TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2023-02-23, n. 202303078
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Pubblicato il 23/02/2023
N. 03078/2023 REG.PROV.COLL.
N. 04626/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4626 del 2013, proposto da
C R e M G, rappresentati e difesi dagli avvocati M M e Nicolo' Marella, con domicilio eletto presso lo studio Nicolò Marella in Roma, via Frascati, 10;
contro
Comune di Pomezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati G P e C A M, con domicilio eletto presso lo studio C. Alessio Mauro in Roma, via Francesco Denza, 27;
per l'annullamento
della d.d. n. 4 del 21.03.2013 del Comune di Pomezia, recante ordine di demolizione di opere realizzate abusivamente e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pomezia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2023 la dott.ssa Francesca Santoro Cayro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso notificato in data 18.05.2013 e depositato il 22.05.2013, i ricorrenti, titolari di unità immobiliare sita in Pomezia, località Torvaianica (all’interno del Villaggio Tognazzi), sono insorti avverso l’ordinanza con cui il Comune di Pomezia ingiungeva loro la demolizione di opere abusivamente poste in essere in assenza di titolo edilizio e della prescritta autorizzazione paesaggistica, consistenti nella realizzazione di un parapetto in muratura sul perimetro del lastrico solare “in area vincolata e protetta ai sensi di legge”, deducendo cinque motivi come di seguito rubricati:
I. “ Illegittimità della notificazione/ comunicazione - Violazione dell'art. 12, primo comma, della legge 20.11.1982, n. 890 - Violazione dell'art. 2, primo comma, della legge 20.11.1982, n. 890 - Violazione dell'art. 2, primo comma, della legge 20.11.1982, n. 890 ”;
II. “ Violazione dei principi sul corretto procedimento amministrativo - Violazione e falsa applicazione dell'art. 8 della legge 07.08.1990, n. 241, in relazione ai principi in materia di accesso defensionale - Violazione dell'art. 10 della legge 07.08.1990, n. 241, in relazione al diritto di presentare memorie infraprocedimentali - Violazione dei principi in materia di affidamento e buon andamento di cui all'art. 97 Cost. ”;
III. Nel merito “ Violazione e falsa applicazione degli artt. 31 ss. del D.P.R. n. 380 del 2001 - Eccesso di potere per difetto di interesse pubblico e manifesta illogicità, in relazione all'art. 61 del Regolamento Edilizio ed al regime delle pertinenze - Eccesso di potere per difetto adeguata istruttoria, travisamento ed errore nei presupposti. Omessa valutazione comparativa degli interessi coinvolti - Difetto di motivazione ”;
IV . “ Violazione e falsa applicazione degli artt. 31 ss. del D.P.R. n. 380 del 2001, in relazione agli artt. 22 D.P.R. cit. e all'art. 19 della L.R. n. 15/2008 - Violazione e falsa applicazione degli artt. 146 e 181 del D.Lgs. n. 42/2004 - Violazione dell'art. 149, comma 1 lettera a), del D.Lgs. n. 42/2004 Eccesso di potere per contraddittorietà. Irragionevolezza e manifesta ingiustizia. Incompetenza ”;
V . “ Violazione e falsa applicazione degli artt. 31 ss. del D.P.R. n. 380 del 2001, in relazione all'art. 97 Cost. - Eccesso di potere perplessità - Eccesso di potere per cattivo uso del potere amministrativo. Disparità di trattamento ”.
2. Il Comune di Pomezia si è costituito in giudizio con atto del 26.06.2013, e in data 13.09.2022 ha prodotto documentazione.
3. Con memoria illustrativa depositata in data 22.09.2022 in vista della pubblica udienza inizialmente calendarizzata per il 25.10.2022, i ricorrenti hanno insistito per l’accoglimento del gravame, rappresentando, tra l’altro, che tra la documentazione versata in atti dall’Amministrazione figura la relazione del S.U.E. prot. 26846 del 19.03.2013, contente per la prima volta il richiamo al D.M. 21.10.1954, quale “fonte” del vincolo paesaggistico gravante sull’immobile, dal cui perimetro, secondo un pronunciamento di questo Tribunale (T.A.R. Lazio, Sez. II Quater, sentenza n. 5778/2015), sarebbe tuttavia esclusa la zona di cui trattasi (in quanto area residenziale – zona omogenea B di completamento e ubicata all’interno del perimetro urbano).
