TAR Genova, sez. I, sentenza breve 2021-01-07, n. 202100004

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. I, sentenza breve 2021-01-07, n. 202100004
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 202100004
Data del deposito : 7 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/01/2021

N. 00004/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00367/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 367 del 2019, proposto da
E.M.C. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato T P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Sanremo, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati S R e D S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

A I G, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

del provvedimento prot. n. 19799 del 5.3.2019, recante il diniego di permesso di costruire per l’installazione di un ascensore esterno, nonché di ogni atto presupposto, preparatorio, connesso o consequenziale, ivi inclusa la nota del 3.1.2019, recante la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sanremo;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 71- bis c.p.a.;

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2020, la dott.ssa L F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato il 4 maggio 2019 e depositato il 31 maggio 2019 E.M.C. s.r.l. ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale l’amministrazione comunale ha respinto la sua istanza di permesso di costruire, avente ad oggetto l’installazione di un ascensore all’esterno del fabbricato sito in via Zeffiro Massa n. 83.

La società ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:

I) Violazione dell’art. 79 del d.p.r. n. 380/2001 e degli artt. 873 e 907 c.c. Eccesso di potere per omessa considerazione di circostanze essenziali e travisamento dei fatti, nonché per inadeguatezza dell’istruttoria svolta . Sostiene, in sintesi, che:

- il locale ascensore dovrebbe essere considerato un volume tecnico e non una costruzione, con conseguente inapplicabilità delle distanze legali di cui agli artt. 873 e 907 c.c.;

- poiché l’impianto elevatore è diretto ad abbattere le barriere architettoniche, ai sensi dell’art. 79, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 16 della L.R. n. 15/1989 potrebbe essere realizzato senza osservare le norme sulle distanze previste dal regolamento edilizio comunale e in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici;

- in forza dell’art. 79, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 potrebbe derogarsi anche agli artt. 873 e 907 c.c., poiché tra il palazzo della deducente e quello frontistante è interposto un cortile, seppure di proprietà esclusiva dei condomini di tale stabile;

- il mancato rispetto delle norme codicistiche sarebbe stato convenzionalmente pattuito fra l’originaria proprietaria dell’intero complesso immobiliare e la società esponente, giacché, con atto notarile del 27.12.1995, la prima ha costituito, a carico degli edifici affacciati sul cortile ed in favore del fabbricato acquistato da E.M.C. s.r.l., una servitù prediale per costruire e mantenere un vano per ascensore a distanza inferiore a quella legale;

II) Violazione dell’art. 2, lett. A), punti a) e b) del D.M. 14.6.1989 n. 236, dell’art. 27 della legge n. 118/1971 e degli artt. 78 e 79 del d.p.r. n. 380/2001. Eccesso di potere per manifesta illogicità ed irragionevolezza . L’Amministrazione avrebbe illegittimamente posto a fondamento del diniego anche la mancata prova, mediante certificati, della disabilità delle signore A e V, residenti nell’edificio, nonostante l’applicazione della normativa in materia di eliminazione degli ostacoli architettonici non sia subordinata all’effettiva fruizione dell’opera da parte di soggetti portatori di handicap .

Il Comune di Sanremo si è costituito in giudizio, difendendo la piena legittimità del provvedimento gravato e chiedendo la reiezione del ricorso.

Le parti hanno illustrato le proprie argomentazioni con memorie, insistendo nelle rispettive conclusioni.

La causa è stata assunta in decisione nella camera di consiglio del 18 novembre 2020, ai sensi dell’art. 71- bis c.p.a. e dell’art. 25, comma 2, del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137.

DIRITTO

1. La società E.M.C. s.r.l. impugna il diniego di permesso di costruire per l’installazione di un ascensore esterno ad un edificio, opposto dall’Amministrazione civica per due ordini di ragioni: il vano per l’elevatore non rispetta la distanza di mt. 3,00 dal fabbricato frontistante, fissata dagli artt. 873 e 907 c.c.;
ai fini dell’applicazione della normativa derogatoria in materia di superamento delle barriere architettoniche non è sufficiente che nell’immobile risiedano due persone anziane, occorrendo che le stesse siano anche proprietarie di un alloggio nello stabile e che la loro disabilità o ridotta capacità motoria sia provata mediante certificati medici.

Il ricorso è fondato, nei termini seguenti.

Ai sensi dell’art. 79 del d.p.r. n. 380/2001 le opere finalizzate all’eliminazione delle barriere architettoniche possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, fatto salvo l’obbligo di rispetto di tre metri dalle costruzioni su fondi limitrofi e dalle vedute ex artt. 873 e 907 c.c. nell’ipotesi in cui tra i dispositivi antibarriera e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio di proprietà o di uso comune.

Inoltre, in virtù dell’art. 16 della L.R. n. 15/1989, gli interventi sul patrimonio edilizio esistente volti a garantire l’accessibilità agli edifici possono essere realizzati in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici locali.

È pacifico che fra le opere in questione rientrino gli impianti di sollevamento per l’accesso ai piani superiori dei palazzi (art. 77, comma 3, lett. a del d.p.r. n. 380/2001, riproduttivo dell’art. 1, comma 3, lett. a della legge n. 13/1989), ivi inclusi gli ascensori esterni (art. 6, comma 1, lett. b del d.p.r. n. 380/2001, nonché art. 7, comma 2, della legge n. 13/1989) (in argomento cfr., ex plurimis , Cons. St., sez. VI, 9 marzo 2020, n. 1682;
Cass. civ., sez. II, 12 aprile 2018, n. 9101;
Cons. St., sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4824;
Cons. St., sez. VI, 21 aprile 2017, n. 1878;
Cons. St., sez. VI, 5 marzo 2014, n. 1032).

