TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2018-10-30, n. 201810462

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2018-10-30, n. 201810462
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201810462
Data del deposito : 30 ottobre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/10/2018

N. 10462/2018 REG.PROV.COLL.

N. 08624/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8624 del 2018, proposto da
Le Taha Estate s.r.l. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati E P S, M A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, Corso Vittorio Emanuele II 349;

contro

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Comune di Pomezia, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Leoncilli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Antonio Chinotto,1;
Regione Lazio, non costituita in giudizio;

e con l'intervento di

ad opponendum :
Associazione Latium Vetus, Comitato di Quartiere S. Palomba, Monia Bartolucci, Daniela Boccacci, Paola Boccacci, Stefano Casale, Diego Casubolo, Eugen Ciceu, Fabio D'Annibale, Gianni Di Biase, Rossella D'Orazio, Mirela Melita Fedus, Nicolino Fortugno, David Romano, Luigi Russo, Luciano Santini, Salvatore Verde, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Stefano Rossi, Giuseppe Lo Mastro, Caterina Paone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Stefano Rossi in Roma, via Gabriele Camozzi, 9;

per l'annullamento, previa sospensione,

- della dichiarazione di notevole interesse pubblico ex art. 136, comma 1, lett. c) e d), del D. Lgs. n. 42/2004 e s.m.i. dell'area sita nei Comuni di Ardea e Pomezia (Provincia di Roma) individuata come “Ambito delle tenute storiche di Torre Maggiore, Valle Caia ed altre della Campagna Romana”, approvata con Decreto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo del 27 ottobre 2017, non notificato ed ogni relativo allegato, limitatamente ai lotti industriali di sua proprietà infra individuati;

- dell’antecedente proposta, controdeduzioni della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio del 19/10/2017 prot. 24160 ed eventuali provvedimenti espliciti di rigetto delle osservazioni inoltrate dalla ricorrente relativamente ai lotti industriali di sua proprietà infra descritti e individuati come lotto D.P.1, lotto D.P.2, lotto D.P.3 e lotto Fosso;

- del Parere di Approvazione della Commissione Regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio del 26/10/2017;

- di ogni altro atto o provvedimento, anche istruttorio e/o consultivo ivi compreso il parere della Regione Lazio del 26/5/2017, antecedente o successivo, ed, in particolare, della cartografia di riferimento.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attivita' Culturali e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma e del Comune di Pomezia;

Visto l’atto di intervento ad opponendum ;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2018 la dott.ssa C A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente ricorso, inviato alla notifica il 2 luglio 2018, è stato impugnato il decreto del Segretario Regionale - Presidente della Commissione Regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo del 27 ottobre 2017, con cui è stato dichiarato il notevole interesse pubblico dell’area “Tenute storiche di Torre Maggiore, Valle Caia, e altre della Campagna Romana nei comuni di Pomezia e Ardea, ai sensi dell’art. 136, comma 1, lettere c) e d), del d.lgs. n. 42 del 2004, unitamente a tutti gli atti preordinati e connessi, tra cui la proposta del 18 maggio 2017, gli elaborati grafici allegati e le controdeduzioni alle osservazioni del 19 ottobre 2017.

Il decreto, pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 25 novembre 2017, è motivato richiamando la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico del 18 maggio 2017, in quanto l’area “conserva ancora un insieme particolarmente armonioso di elementi agricoli e naturali, scarsamente antropizzati se non dalla realizzazione, nel corso del tempo, di interessanti esempi di insediamenti agricoli tipici della campagna romana, inscindibilmente coniugati con numerose preesistenze architettoniche (casali, torri, castelli) e archeologiche, così come riscontrabili nelle carte archeologiche storiche e recenti, che testimoniano l’antica vocazione agricola dell’area a cui si aggiunge la funzione di presidio del territorio e delle vie di comunicazione nel periodo medievale”.

