TAR Palermo, sez. II, sentenza 2011-02-01, n. 201100175
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N. 00175/2011 REG.PROV.COLL.
N. 02799/1999 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2799 del 1999, proposto da:
Glorioso Giuseppe e G M, rappresentati e difesi dall'avv. A P, presso il cui studio hanno eletto domicilio in Palermo, v.le Leonardo Da Vinci 65;
contro
-il Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. R C, con domicilio eletto presso la sede degli Uffici Legale del Comune siti in Palermo, piazza Marina N.39;
per il risarcimento del danno
derivante dalla occupazione illegittima ed irreversibile trasformazione degli immobili di proprietà dei ricorrenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Palermo e la successiva memoria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2010 il dott. R V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
FATTO
Con il ricorso in esame, il ricorrente Glorioso Giuseppe premette di agire nella qualità di (già) proprietario di una unità edilizia sita nel Comune di Palermo, Piazza Garraffello n.6, piano terrano, identificata al catasto al foglio 129, p.lla 614/6, sui due terzi della quale era stato costituito l’usufrutto in favore G M, anche’essa ricorrente nella predetta ultima qualità.
Espongono entrambi di aver già adito il giudice ordinario, Tribunale civile di Palermo, con atto di citazione del 18/11/98 onde aver riconosciuto il risarcimento del danno conseguente alla perdita del diritto di proprietà a causa dell’irreversibile trasformazione (demolizione) dei beni sui quali il Comune di Palermo, a seguito dell’avviata e non conclusa procedura espropriativa ed in forza di un decreto di occupazione d’urgenza del 5/2/87 n.16/420/0, ha realizzato “ i lavori di costruzione di alloggi popolari sull’area di Piazza Garraffello ”. Con lo stesso atto di citazione gli istanti chiedevano innanzi il Giudice Ordinario altresì la corresponsione dell’indennità di occupazione legittima. Con sentenza n.2703/99 del 18/6/99 del Giudice unico del Tribunale civile di Palermo, è stata dichiarato il difetto di giurisdizione sulla prima domanda, appartenendo la controversia al Giudice Amministrativo, e il difetto di competenza funzionale in ordine alla richiesta di indennità di occupazione legittima.
In questa sede i ricorrenti propongono quindi domanda risarcitoria per perdita del diritto dominicale sul bene in narrativa, con decorrenza dalla data di cessazione dell’occupazione legittima, oltre rivalutazione ed interesse. A tal fine chiedono disporsi C.T.U. per accertare l’entità del risarcimento del danno dovuto.
Resiste il Comune di Palermo.
Con domanda di fissazione a firma congiunta, in riscontro dell’avviso di perenzione quinquennale trasmesso dalla Segreteria, il ricorrente G G ha comunicato l’avvenuto decesso, nel 2007, della litisconsorte M G, ricorrente n.q. di (già) usufruttuaria per due terzi del bene in questione.
Il Comune di Palermo ha prodotto documenti in data 3/11/2010 e, con memoria del 5/11/2010, ha preliminarmente eccepito la prescrizione del credito risarcitorio, contestando comunque la fondatezza della pretesa, atteso che lo stesso Comune ha provveduto a pagare quanto stabilito dalla Corte d’Appello con sentenza 14/2004, contestando altresì la sussistenza di alcuna irregolarità della procedura ablatoria di che trattasi, chiedendo la rimessione in termini per la produzione documentale.
Alla pubblica udienza del 26/11/2010 il ricorso è passato in decisione.
DIRITTO
1-Si controverte sulla domanda di risarcimento del danno formulata dai ricorrenti, causato dall’occupazione sine titulo dell’unità edilizia già in proprietà, irreversibilmente trasformata (siccome abbattuta) dalla realizzazione delle opere pubbliche (i.e.: edilizia pubblica residenziale di P.zza Garraffello) già dichiarate di pubblica utilità, a seguito dello scadere del periodo di occupazione d’urgenza legittima e della mancata conclusione del procedimento espropriativo con l’adozione del decreto di espropriazione.
1.1-Sotto il profilo soggettivo, deve darsi atto –secondo quanto dichiarato dal ricorrente Glorioso Giuseppe con la nuova istanza di fissazione a forma congiunta del 19/06/2009- dell’avvenuto decesso dell’altra ricorrente Sig.ra M G, che agiva invero nella qualità di titolare di usufrutto: nessun eventuale erede di quest’ultima ha provveduto alla prosecuzione in parte qua del giudizio, sicché la pretesa qui azionata deve ritenersi delimitata soggettivamente in capo all’unico ricorrente superstite, sig. Glorioso Giuseppe.
