un'accurata istruttoria “ alla luce dei principi espressi in sentenza” ;

con richiesta di riesame della domanda di riconoscimento della causa di servizio, presentata nel lontano 25.11.2011, da parte del ricorrente, che tenga in considerazione il contenuto motivazionale della sentenza, di cui, in questa sede, si invoca l'ottemperanza,

oppure, qualora il Tribunale adìto dovesse ritenere che gli atti impugnati debbano essere gravati con l' <ordinaria azione di annullamento>
nella competente sede di primo grado, con richiesta di conversione del rito, da ottemperanza a rito ordinario, di cui all'art. 32 comma 2 periodo secondo c.p.a;
in tale caso per l'annullamento:

-del Decreto n. 1728/N posizione n. 672989/A del 30.12.2020, notificato in pari data, emesso dal Ministero della Difesa – Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva – II Reparto – 7^ Divisione – 1^ Sezione, nella parte in cui ha giudicato l'infermità “ -O- ” non dipendente da causa di servizio,

-nonché del parere del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comitato di Verifica per le cause di servizio, n. 40310/2019 (Pos. 672989), reso nell'Adunanza n. 2288 del 10.12.2020, nella parte in cui ha giudicato l'infermità “ -O- ” NON DIPENDENTE DA CAUSA DI SERVIZIO, nonché di tutti gli atti presupposti, collegati e comunque connessi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2021 la dott.ssa G F (le parti non hanno chiesto la discussione da remoto, né depositato note d'udienza sostitutive della stessa).

Il Collegio ha, quindi, trattenuto la decisione, riferita al giudizio di ottemperanza, sulla base degli atti depositati nel fascicolo telematico ed in considerazione dei provvedimenti negativi assunti dall’Amministrazione e Comitato (CVCS), dopo la sentenza n. 232/2019 di accoglimento del ricorso impugnatorio.

Per lo svolgimento della vicenda si fa richiamo alla descrizione compiuta (nella parte in fatto del ricorso per l’ottemperanza) che ha portato il ricorrente, nato nel 1976 e Maresciallo dell’Esercito italiano, a richiedere, il 25 novembre 2011, il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia (“ -O- ”).

In particolare a seguito delle missioni internazionali alle quali aveva partecipato (in Bosnia, Albania, Kosovo, Iraq), dal 1996 al 2005, nonché dell’attività addestrativa svolta nei Poligoni sardi (Capo Teulada, Perdasdefogu), nel 1995, 2006, 2007, 2008 e 2010.

La patologia è insorta nell’agosto 2011, con diagnosi di “ -O- ”.

Il ricorrente è stato sottoposto ad intervento di “ -O- ” e a carico del medesimo risultavano “ -O- ”.

Con l’ istanza del 25 novembre 2011 ha chiesto il riconoscimento come dipendente da causa di servizio, evidenziando come detta infermità fosse da mettere in diretta correlazione al servizio svolto in teatri operativi esteri ed in poligoni militari nazionali (sardi), con incidenza determinante del forte inquinamento ambientale bellico presente in quei luoghi, ed atmosferico, a causa del largo uso di munizionamento pesante arricchito con uranio impoverito.

In particolare le zone estere erano state bombardate con conseguente dispersione nell’ambiente di nano particelle di metalli pesanti che venivano, inevitabilmente, inalate e/o ingerite.

Senza possibilità di sottrarsi alla conseguente respirazione delle polveri e dei fumi provocati dalle

deflagrazioni.

Il dipendente rappresentava, inoltre, che per l’alimentazione erano stati usati viveri ed acqua approvvigionati in loco e che tutte le condizioni di rischio si erano riprodotte nei vari contesti di impiego (teatri operativi esteri);
in particolare precarietà delle condizioni alloggiative, alimentazione con viveri contaminati, permanenza in ambienti fortemente inquinati, condizioni di stress in ipervigilanza, nonchè fisico debilitato da massicce somministrazioni vaccinali.

Documentando i risultati delle ricerche effettuate da organismi internazionali in grado di dimostrare gli effetti patogeni dell’esposizione ad ambienti inquinati da “ nano particelle di metalli pesanti ”.

Per tali motivi il ricorrente ha anche chiesto che gli fossero riconosciuti i benefici spettanti alle “Vittime del dovere” ai sensi del D.P.R. 243/2006.

Il C.V.C.S., con parere Posizione nr. 58/2013, emesso nell’Adunanza n. 67, in data 08.02.2013, si è espresso negativamente (sulla “dipendenza della patologia da causa di servizio”) ritenendo che :

“(…) per l’infermità “-O-”, si conferma il precedente parere negativo poiché neanche quanto ora dedotto evidenzia specifici elementi di servizio che per loro natura, rilevanza, entità ben determinata o quantificata, forniscano la prova piena, che incombe sul richiedente, di essere esclusivamente causativi ovvero prevalenti rispetto ai comuni fattori morbigeni e cioè causa, o concausa efficiente e determinante della patologia in esame. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente risultanti dagli atti (…)”.

Il Ministero della Difesa, sulla base di tale parere, con il Decreto del 30.05.2014 nr. 2303 - Posizione 672989/A, rigettava la domanda concernente il “ riconoscimento della dipendenza da causa di servizio” dell'infermità sofferta dal ricorrente, negando anche la corresponsione del relativo equo indennizzo.

Il dipendente ha impugnato i provvedimenti lesivi, con ricorso n. 698/2014, che è stato accolto con la sentenza sez. II del Tar Sardegna n. sentenza n. 232 del 18.3.2019, che ha disposto il “ riesame ” della posizione del ricorrente, indicando i parametri di riferimento rilevanti ed essenziali.

La sentenza del Tar non è stata appellata dall’Amministrazione ed è passata in giudicato.

