TAR Salerno, sez. II, sentenza 2015-05-28, n. 201501197

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. II, sentenza 2015-05-28, n. 201501197
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201501197
Data del deposito : 28 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01065/2014 REG.RIC.

N. 01197/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01065/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1065 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
W Co, rappresentato e difeso dall'avv. Armando D'Ambrosio, con domicilio eletto in Salerno, alla Via L. Guercio, N. 277 c/o Avv. E. Mirra;

contro

Comune di Campagna, in Persona del Sindaco in carica pro tempore , rappresentato e difeso dall'avv. E F, con domicilio eletto in Salerno, alla Via Sichelmanno, n. 8;

per l'annullamento

a) della deliberazione G.C. n. 61 del 14/04/2014, pubblicata in data 4/04/2014, con la quale la Giunta Comunale ha modificato e/o integrato il "Regolamento sul funzionamento dell'avvocatura comunale", istituendo l'ufficio legale, fissando i parametri retributivi e le funzioni dell'avvocato comunale e disciplinando il rapporto individuale di lavoro ed infine il pagamento dei compensi in favore del medesimo avvocato per i giudizi vinti dall'Ente;

b) della deliberazione della Giunta Comunale n. 62 del 14/04/2014, con la quale è stata assegnata all'avvocato ricorrente la gestione di risorse finanziarie;

c) della deliberazione G.C. n. 66 del 18/04/2014, pubblicata in data 24/04/2014, con la quale la Giunta Comunale ha confermato quanto disposto ed approvato con deliberazione della GC n. 61 del 14.04.2014;

d) del "Regolamento sul funzionamento dell'avvocatura comunale" allegato alla deliberazione G.C. n. 61 del 14/04/2014 e confermato con deliberazione G.C. n. 66 del 18/04/2014 approvato, modificato ed integrato sempre dalla Giunta Comunale;

e) dell'articolo 42 dello Statuto Comunale, rubricato: "Rappresentanza legale", richiamato nelle modifiche regolamentari impugnate, laddove testualmente dispone: "Spetta al Sindaco la nomina del difensore";

f) della deliberazione della Giunta Comunale n. 208 del 03/11/2014, avente ad oggetto: "Esercizio finanziario 2014 — PEG - approvazione ai sensi dell'art. 169 del d.lgs. 267/2000 così come modificato con l. n. 213/2012.", con la quale la Giunta Comunale ha formalizzato la netta separazione tra l'attività di indirizzo politico e quella di gestione (art. 107, comma 1, del D.Lgs. 18-8-2000 n. 267 -T.U.E.L.) e, per l'effetto, ha approvato il Piano Esecutivo di Gestione (P.E.G.) per l'esercizio 2014, comprensivo del Piano degli Obiettivi (PDO) e il Piano della Performance, individuando i titolari di posizioni organizzative per lo svolgimento dei poteri dirigenziali/gestionali(art.107 T.U.E.L.) e mettendoli rispettivamente a capo di un Centro di costo di responsabilità gestionale di spesa (art.169 e 107 T.U.E.L.), e, tra questi, l'avvocato ricorrente, il quale nuovamente è stato messo a capo del Centro di costo di responsabilità gestionale n.1;

g) della deliberazione della Giunta Comunale n. 1 del 09/01/2015, avente ad oggetto: "Regolamento avvocatura comunale — Modifica/integrazione art. 7 — art. 9 del D.L. n. 90/2014 convertito in L. n. 114/2014.", conosciuta con nota Prot. n. 538 del 12/01/2015, a firma del Vice Sindaco, avv. M S, con la quale è stato modificato e/o integrato l'articolo 7 del regolamento sul funzionamento dell'avvocatura comunale, rubricato:" Trattamento Economico";

h) delle modifiche e/o integrazioni apportate all'art. 7 del regolamento sul funzionamento dell'avvocatura comunale, con la citata Deliberazione G.C. n. 1 del 09/01/2015;

i) della deliberazione della Giunta Comunale n. 7 del 13/01/2015, avente ad oggetto: “Approvazione P.E.G. 2015 — definizione provvisoria degli indirizzi operativi per lo sviluppo dei provvedimenti gestionali relativi alle attività istituzionali.", con la quale sono state assegnate ai titolari di Centro di costo di responsabilità gestionale di spesa, le risorse già assegnate con il PEG 2014, giusta deliberazione G.C. n. 208 del 03/11/2014, sulla base del bilancio 2014, nei limiti stabiliti dall'art. 163, comma 1°, del D.Lgs. 267/2000;

e per la condanna

al risarcimento del danno ingiusto


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Campagna in Persona del Sindaco P.T.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2015 il dott. G G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Il Comune di Campagna, con delibera di G.M. n. 61/2014, modificava ed integrava alcune disposizioni del Regolamento sul funzionamento dell'Avvocatura Comunale, approvato con delibera di G.M. n. 132/2012, segnatamente disponendo:

- l'autonomia e l'indipendenza dell'Ufficio Legale (art. 1);

- le competenze e le funzioni dell'Avvocato Comunale, ai sensi della L. n. 247/2012;

- un supporto amministrativo per la funzionalità dell'Ufficio (art. 3);

- la possibilità di conferire incarichi esterni, da parte del Sindaco, nelle ipotesi di controversie che esigono una competenza specialistica o abilitazione davanti alle magistrature superiori;

- la disciplina del trattamento economico del difensore dell'Ente, per l'ipotesi di definizione favorevole dei giudizi.

2.- Con gravame notificato nei tempi e nelle forme di rito, W Co, avvocato interno del Comune intimato, impugnava il ridetto regolamento, unitamente agli atti connessi e presupposti meglio distinti in epigrafe, lamentando:

a) che la Giunta sarebbe stata incompetente alla approvazione del regolamento de quo , in tesi rientrante nelle competenze consiliari;

b) che, in ogni caso, l'istituzione e l'organizzazione dell'Ufficio legale non sarebbe stata preceduta dalla formazione dei criteri generali, da parte del Consiglio Comunale, ai sensi dell'art. 42 T.U. 267/2000;

c) che l'attribuzione di funzioni amministrative all'Avvocato, prevista dall' art. 3 del Regolamento (come la ricezione degli atti notificati all'Avvocatura, la tenuta del protocollo, l'archiviazione e la redazione delle determine concernenti il funzionamento dell'Ufficio), violerebbe i principi di autonomia ed indipendenza dell'Avvocato;

d) che, ancora, l'art. 5 del Regolamento e l'art. 42 dello Statuto Comunale illegittimamente avrebbero attribuito al Sindaco la scelta degli avvocati esterni;

e) che il trattamento economico, per finire, riconosciuto all'Avvocato Comunale, in caso di sentenze favorevoli, sarebbe in contrasto con la normativa che regola i compensi professionali.

In pendenza di lite, il ricorrente impugnava, mercé aggiunzione di motivi, le ulteriori determinazioni, parimenti distinte in epigrafe, approvate in re dall’Ente comunale, con particolare riferimento alle sopravvenute integrazioni, nella parte di interesse, del regolamento ed alla approvazione del piano esecutivo di gestione.

3.- Nella resistenza dell’Amministrazione comunale, intesa ad argomentare l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza nel merito del ricorso, alla pubblica udienza del 9 aprile 2014, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- Il ricorso è in parte inammissibile per difetto di giurisdizione ed in parte infondato.

1.1.- Sotto il profilo della giurisdizione, va premesso, in termini generali ed in conformità al reiterato orientamento della Sezione in vicende analoghe a quella per cui è causa (cfr. TAR Salerno, sez. II, 18 gennaio 2011 n. 75 e Id. sez. II, 10 gennaio 2015, n. 92), che “sulla scorta dei criteri di riparto elaborati dalla Corte regolatrice della giurisdizione (cfr. Cass. civ., Sez. un., 9 febbraio 2009, n. 3052 e 25 settembre 2009, n. 20642), i presupposti affinché in subiecta materia si configuri la giurisdizione amministrativa sono i seguenti:

1) l'impugnazione di un atto macro-organizzativo, recante cioè le linee fondamentali di organizzazione di uno o più uffici;

2) l'incidenza riflessa e non diretta di quest'ultimo sul rapporto individuale di lavoro intrattenuto dal soggetto leso;

3) la derivazione di effetti pregiudizievoli direttamente dall'atto presupposto, con la conseguente astratta configurabilità di situazioni di interesse legittimo tutelabili, secondo le regole generali di riparto, dal giudice amministrativo;

4) il fatto che la contestazione investa immediatamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti organizzativi adottati, non potendo operare in tal caso il potere di disapplicazione di pertinenza del giudice ordinario, presupponendo esso che sia dedotto in causa un diritto soggettivo, su cui incida il provvedimento amministrativo e non una situazione giuridica suscettibile di assumere la consistenza di diritto soggettivo solo all'esito della rimozione ope judicis del provvedimento”.

1.2.- Orbene, gli illustrati presupposti, idonei a radicare la giurisdizione amministrativa, sono in principio ravvisabili nella fattispecie processuale in esame, avuto riguardo alla pacifica natura generale dell’atto impugnato.