1.2-Deve altresì ribadirsi la sussistenza della giurisdizione di questo decidente in ordine ai fatti di causa e alla domanda ivi spiegata, in adesione a quanto per altro già deciso sulla specifica pretesa già avanzata dagli originali ricorrenti innanzi il Tribunale Civile di Palermo, giusta sentenza n.2703/99 del 18/6/99 del Giudice unico del Tribunale civile di Palermo: giudizio nel quale lo stesso comune di Palermo aveva chiesto in via riconvenzionale che, in caso di accoglimento delle domande attoree, fosse dichiarato che l’immobile occupato era divenuto di proprietà del medesimo Ente (domanda che il G.O. non ha potuto esaminare, stante la pronuncia sul difetto di giurisdizione). Ed invero, in conformità con gli insegnamenti della stessa Corte Costituzionale discendenti dalla sent.191/2006, va affermata la giurisdizione di questo giudice nel caso di specie in cui si fa questione di una pretesa risarcitoria connessa ad una occupazione del bene, già legittima (poiché sorretta da idonea dichiarazione di pubblica utilità, circostanza non contestata) che è poi tuttavia divenuta illecita per mancata emanazione nei termini di legge di un decreto definitivo di esproprio. Detto “comportamento” illecito della P.A. è senz’altro riconducibile (mediatamente) alla titolarità e all’esercizio di poteri autoritativi tipici in materia espropriativa (cfr. Cons. Stato, ad. pl., 22 ottobre 2007, n. 12;C.G.A., 25 maggio 2009, n. 486). Tale arresto giurisprudenziale trova oggi riscontro anche sul piano normativo in ragione della lett.g) comma 1 art.133 del Cod. Proc. Amm. ai sensi del quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità.
1.3-Ciò posto, il ricorso è fondato e va accolto nei limiti e nei sensi di cui d’appresso.
2- Preliminarmente, il Collegio ritiene di dover evidenziare l’intempestivo deposito della memoria difensiva del Comune di Palermo, avvenuto in data 05.11.2010 in vista dell’udienza pubblica odierna fissata per il 26.11.2010. Ed invero, l’art. 73 del nuovo codice del processo amministrativo, approvato col D.Lgs. 104/2010, prevede che le memorie difensive debbano essere depositate almeno 30 giorni liberi antecedenti l’udienza di trattazione, termine che nel caso di specie non risulta evidentemente rispettato, non potendosi fare qui applicazione del regime transitorio previsto dall’art.2 dell’Allegato 3 dello stesso Codice (siccome, computando a ritroso i termini previsti dall’art.73 co.1 C.P.A. dalla data della presente pubblica udienza, gli stessi non possono ritenersi “pendenti” alla data di entrata in vigore dello stesso codice: cfr. in tal senso anche la Circolare 27 settembre 2010 n. 1958 prot. del Presidente del Consiglio di Stato).
2.1-Purtuttavia il Collegio, attesa la fondatezza della pretesa del ricorrente Glorioso Giuseppe (per come di seguito meglio precisato), ritiene opportuno evidenziare l’infondatezza delle eccezioni e delle difese spiegate dal Comune di Palermo nel suddetto scritto difensivo, premettendo opportunamente che: a) dalla documentazione versata in atti risulta incontestato che la pretesa risarcitoria in esame è connessa ad una procedura ablatoria legittimamente intrapresa dal Comune di Palermo, cui non ha fatto seguito, nei termini fissati dalla legge (i.e. cinque anni dalla immissione in possesso avvenuta in data 06/04/1987 in ragione dell’ordinanza sindacale n.16 /420/0 del 5/2/1987: termine “prorogato” ope legis di due anni per effetto dell’art.22 L.158/1991 e, quindi, in ultimo scaduto alla data del 6/4/1994) alcun provvedimento di espropriazione definitiva;b) il Comune di Palermo, pur chiedendo con la memoria cit. una rimessione in termini per produzione documentale, non fornisce alcun utile elemento di prova idoneo a comprovare né la tempestiva adozione del provvedimento di che trattasi, né la sua (pur tardiva) adozione oltre il termine di occupazione legittima dei beni dei ricorrenti, il ché comunque non pregiudicherebbe l’azione risarcitoria qui in esame (cfr. in tale senso C.G.A., sez. Giurisdizionale, sentenza 10 novembre 2010 n. 1410: D’altra parte, la successiva adozione di un provvedimento di esproprio si configura come un post factum del tutto irrilevante e non in grado di far cessare l’interesse alla coltivazione della domanda risarcitoria proposta );c) non risulta nemmeno adottato (antecedentemente alla sentenza della corte Costituzionale n.293/2010, di cui più diffusamente infra ) alcun un provvedimento di acquisizione ex art.43 T.U. espropriazioni.