Il decreto di vincolo rinvia, confermandole in gran parte, alle classificazioni e alla disciplina adottata con il PTPR (“paesaggio agrario di valore”, “paesaggio degli insediamento storico diffuso”, “paesaggio degli insediamenti in evoluzione”) tranne alcune modifiche di classificazione espressamente indicate nel decreto stesso, in particolare: la modifica della classificazione da “paesaggio dell’insediamento storico diffuso” a “paesaggio degli insediamenti in evoluzione” - in seguito all’accoglimento delle osservazioni del Comune di Pomezia e di alcuni privati, tra cui la ricorrente - della parte costituita dalla particella 21 del foglio 14 e da una fascia di 50 metri di rispetto della ferrovia fino all’incrocio con la Valle Caia;
nuova classificazione come “paesaggio dell’insediamento storico diffuso” di una porzione delimitata dal perimetro del vincolo in corrispondenza della zona industriale (via della Medicina) e dalla particella catastale 21 del foglio 14, già classificata nel PTPR prevalentemente come “paesaggio agrario di valore”, in parte come “paesaggio degli insediamenti urbani, in parte come “paesaggio agrario di continuità”;
nuova classificazione da “paesaggio degli insediamenti urbani” a “paesaggio agrario di rilevante valore” della aree circostanti alcuni casali in gran parte di origine ottocentesca ancora ben integrati nel paesaggio agrario espressamente indicati nel decreto.

Anche con riferimento alla disciplina dell’area sottoposta a vincolo, il decreto rinvia alla disciplina del PTPR, in riferimento ai diversi paesaggi individuati, aggiungendo il divieto di movimenti di terra senza autorizzazione della Soprintendenza per una fascia di rispetto di trenta metri da edifici specificamente individuati;
nonché nelle aree classificate come “paesaggio agrario di rilevante valore” e “paesaggio dell’insediamento storico diffuso” il divieto di “realizzare ulteriori manufatti a destinazione d’uso produttivo, commerciale e terziario anche se previsti dagli strumenti urbanistici comunali;
realizzare nuove strade carrabili asfaltate a scorrimento veloce;
eliminare i filari che costeggiano le strade interpoderali e i tracciati viari secondari”.

Il decreto di vincolo, adottato dal Ministero, ai sensi dell’art. 138, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, previo parere della Regione Lazio (espresso in senso favorevole il 26 maggio 2017), è stato preceduto, come previsto dall’art. 139 del detto decreto, dalla pubblicazione della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico ai rispettivi albi pretori dei Comuni di Pomezia (il 22 maggio 2017) ed Ardea (il 19 maggio 2017) per novanta giorni;
dalla pubblicazione della relativa notizia su due quotidiani nazionali;
dal parere ai sensi dell'art. 138, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004), dalla presentazione delle osservazioni da parte di alcuni proprietari interessati, del Comune di Pomezia, della Città Metropolitana, di Unindustria, di Confagricola Lazio s.r.l., dell’associazione Latium Vetus. Le osservazioni presentate dalla società ricorrente sono state parzialmente accolte relativamente alla classificazione da “paesaggio dell’insediamento storico diffuso” a “paesaggio degli insediamenti in evoluzione” per la zona costituita dalla particella 21 del foglio 14 e da una fascia di 50 metri di rispetto della ferrovia fino all’incrocio con la Valle Caia;
sono state respinte le osservazioni relative agli altri lotti della società ricorrente con le controdeduzioni della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per l’area Metropolitana di Roma del 19 ottobre 2017.

Nella presente impugnazione la società ricorrente ha premesso di essere proprietaria di vari lotti di terreno nel Comune di Pomezia, identificati al catasto al foglio 14, particelle 554, 547, 556;
547;
38 e 547;
496, 500, 504, 506, 507, inclusi nel perimetro del vincolo, con destinazione industriale e in parte a viabilità e parcheggi nel piano regolatore generale del Comune di Pomezia;
con il vincolo tali aree sono state classificate nel PTPR come “paesaggio dell’insediamento storico diffuso”;
ha premesso, inoltre, di avere presentato ricorso gerarchico l’8 maggio 2018, a cui non è stata data risposta dall’Amministrazione e istanza di correzione di errore materiale rispetto alle particelle oggetto dell’osservazione accolta.

Ha, quindi, formulato le seguenti censure:

- violazione e falsa applicazione degli articoli 134, 136 e 142 del d.lgs. n. 42 del 2004;
eccesso di potere per falso ed erroneo presupposto;
difetto di motivazione e di istruttoria;
sviamento, travisamento;
violazione dell’art. 1 e dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990;
dell’art. 97 della costituzione;
irragionevolezza e contraddittorietà dell’azione amministrativa;
disparità di trattamento;
difetto di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità
.