Il rigetto della domanda (da parte del CVCS e del Ministero, del 2012-2014), è stata ritenuta da questo Giudice, illegittima in quanto non venivano riscontrati sussistenti i presupposti essenziali “ specifici ” per poter sostenere l’insussistenza del nesso causale tra attività svolta dal militare e patologia , molto peculiare, contratta.

In esecuzione della sentenza 232/2019 il Comitato di Verifica esprimeva un nuovo parere negativo (n. 40310/2019), negando la sussistenza del nesso eziologico tra patologia contratta e servizio prestato.

Il Ministero della Difesa, recependo tale parere, in data 30.12.2020 ha emanato il Decreto n. 1728/N con il quale ha giudicato l’infermità “ -O- ” <non dipendente da causa di servizio>.

I provvedimenti (conclusivo del Ministero e consultivo-istruttorio del Comitato) sono stati contestati e impugnati in questa sede (fase processuale di ottemperanza), con il ricorso depositato il 8.3.2021, unitamente ad una molteplicità di documentazione (77) tecnica, scientifica, istituzionale e giurisprudenziale in materia di “uranio impoverito”.

Sono state sviluppate, in sede di ottemperanza le seguenti censure:

illegittimità per violazione dell’art. 21 septies della Legge n. 241/1990: violazione e/o elusione del giudicato per disapplicazione e/o elusione della sentenza n. 232/2019 del T.A.R. della Sardegna - Illegittimità e/o eccesso di potere degli atti impugnati per violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990: difetto di motivazione - Eccesso di potere per erronea interpretazione e/o valutazione della situazione di fatto, difetto d’istruttoria, errore sui presupposti, illogicità, incongruità, inattendibilità, insufficienza, abnormità ed apoditticità della motivazione, manifesta ingiustizia, sviamento - Illegittimità per violazione dei D.P.R. n. 37/2009, n. 90/2010 e n. 40/2012 e del relativo rischio tipizzato - Eccesso di potere per illogicità, irrazionalità, contraddittorietà, incongruità, errore sui presupposti, manifesta ingiustizia.

I due Ministeri (Difesa e Economia e Finanze , nonché Comitato CVCS) si sono costituiti in giudizio chiedendo:

-in rito l’estromissione del Comitato CVCS operante presso il Ministero Economia e Finanze, che ha esercitato solo poteri istruttori, mancanza di legittimazione passiva;

-nel merito il rigetto del ricorso.

La difesa erariale ha depositato in giudizio una serie di approfondimenti istruttori e Rapporti informativi, a sostegno dell’assenza del nesso causale.

Ritenendo che l’attività svolta (rigetto della domanda) sarebbe corretta e legittima.

Essenzialmente le parti, in giudizio d’ottemperanza, contrappongono, nuovamente, le opposte valutazioni (già espresse in sede di giudizio di merito) in materia di individuazione della correlazione causa-effetto tra le condizioni nelle quali il ricorrente è stato costretto a lavorare (in particolare missioni all’estero, dal 1996 al 2005, in zone caratterizzate dall’utilizzo di munizioni con uranio impoverito) e la patologia, molto peculiare, contratta dal ricorrente all’età di 35 anni.

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In rito la richiesta dell’Avvocatura dello Stato di estromettere il Ministero dell’Economia e Finanze (presso cui opera il Comitato CVCS) non può essere accolta in quanto, in questa peculiare fattispecie, sussiste un intreccio di competenze fra i due Ministeri (Difesa ed Economia), strettamente connesse, in riferimento all’ indagine nel riconoscimento dell’eventuale sussistenza della causa di servizio per la patologia contratta dal militare. Aggravato dalla considerazione che il contenzioso attiene all’ottemperanza rispetto ad un già pronunciato annullamento del diniego.

In questo contesto il Collegio ritiene opportuno che tutti i soggetti coinvolti e chiamati in giudizio, abbiano la possibilità di svolgere il proprio ruolo nello sviluppo della controversia.

A maggior ragione, in questa fase processuale “ esecutiva ” (ottemperanza), ove la volontà sostanziale è stata espressa dal Comitato con un parere (rieditivo, ma confermativo) che ha avuto la funzione di delineare il “regime” scientifico-decisorio del provvedimento finale.

Aspetto che in questa controversia assume valenza e rilevo assolutamente essenziale e dirimente.

Con la sentenza oggetto di ottemperanza, n. 232 del 18.3.2019 questo giudice ha accolto il ricorso, nel merito, sulla base, in sintesi, delle seguenti motivazioni:

