TAR Salerno, sez. II, sentenza 2015-05-28, n. 201501212

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. II, sentenza 2015-05-28, n. 201501212
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201501212
Data del deposito : 28 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02323/2014 REG.RIC.

N. 01212/2015 REG.PROV.COLL.

N. 02323/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2323 del 2014, proposto da:
A S, O Moro ed E R, tutti rappresentati e difesi dagli avv. D C e F F, con domicilio eletto in Salerno, c/o Segreteria Tar;

contro

Comune di Sarno, in persona del Sindaco in carica pro tempore , rappresentato e difeso dall'avv. A P, con domicilio eletto in Salerno, alla Via G. Vicinanza, n. 42;

nei confronti di

Assunta S C, rappresentata e difeso dall'avv. Serena Crescenzo, con domicilio eletto in Salerno, alla piazza Alfano I, n. 7 c/o L. M. Cioffi;

per l'annullamento

del silenzio serbato dal Comune di Sarno sull'istanza presentata dai ricorrenti in data 15.10.2014 per ottenere l'esecuzione dell'ordinanza di demolizione n.5260 del 18.3.2013


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Sarno in Persona del Sindaco P.T. e di Assunta S C;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2015 il dott. Giovanni Grasso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Con ricorso notificato in data 29 ottobre 2014 e depositato il 10 novembre successivo, A S, O Moro ed E R, come in atti rappresentati e difesi, premettevano di essere proprietari di immobili siti in Sarno alla via Masseria Medici, e segnatamente di un complesso immobiliare per civili abitazioni, composto da cinque corpi di fabbrica, identificati nei grafici di progetto con le lettere A, B, C, D ed E, il tutto edificato in virtù di permesso a costruire n. 1643 del 19/06/2012 e successive varianti.

Aggiungevano che, a seguito di sopralluogo del 05/09/2012, l'Ufficio Controllo Edilizio del Territorio aveva rilevato che uno dei fabbricati del descritto complesso immobiliare, precisamente il fabbricato individuato con la lettera B, era posto sul confine ma, parzialmente, alla distanza di ml 6,60 dal manufatto ad uso garage insistente sull'adiacente fondo di proprietà della signora S C Assunta, quindi ad una distanza inferiore a quella minima prescritta dallo strumento urbanistico vigente (ml 10). L’Ufficio aveva, altresì, accertato che la costruzione della S C era sfornita di permesso a costruire od altro titolo abilitativo, essendo come tale completamente abusiva e, pertanto, ne aveva sollecitato il sequestro giudiziario.

Esponevano, peraltro, che, in relazione al proprio l'immobile posto a confine, il Dirigente dell'Area tecnica del Comune di Sarno, con ordinanza del 13.09.2012, prot. 15359, pur senza procedere al preliminare annullamento dei relativi permessi rilasciati, aveva, in ogni caso, ingiunto dapprima la sospensione e, di conserva, la demolizione delle opere edilizie.

Precisavano che la citata ordinanza era stata tempestivamente impugnata innanzi all’intestato Tribunale (con ricorso n. 1687/12), il quale, in accoglimento della articolata istanza cautelare, ne aveva disposto la sospensione con ordinanza del 16.01.2014, per disporne quindi il definitivo annullamento, con sentenza n. 2243 del 30 ottobre 2014.

Per contro, in relazione all'immobile di proprietà della controinteressata, il Dirigente dell'Area tecnica del Comune di Sarno aveva adottato, a seguito del rigetto di istanza prot. n. 18171 del 29.10.2012 relativa a richiesta di rilascio di permesso a costruire in sanatoria, consequenziale ordinanza di demolizione n. 16864 del 08.10.2012, seguita da ulteriore ingiunzione demolitoria n. 5260 del 18.03.2013, allo stato non impugnata e rimasta priva di seguito.

Sulle esposte premesse, evidenziavano che, in data 15.10.2014, avevano inoltrato, con documento scritto acquisito al n. 19349 di protocollo, istanza diretta ad ottenere la conclusione

del procedimento ex art. 31 DPR 380/01 a carico della S C, ai fini della auspicata demolizione del fabbricato abusivo di cui alla ridetta ordinanza n. 5260 del 18.03.2013, con conseguente, sollecitata formalizzazione dell'acquisizione dell'immobile al patrimonio pubblico, mercé l’adozione dei prescritti provvedimenti dichiarativi e ripristinatori, ferma l’opzione conservativa per valorizzare eventuali destinazioni sociali o di pubblica utilità.