Con le varie censure, la società ricorrente sostiene che l’Amministrazione avrebbe illegittimamente esteso il vincolo anche all’area di sua proprietà, circondata da edifici industriali;
il decreto di vincolo, quindi, sarebbe stato adottato con una totale carenza di istruttoria e sarebbe sproporzionato rispetto all’effettivo contesto dell’area a ridosso della zona industriale;
inoltre, la riclassificazione delle particelle della società ricorrente come “paesaggio dell’insediamento storico diffuso”, non avrebbe alcuna corrispondenza con il contesto reale di area industriale. Sostiene poi la illegittimità del decreto, in quanto avrebbe utilizzato una cartografia non aderente allo stato dei luoghi, in particolare per due capannoni esistenti e non risultanti in alcuni elaborati allegati al decreto (quello della GAIE II s.r.l. al foglio 14, particella 420, sub 507 graffata, e quello al foglio 14, particella 550, sub 500, del BNP Paribas Leasing Solutions s.r.l.);
inoltre contesta la prescrizione relativa al “divieto di manufatti ad uso industriale, commerciale terziario” per una area con destinazione industriale nel PRG, in contrasto con lo stato dei luoghi e in contraddizione con gli stessi obiettivi di tutela del vincolo.

Si è costituito in giudizio il Comune di Pomezia a sostegno della ricorrente.

A seguito della camera di consiglio del 2 agosto 2018, con ordinanza n. 4915 del 2018 è stata fissata l’udienza pubblica del 16 ottobre 2018.

Si sono successivamente costituiti il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma, che il 14 settembre hanno depositato memoria contestando la fondatezza del ricorso e hanno depositato documentazione.

Con atto notificato il 9 ottobre 2018 sono intervenuti in giudizio ad opponendum , l’Associazione Latium Vetus, il Comitato di quartiere S. Palomba ed alcuni cittadini residenti nella zona, eccependo la tardività del ricorso, la infondatezza delle censure e depositando documentazione.

Con memoria depositata il 15 ottobre 2018 la società ricorrente ha eccepito la tardività dell’intervento ad opponendum e comunque la tardività del deposito della documentazione;
ha altresì eccepito la tardività della memoria dell’Avvocatura dello Stato e del deposito della documentazione.

All’udienza pubblica del 16 ottobre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

In via preliminare ritiene il Collegio di dovere esaminare la eccezione di tardività dell’intervento ad opponendum sollevata dalla difesa ricorrente.

L’eccezione è fondata, in quanto, ai sensi dell’art. 50, comma 3, c.p.a., il deposito dell'atto di intervento è ammesso fino a trenta giorni prima dell'udienza. Tale termine è considerato perentorio dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, con conseguente inammissibilità dell’intervento effettuato oltre tale termine (Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 luglio 2018, n. 4575;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6149).

Nel caso di specie, il 9 ottobre 2018, data di deposito dell’atto di intervento ad opponendum , era già ampiamente decorso il termine di trenta giorni dall’udienza pubblica.

L’intervento deve, quindi, essere dichiarato inammissibile.

E’, altresì, tardivo il deposito sia dei documenti che della memoria, effettuato dall’Avvocatura dello Stato il 9 ottobre 2018, rispetto ai termini di quaranta giorni per il deposito di documenti e trenta per le memorie prima della udienza previsti dall’art. 73 c.p.a..

Ritiene il Collegio, invece, di prescindere dall’esame della questione della tardività del presente ricorso, sollevata dalla difesa interveniente, ma comunque rilevabile d’ufficio, in relazione alla evidente infondatezza, nel merito, delle censure proposte.

Il decreto di vincolo ha dichiarato di notevole interesse pubblico una intera area di circa 2000 ettari, ai sensi dell’art. 136, comma 1, lettere c) e d), del d.lgs. n. 42 del 2004, codice dei beni culturali e del paesaggio.