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Le analisi sviluppate a livello tecnico-scientifico hanno evidenziato, con chiarezza, la facilità con le quali tali particelle penetrano nei tessuti (in particolare tessuti molli)…Inoltre il ricorrente ha allegato, unitamente al ricorso, una perizia medico- legale, personalizzata ed estremamente argomentata, redatta il 15 luglio 2013 dal dottor Montanari (doc. 34) , che evidenzia l’effettiva sussistenza del rapporto di tra i fatti di servizio e l’insorgenza dell’infermità neoplastica…Il militare ricorrente, come già rilevato nella parte in fatto, è stato impegnato in numerose missioni militari “di pace” nonché in attività di addestramento nei poligoni militari della Sardegna…In tali luoghi, come è emerso dalle rilevazioni scientifiche, sono state utilizzate armi e macchinari contenenti “uranio impoverito”. In sostanza l’adempimento degli obblighi di servizio e delle prestazioni affidate, in tali peculiari situazioni ambientali, ha implicato, per il militare, un pericolo concreto di contrarre una patologia tumorale;
circostanza avveratasi nel caso del ricorrente…Per economia processuale il Collegio ritiene di non dover procedere all’acquisizione di una consulenza d’ufficio e/o verificazione (come altri Tar hanno disposto, in casi analoghi), in considerazione del fatto che gli approfondimenti “specifici” in materia sono stati già recentemente e ampiamente sviluppati e svolti nell’ambito di giudizi perfettamente sovrapponibili…In particolare, per identità di giudizio e per recentissima definizione, assume rilevanza l’istruttoria giudiziaria svolta nell’ambito del processo (ricorso 2094/2011) che è stato definito recentemente, con sentenza n. 197 del 7 febbraio 2019 dal TAR della Toscana. La verificazione ivi disposta e la decisione conseguentemente assunta dal Tar (in materia di risarcimento dei danni) risultano estremamente significative, per integrale “sovrapposizione” con l’odierno contenzioso…La causa era stata instaurata (con ricorso 2094/2011) presso il Tar Toscana da parte di un militare, impegnato in analoghe missioni all’estero, risultato affetto dalla “medesima patologia” contratta dall’odierno ricorrente -O- (“-O-”)…L’Azienda sanitaria, con relazione del 4/12/2018, concludeva per la sussistenza della causa e del nesso eziologico in riferimento all’evento-patologia. Conseguentemente il Tar Toscana , con sentenza n. 197 del 7 febbraio 2019 , accoglieva la domanda risarcitoria…Sussistono , quindi, le prove che dimostrano la concretizzazione di

un evento (patologia tumorale specifica) quale effetto delle attività di servizio, in quanto le prestazioni del militare si sono svolte, ripetutamente, in scenari militari ove sono stati utilizzate armi con uranio impoverito e con rilascio di metalli pesanti , con contaminazione dei luoghi e delle

persone…Conseguentemente gli organi deputati al rilascio del parere (CVCS) nonché del provvedimento finale (Ministero della Difesa) dovranno riesaminare la posizione della ricorrente, alla luce dei principi espressi in sentenza, concludendo celermente il procedimento instaurato dall’interessato nel lontano 25 novembre 2011 per il riconoscimento della causa di sevizio della patologia tumorale contratta…Assumendo la decisione , nella ricerca del nesso di causalità, con specifica considerazione delle molteplici evidenze scientifiche che sono affiorate nonché degli elementi giuridici che sono maturati in giurisprudenza, in riferimento al peculiare settore bellico/oncologico...La valutazione dovrà essere compiuta tenendo in considerazione la Consulenza

specificamente redatta per il ricorrente (già citata, del dr. Montanari, composta da 56 pagine), coerente con le verificazioni disposte da parte di altri giudici amministrativi (cfr. Tar Toscana ord. cit. del 2018 con Consulenza Azienda Ospedaliera Firenze del 2019) assunte nell’ambito di processi del tutto analoghi ed omogenei…Tali argomentazioni tecnico-scientifici dovranno trovare congrua valutazione in sede di riesame della sussistenza della causa di servizio in relazione alla patologia tumorale contratta dal ricorrente>>.

***

Il Comitato CVCS, operante presso il Ministero dell’economia e delle finanze, nel riesaminare il caso, con parere del 10.12.2020(atto consultivo per il Ministero della Difesa), ha adottato, in esecuzione della citata pronuncia, un parere meramente confermativo del provvedimento già annullato.

Limitandosi a richiamare fattori di rischio generici, relativi alla patologia in esame, quali “ elementi endogeni costituzionali, cromosomici e ed esogeni (esposizione intensa a pesticidi, fumo, ipo-atrofia e ipo-sterilità”.

Vengono citati fattori di rischio “ comuni ” quali il tabagismo, l’esposizione a pesticidi, il sesso maschile ma vengono ignorati totalmente i fattori di rischio “ specifici ” tra i quali l’esposizione ad uranio e nanoparticelle.

Oltretutto dopo aver espressamente premesso che il ricorrente aveva svolto, anche nelle missioni estere, mansioni “ nell’ambito delle attività della compagnia rifornimenti, campi d’arma, esercitazioni di tiro”.

Essenzialmente l’Organo tecnico, anziché provvedere alla rivalutazione, approfondita, del nesso eziologico tra la patologia sofferta ed i vari fattori di rischio “ specifici ”, noti e provati, come espressamente enucleabili dalla sentenza, ha proceduto ad un riesame “ fotocopia ” rispetto al provvedimento già annullato, del tutto privo di nuove considerazioni apprezzabili.

Senza, cioè, considerare che la sentenza 232/2019 aveva introdotto elementi dettagliati e precisi nel vincolare l’Amministrazione, nel suo potere rieditivo, con obbligo di “rivalutare” il nesso eziologico, non in modo libero e assoluto (e tanto meno generico), ma alla luce degli innegabili “fattori di rischio specifico” rinvenuti e provati per la posizione peculiare del militare ricorrente, che aveva contratto all’età di 35 anni la patologia tumorale, con riscontro, nei tessuti coinvolti, di “ nanoparticelle di metalli pesanti”.

La presenza di dette micro e nanoparticelle nell’organismo del ricorrente è stata documentata (in sede di giudizio di merito) dalle risultanze della “ Valutazione di reperto bioptico tramite indagine di microscopia elettronica a scansione e microanalisi a raggi X ” redatta il 15.07.2003 dal Dr. -O-, la quale aveva rilevato, nei tessuti ammalati del ricorrente, le medesime nanoparticelle di metalli pesanti, tipizzate espressamente indicate dal Legislatore nei DPR 37/2009, 90/2010 e 40/2012 e ritenute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a rischio cancerogeno “1”.

Con riconoscimento della sussistenza, oggettiva, di fattori di rischio “specifici” ai quali il ricorrente era stato esposto (in particolare durante le missioni estere), tra cui l’esposizione a micro e nanoparticelle di metalli pesanti, l’approvvigionamento di cibi ed acqua reperiti in loco, la multipla somministrazione vaccinale. Ed anche nei Poligoni sardi analoga esposizione avveniva in sede di addestramento.

