TAR Roma, sez. I, sentenza 2018-07-26, n. 201808473

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2018-07-26, n. 201808473
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201808473
Data del deposito : 26 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/07/2018

N. 08473/2018 REG.PROV.COLL.

N. 05788/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5788 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati C M I e R I, elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Marzio, 3 presso lo studio legale Vaiano-Cataldo;

contro

Ministero della giustizia e Consiglio superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

a) del decreto Ministero della Giustizia 3/5/17, di sospensione cautelare facoltativa dall'esercizio delle funzioni di Giudice di Pace nella sede di -OMISSIS-;

b) della delibera CSM 19/4/17;

c) di tutti gli atti preordinati, connessi e conseguenti, fra i quali, per quanto occorra, la proposta di sospensione del Presidente della Corte di Appello di Napoli 28/12/16 non nota, e, per parte qua, la circ. CSM 1/8/02, P.15880/02.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia e del Consiglio superiore della Magistratura;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 luglio 2018 la dott.ssa R C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il ricorrente, giudice di pace presso la sede di -OMISSIS-, impugna i provvedimenti indicati in epigrafe, con i quali è stata disposta, ai sensi dell’art. 18, comma 4, del d.P.R. 10 giugno 2000, n. 198, la sua sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni.

Il procedimento era iniziato a seguito di richiesta del 22 marzo 2017 del Presidente della Corte d’appello di Napoli, a sua volta formulata in conseguenza della pendenza di un’azione disciplinare, promossa nei confronti dello stesso ricorrente a seguito di una richiesta di rinvio a giudizio presentata al Giudice per l’udienza preliminare di Napoli dalla competente Procura della Repubblica.

Avverso i provvedimenti gravati il ricorrente ha dedotto un unico, articolato motivo di doglianza:

“Violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 97 Cost;
del d.lgs. 109/2006 (spec. artt. 17 e 18) della legge 374/1991 (spec. artt. 9 e 10);
del regolamento del Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Napoli;
dei principi generali in materia;
per carente ed erronea istruttoria, difetto ed errore di motivazione, eccesso di potere”.

Egli lamenta, in primo luogo, la violazione delle previsioni che, a suo giudizio, subordinano l’emanazione del provvedimento di sospensione facoltativa alla previa audizione del destinatario dell’atto, rilevando, in via subordinata, l’illegittimità della circolare del Consiglio superiore della Magistratura del 1 agosto 2002 P. 15880/02, ove interpretata nel senso di consentire l’adozione del provvedimento cautelare di sospensione in assenza di audizione personale.

Rappresenta, poi, come il Procuratore della Repubblica abbia informato il Presidente della Corte d’appello della pendenza del giudizio solo due anni dopo l’avvio dello stesso, circostanza, questa, che evidenzierebbe l’oggettiva non significatività dei fatti contestati, confermata pure dalla decisione di sospendere il procedimento disciplinare.

Censura infine la valutazione di gravità dei fatti, ritenuta nel provvedimento finale, e la carenza di motivazione dello stesso.

Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio il Ministero della giustizia e il Consiglio superiore della Magistratura, che hanno domandato il rigetto del gravame in quanto infondato nel merito.

Alla camera di consiglio del 19 luglio 2017 l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento è stata respinta.

L’ordinanza del Tar è stata riformata in appello al solo fine della sollecita trattazione del ricorso nel merito.

All’udienza del 18 luglio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Oggetto dell’odierno ricorso sono i provvedimenti, meglio indicati in epigrafe, relativi alla sospensione cautelare facoltativa del ricorrente dall’esercizio delle funzioni di giudice di pace nella sede di -OMISSIS-.

In punto di fatto appare opportuno rilevare come il provvedimento del Consiglio superiore della Magistratura è stato emanato su richiesta del Presidente della Corte d’appello di Napoli, il quale aveva rappresentato la pendenza, nei confronti del -OMISSIS-, di un’azione disciplinare, a sua volta promossa a seguito di una richiesta di rinvio a giudizio per gravi reati commessi nello svolgimento della professione di avvocato.