La difesa ricorrente contesta l’utilizzo di tale previsione del codice affermando che l’Amministrazione avrebbe travisato lo stato dei luoghi, in quanto l’area di proprietà della società Le Taha Estate è una area industriale, con destinazione industriale nel PRG del Comune di Pomezia, con la presenza già di capannoni industriali e della ferrovia, integralmente inserita nella zona industriale di S. Palomba, per cui non vi sarebbe alcuna esigenza di tutela paesaggistica;
sostiene, altresì, la illegittimità della modifica della classificazione del PTPR, a “paesaggio dell’insediamento storico diffuso”, che non rispecchierebbe l’effettivo stato dei luoghi come provato dallo stesso accoglimento dell’osservazione proposta nel procedimento dalla società ricorrente per uno dei lotti di sua proprietà, omogeneo per l’aspetto paesaggistico e l’inserimento nella zona industriale agli altri lotti, per i quali, invece le osservazioni sono state respinte;
sostiene, inoltre, che le cartografie allegate al decreto non sarebbero aderenti al reale stato dei luoghi, in quanto non sarebbero stati rappresentati due capannoni industriali presenti da anni.

Il Collegio non condivide le censure proposte.

Le disposizioni delle lettere c) e d) dell’art. 136 del d.lgs. n. 42 del 2004, riguardano “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici;
le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”.

Tali previsioni devono essere lette insieme alla disposizione dell’art. 131 del codice, per cui “per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni” e la tutela del paesaggio riguarda “quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali”;
nonché dell’art. 2, per cui sono beni paesaggistici gli immobili e le aree “ costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge”.

In base alla costante interpretazione giurisprudenziale di tali norme, unitariamente considerate, la tutela dei beni paesaggistici non è limitata alla tutela del dato di natura, riguarda il risultato storico dell’interazione tra intervento umano e dato di natura (Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 luglio 2012, n. 3893). Il vincolo paesaggistico ha la funzione di tutelare l'assetto complessivo di una porzione di territorio ritenuta di valore sotto il profilo estetico o storico-culturale, al fine di prevenirne la modificazione e di garantirne la fruizione da parte del pubblico, conservando i valori di cui è riconosciuto portatore. Proprio per la peculiare natura dello stesso, il vincolo paesaggistico interviene non già sul singolo edificio o bene, ma – ontologicamente - su un ambito territoriale più esteso, corrispondente, secondo la discrezionale valutazione delle Autorità preposte alla tutela del vincolo stesso, a quello necessario per garantire la sua effettività (Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 ottobre 2018, n. 5774). L’imposizione del vincolo non è subordinata all'esistenza di punti di vista dai quali si possa godere di una visione estetico-panoramica perché la legge tutela il paesaggio di per sé come valore autonomo, sintesi e somma del rilievo naturalistico, ambientale, archeologico, culturale ed umano, del territorio (Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 533, n. 534, n. 535, che, in particolare, con riferimento al vincolo imposto su una area molto vasta della “Campagna Romana”, denominata "ambito meridionale dell'agro romano compreso tra le vie Laurentina ed Ardeatina”, confinante con l’area oggetto del presente giudizio, ha affermato, altresì, la irrilevanza rispetto ai fini paesaggistici della particolare ampiezza dell’area, in quanto è proprio l’estensione dell’area che costituisce il “presupposto per la sua qualificazione in termini di paesaggio, offrendo il contesto identitario dell’ampiezza dei quadri panoramici segnati dal permanente uso agricolo diffuso, nel cui ambito si sono stratificati gli ulteriori caratteri sia storici, archeologici e architettonici, che di vegetazione, con un effetto d’insieme qualificante l’intera area nella sua complessiva consistenza, non identificabile senza l’apprezzamento della configurazione assunta dalla stessa nella sua estensione, non essendo la tutela isolata delle sue singole componenti equivalente alla tutela del complesso in cui ciascun elemento si correla agli altri, integrandosi nell’insieme e rapportandosi ai tratti comuni di questo insieme i sistemi paesistici che lo compongono, anche con le trasformazioni intervenute”).

Ad avviso del Collegio, tali argomentazioni sono integralmente applicabili al caso di specie,

Ne deriva che l’ampia estensione delle aree vincolate appare irrilevante, una volta riconosciuta l’esistenza dei presupposti per sottoporre a tutela una parte ampia di territorio proprio in quanto avente le caratteristiche del richiamo “identitario”, nel caso di specie, con riferimento agli aspetti tipici della “Campagna Romana”.