2.2-Ebbene, del tutto priva di pregio si appalesa l’eccezione di avvenuta prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno. Ed invero, malgrado l’eliminazione dal mondo giuridico dell’istituto della cd. acquisizione sanante di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità di quest’ultima norma (Cort. Cost. sentenza 8 ottobre 2010 n. 293), il Collegio ritiene di non poter abdicare alla consolidata giurisprudenza pregressa che qualifica il comportamento in specie tenuto dalla pubblica amministrazione (comunque riconducibile, ripetesi, alla estrinsecazione di un potere pubblico in ragione di una valida dichiarazione di pubblica utilità e di un legittimo decreto occupazione d’urgenza, cui tuttavia non ha fatto seguito nei termini previsti dalla legge il provvedimento definitivo di esproprio) quale illecito permanente nella cui vigenza non decorre la prescrizione (cfr. T.A.R. Palermo sez. III, 13 gennaio 2009, n. 39) in mancanza di un effetto traslativo della proprietà, stante la mancanza del provvedimento di esproprio, connesso alla mera irrevocabile modifica dei luoghi. Ciò anche in conformità alle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo adottate nel corso dell' anno 2000 (sentenze C.E.D.U. del 30 maggio 2000, n. 24638/94, Carbonara e V e n. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera) che hanno sancito la contrarietà con l’ordinamento internazionale dell’istituto di origine giurisprudenziale della “ espropriazione sostanziale ” nelle due ipotesi alternative della occupazione acquisitiva o usurpativa;giurisprudenza oggi ulteriormente avvalorata dalla rinnovata e diretta incidenza sul piano interno delle disposizioni della C.E.D.U., in ragione del combinato disposto della nuova formulazione dell’art.6 del Trattato dell’Unione Europea (a seguito delle modifiche apportate con il Trattato di Lisbona, firmato nella capitale portoghese il 13 dicembre 2007) e l’art.117 co.1 della Costituzione, come in ultimo modificato con L.Cost.3/2001 (cfr. sul punto di recente T.A.R. Lazio, Roma , Sez. II- bis , Sentenza 18 maggio 2010 n.11984). Pertanto, salva la possibilità di optare –come in seguito meglio illustrato- per le differenti forme “risarcitorie” che l’ordinamento appresta (i.e.: restituzione del bene ovvero risarcimento del danno per equivalente), il soggetto “spogliato” può agire nei confronti dell'ente pubblico, senza dover sottostare al termine prescrizionale quinquennale decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene, con l’unico limite temporale rinvenibile nell'acquisto della proprietà, per usucapione ventennale del bene, eventualmente maturata dall'ente pubblico (in termini, T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 2 settembre 2009, n. 1462).
2.3-Parimenti priva di rilevanza ai fini del decidere risulta l’argomentazione con cui il Comune deduce che le pretese dei ricorrenti avrebbero trovato soddisfazione mercé la sentenza della Corte di Appello di Palermo n.14/2004, versata in atti, emessa in sede di ricorso per opposizione alla stima proposto dalla controparte (qui ricorrente). Ed invero l’oggetto di quel decisum ha riguardo alla spettanza e all’ammontare unicamente della sola indennità di occupazione legittima dei beni in questione, con conseguente condanna del Comune di Palermo al pagamento del dovuto a tale ed unico titolo.
3- Nel merito, per le considerazioni che seguono, sussiste -nei termini che seguono- il diritto al risarcimento del danno sotto forma di equivalente monetario, espressamente ed unicamente richiesto dal ricorrente con il ricorso in esame (che ha così optato, sin dall’atto di citazione innanzi il giudice ordinario, in alternativa alla restituzione del bene).
3.1-Considerata la natura unicamente risarcitoria (per equivalente) della pretesa qui azionata, occorre dare contezza che con la recente sentenza 8.10.2010, n. 293 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale - Corte costituzionale n. 41 del 13.10.2010), la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, dell'art. 43 D.P.R. n. 327/2001. Ritiene opportuno il Collegio evidenziare come, nella vigenza della predetta norma, era stato già oggetto di critica, da parte del giudice d’appello, l’orientamento giurisprudenziale che aveva ritenuto non ammissibile la domanda volta ad ottenere in sede giudiziale, in luogo della restituzione del bene (che in assenza di un valido provvedimento di esproprio deve ritenersi non essere transitato alla proprietà pubblica anche in presenza di irreversibile trasformazione del fondo a seguito della realizzazione dell’opera pubblica), il solo risarcimento del danno (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez.V. n.2144/2009;C.G.A., Sez. Giurisdizionale, n.486/2009). Con riferimento all'istituto della acquisizione coattiva sanante, già previsto dall'art. 43 DPR 8 giugno 2001, n. 327, nell'ambito della giurisprudenza amministrativa si erano infatti registrati due diversi orientamenti. Secondo il primo indirizzo, atteso il tenore letterale della norma (già) contenuta nell’art.43 cit., il privato avrebbe potuto chiedere solo ed unicamente la restituzione del fondo, potendosi fare luogo al risarcimento per equivalente solo nel caso in cui la Pubblica Amministrazione avesse manifestato l’intento di far ricorso alla normativa di cui all'art. 43 citato, disponendo l'acquisizione del fondo al suo patrimonio indisponibile (comma 1);ovvero nel caso in cui quest’ultima, chiamata in giudizio ai fini restitutori, chiedesse al giudice di disporre la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo. Per il secondo orientamento, al privato danneggiato, anche nella vigenza della suddetta norma, non era precluso dal poter chiedere, in alternativa alla restituzione del bene, direttamente il risarcimento per equivalente "... in presenza di una evidente volontà dell'amministrazione di acquisire l'area, concretizzatasi in atti concludenti quell'avvio alla procedura espropriativa, l'occupazione del suolo alla realizzazione dell'opera pubblica, nonché in presenza di altrettante inequivoca volontà dei privati di non volere la restituzione dell'area ma l'equivalente in denaro...". (di recente, ancora T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 23 febbraio 2010 , n.373).