In particolare, come si legge nella contestazione indirizzata al ricorrente il 28 dicembre 2016, il procedimento disciplinare era stato aperto in vista della possibile adozione delle sanzioni disciplinari di cui all’art. 9 della legge n. 374/1991, in quanto nei confronti del -OMISSIS- pendeva un procedimento penale per i reati di falso e sostituzione di persona e precisamente per violazione degli “ artt. 481,61 n. 1 c.p., perché nell’esercizio della professione forense, attestava falsamente l’autenticità della firma di […] apposta in calce all’atto di transazione datata […];” e dell’art. 494 c.p., perché, al fine di procurarsi un vantaggio, inducendo in errore la Generali Assicurazioni S.p.A., sostituendosi illegittimamente al proprio assistito, […] e accettando per conto dello stesso la somma di € 2.450,00 offerta in via di transazione dalla predetta compagnia assicurativa ”.

La sospensione del procedimento, nel corso del quale il ricorrente depositava una diffusa memoria difensiva, puntualmente correlata ai diversi addebiti contenuti nella contestazione, era poi stata disposta, fino alla definizione del procedimento penale, “ per ragioni di economia istruttoria e per evitare pronunce contraddittorie ”.

Sempre in via preliminare appare opportuno ricordare come, con riferimento ai giudici di pace, l’art. 18 del D.P.R. n. 198/2000 (“ Regolamento recante norme di coordinamento e di attuazione del capo I della legge 24 novembre 1999, n. 468, concernente il giudice di pace ”), prevede, accanto ad un’ipotesi di sospensione obbligatoria dalle funzioni per sottoposizione a misura cautelare personale - da disporsi dal Consiglio superiore della Magistratura su trasmissione del Consiglio giudiziario che provvede su richiesta del Presidente della Corte d'appello - anche un’ipotesi di sospensione facoltativa, che può essere adottata, ai sensi del comma 4 e con la medesima procedura prevista per la sospensione obbligatoria, “ quando ricorrano i casi di cui agli articoli 30 e 31, comma 2, regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 ”.

In ragione dell’avvenuta abrogazione dei citati artt. 30 e 31 del regio decreto 511/1946, il richiamo deve intendersi riferito agli artt. 21 e 22 del decreto legislativo n. 109/2006.

Alla luce del richiamo al citato art. 22, dunque, la sospensione facoltativa dalle funzioni del giudice di pace è un provvedimento, di evidente funzione cautelare, adottabile nei confronti del magistrato onorario interessato, in via alternativa o cumulativa, da un procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche con pena detentiva, oppure da vicende incompatibili con l’esercizio delle funzioni (cfr., da ultimo, Tar Lazio, Roma, sez. I, 14 maggio 2018, n. 5281).

Come si evince dalla lettura dell’atto impugnato, nel caso in esame la sospensione è stata disposta sul duplice presupposto della ricorrenza della pendenza del procedimento disciplinare e del fatto che il ricorrente rivestiva, in relazione a reati di particolare gravità, la condizione di imputato.

La possibile influenza dei fatti oggetto di contestazione sull'esercizio della funzione giurisdizionale, tale da compromettere la possibilità di rivestire con il dovuto prestigio e la necessaria autorevolezza la funzione di giudice di pace, hanno quindi determinato l’adozione dell’atto, finalizzato a tutelare, con immediatezza e nelle more di più approfonditi accertamenti, l’immagine stessa dell’amministrazione della giustizia.

Con un primo ordine di doglianze, il ricorrente sostiene l’illegittimità del provvedimento in quanto adottato senza la previa audizione dell’interessato, necessaria, a suo giudizio, a norma dell’art. 22 del d.lgs. 109/2006.

La disposizione, dettata per i magistrati ordinari, sarebbe applicabile anche ai magistrati onorari in virtù dei richiami ad essa fatti dall’art. 18 del d.P.R. 198/2000 e dai decreti ministeriali del 3 giugno 2009, riguardanti i giudici onorari e i vice procuratori onorari di Tribunale.