Il Comitato di Verifica ha negato il nesso eziologico affermando che non vi sarebbero studi in letteratura idonei a dimostrare la connessione tra patologie tumorali testicolari e l’esposizione a micro e nanoparticelle di metalli pesanti, sostenendo che non risulterebbe “ alcun incremento statistico delle neoplasie del testicolo a carico del personale militare”.

Ma il Comitato non ha considerato che dette circostanze sono state già valutate e scrutinate dal Collegio, nel giudizio conclusosi con la sentenza di cui, in questa sede, si chiede l’ottemperanza, sulla base anche dall’ importante evoluzione giurisprudenziale maturata in una materia, connotata da forti elementi di scientificità.

Con obbligo di rinvenire elementi concreti e sostenuti da studi specifici per poter addivenire ad una soluzione negativa per il dipendente, oggi ricorrente in ottemperanza.

La “scelta” oppositiva, compiuta dal Comitato, risulta elusiva dei principi e dei dettami contenuti in sentenza di accoglimento, con citazione di fattori di rischio generici e del tutto non pertinenti con il caso esaminato, ignorando (e negando) il valore della sentenza di cui si invoca la corretta esecuzione, nonché di decine di precedenti giurisprudenziali intervenuti sul punto (in ampia parte deositate), tra le più recenti quelle del Consiglio di Stato nn. 7496/2020, 7499/2020 e 7564/2020.

Il Giudice dell’ottemperanza è tenuto a verificare se il nuovo provvedimento assunto dalla PA sia conforme al decisum giurisdizionale e se rappresenti il frutto di un legittimo esercizio di margine residuo di discrezionalità, nell’ambito dell’espressione del potere “ ri-valutativo ”.

Potere che deve muoversi, necessariamente, nel rispetto dello sviluppo logico–giuridico delle statuizioni e argomentazioni contenute nella sentenza di merito 232/2019.

Tale attività comporta l’ esercizio di un potere di interpretazione del giudicato (si evidenzia che la pronunzia di primo grado non è stata appellata dall’Amministrazione), al fine di enucleare e precisare il contenuto ed i contorni dell’impartizione dell’obbligo, non eludibile dall’amministrazione.

L'individuazione dei limiti, derivanti dal giudicato, al rinnovo dell'azione amministrativa, deve essere identificato nella linea di discrimine tra le ipotesi di violazione/elusione del giudicato e le eventuali nuove ed autonome valutazioni discrezionali da parte della PA.

Nel caso di specie l'Amministrazione , in sede di “ riesercizio ” della funzione, ha adottato un provvedimento fotocopia, meramente confermativo del precedente, eludendo i principi fondamentali che avevano determinato il precedente annullamento per illegittimità delle valutazioni generiche.

Quando le nuove valutazioni della PA contengano valutazioni o statuizioni direttamente contrastanti con i principi indicati in sentenza (limiti conformativi imposti dal giudicato), il sindacato sugli atti adottati in sede di riedizione del provvedimento lesivo già annullato risultano in diretta violazione ed elusione del giudicato.

La sentenza n. 232/2019 del T.A.R. della Sardegna, di cui, in questa sede, si chiede la “completa e corretta esecuzione ”, contiene esplicite statuizioni specificamente dirette ad imporre all'Amministrazione la valutazione del nesso eziologico tra patologia sofferta e servizio prestato, alla luce degli “ specifici ” fattori di rischio riconosciuti (tra cui la CTU intervenuta su caso identico innanzi al T.A.R. Toscana, al Rapporto della Nanodiagnostics ed a precedenti favorevoli peraltro espressi dallo stesso Comitato di Verifica, in composizione diversa, in relazione a casi del tutto sovrapponibili a quello in esame).

In questa fattispecie sussiste la violazione e l’elusione del giudicato non avendo l’Amministrazione proceduto nel rispetto del perimetro imposto, insistendo nell’invocare fattori di rischio del tutto “ generici ” a sostegno del diniego anziché pronunciarsi in relazione agli affermati fattori specifici di di rischio individuati dal Legislatore e dal Tar.

L’impianto motivazionale della sentenza di cui si chiede la corretta e completa ottemperanza ha affermato la sussistenza della “causa ”, in termini di specifica nocività dei fattori di rischio ai quali il ricorrente è stato esposto (specie nei teatri di guerra, con le missioni di pace) in considerazione degli avvenuti bombardamenti dei territori di missione con proiettili all’uranio impoverito.

L’aver considerato, in sede di riedizione, che la patologia sofferta dal ricorrente fosse

riconducibile a meri “ elementi endogeni costituzionali, cromosomici e genetici ”, esistenti sin dalla nascita, non riconducile a fattori esterni, ha sostanzialmente “omesso di analizzare” il caso specifico in relazione ai già accertati fattori di rischio connessi al servizio espletato e che hanno determinato e/o contribuito a determinare l’insorgenza della grave malattia tumorale, caratterizzata dalla presenza dei tessuti di nanoparticelle pesanti, in violazione di quanto statuito in sentenza.

La richiesta di riconoscimento della causa di servizio della patologia neoplastica sofferta è stata (nuovamente) negata dal Comitato di Verifica, in modo assolutamente generico e meramente confermativo, ed il parere è stato utilizzato , poi, dal Ministero della Difesa che si è uniformato, con rigetto della (risalente) domanda.

Ma dallo stato di servizio del militare, quali elementi di rilievo per il nesso causale fra insorgenza della patologia neoplastica contratta ed il servizio prestato, risulta che egli è stato impiegato:

- in svariate missioni in territorio balcanico ed iracheno, zone nelle quali è stato fatto ampio uso di proiettili all'uranio impoverito e dove l'inquinamento atmosferico, bellico, ambientale ed alimentare è stato riconosciuto ai massimi livelli,

- nei poligoni di tiro sardi, anch’essi caratterizzati da utilizzi di munizioni analoghe.