3.2- Secondo la recente Giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Puglia - Lecce, Sez.I - sentenza 24 novembre 2010 n.2683) venuta meno l’espropriazione indiretta ( e come occupazione acquisitiva e come occupazione usurpativa ) ad opera dell’art. 43 del d.P.R. n.327 del 2001,venuto meno l’istituto dell’acquisizione per decreto da parte dell’amministrazione e quello della esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo accompagnata dalla condanna al risarcimento del danno,entrambe disposte dal giudice amministrativo, spetta all’interprete individuare la disciplina giuridica delle situazioni in cui sia stata realizzata l’opera pubblica in assenza del compimento nei termini della procedura espropriativa o in assenza di una valida procedura .
3.4-Il Collegio ritiene di poter prendere le mosse da tale argomentazione, pur non potendo condividere del tutto le prospettate conclusioni in ordine alla ipotizzata applicazione, alle questioni come quelle qui in esame, dell’art.940 c.c. secondo cui " Se taluno ha adoperato una materia che non gli apparteneva per formare una nuova cosa, possa o non possa la materia riprendere la sua prima forma, ne acquista la proprietà pagando al proprietario il prezzo della materia, salvo che il valore della materia sorpassi notevolmente quello della mano d’opera. In quest’ultimo caso la cosa spetta al proprietario della materia, il quale deve pagare il prezzo della mano d’opera " . Ed invero, malgrado l’approfondita ricostruzione dell’istituto della “specificazione”, rimane dubbia la sua applicazione alla proprietà immobiliare e la riconduzione del suolo sine titulo occupato e “irreversibilmente trasformato” alla nozione di “materia”, di cui alla stessa norma.
3.5-Ciò posto, ad avviso della Sezione l’espunzione dall’ordinamento dell’art.43 cit. –mercé la richiamata pronunzia della Cirte Costituzionale n.293/2010- non revoca in dubbio le conclusioni cui era già pervenuta la giurisprudenza amministrativa in ordine alla possibilità di adire direttamente la tutela risarcitoria per equivalente, quale alternativa al risarcimento del danno in forma specifica.
3.6-Sono ancora condivisibili le linee argomentative tratteggiate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa in ordine al rapporto tra i suddetti mezzi di tutela risarcitoria. Con la decisione n.268/2009 cit. il consesso di appello siciliano della Giustizia Amministrava, ha affrontato analiticamente la questione in esame attraverso una sua analisi sistematica in relazione a) ai principi generali civilistici in materia di risarcimento del danno incidente sul diritto di proprietà del privato;b) alla disciplina specifica sulle conseguenze derivanti dalla utilizzazione senza titolo di un immobile privato, per scopi di interesse pubblico, accompagnata dalla realizzazione di un’opera pubblica (di cui al già ricordato articolo 43 del testo unico dell’espropriazione);c) alla giurisprudenza civile formatasi in materia di strumenti di tutela del proprietario nelle ipotesi della cosiddetta occupazione “usurpativa”: aspetti tutti da mettere in stretta correlazione alla disciplina dei modi di acquisto, trasferimento e rinuncia dei diritti di proprietà .