Lamentavano, tuttavia che, allo stato, il Comune di Sarno non avesse provveduto ad adottare alcun provvedimento né avesse dato comechessia riscontro alla ridetta nota di sollecito e diffida: di guisa che – avendo qualificato interesse al concreto e doveroso esercizio dei poteri di vigilanza e repressione degli abusi edilizi, in considerazione del pregiudizio riconnesso al mantenimento della struttura immobiliare, compromissivo, negli esposti sensi, della piena legittimità degli immobili di proprietà sotto il profilo del rispetto delle distanze legali – sollecitavano, ai sensi dell’art. 117 c.p.a., l’accertamento dell’inadempimento all’obbligo di provvedere e della illegittimità della serbata omissione, con ogni consequenziale statuizione di legge.

2.- Si costituiva in giudizio l’Amministrazione comunale intimata, la quale:

a ) argomentava, in via pregiudiziale, l’inammissibilità del gravame sotto il plurimo e concorrente profilo della eccepita carenza di legittimazione attiva (avuto riguardo alla ventilata carenza di idonea dimostrazione dello stabile collegamento in locis ) e del difetto di interesse ad agire (in relazione alla già disposta e, da ultimo, rinnovata ingiunzione demolitoria a carico degli immobili di proprietà dei ricorrenti, peraltro per profili distinti da quelli correlati al rispetto delle distanze);

b ) ventilava, per altro rispetto, l’improcedibilità del ricorso in asserita correlazione agli esiti sub judice della ingiunzione demolitoria nei confronti della controinteressata ( in thesi suscettibili, per la prospettica eventualità di accoglimento, di legittimare un ipotetico recupero ad legitimitatem );

c ) prospettava, in ogni caso, l’’infondatezza della azionata pretesa, stante la già formalizzata volontà di destinare i manufatti abusivi per cui è causa a finalità di social housing , con consequenziale e prefigurata esclusione della vanamente auspicata opzione ripristrinatoria.

3.- Si costituiva in giudizio, altresì, la controinteressata, che parimenti resisteva alle avverse ragioni di doglianza.

4.- Alla camera di consiglio del 23 aprile 2015, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- Il ricorso è, nei sensi e nei limiti delle considerazioni che seguono, fondato e merita di essere accolto.

2.- In via preliminare, va respinta l’eccezione di difetto di legittimazione ad agire.

Costituisce jus receptum (cfr., da ultimo ma ex permultis, Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2228) il principio per cui, nei limiti in cui si deve riconosce la legittimazione ad impugnare il titolo edilizio a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento, derivante dalla titolarità di un diritto reale o da un rapporto obbligatorio, con la zona in cui ricade l’intervento edilizio assentito, la medesima tutela non può non essere accordata anche al medesimo titolare della situazione giuridica nel caso in cui faccia valere un interesse pretensivo, e non solamente oppositivo, quale l’interesse legittimo a che l’Amministrazione titolare del potere urbanistico di repressione degli illeciti urbanistici, lo eserciti compiutamente fino all’avvenuta eliminazione dell’abuso.

In realtà, la situazione giuridica tutelata è la medesima, ed è costituita dalla posizione di interesse a che l’Amministrazione eserciti correttamente il proprio potere in materia urbanistica: la sua sostanza non muta a seconda che si agisca contro un titolo edilizio rilasciato e che si assume illegittimo, oppure che si lamenti, come nella specie, l’inerzia nell’esercizio dei poteri di controllo e repressione, perché in entrambi i casi ciò di cui il ricorrente si duole è la sussistenza di un assetto dei luoghi difforme da quello che, in sede di pianificazione territoriale, è stato previsto e che è il frutto, rispettivamente, di una condotta positiva o di una condotta omissiva della P.A., entrambe concorrenti con un fatto di terzi privati ed entrambe asseritamente illegittime.