Si consideri che (anteriormente alla sentenza ottemperanda n. 224 del 2019) questo T.A.R. già con sentenza n. 649/2017, si era pronunciato in un caso analogo a quello di cui si controverte, specificando che :

<<
Il punto sta proprio nel fatto che le valutazioni del Comitato di verifica sono manifestamente illogiche o, meglio, del tutto apodittiche. Il parere si risolve nel fornire una motivazione di stile, del tutto apparente, non in grado di consentire la ricostruzione dell'iter logico-giuridico che ha indotto ad escludere il nesso di causalità tra attività espletata e patologia insorta. Il Comitato di Verifica non ha dato conto dell’insieme di fattori di rischio riconducibili all'esposizione di inquinanti in ambito lavorativo, né ha fornito congrue ragioni per escludere che le particolari condizioni di impiego del militare potessero aver influito sull'insorgere della patologia in contestazione. Non vi è traccia di una effettiva considerazione del potenziale effetto patogeno dei fattori di rischio, ormai pacificamente riconosciuti pericolosi, menzionati dal ricorrente. Nulla si dice in ordine all'esposizione all'inquinamento atmosferico, alle contaminazioni tossiche provocate dall'impatto ed esplosione di munizione anche all'uranio impoverito, alle esalazioni dei gas di scarico degli automezzi bellici e dei solventi chimici per la pulizia delle armi, alla sottoposizione alla massiccia somministrazione di vaccini, tutti elementi che hanno indotto lo stesso legislatore nazionale a riconoscere l'esistenza di appositi benefici economici in favore del personale interessato. Su analoghe questioni si è formata una giurisprudenza consolidata nel senso di ritenere che il Comitato di verifica non possa escludere la sussistenza del nesso causale sulla base di motivazioni insufficienti o apparenti (in questo senso, tra le altre, T.a.r. Trentino Alto Adige, Bolzano, sez. I, 08 febbraio 2017, n. 55, T.a.r. Puglia, Bari, Sez. I, 20 settembre 2018, n. 1226, T.a.r. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 12 marzo 2018, n. 63). Va peraltro ricordato che a un condivisibile filone giurisprudenziale si fa risalire l’affermazione del principio secondo cui “in tema di accertamenti in ordine alla dipendenza da causa di servizio, l'impossibilità di stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa-effetto tra l'impiego nei contesti fortemente inquinati dei teatri operativi (nella specie il ricorrente era stato impiegato nel 2002 nel Kossovo in zone interessate dall'utilizzo di ordigni all'uranio impoverito) e la patologia neoplastica comporta che non debba essere richiesta la dimostrazione dell'esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendo invece sufficiente la dimostrazione in termini probabilistico-statistici, come indicato nella relazione della Commissione parlamentare di inchiesta nominata in materia. In tale ottica, il verificarsi dell'evento costituisce ex se un dato sufficiente, secondo il cosiddetto «criterio di probabilità», a far sì che le vittime delle patologie abbiano diritto ai benefici previsti dalla legislazione vigente ogni qual volta, accertata l'esposizione del militare all'inquinante in parola, l'amministrazione non riesca a dimostrare che essa non abbia determinato l'insorgenza della patologia e che questa dipenda, invece, da fattori esogeni dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica”(T.a.r. Liguria, sez. I, 29 settembre 2016, n. 956)… Si è già affermato che il Giudice svolge (come ha svolto in questo caso) un sindacato pieno e particolarmente incisivo sulla discrezionalità tecnica senza però attuare una sostituzione all'operato amministrativo. Quindi, accertato il vizio nell'applicazione della norma tecnica, consegue l’annullamento del provvedimento. L’amministrazione dovrà quindi disciplinare la fattispecie in conformità con il contenuto della sentenza>>.

L’Amministrazione, nel parere in esame, si è limitata a richiamare fattori di rischio generici della patologia, omettendo di effettuare una congrua ed obiettiva valutazione dei fattori di rischio specifici indicati nella sentenza n. 232/2019 del Tar.

L’Organo tecnico (CVCS) ha totalmente ignorato che il ricorrente durante le missioni in territorio estero, sprovvisto di idonee misure di protezione, è stato costretto ad ingerire ed inalare numerose “ micro e nanoparticelle di metalli pesanti ”, identiche, per forma, tipo e dimensione a quelle menzionate nei DPR 37/2009, 90/2010 e 40/2012 (norme create ad hoc proprio a causa dell’elevato numero di militari italiani ammalati o deceduti dopo l’invio in missione estera).

La presenza di dette “micro e nanoparticelle” nell’organismo del ricorrente è stata documentata (in sede di giudizio di merito) dalle risultanze della “ Valutazione di reperto bioptico tramite indagine di microscopia elettronica a scansione e microanalisi a raggi X ” redatta il 15.07.2003 dal Dr. -O-, la quale ha rilevato nei tessuti ammalati del ricorrente le medesime nanoparticelle di metalli pesanti, tipizzate espressamente indicate dal Legislatore nei DPR 37/2009, 90/2010 e 40/2012 e ritenute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a rischio cancerogeno “1”.