Va inoltre considerato che, per costante giurisprudenza, il potere ministeriale di apposizione del vincolo paesaggistico costituisce estrinsecazione di discrezionalità tecnica dell'Amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale nei limiti della logicità della motivazione ovvero con riferimento all'esistenza e alla errata rappresentazione dei presupposti di fatto cui l'attività valutativa fa riferimento (cfr. di recente, Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 ottobre 2018, n. 5774).

In particolare, “la delimitazione dei confini di una zona da sottoporre a vincolo paesaggistico quale bellezza d'insieme ex art. 136, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 42 (che non richiede necessariamente l'omogeneità dei singoli elementi, nel senso che non ogni singolo elemento compreso nell'area assoggettata al vincolo deve presentare i caratteri della bellezza naturale) costituisce tipica espressione di una valutazione di discrezionalità tecnica, non sindacabile se non sotto i profili della manifesta illogicità, incongruità, irragionevolezza o arbitrarietà” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 marzo 2016, n. 914;
27 novembre 2012, n. 5989).

Inoltre, la giurisprudenza è costante nel ritenere che l'avvenuta edificazione di un'area o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall'intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, poiché l'imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l'imposizione delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell'integrità dello stesso (Consiglio di Stato, sez. VI, 11 giugno 2012, n. 3401;
Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3644);
la qualificazione di rilevanza paesaggistico-ambientale di un sito non è determinata dal suo grado di degrado o di inquinamento, perché, allora, in tutti i casi di degrado ambientale sarebbe preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio riconosciuto meritevole di tutela;
ne consegue che l'imposizione del relativo vincolo, ovvero l'emanazione di atti preclusivi di ulteriori modifiche dello stato dei luoghi, serve piuttosto a prevenire l'aggravamento della situazione ed a perseguirne il possibile recupero (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2377;
27 novembre 2012, n. 5989).

Sulla base di tali principi consolidati nella giurisprudenza, ritiene il Collegio che i presupposti considerati dall’art 136, lettere c) e d), risultino confermati dal decreto di vincolo e dalla relazione allegata.

L’Amministrazione, come risulta dalla proposta e dalla relazione allegata, ha, infatti, esattamente espresso la volontà di vincolare un vasto ambito territoriale qualificato da una omogenea caratterizzazione di “campagna romana”, con “interessanti esempi di insediamenti agricoli tipici della campagna romana inscindibilmente coniugati con numerose preesistenze architettoniche (casali, torri, castelli) e archeologiche, così come riscontrabili nelle carte archeologiche storiche e recenti, che testimoniano l’antica vocazione agricola dell’area a cui si aggiunge la funzione di presidio del territorio e delle vie di comunicazione nel periodo medievale”.

Dalla relazione e dalla documentazione a questa allegata, in particolare le varie mappe antiche e recenti, risulta l’insieme di casali, torri, castelli strettamente collegati alla destinazione agricola sia risalente nel tempo che ancora attuale.

In particolare, nella relazione si fa riferimento, oltre ai resti archeologici, di età romana, ai resti degli antichi tracciati delle strade romane, al complesso monumentale di Torre maggiore (già oggetto di vincolo storico artistico) posizionato al centro di un più ampio sistema di torri, castelli e casali medievali, facendo espresso riferimento al Castello del Cerqueto, casale di Valle Caia, torre della Cirifaldina (di cui rimangono visibili solo alcuni blocchi), in un “vero unicum paesaggistico di grandissimo valore storico”.

Tali affermazioni della Relazione trovano conferma nella documentazione allegata alla stessa.

In particolare sono numericamente indicati i vari siti rilevanti, corrispondenti, a quelli indicati nell’elaborato 11, “individuazione dei siti rilevanti sulla carta tecnica regionale”, con annessa indicazione del numero e del tipo di monumento (distinti come torri, castelli, casali, villa, chiesa tempio, materiale archeologico, antico tracciato).

Quanto alla scelta discrezionale di ritenere meritevole di tutela, nel contesto sociale, urbanistico e culturale attuale, la “campagna romana”, ritiene il Collegio di potere richiamare integralmente quanto affermato dal Consiglio di Stato nelle numerose sentenze (di cui alcune già più sopra richiamate), con riferimento al vincolo sulla parte meridionale dell’Agro Romano tra Ardeatina e Laurentina, ovvero che si tratta di una “scelta compiuta nell’esercizio della discrezionalità amministrativa espressione della politica di settore dei beni culturali” (Sez. VI, 11 gennaio 2013, n. 120;
n. 533, n. 534, n. 535 del 29 gennaio 2013).