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, la normativa in materia di abbattimento delle barriere architettoniche (artt. 77 e ss. del d.p.r. n. 380/2001, nei quali è confluita la legge n. 13/1989) costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico, volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici. Di conseguenza, in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, l’intervento deve essere consentito anche quando si tratti di persone anziane o che hanno una capacità motoria ridotta e, comunque, indipendentemente dall’effettiva utilizzazione dell’opera da parte di portatori di handicap , trattandosi di garantire diritti fondamentali e non già di accordare diritti personali ed intrasmissibili a titolo di concessione al disabile in quanto tale (in tal senso cfr., ex plurimis , Cons. St., sez. VI, 9 marzo 2020, n. 1682, cit.;
Cons. St., sez. II, 14 gennaio 2020, n. 355;
Cons. St., sez. II, 28 ottobre 2019, n. 7318;
Cass. civ., sez. II, 12 aprile 2018, n. 9101;
Cons. St., sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4824, cit.;
Cass. civ., sez. II, 28 marzo 2017, n. 7938;
Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334, la quale ha sancito l’irrilevanza della presenza di invalidi nell’edificio in cui venga inserito un ascensore, giacché le disposizioni in esame “ sono volte a consentire ai disabili di accedere senza difficoltà in tutti gli edifici, e non solo presso la propria abitazione ”;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 25 settembre 2018, n. 9557). È pertanto illegittimo il provvedimento che subordini l’istallazione di un ascensore alla comprovata fruizione da parte di un disabile residente nell’edificio (Cons. St., sez. VI, 9 marzo 2020, n. 1682, cit.;
Cons. St., sez. II, 28 ottobre 2019, n. 7318, cit.;
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 17 luglio 2019, n. 1659;
T.A.R. Marche, sez. I, 2 maggio 2018, n. 339).

Sotto altro profilo si rammenta che, secondo la pressoché unanime giurisprudenza civile, le norme codicistiche in materia di distanze minime tra edifici di cui agli artt. 873 e ss. c.c. individuano limiti di carattere privatistico alla proprietà privata, a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli per finalità di buon vicinato, e sono di conseguenza pienamente derogabili mediante convenzione tra privati (in tal senso cfr., ex plurimis , Cass. civ., sez. II, ord. 29 maggio 2019, n. 14711, e Cass. civ., sez. II, ord. 28 maggio 2019, n. 14519, le quali hanno altresì precisato che “ per l’esistenza di una valida volontà costitutiva di servitù in deroga alle distanze delle costruzioni o vedute, pur non occorrendo alcuna formula sacramentale, è comunque indispensabile che detta volontà sia deducibile da una dichiarazione scritta da cui risultino i termini precisi del rapporto reale tra vicini, nel senso che l’accordo faccia venir meno il limite legale per il proprietario del fondo dominante, che così acquista la facoltà di invadere la sfera esclusiva del fondo servente ”;
Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2018, n. 5016;
Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1988, n. 4353;
Cass. civ., sez. II, 30 marzo 1983, n. 2331;
si veda altresì T.A.R. Liguria, sez. I, 28 settembre 2020, n. 646).

Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa civica, invece, le pronunce richiamate nella memoria di replica non hanno affermato l’inderogabilità delle disposizioni del codice civile in materia di distanze legali, bensì il principio, nella specie inconferente, secondo cui è ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanze inferiori non solo a quelle fissate dalle norme privatistiche, ma anche a quelle stabilite dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici locali, ossia da fonti pubblicistiche normalmente inderogabili in quanto miranti alla tutela di superiori interessi generali (cfr. Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2013, n. 3979;
Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 2012, n. 22824;
Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 2010, n. 4240). Parimenti irrilevanti sono le sentenze sulle distanze prescritte dall’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 (Cons. St., sez. IV, 23 giugno 2017, n. 3093;
Cass. civ., sez. II, 14 novembre 2016, n. 23136), disposizione mai evocata dal Comune in alcun atto del procedimento.

2. In applicazione dei richiamati principi, ritiene il Collegio che il gravato diniego sia illegittimo, per i seguenti motivi.

2.1. Innanzitutto, con l’atto di vendita alla società deducente del fabbricato di cui è causa, la signora Clementina Diana, originaria proprietaria dell’intero compendio e, per quanto qui interessa, dei mappali 337 e 392, ha costituito una servitù prediale, in favore dell’edificio acquistato da E.M.C. s.r.l. (mapp. 337) ed a carico degli immobili circostanti (mapp. 392), avente ad oggetto la costruzione e il mantenimento di “ un vano per l’ascensore ” “ in aderenza al muro perimetrale della casa lato cortile ” e “ anche a distanza inferiore a quella legale rispetto alla restante proprietà della venditrice ” (cfr. atto rep. n. 160799 del 27.12.1995 notaio Zanobini, doc. 1 ricorrente).

Il patto costitutivo della servitù è stato regolarmente riportato nella nota di trascrizione dell’atto notarile (cfr. doc. 1- bis ricorrente) e risulta pertanto opponibile erga omnes , anche quindi ai soggetti che hanno successivamente acquistato la proprietà del palazzo antistante e del cortile pertinenziale, ubicati sulla particella 392 (cfr. visure catastali, doc.

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