3.7-Ad avviso del giudice d’appello, “ In linea generale, secondo le coordinate civilistiche, desumibili dalla lettura sistematica degli articoli 2043, 2058 e 2933 del codice civile, la riparazione del danno patrimoniale ingiusto extracontrattuale subito dal proprietario di un bene può avvenire, alternativamente, tramite la corresponsione dell’equivalente monetario, oppure mediante la reintegrazione in forma specifica, attuata mediante la restituzione, accompagnata dalla fisica e materiale riparazione o sostituzione della cosa danneggiata, distrutta o resa inservibile per l’uso. La regola della alternatività non impedisce, ovviamente, la complementarità delle due tutele in particolari casi, considerando che il risarcimento per equivalente va comunque riconosciuto per quelle componenti del pregiudizio economico non riparabili in forma specifi-ca, quali l’indisponibilità del bene nel periodo precedente la perdita della proprietà ”. Osserva sempre il C.G.A. che il rapporto tra le due forme di risarcimento è regolato dall’art.2058 c.c. ai sensi del quale si esclude il risarcimento in forma specifica solo qualora ciò sia considerato “eccessivamente oneroso” per il debitore o risulti contrastante con l’economia nazionale: … restrizioni (che) operano “unidirezionalmente”, nel senso che circoscrivono lo spazio applicativo della tutela in forma specifica, ma non delimitano mai l’operatività del diritto al risarcimento per equivalente. (…) Al di fuori di questi limiti espliciti, la previsione dell’alternatività delle due forme di tutela comporta, evidentemente, l’attribuzione al danneggiato del diritto di optare per la modalità risarcitoria ritenuta più idonea a proteggere i propri interessi. Né il giudice, né tanto meno l’autore dell’illecito possono contrastare tale scelta, al di fuori dei confini indicati dall’articolo 2058 del codice civile.
Il percorso argomentativo fin qui delineato richiama altresì agli orientamenti consolidati della Corte di Cassazione che è giunta da tempo a riconoscere il principio secondo cui la scelta del tipo di risarcimento (se in forma specifica o per equivalente) spetta al danneggiato, rientrando nella sua sfera di disponibilità l’utilizzo dei singoli mezzi di tutela previsti dall’ordinamento. Con l’ulteriore corollario, evidenziato dalla stessa Corte di Cassazione, che la suddetta regola dell’alternatività non preclude al danneggiante, fino a quando non intervenga la sentenza esecutiva, di apprestare rimedio e risarcire spontaneamente il danno, secondo i principi generali in tema di obbligazione, anche in una forma diversa da quella scelta dal creditore, ed il cui ingiustificato rifiuto a ricevere detta prestazione –ove determinante un aggravamento del danno- comporterebbe all’evidenza una proporzionale riduzione del risarcimento dovuto, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, cod. civ. (Cassazione civile, sez. III, 21 maggio 2004, n. 9709).
3.8-La disciplina specifica contenuta nel più volte citato articolo 43 non prevedeva, in materia di risarcimento del danno subito dal proprietario, regole contrastanti con i principi generali espressi dal codice civile e dall’allora vigente articolo 35 del D.Lgs. n. 80/1998, oggi sostituito dall’art.29 cod. proc. amm..
La specialità della normativa si innestava, invero, nel quadro sistematico della tutela risarcitoria, dettando alcune significative deroghe, le quali, tuttavia, non hanno intaccano la persistente cogenza del principio di alternatività tra la tutela risarcitoria e la reintegrazione in forma specifica, essendo incontestabile che la principale finalità di quella norma era di eliminare la cosiddetta “anomalia” dell’occupazione appropriativa, di origine giurisprudenziale (ma poi recepita dal legislatore), siccome censurata dalla C.E.D.U.: È indiscusso, infatti, che la previsione dell’articolo 43, mirasse , essenzialmente, a rafforzare la tutela del proprietario dell’immobile trasformato , assicurandogli, in linea di principio, la pienezza della tutela restitutoria e in forma specifica, salvo, però, il potere della amministrazione di adottare il provvedimento di acquisizione sanante, che consente di tramutare quella pretesa in risarcimento per equivalente anche oltre i confini già segnati dall’art.2058 cod. civ..
3.9-Come già affermato dal C.G.A. con la decisione più volte richiamata, è pacifico, del resto, che “sul piano processuale, il risarcimento per equivalente costituisca un "minus" rispetto alla reintegrazione in forma specifica e ne rappresenti il sostitutivo legale sussidiario mediante prestazione dell'"eadem res debita", per cui la relativa domanda è contenuta in quella della reintegrazione in forma specifica (ex plurimis Cass. 25.11.1983, n. 7080), con la conseguenza che, anche se il danneggiato chiede la reintegrazione in forma specifica, il giudice gli può accordare il risarcimento per equivalente, senza violare il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, mentre non è possibile il contrario.