Nel caso di specie, l’Amministrazione ha dato anche espressamente conto nella relazione allegata al provvedimento della vicinanza alla zona industriale di S. Palomba e di volere evitare l’ulteriore sviluppo dell’area industriale, con la perdita delle caratteristiche agricole dell’area.

Le scelte operate dall’Amministrazione di salvaguardare il paesaggio rurale residuo anche in una area prossima ad area già compromessa paesaggisticamente da impianti industriali, risulta in linea con i poteri e gli obiettivi che le sono stati posti dal legislatore del codice.

Infatti, ai sensi dell’art. 135, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004 - norma espressamente richiamata dall’Amministrazione nell’allegato relativo alle “norme allegate al decreto”, quale presupposto delle prescrizioni imposte (divieto di nuovi manufatti ad uso produttivo, commerciale, terziario) - “i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare:

a) alla conservazione degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici sottoposti a tutela, tenuto conto anche delle tipologie architettoniche, delle tecniche e dei materiali costruttivi, nonché delle esigenze di ripristino dei valori paesaggistici;

b) alla riqualificazione delle aree compromesse o degradate;

c) alla salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor consumo del territorio;

d) alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO”.

La difesa ricorrente contesta, poi, la modifica di classificazione intervenuta rispetto a quella prevista nel PTPR (a “paesaggio dell’insediamento storico diffuso” con il decreto di vincolo).

Tale modifica è basata sui poteri attribuiti all’Amministrazione dell’art. 140, comma 2, del decreto legislativo n. 42 del 2004, per cui “la dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato. Essa costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo”.

Tale previsione normativa consente, dunque, espressamente al decreto di vincolo di integrare e modificare le disposizioni del piano paesaggistico, in quanto (in considerazione della titolarità, in capo allo Stato, dei poteri in materia paesaggistica, sulla base dell'art. 9 della Costituzione) la normativa del Codice ha stabilito espressamente l'autonomia del potere ministeriale di disporre il vincolo paesaggistico, mediante determinazioni che hanno ipso iure l'effetto della conseguente e corrispondente integrazione del Piano regionale (Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 marzo 2016, n. 914).

Si tratta dunque di scelte di pianificazione paesaggistica attribuite all’Amministrazione statale, previo parere della Regione e partecipazione al procedimento degli enti territoriali e dei soggetti privati interessati, anch’esse espressione di discrezionalità tecnica dell’Amministrazione.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, proprio con riferimento al vincolo sull’Agro Romano, ha affermato l’assoluta prevalenza del potere ministeriale di tutela paesaggistica sia sui piani paesistici, in base alla espressa previsione dell’art. 140, comma 2, del codice, sia sulla pianificazione comunale: “il piano paesistico regionale e la pianificazione urbanistica comunale, sotto il profilo temporale e procedimentale, attengono dunque ad una fase successiva e recessiva rispetto a quella d’imposizione del vincolo, mentre la tutela paesaggistica, lungi dall’essere subordinata alla pianificazione urbanistica comunale, deve precedere ed orientare le scelte urbanistico-edilizie locali, prevalendo, comunque, l’impronta unitaria della pianificazione paesistica (sentenze n. 533, n. 534, n. 535 del 2013). Ne deriva, altresì l’irrilevanza della destinazione industriale prevista nel PRG del Comune di Pomezia.

Quanto alla classificazione dei lotti di proprietà della ricorrente come “paesaggio dell’insediamento storico diffuso”, l’area così classificata, in base a quanto indicato dalla Amministrazione nell’elaborato 3 allegato al decreto (norme allegate al decreto), riguarda una zona comprendente il complesso vincolato di Torre Maggiore con l’immediato intorno, il Castello del Cerqueto, Torre Fausta, alcuni casali agricoli ed il casale di Valle Caia. La ragione di tale classificazione viene ricondotta dall’Amministrazione alla circostanza per cui “questo ambito, per gli elementi puntuali e areali di grande interesse storico-archeologico ivi presente e per le interazioni visive tra loro viene riconosciuto quale vero un unicum paesaggistico;
tali elementi architettonici hanno avuto incidenza nella definizione della struttura territoriale”.