Anche il Consiglio di Stato, con la ancor più recente sentenza n. 7496/2020, riferita ad un caso analogo , ha accolto l’appello del militare ammalatosi di patologia tumorale dopo aver prestato servizio nei Balcani ritenendo che:

Il Collegio osserva che, dal materiale agli atti, consta che l’appellante ha svolto plurime missioni all’estero, in condizioni ambientali, climatiche, operative ed igieniche oggettivamente dure. Egli, inoltre, risulta essere stato fatto oggetto di massicce profilassi vaccinali, che possono averne indebolito le naturali difese immunitarie.. Stante tale pregresso, il Comitato avrebbe dovuto attendere ad una più puntuale istruttoria tesa ad acclarare le effettive condizioni del servizio prestato dall’appellante nei vari teatri e, quindi, motivare perché quelle specifiche condizioni, nonostante la loro oggettiva durezza e la loro potenziale pericolosità, non abbiano in concreto determinato (o, comunque, contribuito in maniera significativa a determinare) la patologia. Vi è stato, dunque, un approfondimento istruttorio carente e, quindi, una motivazione insufficiente a sorreggere il diniego”.

Anche in relazione ad altro contenzioso similare il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7499/2020, ha garantito il bene della vita ad un militare appartenente all’Arma dei Carabinieri, ammalatosi dopo aver partecipato alla missione nei Balcani, nonostante la CTU disposta dal Giudice di prime cure avesse negato il nesso eziologico tra patologia tumorale e servizio prestato, accogliendo l’appello proposto dal militare.

Le argomentazioni sviluppate daL CS possono essere trasposte anche al caso di cui si controverte. Nella predetta sentenza sono state espresse le importanti seguenti valutazioni.

<<
Orbene, nella vicenda de qua il Comitato ha formulato una valutazione afflitta da un evidente difetto di istruttoria e, quindi, di motivazione, la cui illegittimità si ripercuote, a valle, sul provvedimento di diniego disposto dall’Amministrazione.

Ciò, invero, al lume delle seguenti considerazioni:

- l’appellante, durante la missione in Bosnia, consta avere svolto attività operativa “sul campo”, oltretutto connotata da condizioni di vita particolarmente dure;

- l’appellante, in tal modo, è stato continuamente esposto agli agenti potenzialmente patogeni presenti sul terreno;

- le aree ove l’appellante ha operato erano state, pochi anni prima, soggette a massicci bombardamenti da parte della NATO, condotti anche con munizionamento DU;

- l’appellante non consta aver ricevuto in dotazione dispositivi di protezione individuale;

- l’appellante, parimenti, non consta aver ricevuto istruzioni e direttive circa il modo di comportarsi al fine di ridurre il potenziale rischio di contaminazione, certo non implausibile stante la condizione dei luoghi;

- l’appellante, prima dell’espletamento della missione, è stato sottoposto ad una massiccia profilassi vaccinale, che può averne indebolito le difese immunitarie;

- l’appellante, all’epoca dei fatti, era giovane (33 anni);

- l’appellante appartiene ad un Reparto scelto dell’Arma dei carabinieri (- O-) e, pertanto, ha con ogni ragionevolezza una struttura fisica priva di debolezze congenite o, comunque, tali da poter rappresentare una possibile concausa della patologia.

Alla luce di tali considerazioni, il Comitato avrebbe dovuto attendere ad una puntuale istruttoria tesa ad acclarare le effettive condizioni del servizio prestato dall’appellante e, quindi, motivare perché quelle specifiche condizioni, nonostante la loro oggettiva durezza e la loro potenziale pericolosità, non abbiano in concreto determinato (o, comunque, contribuito in maniera significativa a determinare) la patologia. Vi è stato, dunque, un approfondimento istruttorio assolutamente carente e, quindi, una motivazione sostanzialmente apodittica…Il Collegio, peraltro, osserva che la potestà tecnico-discrezionale di cui l’Amministrazione gode in subiecta materia è sì riservata, ma non inesauribile:

essa, infatti, tende –a differenza della discrezionalità amministrativa tout court– a valutare un evento passato, conchiuso e determinato.

Pertanto, in esito alla presente sentenza il Comitato dovrà rivalutare, una volta per tutte, l’istanza dell’appellante, esaurendo, con le valutazioni e gli eventuali approfondimenti ritenuti opportuni, lo spazio tecnico-discrezionale ad esso riservato.

Nel compiere tale rinnovata valutazione, il Comitato dovrà altresì considerare gli esiti delle indagini nanodiagnostiche fatte svolgere dall’appellante in data 6 giugno 2016, che hanno rilevato, in un frammento di tessuto, “molteplici corpi estranei [composti da metalli pesanti] micro - e nanodimensionati … di dimensione molto ridotta, anche nanometrica, e finemente intrappolati nel midollo osseo”: queste particelle, chimicamente tossiche, non biocompatibili né biodegradabili, sono evidentemente di origine non fisiologica e possono aver innestato reazioni biologiche poi confluite nella patologia de qua”.

Inoltre, il Consiglio di Stato, pronunciandosi con altra sentenza n. 7564/2020 (in quel caso sull’appello proposto dall’Amministrazione), proprio avverso la sentenza n. 197/2019 del TAR Toscana, ha confermato la pronuncia di primo grado ed ha condannato l’Amministrazione al risarcimento del danno in favore di un militare ammalatosi, dopo aver prestato servizio nei Balcani, della medesima patologia tumorale del ricorrente (in riferimento agli effetti dell’ “uranio impoverito”);
ed ha delineato una rosa di principi che sono applicabili anche al caso in esame, specie in punto di nesso causale in subiecta materia:

<<Venendo alla questione del nesso di causalità fra esposizione al DU e patologia tumorale, il Collegio prende le mosse da un’affermazione preliminare: allorché, su disposizione dei

competenti Organi della Repubblica, invia uomini in missione all’estero, l’Amministrazione della difesa è giuridicamente tenuta:

- ad informarsi preventivamente della concreta ed effettiva situazione (militare, politica, sociale, sanitaria, ambientale) del contesto operativo;

- ad accertarsi della piena idoneità psico-fisica dei militari, adottando tutte le opportune profilassi;

- a fornire al personale tutti gli strumenti di protezione individuale ragionevolmente utili al fine di prevenire i possibili rischi, ivi inclusi quelli connotati da una bassa probabilità statistica.