Va infatti osservato che la giurisdizione del giudice adito deve inferirsi dalla causa petendi che connota l’azione intrapresa: è in tale ottica che va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto l'atto macro-organizzativo non sia impugnato perché produttivo di effetti sacrificativi diretti nei confronti di una ipotetica situazione di diritto soggettivo del ricorrente, il quale si prefigga (mercé il suo annullamento giurisdizionale) di restituire alla sua posizione l'ampiezza ed i contenuti che aveva prima dell'intervento autoritativo dell'amministrazione, ma facendo valere profili - quali la lesione del principio di autonomia dell'avvocatura comunale, da quell'atto asseritamente operata - propri della sfera organizzativa in cui l'atto ha avuto origine e nel cui ambito esso intende produrre i relativi effetti regolatori.

In altre parole (che son di nuovo quelle, dalle quali non giova discostarsi, di TAR Salerno n. 92/2015 cit.) l'autonomia dell'avvocatura comunale, che il ricorrente intende affermare con il ricorso proposto, non attiene (se non, appunto, indirettamente e di riflesso) alla salvaguardia della sua posizione lavorativa, ma all'integrità di profili organizzativi ritenuti intrinseci alla suddetta tipologia di ufficio ed alla peculiare funzione dallo stesso espletata nell'ambito della complessiva struttura amministrativa dell'ente provinciale.

La giurisprudenza ha quindi concordemente concluso per la sussistenza dell'interesse a ricorrere contro un atto organizzativo avente carattere generale da parte di un dipendente dell'ente pubblico che lo ha adottato, tutte le volte in cui tale provvedimento è suscettibile di incidere in maniera significativa sia sulla sua collocazione all'interno dell'organizzazione medesima, che sulle attribuzioni esercitate (cfr. ex permultis : Consiglio Stato, sez. V, 13 febbraio 2009, n. 827;
T.A.R. Abruzzo Pescara, 23 maggio 2009, n. 378 T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 29 aprile 2009, n. 3596;
T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 10 dicembre 2008, n. 1739;
T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, 13 settembre 2005, n. 246).

I dipendenti - se non sono titolari in merito di una posizione di diritto soggettivo perfetto alla conservazione della propria qualifica, del proprio status giuridico e della propria sfera di attribuzioni funzionali – hanno, invero, la titolarità di una posizione giuridicamente tutelata, non necessariamente patrimoniale, a che il potere, ampiamente discrezionale dell'Amministrazione di definire l'organizzazione dei propri servizi ed uffici venga esercitato nel rispetto sia dei limiti connessi con la loro posizione giuridica ed economica acquisita e sia delle norme che vincolano ab externo la potestà organizzativa dell'ente.

1.3.- Ciò posto – e per analogo ed opposto ordine di ragioni – se la giurisdizione può essere, nel caso in esame, affermata per tutti i dedotti profili inerenti l’attitudine macro-organizzativa dei provvedimenti impugnati, essa deve essere negata con riferimento alle censure di parte ricorrente variamente intese a contestare le disposizioni a connotazione economica dei deliberati gravati, lamentandosi, sotto vario rispetto, la inadeguatezza della fissazione del trattamento retributivo e la violazione delle disposizioni del CCNL.

Per questi profili di doglianza, infatti, le impugnate disposizioni incidono direttamente sul rapporto di lavoro, invece che solo in via riflessa, ricadendo su posizioni ascrivibili al rango di diritti soggettivi.

Inoltre esula dalla giurisdizione amministrativa (per rientrare ancora in quella del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro) la questione della mancata applicazione di disposizioni contenute nella contrattazione collettiva, atteso che compito di questa non è quello di disciplinare l’organizzazione di pubblici uffici ai sensi dell’art. 45 comma 1 d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (T.A.R. Perugia, 5 giugno 2001, n. 318).

L’eccezione di inammissibilità va conclusivamente, limitatamente ai profili in questione, accolta e pertanto il ricorso, in parte qua e per quanto di ragione, va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, fatti salvi gli effetti della domanda ai sensi dell’art. 11, comma 2, c.p.a..

2.- Il ricorso deve essere, di conserva, esaminato nel merito con riguardo ai contestati profili di ordine macro-organizzativo: qui non è dubbia, giusta gli enunciati criteri, l’ammissibilità, ma le doglianze formulate appaiono, nei sensi delle considerazioni che seguono, destituite di fondamento.

