TAR Roma, sez. II, sentenza 2019-08-12, n. 201910517
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Pubblicato il 12/08/2019
N. 10517/2019 REG.PROV.COLL.
N. 09520/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9520 del 2006, proposto da
Camelia Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati F M e S D, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F M in Roma, Largo Nicola Spinelli, 5;
contro
Regione Lazio, non costituita in giudizio;
Roma Capitale (già Comune di Roma), in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato U G, con domicilio eletto presso l’Avvocatura capitolina in Roma, Via del Tempio di Giove, 21;
per l’annullamento
- della deliberazione della Giunta regionale del Lazio n. 4 in data 11 gennaio 2002, di approvazione del Piano particolareggiato del Comprensorio direzionale orientale tiburtino, comunicata alla ricorrente con atti a firma del Direttore dell’Ufficio progetti metropolitani – U.O. pianificazione e attuazione comprensori direzionali del Comune di Roma, prot. n. 2308 e n. 2309 in data 8 giugno 2006, notificati il successivo 15 giugno 2006, con in quali è stato reso noto che, a seguito dell’approvazione del predetto strumento attuativo, l’immobile di proprietà di Camelia Immobiliare s.r.l., distinto nel catasto terreni al foglio n. 620, particelle nn. 12, 18, 125, 128, 154, 159, 208 e 212, è stato assoggettato a procedura espropriativa;
- nonché avverso ogni altro atto presupposto, preordinato, coordinato, conseguenziale e comunque connesso, e in particolare: la deliberazione del Consiglio comunale di Roma n. 157 del 30 luglio 1998, di adozione del piano particolareggiato;per quanto occorrer possa, la deliberazione consiliare n. 17 del 24 gennaio 2000, con la quale il Comune di Roma ha formulato le proprie controdeduzioni sulle osservazioni-opposizioni presentate.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma e la successiva costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 marzo 2019 la dott.ssa F V D M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Camelia Immobiliare s.r.l. è proprietaria di un’area sita nel territorio del Comune di Roma (ora Roma Capitale), in Via Michelotti, dell’estensione di circa 9.000 mq, sulla quale insistono ventiquattro capannoni con destinazione artigianale-produttiva, alcuni realizzati in forza di appositi titoli edilizi, altri oggetto provvedimenti di condono, altri ancora sottoposti a procedimenti di condono pendenti.
2. La ricorrente ha allegato che il predetto compendio immobiliare ricadeva, in base al previgente Piano Regolatore Generale (PRG) del Comune di Roma, tra le zone con destinazione I, sottozona I2, ossia tra gli “ Insediamenti misti – attività direzionali e terziarie, servizi e residenze ”. Successivamente, la legge 15 dicembre 1990, n. 396 (“ Interventi per Roma, capitale della Repubblica ”) ha disciplinato, all’articolo 8, la realizzazione del c.d. Sistema direzionale orientale (SDO), prevedendo l’approvazione, a questo fine, di un Programma pluriennale, contenente l’indicazione degli ambiti da acquisire mediante espropriazione.
In attuazione di questa previsione, con la deliberazione del Consiglio comunale n. 226 del 25 ottobre 1994, è stato approvato il previsto Programma pluriennale, il quale ha disposto l’esproprio generalizzato degli immobili a destinazione I inclusi negli ambiti da acquisire, tra i quali l’ambito tiburtino.
È seguita l’adozione del Piano particolareggiato del Comprensorio direzionale orientale tiburtino, poi approvato con la deliberazione della Giunta della Regione Lazio n. 4 dell’11 gennaio 2002. Il Piano ha assoggettato a espropriazione, tra l’altro, una parte del compendio di Camelia Immobiliare, e precisamente la porzione distinta nel catasto terreni al foglio n. 620, particelle nn. 12, 18, 125, 128, 154, 159, 208 e 212. Dell’approvazione del predetto Piano la società afferma di aver avuto notizia soltanto a seguito della ricezione delle apposite note di comunicazione a firma del Direttore dell’Ufficio progetti metropolitani – U.O. pianificazione e attuazione comprensori direzionali del Comune di Roma, prot. n. 2308 e n. 2309 in data 8 giugno 2006, notificate alla ricorrente il 15 giugno 2006.