4. Anche il Comune ha depositato memoria illustrativa in data 22.09.2022, concludendo per il rigetto del ricorso, mentre, con memoria di replica del 4.10.2022, ha tra l’altro richiamato un precedente del Consiglio di Stato (sentenza n. 6991 del 2018), con cui è stata accertata l’esistenza del vincolo paesistico nel litorale pontino.
5. Con memoria di replica del 3.10.2022 parte ricorrente ha insistito per l’accoglimento del gravame, stigmatizzando l’avvenuta ostensione solo di una parte dei documenti presenti nel fascicolo istruttorio.
6. Per ragioni organizzative il ricorso era poi rinviato d’ufficio all’udienza pubblica del 31 gennaio 2023, in vista della quale il Comune depositava, in data 30.12.2022, ulteriore memoria difensiva, con la quale sostanzialmente reiterava quanto già controdedotto con la propria memoria di replica.
7. Alla nuova udienza pubblica del 31 gennaio 2023 la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. In limine litis va rigettata l’eccezione di tardività della memoria di replica depositata dal Comune in data 4.10.2022, proposta dai ricorrenti con l’istanza di passaggio in decisione del 27.01.2022 e motivata in ragione dell’avvenuto deposito “ oltre l’orario limite dell’ultimo giorno utile in vista dell’udienza del 25.10.2022 ”, considerato che la tempestività o meno del suddetto atto processuale va apprezzata con riferimento alla data dell’udienza pubblica (31 gennaio 2023) in cui il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione, con la conseguenza che non risulta violato il termine di cui all’art. 73, comma 1 c.p.a.
2. Preliminarmente, occorre poi rappresentare che la questione dell’esistenza o meno sull’area (cd “Villaggio Tognazzi”) di un vincolo di tutela paesaggistica ai sensi del D.M. 21.10.1954, “ come integrato dal D.M. 22.05.1985 e poi rettificato dal D.M. 15.10.1985 ”, è stata prospettata dalla parte solo in sede di memoria ex art. 73 c.p.a., depositata in data 22.09.2022: in essa, infatti, si prende atto della relazione del S.U.E. prot. 26846 del 19.03.2013, versata in giudizio dall’Amministrazione in data 13.09.2022 e che la parte asserisce essere “ non conosciuta prima d’ora perché non richiamata nel provvedimento impugnato (21.03.2013), e non resa disponibile ai ricorrenti in sede di accesso formale autorizzato il 22.03.2013 ”, contenente il richiamo al suddetto D.M. 21.10.1954, mai citato nel corpo del provvedimento impugnato.
Ebbene, nel ricorso introduttivo i ricorrenti non hanno esplicitamente contestato l’esistenza in sé di un vincolo di tutela paesaggistica (di cui pure l’impianto motivazionale della gravata ordinanza dava conto, nella misura in cui contestava la violazione degli artt. 146 e 181 d. lgs. n. 42/2004, qualificando il parapetto quale intervento realizzato “ in area vincolata e protetta ai sensi di legge ”): il gravame, infatti, si limita a dedurre che, nel caso di specie, non sarebbe necessaria l’autorizzazione paesaggistica alla luce del disposto dell'art. 149, comma 1 lettera a) , del D lgs n. 42/2004, rappresentando testualmente che “ non sono soggetti al preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo quando non alterino lo stato de1 luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici, valutazione che è affidata dalla legge all'Autorità tutoria anche ai sensi dell'art. 19 della L.R. n. 15/2008 ”, lamentando che il Comune di Pomezia si sarebbe ingerito nella valutazione tecnica e discrezionale demandata alla suddetta Autorità ai sensi dell’art. 167, comma 5 d. lgs. n. 42/2004.