2.1.- Con un primo ordine di doglianze, il ricorrente lamenta:

a ) l’asserita incompetenza della G. M. ad approvare il Regolamento sul Funzionamento dell'Avvocatura, perché tale atto non rientrerebbe nel novero dei Regolamenti sull'ordinamento degli uffici e dei servizi di cui all'art. 48, co. 3 del T.U. n. 267/2000;

b ) in ogni caso (ed in prospettiva che si palesa logicamente, se non formalmente gradata) la ventilata violazione dell'art. 42 del T.U. n. 267/2000, perché l'istituzione dell'Ufficio Legale non sarebbe stata, in concreto, preceduta dalla fissazione dei postulati criteri generali, da parte del Consiglio Comunale.

2.2.- Sotto il primo profilo, osserva il Collegio che l'Avvocatura Comunale, malgrado la consistenti guarentigie rinvenienti dalla legge professionale in relazione alla qualificata attività dispiegata, rappresenta a tutti gli effetti un ufficio comunale, come tale soggetto al generale potere di auto-regolamentazione della Giunta municipale.

In argomento, si è infatti chiarito (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2012, n. 730) che il potere di organizzazione degli uffici degli enti locali è intrinsecamente collegato con il potere operativo e, in quanto tale, attribuito alla Giunta, ancorché, beninteso, l’ampia discrezionalità di cui quest’ultima gode non sia senza limiti, con particolare riguardo al rispetto dei principi di cui all’art. 97 Cost. e, come nella specie, delle guarentigie attribuite a determinate categorie di soggetti operanti nell’ambito della pubblica amministrazione.

L'organizzazione ed il funzionamento della struttura, pertanto, ricadono senz’altro nella competenza regolamentare della Giunta, ai sensi dell'art. 48 comma 3 del TUEL, di tal che non sussiste la lamentata incompetenza.

2.3.- Quanto alla ventilata mancanza delle preventive determinazioni di indirizzo e dei correlativi criteri da parte del Consiglio Comunale, coglie nel segno la replica secondo cui:

a ) il Consiglio Comunale di Campagna, con delibera n. 5/2011, aveva definito i criteri generali per il funzionamento degli Uffici e dei Servizi (da ritenersi ovviamente applicabili, giusta le considerazioni che precedono, anche per l'Avvocatura Comunale);

b ) non risulta in concreto contestato, in relazione a specifici profili, che la G.M. si sia in fatto discostata da siffatti criteri di ordine generale.

Ne discende la infondatezza de motivo di censura.

3. - E' infondata, altresì, l'ulteriore censura mossa contro l'art. 3 del regolamento, nella parte in cui assegna compiti amministrativi alla figura dell’avvocato comunale, asseritamente incompatibili con l'esclusività dell'attività legale.

3.1- In via di principio, osserva il Collegio come l’art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 27 novembre 1933, dopo aver disposto, al secondo comma, tra l’altro, che l'esercizio della professione di avvocato è " incompatibile con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni ", detta, al quarto comma, lettera b, un’esplicita eccezione per " gli avvocati [ed i procuratori] degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti di cui allo stesso secondo comma, per quanto concerne le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera ", imponendo che essi siano " iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo ".

La giurisprudenza che si è occupata dell'interpretazione della disposizione – v. da ultimo, TAR Campania, Napoli, sez. I, 21 febbraio 2014, n. 1144 – ha chiarito, al riguardo che, al fine dell'iscrizione nel suddetto elenco speciale, la norma esige che presso l'ente pubblico esista un ufficio legale costituente “ un'unità organica autonoma ” e che i soggetti addetti alla stessa esercitino le funzioni di competenza con modalità che assicurino “ libertà ed autonomia ” dell'attività di difesa, con “ sostanziale estraneità all'apparato amministrativo ”, “ in posizione di indipendenza da tutti i settori previsti in organico e con esclusione di ogni attività di gestione ” (cfr., per tutte, Cass. SS.UU. 18.4.2002 n. 5559).

In tale cornice, si è precisato che, nell'ambito dell’assetto organizzativo di un ente, l’ufficio legale si connota come una struttura che si differenzia da ogni altro centro operativo e postula una diretta connessione unicamente con il vertice decisionale dell'ente stesso, al di fuori, quindi, di ogni altra intermediazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 16.9.2004, n. 6023 e 15.10.2009, n. 6336).

3.2.- Ciò posto, nel caso di specie, l'art. 3 del Regolamento si limita ad attribuire all'avvocato comunale funzioni direttive e principali atti gestionali, necessari per assicurare il funzionamento dell'Ufficio legale.