Deve, per l’effetto, riconoscersi – in termini generali – la legittimazione a proporre un ricorso ex art. 117 c.p.a. contro l’inerzia della P.A. che non eserciti, in tutto o in parte, il proprio (doveroso) potere di vigilanza e repressione dell’abusivismo edilizio: legittimazione spettante a tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento, derivante dalla titolarità di un diritto reale o da un rapporto obbligatorio, con la zona in cui ricade il manufatto abusivo e che dunque hanno titolo, in forza di ciò, a pretendere dal Comune la demolizione del fabbricato abusivo che lede il proprio interesse al corretto assetto urbanistico ed ambientale dei luoghi.

Il ricorrente, nella specie, non agisce al mero fine di tutelare un interesse generale di rispetto o ripristino della legalità, ma piuttosto per la tutela del proprio specifico interesse di proprietario limitrofo al luogo in cui sarebbero stati perpetrati gli abusi (cfr. Cons. St., sez. V, 21 ottobre 2003 n. 6531).

Qualora, dunque, come nella fattispecie in esame, il comportamento omissivo (silenzio-rifiuto) dell’Amministrazione sia stigmatizzato da un soggetto qualificato (in quanto, per l’appunto, titolare di una situazione di specifico e rilevante interesse che lo differenzia da quello generalizzato di per sé non immediatamente tutelabile), tale comportamento assume una connotazione negativa e censurabile, dovendo l’Amministrazione (titolare dei generali poteri-competenze in materia di controllo e di repressione sull’abusivismo edilizio) dar comunque seguito (anche magari esplicitando, quando ne ricorressero le circostanze, l’eventuale erronea valutazione dei presupposti da parte dell’interessato) all’istanza.

Del resto, suona perfino paradossale l’assunto, valorizzato ad infringendum dal Comune, secondo il quale i ricorrenti non avrebbero provato il collegamento riconnesso alla vicinitas delle aree interessate: e ciò perché la ragione della ventilata abusività delle opere realizzate dagli stessi ricorrenti è stata indotta dall’accertamento della violazione delle distanze legali di immobili per l'appunto posti a confine, ond’è che l’argomentazione difensiva è, sul punto, contra factum .

Per tal via, in definitiva, sull’accertata sussistenza di una posizione qualificata e legittimante , e di un’istanza circostanziata e specifica relativa a realizzazioni edilizie abusive, il Comune deve ritenersi in ogni caso tenuto a corrispondere sull’istanza (anche e solo per dimostrarne l’eventuale infondatezza nel merito, in punto di sussistenza in effectu degli abusi denunziati), e ciò in quanto, da un lato, tale doverosa compartecipazione si conforma all’evoluzione in atto dei rapporti tra Amministrazione e amministrato (titolare di una specifica posizione), e dall’altro, in tale ipotesi, il comportamento omissivo (sovente causa di un’inerte complicità agevolatrice del degrado edilizio), assume una sua sindacabile connotazione negativa.

3.- Distinto apprezzamento merita, sia pure con conformi esiti reiettivi, l’eccezione di carenza di interesse ad agire. Eccezione argomentata, nel difensivo assunto dall’Amministrazione, dal rilievo per cui gli immobili di proprietà dei ricorrenti sarebbero a loro volta (e reciprocamente) oggetto di ingiunzione demolitoria, conseguente alla accertata connotazione abusiva.

Sul punto, occorrerà, per chiarezza, puntualizzare che l’argomento non potrebbe beninteso fondarsi solo (come pure il Comune fa mostra di confidare) sul richiamo all’ordinanza n. 15359 in data 13 settembre 2012: e ciò perché con la sentenza n. 2243 del 30 ottobre 2014, di cui si è dato sufficiente atto nella narrativa in fatto che precede, ne è stato disposto l’annullamento in sede giurisdizionale, con conseguente espunzione dalla realtà giuridica.

È vero, tuttavia, che il Comune documenta – versandone copia agli atti del giudizio – la sopravvenuta adozione di nuova ordinanza di demolizione a carico dei ricorrenti (prot. n. 19735 in data 20 ottobre 2014), adottata in esito all’accertamento di ulteriori (e distinti) profili di abusività delle opere realizzate in loco dai ricorrenti.

Sulla stessa circostanza, del resto, fa leva l’assunto difensivo della controinteressata, che ne trae spunto per ventilare , ad infringendum , l’abusività della strategia processuale perseguita dai ricorrenti, in thesi orientata, prima ancora che a perseguire l’ altrui rispetto delle regole inerenti il legale assetto del territorio, ad “ alleggerire la propria situazione illecita ”.