Il ricorrente rappresenta pure come, in violazione dalla circolare del C.S.M. del 1 agosto 2002, egli non sia stato convocato neppure successivamente all’adozione del decreto.

In via subordinata il ricorrente rappresenta l’illegittimità di tale ultimo atto, laddove interpretato nel senso che la convocazione sia obbligatoria solo con riferimento al procedimento disciplinare.

La prospettazione non può essere condivisa.

Come già affermato dalla Sezione con riferimento a fattispecie similari, il Collegio ritiene che il CSM abbia fatto corretta applicazione delle disposizioni primarie e secondarie che regolano il procedimento disciplinare nei riguardi dei giudici di pace e, in particolare, del capo IX della Circolare consiliare n. P-15880/2002 e succ. mod., che prevede che “ La garanzia della partecipazione del giudice di pace al procedimento cautelare è assicurata dal contraddittorio differito successivamente all’adozione del provvedimento di sospensione, si tratti di sospensione obbligatoria o facoltativa nel caso di sottoposizione a procedimento disciplinare o penale. Il regolamento prevede, infatti, all’art. 18 che, dichiarata la sospensione, il provvedimento del Consiglio superiore della magistratura sia comunicato al Consiglio giudiziario e nel contempo si dia tempestivamente comunicazione al giudice di pace della facoltà di prendere visione degli atti e della facoltà di comparire personalmente, assistito da un difensore, alla seduta che dovrà essere fissata ad almeno 10 giorni di distanza, salva la possibilità di anticipazione della stessa ad istanza dell’interessato ”.

La circolare è, infatti, funzionale, proprio per il previsto contraddittorio differito, a dare una risposta pronta e certa alle esigenze primarie ed assorbenti, connaturate ad un provvedimento avente intrinseca natura cautelare, ciò che esclude pure l’illegittimità della medesima prospettata in via subordinata dal ricorrente.

Viene, in sostanza, nella specie a delinearsi un procedimento con struttura bifasica, in cui l’audizione dell’interessato è necessaria solo nella fase che si svolge in sede locale, rimanendo meramente facoltativa la ripetizione della stessa nella fase consiliare di decisione (ex multis, Tar Lazio, Roma, sez. I, 14 maggio 2018, n. 5281, 8 maggio 2018, n. 5121 e 4 ottobre 2017, n. 10206).

Inoltre, la scelta del C.S.M. di non convocare l’interessato per ulteriori deposizioni, rientra nel pieno esercizio di poteri discrezionali rimessi all’Organo di autogoverno, direttamente riconosciuti dall’ordinamento giuridico nazionale (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. I, n. 5281/2018 e n. 5121/2018, cit. che richiamano Consiglio di Stato, sez. IV, 24 gennaio 2013, n. 427).

Ne deriva che nessun effetto invalidante può essere annesso alla mancata audizione del ricorrente in sede consiliare, mentre, quanto all’omessa audizione in sede locale, la stessa, proprio perché collocata in un momento successivo all’adozione della delibera del Plenum, non può riverberare i suoi effetti sul provvedimento dell’organo di autogoverno.

Con specifico riferimento al caso in esame, va poi rilevata la valenza assolutamente formale della censura, non correlata ad un effettiva carenza del contraddittorio procedimentale, atteso che il provvedimento dà atto del fatto che il ricorrente ha presentato, nella fase disciplinare, una memoria difensiva a firma sua e del suo difensore, della quale il Consiglio superiore ha tenuto conto quale elemento istruttorio e nella quale il -OMISSIS- ha prospettato tutte le argomentazioni difensive da lui ritenute utili, anche alla luce di quelle poi svolte in ricorso, ad inquadrare in maniera puntuale la vicenda.

Quanto alla pretesa applicazione dell’art. 22 della l. 109/2006, osserva il Collegio come il richiamo alla norma, sulla base della dizione letterale del comma 4 dell’art. 18 e della stessa delibera gravata, vada limitato ai soli “ casi ” o “ condizioni ” legittimanti l’adozione della misura e non anche all’iter procedimentale ivi descritto.