Tali attribuzioni, sia pure di ordine gestionale, appaiono, peraltro, in concreto del tutto compatibili con lo status del professionista legale, sia per la natura meramente strumentale dei compiti assegnati, rispetto all'attività di difesa dell'Amministrazione, sia perché non implicano soggezione gerarchica ad altri organi dell'apparato burocratico.

Per l’effetto: a ) non sussiste la paventata confusione tra attività amministrativa (art. 3 del Regolamento) e legale, sussistendo un vincolo di accessorietà e strumentalità tra le stesse; b ) non si configura alcun cumulo di attività e, pertanto, non sussiste l'adombrato rischio di cancellazione dall'Albo Speciale; c ) non sussiste il rischio (per giunta ventilato in termini del tutto astratti ed ipotetici) di non adempiere adeguatamente alle attività della professione legale: va da sé che l'avvocato comunale risulta, di fatto, investito della adozione delle sole determinazioni amministrative inerenti il proprio ufficio, disponendo di due unità di personale per il servizio di segreteria.

3.3.- Su un piano più generale, del resto, è di comune intendimento il principio per cui la distribuzione interna del personale nell’ambito dei diversi uffici e servizi è rimessa a valutazioni discrezionali della amministrazione (basate sul numero di dipendenti presenti nella dotazione organica dell’Ente;
sulle esigenze organizzative manifestate dai dirigenti/responsabili dei servizi dei diversi settori;
su esigenze funzionali contingenti;
su scelte organizzative di natura strategica), da censurare, in sede di giurisdizione generale di legittimità, in maniera concreta e puntuale e non (come nel caso di specie) in termini generali ed astratti.

3.4.- Né può sottacersi, infine, che lo stesso ricorrente, in precedente giudizio avente ad oggetto la previgente regolazione organizzativa della materia (RG. n. 1026/2012), aveva proprio ventilato la necessità di attribuzione all'(unico) avvocato del Comune intimato anche della responsabilità gestionale dell'Ufficio Legale, per garantire l’auspicata autonomia ed indipendenza all’ufficio stesso. Con il che non appare del tutto coerente, in disparte gli assorbenti rilievi che precedono, che oggi si dolga degli spazi di autonomia decisionale che gli vengono riconosciuti.

4.- Non coglie neanche la dedotta censura di illegittimità dell'art. 5 del Regolamento e dell'art. 42 dello Statuto, nella parte in cui si è riservato al Sindaco il conferimento di incarichi professionali esterni.

4.1.1.- Sul punto, importa premettere, in termini generali, che secondo un primo orientamento, più volte ancorché non unanimemente condiviso in giurisprudenza (in tal senso, da ultimo, T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 20 luglio 2011, n. 606), le prestazioni rese dai professionisti in favore delle amministrazioni, ed in particolare quelle degli avvocati, sarebbero da qualificarsi in tutti casi come “servizi”, o meglio, come attività riconducibili nel novero dei “servizi legali” quale settore cd. escluso indicato al punto 21 dell'allegato II B del D.Lgs. n. 163/2006 .

L'impostazione anzidetta accoglie un'accezione molto ampia di servizi legali, riconducendo ad essi, senza eccezione alcuna, ogni attività svolta da avvocati libero professionisti in favore delle amministrazioni, secondo una linea di continuità con l'elencazione dei servizi contenuta nell'art. 50 del Trattato CE, che in tale categoria include pure le “attività delle libere professioni”, fornite normalmente dietro retribuzione, al fine di evitare restrizioni alla libera prestazione di esse nell'ambito dell'Unione Europea.

Ne discende la necessità di applicare in re il codice dei contratti pubblici alle prestazioni professionali degli avvocati (avuto particolare riguardo alle previsioni di cui agli artt. 20, 65, 68, 225 e l' art. 27 del codice, quest'ultima disposizione relativa ai principi fondamentali in tema di affidamento dei contratti nei settori cd. esclusi, come appunto quello dei servizi legali, nella quale sono richiamati i principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, economicità, trasparenza e proporzionalità) e ciò anche in virtù della definizione di servizio contenuta nell' art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 59 del 26 marzo 2010 (" Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno"), secondo cui servizio è qualunque attività economica, imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione, diretta allo scambio di beni o alla fornitura di altra prestazione anche a carattere intellettuale.

In tale ottica, costituirebbe affidamento di un servizio legale anche l'affidamento di un singolo incarico professionale a un avvocato (per la difesa in giudizio dell'amministrazione o per la redazione di un parere), dunque, non solo l'affidamento di rapporti più complessi, come attività di consulenza che si protraggono per un certo periodo di tempo e che presuppongo l'inserimento, per quanto provvisorio, del prestatore ( id est del professionista) nella struttura burocratica dell'amministrazione.