3.1.- Il punto merita adeguato indugio.

Si tratta, invero, di esaminare, in termini generali, se la argomentata legittimazione a pretendere il rispetto del dovere di vigilanza in materia di abusi edilizi venga meno nel caso in cui parte ricorrente versi a sua volta in una condizione di abusivismo: e ciò perché, essendo lo stesso presupposto per la legittimazione a ricorrere costituito, tra l’altro, dalla titolarità di un diritto reale su un bene ricadente nella zona interessata dal manufatto abusivo, tale presupposto verrebbe a cessare nei casi in cui il bene che forma l’oggetto del diritto di proprietà sia, a sua volta, interamente o prevalentemente abusivo ed il Comune ne abbia ordinato, senza esito, la demolizione, ossia in tutti quei casi in cui l’inottemperanza alla diffida a demolire produce di diritto l’acquisizione del bene al patrimonio pubblico con la sua area di sedime (cfr. art. 31, comma 3 del D.P.R. n. 380/2001): in terminis , e.g. TAR Calabria, Reggio Calabria, 28 gennaio 2011, n. 59/2011 e, in sede di gravame, Cons. Stato, sez. IV, n. 2228/2014 cit. supra ).

La tematica è quella sovente affidata alla espressiva formula linguistica del c.d. interesse illegittimo (cfr., da ultimo, con riguardo a fattispecie contermine, TAR Puglia, Bari, 14 maggio 2015, n. 716) ovvero della emulatività della pretesa, che evoca, in definitiva, la logica del c.d. abuso del diritto .

Non si tratta, come ventilato dalla difesa del Comune, di un problema di interesse ad agire (che è categoria che si muove sul piano, interamente processuale , del mero bisogno di tutela giurisdizionale o Rechtsschutzbedürfnis , laddove, piuttosto, la questione si pone in termini di piena meritevolezza della tutela), ma di un problema sostanziale : quello per cui l’ordinamento non può apprestare riconoscimento giuridico e disporre correlato apparato remediale a situazioni soggettive di vantaggio pur astrattamente e formalmente sussistenti, le quante volte il sotteso assetto degli interessi si prospetti, sul concreto piano assiologico , “immeritevole di tutela” (per usare la formula, più pregnante di quanto per solito si ritenga, cui l’art. 1322 c.c. ricorre per prefigurare le condizioni di riconoscimento della giuridicità delle operazioni interprivate: e cfr. altresì gli artt. 833, 1175 e 1375 c.c., quali evocativi di generali limitazioni all’esercizio del diritto).

Del principio, in sé corretto e plausibile, vanno, nondimeno, esattamente puntualizzati i confini. L’apprezzamento di emulatività in relazione a situazioni di interesse legittimo, segnatamente di ordine pretensivo, postula, invero, non già che il titolare alleghi la spettanza di un bene della vita che l’ordinamento non gli riconosce (trattandosi, in tale ipotesi, di mera infondatezza della pretesa ), sibbene, tipicamente, la negazione a terzi di una posizione di vantaggio che effettivamente a questi ultimi non spetti, ma che il ricorrente pretenderebbe abusivamente, negli stessi termini, di conservare per sé.

In tali casi si tratterebbe, in sostanza, di un dolo petere ciò che, subito dopo, bisognerebbe comunque restituere (cfr. Paul. 6 Ad Plaut. D.50.17.173.3 = D. 44.4.8 pr).

Tale sarebbe, in tesi, la situazione di chi, versando in re illicita per aver realizzato un immobile abusivo, pretendesse il rispetto delle distanze nei confronti di chi, effettivamente, avesse edificato senza rispettare la normativa di settore: pretesa, come ognun vede, in sé astrattamente fondata, ma meritevole di denegatio actionis in quanto chiaramente contra factum proprium (e la plausibilità della soluzione emerge sol che si consideri che, a voler diversamente opinare, ne discenderebbe un anomalo criterio di risoluzione dei conflitti intersoggettivi affidato ad una paradossale logica di prevenzione in illicito ).