4-Nel contesto del quadro normativo/giurisprudenziale di riferimento evidenziato, in cui risulta espunto dall’ordinamento sia l’istituto di origine giurisprudenziale dell’occupazione appropriativa, che quello della acquisizione sanante ex.art.43 cit. (con il corollario, già evidenziato, che l’irreversibile trasformazione del fondo per la realizzazione dell’opera pubblica non comporta, in mancanza di un valido titolo di esproprio, il passaggio automatico della proprietà in capo all’amministrazione), il negare al danneggiato, “semplicemente” spogliato, la possibilità di agire in giudizio solo in termini di risarcimento del danno per equivalente postulerebbe –secondo quanto precisato al punto che precede- l’inammissibilità della relativa domanda, con evidente contrazione del principio della effettività e della pienezza della tutela (cfr. art.1 e art.7 co.7 cod.proc.amm.). Per altro, non risulta superfluo osservare come l’eventuale (ri)proposizione di una azione risarcitoria in forma specifica comporterebbe altresì: a) l’impossibilità per l’Amministrazione di emettere oggi alcun provvedimento di acquisizione sanante, potendo unicamente la P.A. contrastare l’azione in parola in regione del solo combinato degli art.2058 e l’art.2933 c.c.;b) che in mancanza dei predetti ultimi requisiti, la questione andrebbe risolta secondo le norme di cui all’art.934 e 936 c.c., per cui il danneggiato (ancora proprietario) sarebbe tenuto ad “indennizzare” l’autore dell’opera costruita e “ritenuta” sul proprio fondo secondo i criteri stabiliti dal co.2 art.936 (in disparte gli effetti compensativi derivanti dalla acquisizione dell’opera che accede il suolo e dall’eventuale risarcimento del danno a solo titolo di mancato godimento del bene nel periodo in considerazione).
4.1-Come già anticipato, il Collegio ritiene che anche nell’attuale contesto normativo cit. il danneggiato possa adire il giudice competente optando direttamente per una tutela risarcitoria per equivalente (cfr. ancora di recente Consiglio di Stato, Sez.V, n.2144/2009 cit.;Cassazione civile , sez. III, 21 maggio 2004, n. 9709), con ciò implicitamente ponendo in essere un meccanismo abdicatorio della potestas connessa all’esercizio del diritto di proprietà.
4.2-Richiamando l’insegnamento del giudice di seconde cure (C.G.A. n.486/09 cit.), è utile evidenziare come lo stesso art.43 D.P.R.327/01 nulla dettava in ordine alla perdita della proprietà derivante da una scelta spontanea dell’interessato: in tale secondo caso devono applicarsi i principi comuni in materia di risarcimento del danno. In particolare, il C.G.A. ha precisato che:
---nelle fattispecie come quella in esame la domanda di risarcimento del danno per equivalente si accompagna, esplicitamente o implicitamente, alla formale dichiarazione della rinuncia al diritto di proprietà, sospensivamente condizionata all’accoglimento dell’azione proposta dinanzi al giudice;
---non risulterebbe persuasiva l’obiezione secondo cui, in termini generali, non sarebbe ammissibile nel nostro ordinamento la rinuncia al diritto di proprietà immobiliare atteso che a) la “disponibilità ” dovrebbe comprendere , ovviamente, anche il potere di rinunciare al diritto ;b) nei casi come quello in esame, risulterebbe adeguatamente soddisfatto anche il requisito “causale” della giustificazione dell’atto abdicativo, individuato nella sua strumentalità rispetto alla riparazione dell’illecito causato dal comportamento di un terzo;c) sul piano del riscontro del diritto positivo, non è vero che la legge ignori la rinuncia al diritto di proprietà immobiliare, trovandosi espliciti riferimenti nell’articolo 1350, numero 5) c.c., nonché nell’art.2643, numero 5), del codice civile che menzionano espressamente “gli atti di rinuncia ai diritti indicati dai numeri precedenti” (e non solo la rinuncia ai “diritti derivanti dai contratti”), fra i quali rientra, indiscutibilmente, anche il diritto di proprietà immobiliare;
---specifiche ipotesi di atti di rinuncia al diritto di proprietà immobiliare, poi, sono contemplate dagli articoli 1070, 1104 e 550 del codice civile: disposizioni tutte costruite come applicazioni di principi generali e non come eccezioni a una regola;
---l’articolo 827 del codice civile contempla l’ipotesi dei beni immobili “vacanti”, stabilendo che essi, se “non sono di proprietà di alcuno”, spettano al patrimonio dello Stato (o delle Regioni a Statuto Speciale che lo prevedono).