L'orientamento in esame, in sostanza, equipara a livello normativo ogni attività professionale svolta dall'avvocato, non assegnando alcuna rilevanza al carattere fiduciario che caratterizza il contratto di patrocinio in giudizio ed evidenziando come tale carattere non possa validamente rappresentare ragione di distinguo rispetto al caso di affidamento di attività di consulenza per un determinato periodo di tempo o di patrocinio per un numero predefinito di contenziosi.

4.1.2.- Per un secondo orientamento, affermatosi occasionalmente in giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 24 aprile 2008, n. 4855) , le prestazioni professionali degli avvocati in favore delle amministrazioni sarebbero in tutti i casi da qualificarsi come prestazioni rese in esecuzione di contratti d'opera intellettuale, ex artt. 2229 c.c. ss., la cui disciplina risiederebbe, allora, non nelle disposizioni sull'affidamento dei contratti pubblici, ma nell'art. 7, commi 6 e 6 bis , del D.Lgs. n. 165/2001, per come modificato dall' art. 32 del D.L. n. 223/2006, convertito in L. n. 248/2006 , regolante i rapporti di collaborazione autonoma tra amministrazione e privati.

L'impostazione in questione si differenzia da quella precedentemente richiamata per il rilievo assegnato alle caratteristiche soggettive di chi svolge l'attività, assegnando alle stesse caratteristiche soggettive un valore dirimente al fine di escludere la qualificazione delle prestazioni in termini di servizi legali di cui alla disciplina dei contratti pubblici.

In particolare, è messo in risalto che il contratto d'opera, stipulato tra amministrazione e professionista, presenta in comune con il contratto di appalto di servizi, stipulato tra amministrazione e imprenditore, gli elementi di indipendenza rispetto al committente e l'assunzione del rischio, ma si differenzia dal secondo per via non della natura dell'oggetto oppure del contenuto della prestazione, bensì solo per gli aspetti organizzativi del soggetto che deve compiere la prestazione.

In altri termini, l'appalto si differenzia dal contratto d'opera intellettuale perché l'appaltatore deve necessariamente essere un'impresa e non un libero professionista iscritto in appositi albi .

Dunque, sia nel caso di singoli incarichi professionali, che in caso di attività di assistenza e consulenza per un tempo determinato, verrebbe in rilievo una collaborazione autonoma riconducibile all' art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, mentre, anche in questo caso, nessuna valenza assume il carattere fiduciario che connota l'assegnazione del singolo incarico di patrocinio in una lite giudiziale.

Di conseguenza, in ossequio alle previsioni di cui alla norma appena richiamata, ogni tipo di incarico potrebbe essere assegnato all'esterno solo in esito ad una valutazione comparativa tra più soggetti aspiranti, la cui indizione, sempre come sancito dalla norma, deve essere caratterizzata da massima pubblicità ed il relativo svolgimento deve essere retto dai fondamentali principi che governano l'azione amministrativa.

4.1.3.- L'orientamento da ultimo richiamato, al di là del dato concettuale sulla qualificazione dell'attività professionale in discorso, presenta effetti pratici che non lo distinguono particolarmente dall'altro orientamento precedentemente richiamato. Infatti, sia nel caso in cui si voglia qualificare l'attività professionale in esame resa nei confronti dell'amministrazione come appalto di servizi regolato dagli artt. 20, 65, 68, 225 e l' art. 27 del D.Lgs. n. 163/2006, sia nel caso si voglia qualificare in termini di collaborazione autonoma di cui all' art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, l'effetto è sempre quello di negare che tali incarichi possano essere assegnati intuitu personae , ma solo previo svolgimento di una valutazione comparativa, per quanto "snella" perché regolata dai principi essenziali dell' agere amministrativo.

4.1.4.- Il Collegio non condivide i riassunti orientamenti ed aderisce (in conformità alla propria giurisprudenza: cfr. da ultimo, T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 16 luglio 2014, n. 1383) alla tesi, peraltro maggioritaria in giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 2730/2012;
Cons. Stato, sez. V, 29 gennaio 2008, n. 263;
Corte Conti, sez. controllo Basilicata, delibera 3 aprile 2009, n. 19/2009/par;
e cfr., altresì, Autorità per la Vigilanza sui contratti, determina 7 luglio 2011, n. 4) ed in qualche misura intermedia, secondo cui si è al cospetto di attività riconducibili nel concetto di servizi legali soltanto qualora l'affidamento non si esaurisca nel patrocinio legale occasionale o episodico dell'amministrazione, ma si configuri come modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisca.