3. La deliberazione di approvazione del Piano particolareggiato è stata impugnata da Camelia Immobiliare nel presente giudizio.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
I) violazione dell’articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, sviamento di potere, violazione dell’articolo 8 della legge n. 396 del 1990, dell’articolo 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 e della deliberazione del Consiglio comunale n. 226 del 1994, per due ordini di ragioni: (a) il Piano particolareggiato sarebbe intervenuto a distanza di trentotto anni dall’approvazione del PRG del 1965 e, quindi, dopo che era ormai decaduto, per effetto del decorso del termine quinquennale, il vincolo strumentale contenuto nello stesso PRG, in forza del quale l’utilizzazione edificatoria del terreno era subordinata alla preventiva approvazione dello strumento attuativo;(b) la deliberazione del Consiglio comunale n. 226 del 1994, recante l’approvazione del Programma pluriennale, avrebbe fissato il termine per l’inizio degli espropri al 1° gennaio 1995 per l’ambito Tiburtino 2a e al 1° gennaio 1997 per l’ambito Tiburtino 2b e avrebbe poi dichiarato la pubblica utilità degli interventi compresi nel Programma, con efficacia quinquennale;conseguentemente, la procedura espropriativa avrebbe dovuto essere iniziata al più tardi entro il 1° gennaio 2002, e il superamento del predetto termine avrebbe comportato la decadenza della stessa dichiarazione di pubblica utilità e l’impossibilità di procedere alle espropriazioni;
II) in subordine, violazione dell’articolo 16 della legge 17 agosto 1990, n. 42 (legge urbanistica), in quanto, ove si dovesse ricollegare l’effetto di dichiarazione di pubblica utilità all’approvazione del Piano particolareggiato, questo sarebbe comunque illegittimo per non aver indicato i termini per l’attuazione del Piano e i termini per il compimento delle espropriazioni;
III) violazione dell’articolo 42 della Costituzione, eccesso di potere sotto plurimi profili e incompetenza;ciò in quanto la variante generale al PRG denominata “Piano delle certezze”, adottata con la deliberazione del Consiglio comunale n. 92 del 29 maggio 1997, avrebbe previsto la compensazione dei privati che cedono al Comune aree ricadenti nel Sistema direzionale orientale mediante l’attribuzione di diritti edificatori, mentre il Piano particolareggiato del 2002 avrebbe stabilito che soltanto parte della cubatura realizzabile nell’ambito dello stesso Piano sia compensata con diritti edificatori, in misura equivalente all’indennità di espropriazione dovuta per le aree cedute;il nuovo regime previsto dal Piano particolareggiato sarebbe, perciò, peggiorativo per i proprietari;peraltro la cessione sarebbe stata resa in concreto impossibile, perché l’articolo 9 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano particolareggiato avrebbe previsto la presentazione al Comune della domanda di cessione entro trenta giorni dall’esecutività del provvedimento di adozione dello stesso Piano, ma si tratterebbe di termine da tempo scaduto, perché la deliberazione di adozione risalirebbe al 1998 e non sarebbe stata notificata alla ricorrente;il termine sarebbe stato poi rideterminato mediante la deliberazione della Giunta comunale n. 515 del 28 agosto 2003, che ne ha differito la scadenza al 30 settembre 2003, ma questa deliberazione – oltre a promanare da un organo incompetente – non sarebbe stata comunque notificata alla ricorrente, la quale si troverebbe ora nell’impossibilità di aderire alla cessione, ove fosse sua intenzione farlo;
IV) violazione dell’articolo 8 della legge n. 396 del 1990, eccesso di potere per errore nei fatti presupposti e contraddittorietà, violazione degli articoli 13 e seguenti della legge n. 1150 del 1942 e difetto di istruttoria;ciò in quanto nella porzione del compendio immobiliare di Camelia Immobiliare interessata dalla procedura espropriativa ricadrebbero cinque capannoni – tutti concessi in locazione a soggetti terzi – due dei quali oggetto di provvedimenti di condono del 2003 e tre ancora in attesa del rilascio del titolo in sanatoria;conseguentemente, sarebbe errata la valutazione compiuta dall’Amministrazione, la quale avrebbe ritenuto la predetta porzione “area libera”, assoggettabile a procedura espropriativa ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 396 del 1990;
V) violazione degli articoli 13 e seguenti della legge n. 1150 del 1996, eccesso di potere per errore nei fatti presupposti e illogicità, violazione dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, difetto di motivazione;ciò in quanto le previsioni di trasformazione dell’area da espropriare – funzionali alla realizzazione di una “piazza pedonale” e di una “area pubblica per attrezzature di servizio di interesse urbano” – non avrebbero alcuna attinenza con il tessuto urbano della zona, caratterizzato dalla prevalente presenza di immobili a destinazione artigianale-produttiva;le stesse previsioni sarebbero, inoltre, incoerenti rispetto alla morfologia dei luoghi, in quanto l’area di proprietà della ricorrente sarebbe caratterizzata da un salto di quota di notevole entità rispetto ai fondi limitrofi, tanto da risultare accessibile da un solo lato;l’espropriazione renderebbe, poi, privi di accesso i rimanenti capannoni di proprietà della ricorrente;le scelte dell’Amministrazione sarebbero, comunque, immotivate;
VI) ulteriori profili di eccesso di potere per errore nei fatti presupposti, manifesta ingiustizia e illogicità, in quanto le scelte pianificatorie operate risulterebbero prive di coerenza e di valenza pubblica, tenuto conto della situazione del compendio di proprietà della ricorrente e del contesto circostante.