Altrimenti detto, nell’ipotesi di missioni all’estero (cosiddette “missioni di pace”) l’Amministrazione della difesa versa in una condizione di responsabilità lato sensu di posizione, cui fa eccezione il solo rischio oggettivamente imprevedibile -giuridicamente qualificabile alla stessa stregua del caso fortuito- ma in cui, viceversa, rientra il rischio da esposizione ad elementi che, benché non ancora scientificamente acclarati come sicuro fattore eziopatogenetico, ciononostante lo possano essere, secondo un giudizio di non implausibilità logico-razionale.

La diligentia cui è tenuta l’Amministrazione si situa dunque, in tali casi, ad un livello massimo. Conducono a tale affermazione plurimi e convergenti rilievi…

Il militare, invero, ha il dovere giuridico di esporsi al pericolo:

- recato dalle forze nemiche…

-riveniente dagli svariati rischi inevitabilmente connessi con l’uso, il maneggio e la conservazione del materiale bellico…

-intrinseco alle attività addestrative...

Tale dovere, tuttavia, non può essere inteso come base per affermare che sul militare gravi ogni tipo di rischio comunque conseguente alla sua presenza fisica nel teatro di operazioni.

Al dovere del militare di esporsi al pericolo stricto sensu bellico, infatti, si contrappone lo speculare dovere dell’Amministrazione di proteggere il cittadino-soldato da altre forme prevedibili e prevenibili di pericoli non strettamente dipendenti da azioni belliche, in primis apprestando i necessari presidi sanitari di prevenzione e cura e dotandolo di equipaggiamento adeguato o, quanto meno, non del tutto incongruo rispetto al contesto.

In sostanza, nel caso delle missioni all’estero, il militare ha il dovere di esporsi al rischio bellico (sempre latente in tali contesti), ma l’Amministrazione ha il dovere di circoscrivere al massimo, in un’ottica di precauzione, i diversi ed ulteriori rischi concretamente prevedibili (in quanto non implausibili) ed oggettivamente prevenibili.

Mentre, dunque, il rischio bellico grava sul militare (salvo il caso di scuola di invio in battaglia con un armamento macroscopicamente inadeguato, sempre che altrimenti non si possa fare per le condizioni dell’apparato produttivo e logistico del Paese), il rischio non stricto sensu bellico, ove non implausibile, può e deve essere previsto, circoscritto e prevenuto, nei limiti del possibile, dall’Amministrazione.

Ciò premesso, ed osservato altresì che non è in discussione la conoscenza da parte dell’Amministrazione, all’epoca dei fatti, dell’uso nell’area di munizionamento DU da parte degli Alleati della NATO, il Collegio rileva che il carattere doveroso dell’invio di uomini in loco, stanti le imperative deliberazioni degli Organi costituzionali della Repubblica, non elideva il conseguente e parallelo dovere dell’Amministrazione di individuare le più opportune modalità tecnico-operative per svolgere il compito affidato, affinché il pieno assolvimento della missione (valore di carattere prioritario, quale precipitato non solo del principio di efficacia dell’azione amministrativa, ma, prima ancora, del carattere “sacro” della difesa della Patria) non vulnerasse il diritto dei cittadini-soldati a non essere sottoposti a rischi diversi ed ulteriori rispetto a quelli che sono ex lege tenuti ad affrontare. Né, d’altra parte, risulta che l’Amministrazione della difesa abbia specificamente rappresentato al decisore politico i rischi di una missione non puntualmente preparata e, ciononostante, abbia ricevuto il preciso incarico di inviare senza alcun indugio gli uomini. Tale eccezionale circostanza, che potrebbe ipoteticamente rappresentare un caso di esenzione dalla responsabilità civile, a questo punto non più ascrivibile all’Amministrazione, non risulta tuttavia allegata né, tantomeno, documentata.

Si deve, invero, notare che l’Amministrazione della difesa, quale Ente datoriale, è sottoposta agli obblighi di protezione stabiliti dall’art. 2087 c.c., che impone a quanti ricorrano, nell’esercizio di attività imprenditoriale, ad energie lavorative di terzi di adottare, nell’esercizio di tali attività, “misure” idonee, secondo un criterio di precauzione e di prevenzione, a “tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

La disposizione, più in particolare, nello stabilire che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, enuclea un dovere di protezione che arricchisce ex lege (cfr. art. 1374 c.c.) il rapporto obbligatorio riveniente dal contratto di lavoro.

La disposizione – osserva il Collegio – non ha una portata solo settoriale ma, al contrario, delinea un principio generale di tutela del prestatore di lavoro che si proietta prismaticamente in tutto l’ordinamento: come tale, integra un referente normativo e valoriale di impatto sistemico e, pertanto, trova applicazione anche nel caso del rapporto di impiego o, comunque, di servizio fra il militare e l’Amministrazione della difesa.

La conclusione sopra esposta trova ulteriore conforto nell’art. 2050 c.c., il quale, pur se dettato in punto di responsabilità extra-contrattuale, ha anch’esso una potenzialità normativa espansiva, in quanto emersione settoriale di un principio generale: le conseguenze dannose delle attività pericolose gravano in capo a colui che le pone in essere, salva la prova dell’adozione di “tutte le misure idonee ad evitare il danno”.

Tali generali coordinate normative debbono essere calate nella specificità delle funzioni dell’Amministrazione della difesa, in particolare allorquando, in esecuzione di disposizioni delle massime Autorità dello Stato, deve inviare personale militare in teatri operativi esteri.