Ne consegue che la questione circa l’inesistenza di un vincolo di tutela ai sensi del prefato DM configura un motivo nuovo inammissibile, in quanto non proposto a mezzo di un ricorso per motivi aggiunti, come invero sarebbe stato necessario, ma dedotto con semplice memoria.
3. Nel merito, il gravame è infondato.
4. Con il primo mezzo i ricorrenti lamentano che l’ordinanza sarebbe stata solo “comunicata”, e non notificata, a mezzo raccomandata a.r. (spedita in data 25 marzo 2013), in violazione degli artt. 12, comma 1, della l. n. 890/1992 e 3, comma 4 della l. n. 241/1990, lamentando altresì la violazione dell’art. 2 della medesima l. n. 890/1992, per non avere l’Ufficio mittente fatto uso degli speciali buste e moduli per avvisi di ricevimento (entrambi di colore verde), ivi contemplati.
Entrambe le censure sono prive di pregio oltre che inconferenti ai fini della legittimità della gravata ordinanza.
Si rammenta che, ai sensi dell’art. 21 bis della l. n. 241/1990, il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile.
Per granitica giurisprudenza, i vizi della notifica del provvedimento amministrativo rilevano esclusivamente sull'efficacia dello stesso e non sulla sua validità, nel senso che, in caso di nullità della notificazione, il provvedimento è pur sempre valido anche se non efficace, non essendo in grado di produrre effetti nella sfera giuridica del destinatario (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 settembre 2018, n. 5497 Cons. Stato, sez. VI, 19 gennaio 2018, n. 345;sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 283;sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2849;sez. VI, 8 luglio 2011, n. 4124).
L'inefficacia del provvedimento determina, poi, il (mero) differimento della decorrenza del termine di impugnazione al momento in cui il destinatario ne abbia avuto effettiva conoscenza, potendo questi, da quel momento, proporre i rimedi, anche giurisdizionali, precedentemente preclusi dall'ignoranza, non imputabile, dell'esistenza di un provvedimento a sé sfavorevole: “ (secondo i) consolidati principio in materia (…), le irregolarità e i vizi che inficiano la notifica degli atti, anche quando configurano ipotesi di nullità insanabile della notifica, producono l'unica conseguenza rappresentata dalla mancata decorrenza del termine per proporre ricorso. In altri termini, i vizi della notifica dell'atto amministrativo (essendo la notifica un mezzo per portare l'atto a conoscenza del destinatario) finiscono per avere rilievo (a parte, evidentemente, il caso dell'inesistenza della notifica) solo ai fini della eventuale rimessione in termini (…) ” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 18.08.2022, n. 7270).
Tanto precisato, come emerge dal deposito documentale effettuato dal Comune in data 13.09.2022, il provvedimento oggi impugnato risulta essere stato notificato ad entrambi i ricorrenti a mezzo di servizio postale, con raccomandate A/R n. 014843915331 e n. 014843915332, indirizzate rispettivamente alla Sig.ra Graziani Marina e al Sig. Ranieri Carlo, di cui sono state versate in atti le relative cartoline di ricevimento, sottoscritte dai destinatari in data 4 aprile 2013.
Il procedimento di notifica, dunque, si è perfezionato nei confronti di entrambi i destinatari con la ricezione dell’atto da parte di costoro, con la conseguenza che ambedue i ricorrenti ne hanno avuto effettiva e compiuta conoscenza.
Ciò comporta che non solo (per quanto sopra precisato) non è fondatamente predicabile alcuna illegittimità del provvedimento oggetto di impugnazione (vizio, peraltro, mai espressamente dedotto dai ricorrenti nei propri scritti difensivi), ma nemmeno è prospettabile alcuna inefficacia del medesimo per mancata conoscenza da parte del destinatario, come dimostra, del resto, la circostanza che il gravame introduttivo del presente giudizio è stato tempestivamente esperito nel rispetto del termine decadenziale previsto ex lege , con l’ulteriore conseguenza che non si pone alcuna eventuale questione di rimessione in termini (unico profilo per il quale, sulla scorta del prefato indirizzo giurisprudenziale, avrebbe potuto rilevare un eventuale vizio o irregolarità del procedimento notificatorio).