4. Roma Capitale, costituitasi in giudizio, ha eccepito la tardività dell’impugnazione, nonché, comunque, l’improcedibilità del ricorso, in considerazione della sopravvenuta approvazione del nuovo PRG.
5. All’udienza pubblica del 6 marzo 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Va, anzitutto, scrutinata l’eccezione di improcedibilità.
6.1. Al riguardo, occorre rilevare che le porzioni immobiliari assoggettate a procedura espropriativa dal Piano particolareggiato del 2002 e alle quali si riferisce il presente ricorso sono – come detto – individuate nel catasto terreni al foglio n. 620, particelle nn. 12, 18, 125, 128, 154, 159, 208 e 212.
6.2. Secondo quanto attestato da Roma Capitale nella relazione urbanistica storica del 24 gennaio 2019 – depositata agli atti del giudizio e non contestata dalla ricorrente – le predette porzioni immobiliari sono state disciplinate dal nuovo PRG, approvato con la deliberazione del Consiglio comunale n. 18 del 2008, nei termini seguenti:
- le particelle 12, 18 (parte), 128, 154, 159 e 208 (parte) sono ricomprese nel “ Sistema Insediativo – Città della Trasformazione: Ambiti a Pianificazione Particolareggiata Definita (APPD) ”;in base all’articolo 62 delle NTA del PRG, a questi immobili si applicano le previsioni degli strumenti urbanistici attuativi già approvati prima del PRG;
- le particelle 18 (parte), 208 (parte) e 212 sono invece ascritte al “ Sistema dei Servizi e delle Infrastrutture – Servizi pubblici: Verde pubblico e servizi pubblici di livello locale ”, con applicazione delle previsioni degli articoli 83 e 85 delle NTA.
6.3. Ciò posto, il Collegio è dell’avviso che il nuovo strumento urbanistico non presenti una portata novativa rispetto al Piano particolareggiato del Comprensorio tiburtino, impugnato nel presente giudizio.
Il PGT stabilisce, infatti, che agli APPD si applichi la disciplina definita dai relativi piani attuativi o programmi urbanistici (articolo 62, comma 2, delle NTA). Viene, con ciò, fatto salvo il Piano particolareggiato, in quanto già vigente alla data di approvazione del nuovo strumento urbanistico generale, senza un rinvio che implichi il recepimento all’interno dello stesso PRG delle previsioni dello strumento attuativo. Le disposizioni del Piano particolareggiato restano perciò in vigore in quanto tali, costituendo un corpus di disciplina autonomo rispetto al PRG.
Conseguentemente, per la parte in cui si riferisce alle porzioni immobiliari qualificate come APPD (ossia, come detto, le particelle 12, 18 parte, 128, 154, 159 e 208 parte), che rimangono soggette alle previsioni del Piano particolareggiato, l’impugnazione deve ritenersi ancora di interesse della ricorrente.
6.4. Il nuovo strumento urbanistico presenta, invece, una propria portata dispositiva laddove assoggetta le rimanenti porzioni (ossia le particelle 18 parte, 208 parte e 212) alla disciplina del “ Sistema dei Servizi e delle Infrastrutture – Servizi pubblici: Verde pubblico e servizi pubblici di livello locale ”.
Per questa parte, le nuove previsioni di piano sostituiscono quelle precedenti, con la conseguenza che la mancata impugnazione del PRG del 2008 rende il ricorso improcedibile, nella misura in cui si riferisce alle porzioni immobiliari interessate.