4.3-Il Collegio ritiene di poter condividere tale ricostruzione (che non appare affatto isolata nel panorama della Giurisprudenza, non solo amministrativa: cfr. ex multis C.d.S. 2095/05;C.G.A. 59/08;C.G.A. 49, 51e 52/09, SS.UU. Cass. nn.19501/08, 1266/01, 15710/01, 3043/2007, 3724/2007 e 3725/2007, 9323/2007, 7442/2008, 3298/00, 1814/00, 4452/201;C.d.S. 3177/00;Cassazione 11147/97;C.d.S. 2144/2009;ancora di recente cfr anche TAR Sicilia - Catania, Sez. II, 28 maggio 2008, n. 973;T.A.R. Sicilia, Catania, II, 23 febbraio 2010, n. 373 come confermata da CGA 1410/2010), ma non anche le ulteriori sviluppi dello stesso percorso argomentativo. In particolare, nel muovere la critica alle obiezioni delle giurisprudenza di primo grado sul meccanismo della “rinuncia” alla proprietà (siccome non consentirebbe di realizzare adeguatamente la stessa finalità della norma già contenuta nell’art.43 cit. perché, si dice, non risulterebbe molto chiaro quale sorte subisca il diritto di proprietà rinunciato dal privato) il giudice d’appello (C.G.A. n.486/2009, paragr.25) afferma che la problematica evocata, per quanto rilevante in termini generali, non sembra comunque condizionare il tema specifico in esame, che consiste, semplicemente, nello stabilire se il proprietario possa chiedere il risarcimento pecuniario, rinunciando al diritto di proprietà. A tale scopo non occorre definire il nuovo assetto dominicale del bene, per effetto di tale rinuncia . Secondo detta impostazione, il diritto al risarcimento per equivalente andrebbe correlato al fatto obiettivo della perdita di valore del bene, contestuale alla rinuncia alla restituzione (e al diritto di proprietà) sul bene stesso : in altri termini, il diritto al risarcimento, non dipenderebbe in alcun modo dalla ulteriore sorte di tale diritto e non richiederebbe quindi l’accertamento dell’acquisto del diritto da parte del soggetto pubblico utilizzatore del bene.
4.4-A tale ultime attente valutazioni il Collegio ritiene di non poter aderire nella considerazione che –anche in presenza di un risconto positivo dell’istituto della rinuncia abdicativa, come sopra evidenziato- occorre comunque tener contro sia dello specifico regime giuridico degli atti inter vivos con cui di può disporre (anche mercé l’abdicazione) del diritto di proprietà (art.1350 n.5 c.c. e art.2643 n.5 c.c. già citati), sia dell’integralità del risarcimento in specie richiesto dal ricorrente, la cui quantificazione -nei termini anzidetti- troverebbe l’ostacolo nel (pur) formale mantenimento del diritto dominicale quale risultate negli registri della conservatoria.
4.5-Per altro, è lo stesso giudice d’appello che, nella stessa sentenza, pur se in via incidentale, osserva come la soluzione del problema risulterebbe comunque in larga misura condizionata anche dalle peculiarità di ciascuna vicenda sostanziale e processuale, nonché dalla soluzione generale della questione degli effetti derivanti dalla rinuncia al diritto di proprietà collegata alla proposizione della domanda risarcitoria: In questa prospettiva, potrebbe presentarsi l’ipotesi, tutt’altro che infrequente, in cui la rinuncia operata dal proprietario privato indichi chiaramente la propria proiezione verso l’acquisto dell’amministrazione che utilizza il bene e questa, a sua volta, manifesti formalmente la propria intenzione di acquistare il bene, con atti adottati all’interno del processo, o stragiudiziali.
4.6-Ipotesi entrambe riscontrabili in modo incontrovertibile nel caso in esame giacché, come in narrativa esposto, a) sin dall’atto di citazione innanzi il giudice ordinario è stata proposta domanda di risarcimento della danno connesso alla perdita della proprietà (domanda rimasta immutata in questa sede) con indicazione esplicita dell’Ente (il Comune di Palermo) in favore del quale la stessa doveva ritenersi acquisita;b) il Comune di Palermo ha formulato innanzi al G.O. domanda riconvenzionale negli stessi termini (non potuta esaminare a causa della pronuncia declinatoria della giurisdizione).
4.7-Ciò induce il Collegio a ritenere che, in presenza degli ulteriori elementi della fattispecie, l’accoglimento della domanda comporterebbe “l’avveramento” di quella condizione per l’operatività della rinuncia della proprietà, con conseguente subordinazione della prestazione risarcitoria imputabile al Comune alla definizione formale tra le parti dell’atto traslativo del diritto domenicale, in modo da rendere la situazione di diritto coerente con la situazione di fatto ormai consolidata (del pari così escludendosi in nuce la violazione del divieto di arricchimento senza causa che altrimenti conseguirebbe all’illegittima locupletazione del privato, ancora formalmente titolare della proprietà, pur dopo averne conseguito il controvalore). Tale ricostruzione, allo stato attuale della normativa sul punto, appare al Collegio coerente con il sistema e con i principi di effettività e pienezza delle tutela giurisdizionale che, vieppiù, informano oggi il processo amministrativo (art.1 e art.7 co.7 c.p.a.). La stessa non presenta altresì, sotto tale profilo, evidenti punti di contrasto con i principi della giurisprudenza Comunitaria sopra richiamata.