Orbene, giacché le “misure” che deve adottare il datore di lavoro militare, strutturalmente impegnato in “attività pericolose”, sono normativamente funzione anche della “particolarità del lavoro”, ne consegue che, nel caso di invio di militari all’estero, l’Amministrazione è tenuta, prima di procedere all’esecuzione materiale della missione, ad una rigorosa analisi delle condizioni del contesto ambientale, ad una puntuale enucleazione dei possibili fattori di rischio e, quindi, ad una conseguente individuazione delle “misure” tecnico-operative concretamente disponibili, ragionevolmente implementabili e potenzialmente idonee ad eliminare o, comunque, ad attenuare il più possibile i rischi non stricto sensu bellici connessi all’impiego di militari nel teatro de quo.

Ciò è tanto più vero allorché la missione debba svolgersi in contesti operativi interessati da previ eventi bellici, come tali connotati da una poliedrica, imponderabile e multifattoriale pericolosità.

In particolare, nell’ex Jugoslavia era stata condotta una campagna di bombardamenti con uso anche di munizionamento pesante, con conseguente presenza, inter alia, di un potenziale e non implausibile rischio chimico/radiologico da inalazione/ingestione umana di particelle finissime di metalli pesanti, rimaste sospese nell’aria a seguito di esplosioni di obiettivi attinti da proiettili DU.

Tale condizione dei luoghi era, poi, particolarmente pericolosa per l’odierno resistente, che, a quanto consta, percorreva quotidianamente, come autista del Servizio postale militare, i luoghi.

Del resto, non solo l’appellante Amministrazione non ha specificamente confutato le conclusioni raggiunte dal CTU nominato in prime cure, ma tali conclusioni sono indirettamente avvalorate sia dal riconoscimento amministrativo della dipendenza dell’infermità neoplastica da causa di servizio, sia, prima ancora, dalle risultanze delle indagini nanodiagnostiche fatte svolgere dal resistente in data 3 giugno 2009, che hanno riscontrato, in un campione del tessuto neoplastico, “la presenza di corpi estranei in forma micro e nano dimensionate … a base di alluminio, calcio, cromo e ferro”, sostanze notoriamente connotate da “tossicità chimica”, non biocompatibili né biodegradabili: tali “corpi estranei”, evidentemente di origine non fisiologica, possono aver innestato reazioni biologiche poi confluite nell’epilogo tumorale.

Oltretutto, è noto che i militari inviati in missione all’estero sono sottoposti ad un pesante protocollo di vaccinazioni, ciò che può con ogni ragionevolezza aver contribuito, insieme con il tipo di vita condotto in loco, ad indebolire le difese immunitarie.

Più in generale, inoltre, il Collegio osserva che, in tema di illecito civile, il nesso causale ha veste probabilistico-statistica (“più probabile che non”) e non richiede, dunque, quella <certezza>
di contro propria dell’accertamento penale.

Tale strutturale carattere per così dire “attenuato” della prova richiesta in ordine all’elemento eziologico del danno civile è, se possibile, ancor più pregnante e giuridicamente necessario allorché:

- i danni lamentati afferiscano alla dimensione della tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore;

- questi svolga un servizio (la “difesa della Patria”) di vitale importanza per la Repubblica (“sacro dovere del cittadino”, art. 52 Cost.);

- sia in gioco la preservazione della salute e della stessa vita del militare;

- siano concretamente disponibili e ragionevolmente implementabili mezzi di protezione individuale.

Quanto a quest’ultimo punto, l’Amministrazione della difesa non ha specificamente contestato quanto affermato ex adverso, circa il fatto che Forze Armate di Paesi Alleati avessero dotato il proprio personale operante in ex Jugoslavia di dispositivi di protezione individuale ed avessero, inoltre, predisposto specifiche procedure volte a minimizzare il rischio da esposizione ad agenti patogeni dispersi nell’ambiente, mediante, in particolare, puntuali indicazioni prescrittive circa le modalità d’uso di tali dispositivi.

Ciò rileva per due ordini di considerazioni:

- il ricorso a tali dispositivi di protezione ed a tali procedure indica che altri Alleati, coinvolti nella stessa missione, ritenevano concreto o, comunque, astrattamente possibile il rischio alla salute derivante dall’esposizione a residui di combustione di metalli pesanti;

- il ricorso a tali dispositivi ed a tali procedure poteva rappresentare, in una doverosa ottica precauzionale, un elemento di tutela per il personale inviato in missione all’estero, a fronte di un costo economico e di uno sforzo logistico oggettivamente relativi, rispetto a quelli necessari per l’apprestamento e lo svolgimento della missione.

Ciò è particolarmente evidente per chi, come l’odierno resistente, operava fisicamente sul terreno, esponendosi quotidianamente agli agenti potenzialmente patogeni presenti in loco.

A conclusione di questo passaggio motivazionale, il Collegio non può non rilevare:

- da un lato, che difettano spiegazioni eziologiche alternative della patologia tumorale de qua;

- dall’altro, che difettano dati scientifici che consentano di escludere il rischio per la salute umana da esposizione, chimica o radiologica, a DU (e, in generale, a residui di esplosione di metalli pesanti utilizzati negli armamenti, ad esempio tungsteno).

Merita, in proposito, sottolineare che i militari inviati in missione all’estero si collocavano, nell’ambito della popolazione nazionale, nei percentili più alti in punto di integrità e prestanza fisica: il rilievo dell’Amministrazione circa la natura ancora non conosciuta dei fattori oncogenetici, dunque, non può prescindere da tale circostanza.

Sotto altro profilo, la questione della natura rischiosa delle condizioni operative nel teatro ex jugoslavo era così evidente all’epoca dei fatti, che era confluita in iniziative istituzionali sia del Legislatore (cfr. art.

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