Deve, nondimeno, trattarsi, per l’appunto, della medesima situazione di illegalità od illiceità che si pretenderebbe di censurare a carico altrui: onde diversa soluzione si giustifica, per esempio, nella ipotesi in cui gli abusi commessi da chi agisca a tutela delle distanze siano di ordine e consistenza diversi (di guisa che, appunto, l’attore non opererebbe, come nel caso precedente, “contro il suo stesso fatto”).

Se pur con minore sforzo esplicativo, del resto, la soluzione è chiaramente ed esattamente recepita da Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2228, che – posta la cennata questione se la legittimazione a pretendere il rispetto della legalità edilizia venga meno nel caso in cui la parte ricorrente versi a sua volta in una condizione di abusivismo – restringe la risposta positiva alla ipotesi ( uguale e reciproca a quella azionata) in cui oggetto di prospettica demolizione sia lo stesso immobile della ricorrente, per escluderlo in fattispecie, pur connotate di abusività e parte actoris , nelle quali non sia in gioco (trattandosi, per esempio, di abusi meramente interni o parziali) la “proprietà complessiva” e la conseguente conservazione del relativo fabbricato.

Che è soluzione, come è chiaro, che trova adeguato fondamento in ciò, che solo nel primo caso viene (prospetticamente) meno la sussistenza dello stesso “bene” da tutelare, che rappresenta, giusta gli esposti principi, il fondamento della stessa legittimazione ad agire.

3.2.- Poste le riassunte premesse, non appare disagevole farne applicazione nel caso di specie, nei sensi per cui:

a ) ove fosse stata operante l’ordinanza di demolizione n. 15379 del 13 settembre 2012 (che, per contro, risulta, come sopra chiarito, annullata in sede giurisdizionale), effettivamente il ricorso non avrebbe potuto essere accolto (in quanto i ricorrenti avrebbero preteso il rispetto della legalità versando nella medesima situazione che avessero inteso censurare);

b ) per contro, la (distinta) ordinanza di demolizione n. 19735 del 20 ottobre 2014 censura abusi, di cui ingiunge la rimozione, solo interni o parziali, senza prospetticamente incidere sulla complessiva consistenza dell’immobile.

Sotto questo profilo, l’eccezione articolata dal Comune e dalla controinteressata non coglie nel segno e va disattesa.

4.- Parimenti destituita di fondamento l’eccezione (argomentata in termini di “improcedibilità”) legata al rilievo che l’ordinanza azionata potrebbe venire meno in conseguenza della sua impugnazione, prefigurando l’eventualità di una sanatoria (a fronte della quale, si assume, apparirebbe migliore e più ragionevole soluzione quella attendista).

Per la verità, l’ipotesi che l’abuso per cui è causa possa essere sanato risulta già preclusa della decisione, assunta dalla Amministrazione, di dare negativo riscontro alla istanza all’uopo formalizzata dalla interessata.

In disparte ciò, in ogni caso la mera prospettazione, in termini di semplice eventualità, di un determinato esito giurisdizionale (allo stato, peraltro, neppure allegato) non rappresenta comunque idonea ragione per abdicare agli obblighi di vigilanza sulla legalità edilizia ed il corretto uso del territorio.

5.- Anche l’ultima eccezione non appare persuasiva.

È vero, infatti, che – nell’esercizio dei suoi poteri – l’Amministrazione ha anche quello, una volta acquisito l’immobile abusivo al patrimonio comunale, di utilizzare l’immobile (che, in tal caso, non sarà demolito) per finalità di pubblico interesse (potere, nella specie, asseritamente e prefigurativamente esercitato nei sensi della preferenza per l’utilizzazione quale social house ): ma questo non incide sull’obbligo, in concreto azionato, di dare impulso a quei poteri finalizzati al ripristino della legalità.

6.- Il ricorso, in definitiva, deve, nei sensi delle considerazioni che precedono, essere accolto, con conseguente condanna del Comune di Sarno alla adozione dei provvedimenti di competenza, nel termine di trenta giorni, decorrenti dalla notifica della presente statuizione, sin d’ora designandosi, per le determinazioni del caso, il Prefetto di Salerno o un suo delegato, che sarà investito, per il caso di ulteriore e perdurante inerzia, delle competenze surrogatorie ad acta .

L’obiettiva particolarità della vicenda e la complessità delle questioni delibate giustifica e suggerisce la regolazione del carico delle spese di lite nei sensi della complessiva compensazione tra le parti costituite.

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