5. Non ha pregio nemmeno la doglianza dedotta con il secondo mezzo, con cui i ricorrenti lamentano la lesione delle proprie garanzie partecipative, per non avere l’Ufficio postergato il termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio (che la comunicazione di avvio prot. n. 101216 del 6.12.2012 fissava in 90 giorni) almeno fino ad un momento successivo alla consegna della documentazione di cui i ricorrenti avevano chiesto l’ostensione, avvenuta in data 16.04.2013.
La comunicazione di avvio del procedimento, ricevuta in data 19.12.2012, contemplava la possibilità di produrre memorie e documenti ritenuti utili “ sino all’adozione dei provvedimenti amministrativi ”, contestualmente rendendo edotti gli interessati del termine (di 90 giorni dalla data di ricezione della medesima comunicazione) di conclusione del procedimento: ebbene, durante tutto tale lasso temporale, precedente all’adozione dell’atto (emesso il 21 marzo 2013) non perveniva nessun apporto partecipativo, con la conseguenza che i ricorrenti non possono fondatamente dolersi del fatto che non sia stato loro garantito un “ congruo termine per presentare memorie ” (cfr. pag. 5 del ricorso).
Né ha pregio la circostanza che l’accesso alla documentazione in possesso dell’Amministrazione era stato autorizzato dopo l’avvenuta emanazione dell’ordinanza (ed esattamente in data 22 marzo 2013), posto che dal materiale di causa di evince che l’istanza di accesso è stata presentata solo a ridosso del termine di conclusione del procedimento (essendo stata ricevuta dall’Amministrazione il 15 marzo 2013): di detto termine, per quanto detto, gli interessati erano pienamente consapevoli già da dicembre 2012, ossia dalla ricezione della comunicazione di avvio, sicché la sua mancata proroga non può essere fondatamente addotta quale motivo di illegittimità del provvedimento conclusivo.
Ad ogni modo si osserva che, per costante indirizzo giurisprudenziale, ampiamente condiviso da questa Sezione, l’ordine di demolizione di opere abusive è un atto dovuto e rigidamente vincolato alla verifica dei relativi presupposti, ex lege delineati dagli artt. 27 e ss. d.P.R. n. 380/2001, sicché non vi sono spazi per apporti partecipativi del destinatario dell’atto (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez, II quater, 25.01.2023, n. 1283;id., 30.11.2022, n. 15976;id., 23.03.2022, n. 3306), trovando applicazione il disposto di cui all’art. 21 octies, comma 2 l. n. 241/1990.
5.1. Occorre poi puntualizzare che, ai fini della legittimità della gravata ordinanza demolitoria, non rileva la circostanza (stigmatizzata dalla parte soprattutto nella propria memoria di replica) che solo una parte della documentazione di cui è stato chiesto l’accesso è stata ostesa, avendo l’Amministrazione negato l’accesso alla restante documentazione in quanto coperta da segreto istruttorio: l’eventuale diritto all’ostensione di detta documentazione avrebbe potuto essere al più dedotto con autonomo ricorso ex art. 116 c.p.a., o anche con istanza di accesso in corso di causa ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, ma né l’uno né l’altra sono stati mai effettivamente proposti dai ricorrenti.
6. Con il terzo mezzo è stata denunciata l’illegittimità del gravato provvedimento demolitorio per violazione degli artt. 31 ss. del T.U. dell'edilizia, oltre ad eccesso di potere per difetto di istruttoria e insufficiente motivazione, in ragione della natura accessoria e pertinenziale del contestato parapetto, da considerarsi quale “pertinenza” in senso urbanistico, avuto riguardo alle sue caratteristiche ( i.e. , collegamento funzionale rispetto all’appartamento, mancanza di autonomia, in quanto opera priva di un proprio valore di trasferimento e di scambio, rapporto di durevole e oggettiva destinazione al servizio dell’immobile principale), tali per cui non sarebbe stato necessario il rilascio di un previo permesso di costruire, non potendo nemmeno qualificarsi quale intervento di ristrutturazione edilizia o urbanistica o ancora come “variazione essenziale” ai sensi dell’art. 32 del medesimo Testo unico.
Richiamano altresì il disposto dell’art. 61 del Regolamento Edilizio del Comune di Pomezia (di seguito “R.E.C.”), che prevede l’obbligo di dotare i terrazzi di copertura di idonei parapetti di protezione.
Le censure non meritano pregio.
La natura “pertinenziale” del parapetto non è fondatamente predicabile, in ragione delle sue complessive e non irrilevanti dimensioni (in estensione – pari a 3x4 mt – e altezza – di circa 120/140 cm), come puntualmente descritte nella gravata ordinanza demolitoria, con la conseguenza che l’Amministrazione legittimamente ne ha accertato l’abusività in ragione dell’assenza di idoneo titolo edilizio, peraltro rappresentato, nella specie, non dal permesso di costruire, quanto piuttosto della D.I.A. (ora SCIA), trattandosi di intervento per il quale è stata contestata la violazione degli artt. 22 del Testo unico dell’edilizia e 19 della L.R. n. 15/2008, per l’appunto relativi agli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività.
In ogni caso, anche laddove ne fosse predicabile la natura “pertinenziale”, è dirimente la considerazione che l’ordine demolitorio è fondato anche sul difetto nella necessaria autorizzazione paesaggistica, in quanto opera eseguita in area gravata da vincolo paesaggistico.
Con riferimento, poi, all’invocato art. 61 del R.E.C., il quale prescrive la costruzione di un parapetto perimetrale in muratura “ per i terrazzi praticabili e in tutti i casi in cui sussiste pericolo di caduta ”, questo attiene alle modalità costruttive degli edifici, e non può essere interpretato come deroga all’obbligo, imposto ope legis , di preventiva acquisizione di un titolo autorizzatorio edilizio (e, nella specie, anche paesaggistico) per gli edifici che eventualmente ne fossero privi.
6.1. Un’ulteriore menzione va fatta in ordine alla circostanza fattuale che i ricorrenti si sarebbero limitati a porre in essere meri interventi di “manutenzione” su un parapetto preesistente, in quanto già realizzato dalla ditta costruttrice – venditrice.
Tale deduzione, in disparte il rilievo che la medesima non tiene conto del fatto che i ricorrenti, quali proprietari dell’immobile, sono comunque legittimi destinatari dell’ingiunzione ripristinatoria, è stata avanzata, per la prima volta, solo con la memoria illustrativa del 22.09.2022 (non essendo stata mai evidenziata detta circostanza in seno al ricorso introduttivo), con la conseguenza che è da reputarsi tardivamente proposta.
7. Prive di pregio sono anche le doglianze dedotte con il quarto mezzo, con cui la parte lamenta che, avendo l’Amministrazione contestato l’assenza di DIA, l’unica sanzione irrogabile sarebbe quella pecuniaria, ai sensi dell’art. 37, comma 1 Testo unico dell’edilizia.
Trattandosi di opere realizzate in area gravata da vincolo paesaggistico, trova invece applicazione la disposizione di cui all’art. 27, comma 2 del medesimo Testo unico, che prevede come doverosa l’irrogazione della sanzione demolitoria (“ il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi ”) per le “ opere eseguite senza titolo su (…) aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 ” (ora d. lgs. n. 42/2004): in proposito, secondo il granitico indirizzo giurisprudenziale, “ in linea generale va ribadito che le opere abusive, anche qualora abbiano natura pertinenziale o precaria e, quindi, siano assentibili con mera d.i.a. o s.c.i.a., se realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, debbono considerarsi comunque eseguite in totale difformità dalla concessione, laddove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesaggistica e, conseguentemente, deve essere applicata la sanzione demolitoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. IV , 26/09/2018 , n. 5524) ” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 17.10.2022, n. 8785).
Né ha pregio la dedotta violazione dell’art. 149, comma 1, lett. a) d. lgs. n. 42/2004, ossia della disposizione che esclude dalla necessità di una preventiva autorizzazione paesaggistica gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo “ che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici ”, con valutazione che, a detta di parte, sarebbe rimessa all’autorità tutoria anche ai sensi dell’art. 19 della L.R. n. 15/2008, non essendo dubitabile che il parapetto in muratura realizzato sul lastrico solare dell’immobile di proprietà, trattandosi di elemento esterno al fabbricato e tenuto anche conto delle sue non irrilevanti dimensioni, sia un intervento di portata e natura tale da aver modificato lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio, con conseguente “impatto” sull’assetto paesaggistico dell’area.
La parte, dunque, non può fondatamente dolersi della mancata valutazione tecnico-discrezionale demandata all’autorità tutoria del vincolo paesaggistico, nella cui competenze il Comune di Pomezia si sarebbe illegittimamente ingerito, e ciò “anche” ai sensi dell’art. 167, comma 5 d. lgs. n. 42/2004, atteso che la disposizione da ultimo richiamata disciplina il procedimento di accertamento della compatibilità paesaggistica (limitatamente agli interventi di cui al precedente comma 4) avviato dall’interessato con “ apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ”, domanda che, che nel caso di specie, non risulta essere stata presentata.
Ed ancora, la parte infondatamente lamenta l’illogicità del provvedimento impugnato, per aver ingiunto la demolizione di un intervento che l’art. 61 del R.E.C. imporrebbe, viceversa, di realizzare, con conseguente inapplicabilità della sanzione ripristinatoria, rinviandosi sul punto a quanto sopra argomentato in ordine alla inderogabilità dell’obbligo di legge di conseguire un preventivo titolo autorizzatorio, sia sul piano edilizio che, per quanto detto, su quello paesaggistico.
8. Da ultimo, si appalesa infondata anche la censura dedotto con l’ultimo mezzo, con cui la parte lamenta che l’ordinanza non contiene alcuna specificazione delle conseguenze della relativa inottemperanza, rendendo così incomprensibile quale sia il potere in concreto esercitato dall’Amministrazione, “ se quello dell’ingiunzione a demolire sotto minaccia di demolizione d'ufficio o sotto minaccia di acquisizione ”: il Comune, infatti, ha chiaramente esercitato i poteri di vigilanza e repressione degli abusi edilizi di cui agli artt. 27 e ss. del Testo unico dell’edilizia nonché L.R. n. 15/2008, emettendo un’intimazione demolitorio/ripristinatoria il cui impianto motivazionale è sufficientemente ed esaustivamente fondato sulla descrizione delle opere abusive e sul richiamo alle disposizione di legge violate (artt. 22 Testo unico, 19 L.R. n. 15/2008, nonché 146 e 181 d. lgs. n. 42/2004), e tanto è sufficiente ai fini della relativa legittimità.
La parte, ancora, lamenta la mancata indicazione delle ragioni per cui il parapetto non sarebbe sanabile, ma anche tale doglianza è priva di pregio: con il provvedimento gravato, infatti, l’Amministrazione si è limitata a contestare l’abusività delle opere, in quanto interventi realizzati sine titulo , conseguentemente ordinandone la demolizione (con atto che si è già argomentato avere natura vincolata), senza che rilevi l’astratta regolarizzabilità postuma del manufatto, essendo questa demandata alla valutazione da compiersi nell’ambito di un diverso e del tutto eventuale iter procedimentale, che oltretutto nel caso di specie non risulta essere stato comunque avviato.
Né potrebbe rilevare la circostanza fattuale secondo cui “ i villini a confine con quello di proprietà degli istanti sono muniti di parapetto identico a quello sanzionato con il provvedimento impugnato ”, atteso che l’unico accertamento da compiersi (e che appunto l’Amministrazione ha esperito nell’ambito del procedimento di vigilanza ex art. 27 Testo unico dell’edilizia) atteneva all’assenza o meno di un titolo abilitativo in relazione all’immobile di proprietà dei ricorrenti, essendo del tutto irrilevante lo stato (che peraltro non è dato sapere se legittimo o meno) delle unità abitative ad esso limitrofe.
9. In conclusione, il ricorso va rigettato.
10. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.