Le classificazione come “paesaggio dell’insediamento storico diffuso”, in base alla ricostruzione dei luoghi caratterizzata da resti antichi e casali agricoli effettuata dall’Amministrazione e confermata dalla “individuazione di siti di interesse storico monumentale” - elaborato 11 allegato al decreto, risulta congrua con la descrizione contenuta nel PTRP per tale tipo di paesaggio.

Ai sensi dell’art. 31 del PTPR, infatti, “il paesaggio dell’insediamento storico diffuso è costituito da porzioni di territorio caratterizzate dal maggiore valore di testimonianza storico archeologica anche quando interessati da rilevante grado di naturalità e/o dal modo d’uso agricolo. Si tratta di ambiti, che comprendono elementi puntuali, lineari o areali di interesse storico archeologico che hanno avuto incidenza nella definizione della struttura territoriale. La tutela è volta alla valorizzazione e conservazione dei beni anche mediante l’inibizione di iniziative di trasformazione territoriale pregiudizievoli alla salvaguardia beni o che ne alterino la percezione di insieme”.

Tale modifica risulta, quindi, giustificata, nei limiti del sindacato di discrezionalità del presente giudizio, proprio dall’unitaria considerazione dell’omogeneo riferimento “identitario” ad una ampia zona di campagna romana caratterizzata da insediamenti di castelli, torri, e casali.

La difesa ricorrente contesta tale classificazione dei terreni della società Le Taha Estate introdotta nel PTPR, anche in relazione all’accoglimento della osservazione per il lotto di sua proprietà declassato a “paesaggio degli insediamenti in evoluzione”, che sarebbe omogeno, per caratteristiche e inserimento nella zona industriale, agli altri lotti di proprietà, per cui invece le osservazioni sono state respinte.

Anche tale motivo di ricorso non è suscettibile di accoglimento.

L’accoglimento della osservazione relativa alla particella 21 del foglio 14, unitamente all’accoglimento di analoghe osservazioni di altri soggetti partecipanti al procedimento, è derivata dalla vicinanza alla ferrovia e dall’incunearsi di questa area tra la ferrovia e l’area industriale, proprio al fine di tenere conto delle esigenze di sviluppo e di servizio della ferrovia;
la medesima motivazione non può valere per gli altri lotti di proprietà della ricorrente collocati diversamente, anche se nelle vicinanze. Per questi l’Amministrazione ha ritenuto prevalente la tutela del paesaggio rurale della “campagna romana”, con una scelta discrezionale, non sindacabile in questa sede e, comunque nell’ambito degli obiettivi posti dalle norme del codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 135, comma 2, e 140, comma 2).

La difesa ricorrente sostiene poi la illegittimità del provvedimento, in relazione alla mancata considerazione di alcuni capannoni industriali nella documentazione allegata prima alla proposta di dichiarazione e poi al decreto.

Ritiene il Collegio che la mancata indicazione di alcuni capannoni negli elaborati relativi alla Carta tecnica regionale non abbia influito sulla valutazione della effettiva situazione di fatto da parte della Soprintendenza. Infatti, anche se i capannoni non risultano in alcuni elaborati (quelli sviluppati sulla “Carta tecnica regionale”), sono esattamente riportati nell’elaborato 3 “norme allegate al decreto” con la relativa planimetria, nonché negli elaborati 5 “inquadramento territoriale su ortofoto” e 6 “individuazione delle tenute storiche su ortofoto” allegati alla proposta.

Ne deriva che sono stati necessariamente considerati dall’Amministrazione, come risulta anche dalla circostanza che alla proposta di dichiarazione sono state allegate 128 figure, tra cui numerose fotografie dell’attuale stato dei luoghi. L’effettivo stato dei luoghi è stato quindi esattamente conosciuto dall’Amministrazione, come emerge dalla stessa relazione al decreto, che fa riferimento alla zona industriale di S. Palomba con “grandi magazzini e complessi industriali”, nonché dalla esclusione dei detti capannoni dal perimetro del vincolo.

Sotto tutti tali profili il ricorso è quindi infondato e deve essere respinto.

In considerazione della particolarità della questione sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

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