Per tal via, soggiacciono alle regole della evidenza pubblica i soli rapporti che presentano predeterminabilità degli aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni.

L'orientamento in discorso muove, come quello precedentemente esaminato, dalla ribadita qualificazione degli incarichi legali in termini di contratto d'opera intellettuale ex artt. 2229 ss. c.c., ritenendo in che la natura del rapporto non muti in ragione delle caratteristiche del committente, ma giunge a conclusioni differenti, quanto a modalità di conferimento degli stessi incarichi, alla luce delle caratteristiche di questi.

È escluso, in particolare, che si possa procedere all'affidamento con una selezione qualora l'incarico consista nell'occasionale o episodico patrocinio legale dell'ente in giudizio oppure nell'altrettanto occasionale o episodico svolgimento di una attività di consulenza legale.

Sono diversi gli argomenti su cui si fonda tale impostazione.

Il primo prende le mosse dalla caratteristiche che riguardano, soprattutto, l'attività di difesa legale in giudizio, la quale, riconnettendosi ad interessi costituzionalmente rilevanti, elevabili a veri e propri diritti inviolabili quale alla difesa ex art. 24 della Cost., presenta delle peculiarità, come il requisito della fiduciarietà del rapporto tra legale e parte assistita, che impongono un trattamento a livello normativo differenziato rispetto alle altre ipotesi di rapporti professionali (si pensi all'incarico professionale di progettazione o di redazione di uno strumento urbanistico ove il requisito della fiduciarietà è mancante o, comunque, non ha una valenza caratterizzate del rapporto che è invece imperniato soprattutto sul possesso di determinate competenze tecniche).

Proprio in virtù delle caratteristiche dell'attività di patrocinio in giudizio che l'orientamento in discorso ritiene non decisivo il dato letterale del punto 21 dell'allegato II B del D.Lgs. n. 163/2006 al fine di ricondurre sempre e in tutti i casi l'attività legale nel concetto di appalto di "servizi legali".

Si aggiunge al dato testuale il fatto che il patrocinio in giudizio è conferito in un momento di bisogno di assistenza legale, che per natura è un bisogno occasionale e contingente che non ricorre nel caso delle esigenze di servizio, le quali, invece, sottintendono un bisogno non episodico ma perdurante nel tempo, riconducibile alla necessità di perseguire i fini istituzionali dell'amministrazione.

La difesa in giudizio rappresenta, più che un servizio di cui ha necessità l'amministrazione, l'esercizio di un diritto/dovere correlato al bisogno a che sia affermata la rispondenza dell'attività amministrativa svolta al paradigma normativo prestabilito, nei casi in cui dovessero sorgere dubbi in proposito nell'ambito delle liti giudiziali che vedono coinvolta la p.a.

Le caratteristiche anzidette dell'attività di patrocinio in giudizio, nonché la circostanza che tale attività si concreta nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo (al di fuori, quindi, della struttura organizzativa dell'ente), è ciò che distingue tale tipo di rapporto che intercorre tra professionista e amministrazione da quello che si instaura in caso di collaborazione autonoma ex art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001.

In definitiva, se la prestazione richiesta al professionista comporta un complesso di attività variegate che non si sostanziano nel solo patrocinio in giudizio, ma presuppongono altresì attività che denotano l'inserimento del medesimo professionista nell'organizzazione dell'ente, in questi casi è configurabile un appalto di servizi legali, con conseguente applicazione delle modalità selettive previste dall' art. 20 del D.Lgs. n. 163/2006. Tali modalità selettive si presentano di fatto identiche a quelle richieste dall'art. 7, comma 6 bis , del D.Lgs. n. 165/2001, laddove impongono l'invito di un congruo numero di professionisti, la comparazione delle singole candidature e, ancora prima, il necessario rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità. Conclusa la procedura selettiva, l'amministrazione ne rimane vincolata ai relativi esiti, senza poter affidare l'incarico ad altro professionista che non sia quello individuato in base ai criteri predeterminati.

Nel caso, invece, in cui l'incarico professionale consista nell'occasionale o, comunque, episodica assistenza in giudizio o assistenza in termini di consulenza, non sussiste alcun obbligo di selezione comparativa, essendo l'amministrazione unicamente tenuta ad affidare l'incarico nel rispetto dei principi di trasparenza e di adeguata motivazione, al fine di rendere doverosamente comprensibili all'esterno le ragioni che inducono a riporre fiducia su un determinato professionista.