5-Così delineato il quadro di riferimento, e qualificata nei suddetti sensi la domanda risarcitoria in connessione con l’implicita rinuncia alla proprietà, occorre verificare la sussistenza degli elementi normativamente previsti dall’ordinamento per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno (art. 2043 c.c.). Quanto all’elemento oggettivo dell’illiceità della condotta, viene in rilievo il fatto materiale dello stesso spossessamento subito dal ricorrente, causalmente riconducibile alla pur legittima attività provvedimentale di occupazione e di trasformazione dei beni, quantunque poi non sfociata in un tempestivo atto traslativo della relativa proprietà. Sono invero circostanze di fatto non contestate sia la irreversibile trasformazione del fondo, sia la perdurante utilizzazione, da parte del Comune di Palermo, del bene di che trattasi ancorché in assenza di valido decreto di espropriazione.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, viene certamente in rilievo la colpa della P.A. procedente, intesa come colpa dell’apparato, concretantesi, in punto di fatto, nella negligenza nella gestione di una procedura ablatoria non portata a termine nei termini di legge in narrativa evidenziati malgrado la materiale apprensione, trasformazione ed utilizzo del bene, che ha inciso sul diritto dominicale del ricorrente (cfr. T.A.R. Palermo, Sez.II, 06/08/2010 n.9210).
6-Le considerazioni sin qui esposte giustificano, subordinatamente alla stipula e sottoscrizione di un negozio traslativo della proprietà, l'accoglimento della domanda di risarcimento formulata con il ricorso in esame che, nel caso di perdita definitiva della proprietà, corrisponde al valore venale del bene.
6.1-Quanto alla stima e alla quantificazione dello stesso danno, al fine della determinazione del valore venale del bene, ritiene il Collegio che possano essere utilizzate le considerazione stimative contenute nella relazione del consulente tecnico di ufficio nominato nel corso del procedimento instaurato innanzi la Corte di Appello di Palermo per la quantificazione della indennità di occupazione legittima, deciso con la sentenza n. 14 del 2004, passata in giudicato (in atti), nella quale è chiaramente quantificato il calore commerciale dell’immobile alla data dell’aprile 1994 di scadenza del periodo di occupazione legittima che segna il termine finale per l’emanazione del decreto di esproprio prima dell’insorgenza di una situazione di illiceità che, unito all’irreversibile trasformazione del bene, concretizza quel danno ingiusto richiesto con la domanda qui spiegata ex art. 2043 c.c. per equivalente in alternativa al risarcimento in forma specifica (cui si è rinunciato).
Nei termini sopraindicati, la stima (non oggetto di contestazioni) resa dal C.T.U. innanzi il Giudice ordinario potrà essere assunta alla base della liquidazione del risarcimento del danno.
6.1-Dall’accoglimento del ricorso, nei termini soggettivi ed oggettivi anzidetti, consegue la condanna del Comune di Palermo, al pagamento, in favore della ricorrente, del risarcimento dei danni, subordinatamente ripetesi alla definizione e sottoscrizione da parte del ricorrente di un negozio traslativo del passaggio della proprietà in favore del Comune.
Il Comune di Palermo, pertanto, provvederà a quantificare il danno risarcibile secondo i criteri di seguito indicati, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., nonché a predisporre l’atto negoziale traslativo. In particolare:
a) il danno da risarcire, da riportare contestualmente nel negozio traslativo, sarà determinato partendo dal valore commerciale del bene occupato, come calcolata dal C.T.U. nominato dalla Corte di Appello cit. alla data di cessazione della occupazione legittima del 06/04/1994;tale valore dovrà essere rivalutato sino al momento della notifica dell’atto di citazione del 21/11/1998 con il quale il Comune di Palermo è stato evocato innanzi il G.O. per il risarcimento del danno per la perdita del diritto dominicale di che trattasi, implicitamente (ancorché sospensivamente) rinunciato;
b) su tale somma, costituente la sorte capitale di un debito di valore, andranno quindi corrisposti gli interessi moratori al tasso legale sulle somme anno per anno rivalutate secondo indice ISTAT dei prezzi al consumo, fino al deposito della presente sentenza;
c) da tale data fino a quella di effettivo soddisfo, andranno calcolati e corrisposti altresì gli interessi legali.
d) qualora il Comune non provveda la parte ricorrente, quest’ultima potrà chiedere a questo Tribunale l’esecuzione della presente sentenza, per l’adozione delle misure consequenziali, salva la trasmissione degli atti alla Corte dei conti per la valutazione dei fatti che hanno condotto alla medesima fase del giudizio.
7-Conclusivamente, il ricorso merita accoglimento, nei termini sopra esposti e, per l’effetto, va pronunciata la condanna del Comune di Palermo, a risarcire il danno cagionato alla parte ricorrente secondo le statuizioni più sopra enunciate.
8-Le spese di lite, seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo.