TAR Catania, sez. III, sentenza 2011-01-14, n. 201100043
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N. 00043/2011 REG.SEN.
N. 01849/1999 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1849 del 1999, proposto da:
G R, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Amenta, con domicilio eletto presso l’avv. Giuseppe Nastasi in Catania, via Papale, 26;
contro
Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distr. dello Stato di Catania, presso i cui Uffici è domiciliata per legge in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
per l'annullamento
dell’ordinanza n. 2142 del 16.3.1999, notificata il 2.4.1999, emessa dall’ Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, avente ad oggetto lo sgombero di immobili detenuti in mezzadria dal defunto L C e di proprietà di V G.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2010 il dott. M S B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 4.5.1999 e depositato il 12.5.1999, la ricorrente, quale erede del defunto L C, il quale aveva detenuto in mezzadria, dal 1984, un terreno in agro di Noto, C.da Vendicari, impugnava l’ordinanza n. 2142 del 16.3.1999, notificata il 2.4.1999, emessa dall’ Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, con la quale, sul presupposto dell’avvenuta espropriazione definitiva di tale terreno (avvenuta con D.A. 3.3.1987 n. 195), veniva disposto lo sgombero.
Parte ricorrente precisava che il proprio dante causa non aveva avuto notizia della procedura espropriativa fino al 1994, allorquando era stato invitato al rilascio dei terreni, in quanto detenuti sine titulo.
Parte ricorrente assume la nullità dell’ordinanza per non aver previsto l’indennizzo ai sensi dell’art. 43 della L. n. 203/1982, adducendo altresì di aver diritto alla ritenzione del fondo prevista dall’ultimo comma del citato art.43.
L’Amm.ne si è costituita in giudizio producendo documenti.
All’ udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
I. Preliminarmente il Collegio da atto della regolare instaurazione del contraddittorio, accertata a causa dell’assenza in udienza della Difesa di parte ricorrente, stante l’acquisizione al fascicolo della ricevuta di ritorno della raccomandata di comunicazione al Difensore dell’avviso di udienza.
II. Il ricorso in epigrafe presenta evidenti profili di inammissibilità, ed è comunque infondato.
Sotto un primo profilo, risulta evidente l’inammissibilità del gravame rivolto avverso l’ordinanza di sgombero, meramente esecutiva della procedente diffida del 6.10.1994 (della quale la Difesa Erariale ha prodotto in giudizio la copia della ricevuta di ritorno della comunicazione a mezzo raccomandata, e la cui conoscenza a detta data è comunque ammessa da parte ricorrente), mai impugnata, nonchè del decreto di espropriazione definitiva emesso il 3.3.1987, richiamato nelle premesse dell’atto impugnato e ciò nonostante non gravato da parte ricorrente (il cui dante causa, peraltro, era ben a conoscenza dell’intervenuta espropriazione del terreno, quanto meno fin dal 30.9.1992, data della sottoscrizione dell’atto notorio prodotto dalla stessa ricorrente, all. n.4).
In ogni caso, il ricorso è infondato.
Lo stesso mira a dimostrare l’illegittimità di uno sgombero, disposto in esecuzione di un decreto di espropriazione definitiva emesso diversi anni prima, senza che il dante causa della ricorrente (e poi la stessa nella qualità di erede), qualificandosi mezzadro ed affittuario di detto terreno, lo abbia mai rilasciato;l’intimazione sarebbe illegittima perchè, a dire della ricorrente, previamente avrebbe dovuto esserle liquidata l’indennità prevista per la risoluzione incolpevole dei contratti agrari dall’art.43 L. n.203/1982, mantenendo ella, nelle more, il diritto di ritenzione del fondo, previsto in detta disposizione.
Ma la ricostruzione non può essere condivisa.
La L 3/05/1982 n. 203, all’art. 43, che, per quanto qui rileva, prevede, al primo comma, che “in tutti i casi di risoluzione incolpevole di contratti di affitto, di mezzadria, di colonìa, di compartecipazione e di soccida con conferimento di pascolo di cui all'art. 25, agli affittuari coltivatori diretti, agli affittuari non coltivatori diretti, ai mezzadri, ai coloni, ai compartecipanti e ai soccidari spetta, a fronte dell'interruzione della durata del contratto, un equo indennizzo il cui ammontare, in mancanza di accordo fra le parti, è stabilito dal giudice” e, all’ultimo comma, che “al conduttore, sino all'effettiva corresponsione dell'indennizzo, compete il diritto di ritenzione del fondo”, non trova applicazione all’ipotesi in cui il rilascio del fondo debba avvenire a causa di una procedura espropriativa.
Infatti, in tali casi, all’epoca dei fatti, trovava applicazione l'art. 17 l. n. 865 del 1971 (articolo abrogato dall'art. 58, d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327, a decorrere dal 30 giugno 2003, ai sensi dell'art. 2, d.l. 20 giugno 2002, n. 122, conv., con modificazioni, in l. 1° agosto 2002, n. 185)- secondo cui "nel caso l'espropriazione attenga a terreno coltivato dal fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno stesso, ferma restando l'indennità di espropriazione determinata ai sensi dell'art. 16 in favore del proprietario, uguale importo dovrà essere corrisposto al fittavolo, al mezzadro, al colono o al compartecipante che coltivi il terreno espropriando almeno da un anno prima della data di deposito della relazione di cui all'art. 10" - , disposizione che, peraltro, non può trovare applicazione allorquando non risulti in atti alcun contratto di affitto di fondi agricoli,in quanto, secondo la Giurisprudenza, il mero detentore é privo di legittimazione in ordine alla pretesa del credito indennitario (Consiglio Stato , sez. V, 11 maggio 2009 , n. 2877).
In particolare, la Giurisprudenza ha chiarito che, in tema di determinazione dell'indennità di espropriazione, il diritto del conduttore, che nell'immobile eserciti un'attività economica, ad un'indennità aggiuntiva è riconosciuto solo nelle ipotesi, previste dall'art. 17, comma 2, l. 22 ottobre 1971 n. 865, del "fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante costretto ad abbandonare il terreno", mentre nelle altre ipotesi riprendono vigore i principi generali in tema di espropriazione per causa di pubblica utilità, quali si traggono dalla legge fondamentale 25 giugno 1865 n. 2359 (cui già faceva rinvio, prima delle innovazioni introdotte in materia dagli art. 34 e 35 l. 27 luglio 1978 n. 392, il combinato disposto degli art. 4 e 6 della previgente l. 27 gennaio 1963 n. 19 sulla tutela giuridica dell'avviamento commerciale), secondo cui (art. 27, comma 3, legge n. 2359, cit.), lungi dal riconoscersi ai conduttori un ulteriore, autonomo indennizzo volto a compensare il pregiudizio per le attività di fatto espletate sull'immobile ed interrotte dall'espropriazione, è attribuito, piuttosto, agli stessi il diritto di pretendere dal proprietario già indennizzato la corresponsione della parte di indennità loro spettante (come previsto, peraltro, anche dall'art. 1638 c.c.), nonché il diritto, in via alternativa, sulla base del disposto degli art. 52-56 della legge n. 2359, cit., di agire con opposizione avverso la stima dell'indennità medesima (qualora ritengano che l'indennità come determinata in sede amministrativa non comprenda l'intero ammontare dovuto), ovvero di intervenire nell'analogo giudizio promosso dal proprietario espropriato, qualificandosi tale intervento come intervento autonomo e restando esclusivo legittimato passivo l'espropriante, ancorché la sua eventuale responsabilità verso i medesimi conduttori, in base al principio dell'unicità dell'indennità nella disciplina di cui alla menzionata legge n. 2359 del 1865, possa solo esplicarsi nell'adempimento dell'obbligo di depositare, a favore del proprietario, anche quella somma che risulti destinata a soddisfare le ragioni del conduttore stesso. (Cassazione civile , sez. I, 29 luglio 2005 , n. 15936).
Ancora, la Giurisprudenza ha affermato che, risultando soggetto passivo della procedura espropriativa unicamente il "soggetto che risulti proprietario secondo i registri catastali" ovvero l'"eventuale diverso proprietario effettivo", la normativa (d.P.R. 27 dicembre 2002 n. 327) non è tale da fondare eventuali diritti di terzi che, in occasione di una procedura espropriativa, si assumano lesi per la perdita della possibilità di utilizzare il fondo altrui oggetto di un procedimento di esproprio. Conseguentemente, i diritti reali o personali, reclamati da soggetti diversi dal proprietario non possono farsi valere nei confronti dell'espropriante ma non possono che trovare il loro fondamento nell'esistenza di un eventuale titolo negoziale (mezzadria, colonia, affitto a coltivatore diretto o altro contratto agrario) intercorso con il proprietario concedente, successivamente espropriato, ed in forza del quale era stata loro consentita la facoltà di utilizzazione del fondo oggetto di procedura ablativa (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 25 febbraio 2009 , n. 1084).
Applicando tali, condivisibili, principi al caso in questione, si deve concludere nel senso dell’infondatezza della pretesa, giacchè, quand’anche parte ricorrente avesse assolto all’onere di comprovare la qualità di mezzadro del fondo espropriato, nessun’altra conseguenza ne sarebbe derivata, ad eccezione del diritto a proporre – nella competente sede- opposizione alla stima, qualora nell’offerta della stessa l’Amm.ne non avesse tenuto conto del diritto all’indennità ex art.17 L. 865/1971.
Ma di certo, parte ricorrente non poteva invocare alcun diritto di ritenzione, in quanto, come chiarito dalla Giurisprudenza, una volta emesso il decreto di occupazione di urgenza, si deve presumere che sia il proprietario che l’eventuale fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante siano stati portati a conoscenza e siano, quindi, consapevoli dell’avvenuto loro spossessamento e dell’acquisto del possesso del bene da parte dell’occupante;e che la eventuale successiva permanenza nel godimento del fondo del proprietario o di taluno di detti soggetti, che vantino diritti di natura reale o personale sullo stesso, deve ascriversi a mera tolleranza dell’amministrazione espropriante (Cassazione civile , sez. I, 19 gennaio 2010 , n. 790).
Conclusivamente, il ricorso viene rigettato.
Il Collegio stima equo, attesa la natura della controversia e l’attività di difesa, meramente formale, dell’Amm.ne resistente, disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.