Come recentemente affermato in giurisprudenza con riferimento ai procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici di pace, materia assolutamente omogenea a quella qui in esame, “ I procedimenti disciplinari a carico dei magistrati professionali non sono assimilabili a quelli previsti per i giudici di pace, difettandone la base costituita dal rapporto di servizio e l'inerente status. Tali differenze si riflettono sulla particolarità dei rispettivi procedimenti disciplinari .” (così Consiglio di Stato, sez. V, 12 febbraio 2018, n. 854, che richiama pure il principio secondo cui “ Analogamente a quanto per i provvedimenti di prima nomina e di conferma nell'incarico di giudice di pace, anche i giudizi e le valutazioni formulati dal Consiglio Superiore della Magistratura nell'ambito del procedimento di revoca dell'incarico e finalizzati ad accertare la persistenza dei requisiti per permanere nell'incarico, sono la risultante di una valutazione globale, fondata su di una pluralità di elementi di fatti sintomatici: perciò esprimono una valutazione propria della discrezionalità del governo autonomo della magistratura ”).

Né, a fini di configurare una specifica illegittimità procedimentale, giova il richiamo alla tardiva comunicazione della pendenza del procedimento penale da parte del Procuratore della Repubblica, atteso che non vi sono, con riferimento a tale fase, scansioni procedimentali previste a pena di decadenza, né il ritardo in sé può assumere il significato di un valutazione di non gravità dei fatti.

Sotto tale ultimo profilo va infine considerato come il provvedimento, che ha attentamente vagliato la prospettazione difensiva del ricorrente contenuta nella memoria del 23 gennaio 2017 e nella quale egli ha sostenuto l’insussistenza o la giuridica irrilevanza dei fatti contestati, ha poi operato una motivata valutazione di gravità degli stessi sulla cui base ha ritenuto la necessità, seppure in via interinale, di evitare la permanenza del magistrato onorario nel ruolo e nelle funzioni di giudice di pace risultando compromessa la possibilità dello stesso di svolgere le funzioni con il dovuto prestigio e la dovuta credibilità così che la misura cautelare è stata adottata al fine di evitare ulteriori gravi conseguenze per l’amministrazione della giustizia.

Ritiene in proposito il Collegio di ricordare come il Consiglio superiore della magistratura gode, in materia, di ampia discrezionalità nella valutazione dei fatti addebitati al soggetto, trasmessi dall’ufficio giudiziario locale e nei confronti del quale è avviato il procedimento disciplinare, sicché il relativo giudizio non è sindacabile nel merito e può essere contestato in sede di legittimità solo sotto i profili della manifesta illogicità e/o irragionevolezza, dell’evidente sproporzionalità e del travisamento (Tar Lazio, Sez. I, 10 marzo 2017, n. 3346, Consiglio di Stato, sez. IV, 11 febbraio 2016, n. 607).

Tali carenze, alla luce di quanto sopra osservato, non si rinvengono nel caso in esame nel quale il CSM ha riportato e considerato i dati emergenti dal contesto probatorio, ritenendo, inoltre, e sulla base di un percorso logico che appare coerente e scevro da vizi, la posizione del ricorrente incompatibile con il rispetto dei doveri di ufficio, che su di esso inderogabilmente gravano, e i fatti addebitategli di gravità tale da non consentire la prosecuzione dell’esercizio della funzione che è chiamato a svolgere.

Peraltro, si evidenzia che la giurisprudenza ha precisato come qualsiasi comportamento o avvenimento posto in essere dal giudice di pace, che sia idoneo a ledere il prestigio connesso alla funzione a causa della sua arbitrarietà, costituisce sintomo dell'inidoneità del medesimo a svolgere le stesse funzioni giurisdizionali onorarie (cfr. Tar Lazio, Roma, 14 maggio 2018, n. 5281, con ampi richiami giurisprudenziali).

Le ulteriori contestazioni effettuate sul punto attengono al merito della valutazione del Consiglio e sono pertanto inammissibili.

Conclusivamente, il ricorso è infondato e, pertanto, merita di essere rigettato.

Le spese di lite possono essere compensate in ragione della peculiarità della fattispecie.

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