In senso contrario non rilevano le argomentazioni svolte dalla ricorrente nella memoria di replica, ove la parte sottolinea che, anche ove fossero dotate di portata autonoma, le previsioni del PRG recanti l’apposizione di vincoli espropriativi sarebbero comunque decadute.
Al riguardo, deve infatti rimarcarsi che, per le porzioni immobiliari disciplinate direttamente dal PRG, l’entrata in vigore del nuovo strumento ha determinato, per ciò solo, la sostituzione della pianificazione precedente.
L’eventuale decadenza, successivamente verificatasi, dei vincoli apposti dal PRG del 2008 costituisce, poi, un tema del tutto estraneo al presente giudizio. Anche laddove i nuovi vincoli fossero decaduti, infatti, ciò non comporterebbe la reviviscenza della precedente disciplina urbanistica, ma soltanto l’applicazione delle previsioni stabilite dalla normativa primaria per questa eventualità (articolo 9, comma 3, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327).
6.5. In definitiva, l’eccezione di improcedibilità del ricorso va accolta in parte, nei sensi sopra indicati.
7. La difesa capitolina eccepisce, ancora, la tardività del ricorso, in quanto la deliberazione della Giunta regionale n. 4 dell’11 gennaio 2002 è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio (BURL) n. 7 del 9 marzo 2002, mentre la relativa impugnazione è stata proposta soltanto nel 2006.
7.1. Deve tuttavia osservarsi che, ai sensi dell’articolo 16, decimo comma, della legge n. 1150 del 1942, “ Il decreto di approvazione di un piano particolareggiato deve essere depositato nella segreteria comunale e notificato nelle forme delle citazioni a ciascun proprietario degli immobili vincolati dal piano stesso entro un mese dall’annuncio dell’avvenuto deposito ”. E, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, la disposizione impone all’Amministrazione “ (...) un obbligo di notifica individuale, ma solo in favore dei proprietari di immobili direttamente incisi dalla disciplina del piano (...) ” (Cons. Stato, Sez. IV, 21 marzo 2016, n. 1135, che richiama Cosn. Stato, Ad. gen., 6 dicembre 2012, n. 3240/2010). Più in dettaglio “ la notifica degli atti di approvazione dei piani attuativi va effettuata soltanto nei confronti dei proprietari “degli immobili vincolati”, intendendosi con tale espressione le proprietà sottoposte a vincolo totale o parziale di inedificabilità o di espropriazione, e quindi incisi in maniera “diretta” dalla nuova disciplina, con esclusione, quindi, di asseriti effetti pregiudizievoli meramente eventuali ed ipotetici (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 25 luglio 2005, n. 3930;T.A.R. Marche, 14 giugno 2005, n. 671) ” (Cons. Stato, Sez. IV, 17 febbraio 2009, n. 919).
7.2. Nel caso oggetto del presente giudizio, non è controverso che la ricorrente agisca nella veste di proprietaria di immobili che il Piano particolareggiato ha assoggettato a procedura espropriativa. Conseguentemente, la deliberazione di approvazione dello stesso Piano doveva essere notificata alla società. Poiché a quest’ultimo adempimento il Comune ha provveduto soltanto con le note prot. n. 2308 e n. 2309 dell’8 giugno 2006, notificate alla ricorrente il successivo 15 giugno, è da quest’ultima data che ha preso a decorrere il termine per la proposizione dell’impugnazione.
7.3. Ne consegue che il gravame non è tardivo e l’eccezione va, perciò, rigettata.
8. Il ricorso non può, tuttavia, trovare accoglimento, per le ragioni che si espongono di seguito.
9. Con il primo motivo di impugnazione, la ricorrente ha allegato che il Piano particolareggiato sarebbe illegittimo: (a) perché sarebbe intervenuto dopo che era ormai decaduto, per effetto del decorso del termine quinquennale, il vincolo strumentale contenuto nel PRG del 1965;(b) perché, a seguito dell’approvazione della deliberazione del Consiglio comunale n. 226 del 1994, recante l’approvazione del Programma pluriennale, la procedura espropriativa avrebbe dovuto essere avviata, al più tardi, entro il 1° gennaio 2002, per cui il superamento del predetto termine avrebbe comportato la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e l’impossibilità di procedere alle espropriazioni.
9.1. Quanto alla censura sub (a), questa non può essere condivisa, atteso che è la stessa ricorrente ad allegare che il PRG del 1965 recava un vincolo strumentale, ossia volto soltanto a subordinare l’utilizzazione edificatoria del terreno di sua proprietà alla preventiva approvazione dello strumento attuativo. E, al riguardo, deve aggiungersi che, per espressa previsione dell’articolo 13 delle NTA, la realizzazione dei singoli quartieri o nuclei, secondo l’indicazione di massima contenuta nel PRG, sarebbe potuta avvenire o per iniziativa comunale o per iniziativa privata.
A fronte di questi elementi, deve ritenersi che la disciplina dettata, per l’area della ricorrente, dal PRG del 1965 consistesse in un mero vincolo di rinvio alla pianificazione attuativa, come tale di durata a tempo indeterminato e non soggetto al termine di decadenza quinquennale di cui all’articolo 2 della legge n. 1187 del 1968, poi mutuato dall’articolo 9, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001. E ciò in conformità all’insegnamento della Corte costituzionale (cfr. Corte cost. n. 179 del 1999), la quale ha chiarito la natura conformativa e non espropriativa dei vincoli c.d. strumentali o di rinvio, laddove sia aperta al proprietario la possibilità di porre rimedio a inerzie o ritardi dell’Amministrazione mediante la presentazione di un piano di lottizzazione a iniziativa privata (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24 novembre 2014, n. 5783;Id., 6 agosto 2014, n. 4190;Id., Sez. V, 31 ottobre 2013, n. 5251).
Per le ragioni sopra dette, le previsioni del PRG del 1965 relative alla proprietà della ricorrente non erano soggette a decadenza per il decorso del termine quinquennale.
Del resto, secondo quanto allegato dalla stessa società, l’individuazione dell’area come destinata alla realizzazione del Sistema direzionale orientale – e quindi la funzionalizzazione degli immobili a un intervento a iniziativa pubblica – è da ricondurre soltanto alla deliberazione consiliare n. 226 del 1994, adottata in attuazione della legge n. 396 del 1990.
Da ciò il rigetto della censura.
9.2. Non può essere accolta neppure la doglianza sub (b), atteso che il Piano particolareggiato impugnato non costituisce il primo atto – che si asserisce tardivo – della procedura espropriativa conseguente alla dichiarazione di pubblica utilità disposta con la predetta deliberazione consiliare n. 226 del 1994, ma è esso stesso autonomamente produttivo dell’effetto di dichiarazione di pubblica utilità. E ciò in forza della previsione dell’articolo 16, nono comma, della legge n. 1150 del 1942, in base al quale “ L’approvazione dei piani particolareggiati equivale a dichiarazione di pubblica utilità delle opere in essi previste ”.
9.3. Il primo motivo va, perciò, rigettato.
10. Non può neppure accogliersi il secondo motivo, ove si censura la mancata indicazione dei termini per l’attuazione e di quelli per il compimento delle espropriazioni previste dal Piano.
Va condiviso, al riguardo, l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, laddove lo strumento attuativo ometta tale indicazione, deve trovare applicazione il termine decennale stabilito dalla legge (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 marzo 2005, n. 985).
11. Con il terzo motivo la ricorrente censura le previsioni relative alla compensazione mediante diritti edificatori della cessione gratuita delle aree al Comune di Roma da parte dei proprietari.
11.1. Sul punto, deve osservarsi che l’articolo 9, primo comma, delle NTA del Piano particolareggiato stabilisce che, in caso di cessione gratuita al Comune di Roma delle aree destinate a esproprio, da parte del Consorzio dei proprietari delle aree del Comprensorio tiburtino, “ al Consorzio stesso sarà attribuita, sulla base di apposita convenzione, parte della cubatura realizzabile nel Piano Particolareggiato in misura equivalente alla indennità di espropriazione delle aree cedute ”.
La ricorrente lamenta che tale previsione sarebbe peggiorativa per i proprietari rispetto a quanto stabilito nella variante generale al PRG adottata denominata “Piano delle certezze”, adottata con la deliberazione del Consiglio comunale n. 92 del 29 maggio 1997 (successivamente approvata dalla Regione Lazio con la deliberazione della Giunta regionale n. 856 del 10 settembre 2004). Ciò in quanto – a differenza del predetto “Piano delle certezze” – il Piano particolareggiato attuerebbe una compensazione del sacrificio subito dai proprietari soltanto parziale e commisurata all’indennità di esproprio, e non attribuirebbe invece una volumetria di valore immobiliare corrispondente a quella prevista per l’area acquisita alla mano pubblica.
11.2. Al riguardo, deve tuttavia osservarsi che le previsioni della variante generale del 1997, soltanto adottata al tempo in cui veniva approvato il Piano particolareggiato qui impugnato, non condizionavano l’esercizio della discrezionalità esercitata dal Comune mediante quest’ultimo strumento, il quale costituiva esso stesso variante al PRG.
11.3. D’altro canto, le porzioni immobiliari di proprietà della ricorrente sono state assoggettate alla procedura espropriativa e, in una tale situazione, è da reputare del tutto giustificata la previsione del Piano particolareggiato sopra richiamata, la quale prevede la compensazione della cessione gratuita delle stesse aree al Comune mediante l’attribuzione di diritti edificatori di valore corrispondente all’indennità di esproprio, secondo lo schema della c.d. cessione compensativa.
Quest’ultimo istituto si caratterizza, infatti, “ per l’individuazione da parte del pianificatore di aree, destinate alla costruzione della città pubblica, rispetto ai quali l’amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo ed alla facoltà imperativa ed unilaterale di acquisizione coattiva delle aree ” (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 17 settembre 2009, n. 4671). Più in dettaglio, “ L’istituto della compensazione, a differenza di quello della perequazione, non ha quale precipua finalità quella di mitigare le disuguaglianze che si producono con la pianificazione urbanistica: esso semplicemente mira ad individuare una forma di remunerazione alternativa a quella pecuniaria per i proprietari dei suoli destinati all’espropriazione, consistente nell’attribuzione di diritti edificatori (...) ” (così TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 11 giugno 2014, n. 1542). Da ciò consegue che “ la funzione della compensazione mediante attribuzione di diritti edificatori è quella – e soltanto quella – di sostituire l’indennità di esproprio, per cui è a quest’ultima che dovrà (...) farsi riferimento al fine di valutarne la congruità ” (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 30 settembre 2016, n. 1765).
11.4. La ricorrente afferma, ancora, che l’adesione alla cessione sarebbe stata di fatto impossibile, perché la relativa domanda avrebbe dovuto essere presentata al Comune entro trenta giorni dall’esecutività dell’adozione del Piano particolareggiato;strumento, questo, che non sarebbe stato notificato a Camelia Immobiliare.
Il termine sarebbe stato poi nuovamente fissato al 30 settembre 2003, mediante la deliberazione della Giunta comunale n. 515 del 28 agosto 2003. Quest’ultima deliberazione, tuttavia, oltre a promanare da un organo incompetente, non sarebbe stata – ancora una volta – notificata alla ricorrente, la quale si vedrebbe quindi preclusa la possibilità di aderire alla compensazione, ove vi avesse avuto interesse.
Deve tuttavia osservarsi che la deliberazione della Giunta comunale sopra richiamata, avendo riaperto il termine inizialmente stabilito dallo strumento attuativo per l’adesione alla cessione gratuita, rende di per sé improcedibile la censura che la ricorrente rivolge contro l’originaria previsione del Piano particolareggiato.
È, poi, quantomeno dubbio che la ricorrente abbia inteso impugnare la predetta deliberazione di Giunta n. 515 del 2003, considerato che il provvedimento non risulta indicato nell’epigrafe del ricorso tra gli atti dei quali viene domandato l’annullamento. In ogni caso, anche a voler ritenere che la parte abbia voluto proporre una tale domanda, questa non sarebbe sorretta da un comprovato interesse concreto e attuale, e sarebbe perciò inammissibile, atteso che Camelia Immobiliare non risulta aver presentato un’istanza di adesione alla cessione volontaria, eventualmente a termine scaduto, né comunque ha manifestato un effettivo interesse al riguardo nel ricorso.
12. Con il quarto motivo la parte allega che l’area di sua proprietà sarebbe stata sottoposta a espropriazione sul presupposto che fosse libera da edificazioni, con ciò omettendo di prendere in considerazione lo stato dei luoghi, e in particolare la presenza di cinque capannoni, concessi in locazione a terzi.
12.1. Al riguardo, deve tuttavia osservarsi che, secondo quanto allegato dalla stessa ricorrente, la scelta di espropriare l’area in funzione della realizzazione del Sistema direzionale orientale è da ricondurre alla deliberazione consiliare n. 226 del 1994, recante l’approvazione dell’apposito Programma pluriennale, e non al Piano particolareggiato qui impugnato. È nei confronti di quel precedente strumento, perciò, che la ricorrente avrebbe dovuto eventualmente rivolgere la predetta censura, la quale risulta, in questa sede, inammissibile.
12.2. La doglianza è, peraltro, anche infondata nel merito.
Secondo quanto allegato dalla parte, infatti, per i predetti cinque capannoni sono stati avviati altrettanti procedimenti di condono, due conclusisi con il rilascio del titolo in sanatoria nel 2003 e gli altri tre tuttora pendenti.
Da questi elementi di fatto discende che, al momento dell’adozione e anche dell’approvazione del Piano particolareggiato, sull’area insistevano edifici non realizzati in forza di un idoneo titolo edilizio. Inoltre, come sopra detto, la stessa ricorrente ricorda che, già in forza del PRG del 1965, l’edificazione era subordinata alla previa approvazione di un apposito piano attuativo e che, comunque, la realizzazione di fabbricati a destinazione produttiva già allora non era prevista, stante – come detto – la classificazione del compendio quale zona I, sottozona I2, con destinazione esclusivamente ad attività direzionali e terziarie, servizi e residenze.
In un tale contesto, è perciò da ritenere non irragionevole che l’Amministrazione abbia continuato a perseguire l’obiettivo della realizzazione del Sistema direzionale orientale, assunto da lungo tempo, e che non abbia invece ritenuto opportuno modificare l’assetto urbanistico complessivamente progettato al solo scopo di prendere in considerazione le edificazioni realizzate senza titolo nel corso degli anni.
13. Con il quinto e il sesto motivo, che possono essere scrutinati congiuntamente, la ricorrente sostiene che le previsioni pianificatorie dettate per l’area di sua proprietà mancherebbero di un’adeguata motivazione e sarebbero, inoltre, irragionevoli, in quanto incoerenti rispetto al contesto urbano e allo stato dei luoghi.
13.1. Al riguardo, deve anzitutto tenersi presente che le scelte urbanistiche costituiscono espressione di ampia discrezionalità, e non sono perciò sindacabili dal giudice amministrativo, a meno che risultino inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono in concreto soddisfare (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2649;Id., 25 novembre 2013, n. 5589).
Tali scelte non necessitano inoltre, di regola, di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano (Ad. plen., n. 24 del 1999), salvo che ricorra una delle evenienze che, in conformità ai consolidati indirizzi della giurisprudenza (cfr., per tutti, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 22 luglio 2014, n. 1972), determinano un onere motivatorio più incisivo. Tali evenienze sono state riscontrate: a) nella lesione dell’affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, da accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi del titolo edilizio o di silenzio rifiuto su domanda di rilascio del permesso di costruire, ecc.;b) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1 ottobre 2004, n. 6401;Id., 4 marzo 2003, n. 1197);c) nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico effettui un sovradimensionamento delle aree destinate a ospitare attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale (c.d. aree standard), quantificandole in misura maggiore rispetto ai parametri minimi fissati dall’articolo 3 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 (cfr. Ad. plen. n. 24 del 1999).
13.2. Alla luce dei principi ora illustrati, deve anzitutto rilevarsi che, rispetto al compendio immobiliare della ricorrente, non è riscontrabile nessuna delle situazioni sopra illustrate, dalle quali discenderebbe un particolare onere di motivazione delle scelte operate, le quali risultano, perciò, adeguatamente motivate mediante il rinvio ai criteri generali di impostazione del piano.
13.3. Tali scelte non risultano, inoltre, manifestamente illogiche o arbitrarie.
13.3.1. La ricorrente sostiene, come sopra detto, che la destinazione dell’area da espropriare alla realizzazione di una “piazza pedonale” e di una “area pubblica per attrezzature di servizio di interesse urbano” non avrebbe alcuna attinenza con il tessuto urbano della zona, il quale sarebbe caratterizzato prevalentemente dalla presenza di edilizia artigianale-produttiva.
La censura così proposta è connessa a quella successivamente articolata nel sesto motivo, ove si sostiene che sarebbe condivisibile la destinazione ad “ area per l’istruzione Universitaria ” impressa dall’articolo 6, lett. b) , delle NTA del Piano particolareggiato all’attiguo compendio dell’ex