In sostanza, pur se non assoggettato alla formalità di una gara, il conferimento dell'incarico fiduciario rimane sottoposto a talune condizioni necessarie, iniziando dal necessario e preventivo impegno contabile da parte dell'ente (previsto in via generale per gli enti locali dall'art. 191 del TUEL), in mancanza del quale l'atto di conferimento dell'incarico deve ritenersi addirittura nullo e, quindi, incapace di produrre effetto giuridico alcuno. Normalmente, nella prassi concreta, alla base dell'impegno di spesa vi è un preventivo economico redatto dal professionista (molto spesso di concerto con l'amministrazione interessata) che viene poi posto alla base dell'atto di impegno economico;
in mancanza di un preventivo di spesa, l'impegno economico non potrà che essere quantificato in base alle tariffe professionali forensi vigenti al momento.

La forma dell'accordo non potrà che essere, beninteso, quella scritta alla luce delle previsioni di cui agli artt. 16 e 17 del R.D. n. 2440/1923.

In tema di conferimento di incarichi fiduciari esiste inoltre un principio generale, unanimemente riconosciuto in giurisprudenza (cfr., per esempio,Corte Conti, sez. giurisdiz. Lazio, 25 settembre 2000, n.1545), ed espressione delle generali esigenze di contenimento della spesa pubblica da anni di interesse del legislatore, secondo cui l'attività delle amministrazioni deve essere svolta dai propri organi e uffici, con la possibilità di far ricorso a professionalità esterne solo nei casi previsti dalla legge o in relazione ad eventi e situazioni straordinarie non fronteggiabili con le disponibilità tecnico - burocratiche esistenti.

Dall'affermazione della regola anzidetta discende che l'amministrazione deve dimostrare l'impossibilità da parte del personale interno di assolvere adeguatamente all'incarico, corredando la delibera di conferimento dell'incarico di una congrua motivazione con la quale fornire una valida giustificazione alla deroga della regola generale sopra richiamata. Il conferimento dell'incarico ad un professionista esterno deve tener conto sia dell'esistenza o meno di un ufficio legale interno ma soprattutto della qualificata prestazione da rendere in giudizio in relazione alla particolare complessità della questione controversa;
l'accertamento della sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi dinanzi ricordati, da compiersi in via preventiva da parte del soggetto pubblico conferente, devono evidenziarsi nella motivazione della delibera di conferimento dell'incarico che puntualmente deve riportare le ragioni della scelta compiuta (Corte Conti, sez. giuristi. Lazio, 6 ottobre 2011, n. 1566) .

4.1.5.- Poste le esposte premesse (alla cui stregua, quindi, l’occasionale conferimento dell’incarico di difesa dell’ente ad avvocati esterni per un verso non è assoggettato a procedure selettive, come tale rimesse alle competenti strutture tecnico-burocratiche, e, per altro verso, non è pregiudizialmente precluso dalla esistenza di un avvocatura interna, richiedendo solo, sul piano motivazionale, adeguato supporto giustificativo), occorre aggiungere, per quanto riguarda specificamente gli enti locali, che, in base alle previsioni attualmente in vigore, in particolare all'art. 50 del TUEL, il conferimento dell'incarico compete al Sindaco o al Presidente della provincia, i quali, proprio in virtù dei poteri di rappresentanza dell'ente loro assegnati, non abbisognano dell'autorizzazione dell'organo di giunta (Cons. Stato, sez. V, 19 luglio 2013, n. 3934) .

Il Collegio, beninteso, non ignora la tendenza giurisprudenziale che, pur riconoscendo al Sindaco o al Presidente della provincia il suddetto potere di rappresentanza (nonché il potere in generale di decidere se resistere o ricorrere in giudizio) demanda al dirigente preposto al settore legale la scelta se avvalersi o meno di professionalità esterne, previa verifica delle condizioni sopra richiamate, nonché la scelta del professionista da nominare, venendo a rilevare in questi ultimi casi delle scelte ricadenti nelle attività gestionali tipiche del dirigente, ai sensi dell'art. 107 del TUEL, che riproduce con riguardo agli enti locali le previsioni generali di cui all' art. 16 del D.Lgs. n. 165/2001 ( in terminis, Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2012, n. 730 e Cons. Stato, sez. V, 23 dicembre 2013, n. 6198).

Osserva, tuttavia, come tale assunto (pur espressivo di una lettura sistematica ed evolutiva dell'attuale sistema normativo improntato sulla suddivisione delle funzioni di indirizzo politico da quelle amministrative, che demanda l'adozione di atti e provvedimenti di gestione agli organi burocratici), si pone, con riferimento alla tematica in esame, in attrito con la ribadita natura fiduciaria degli incarichi di cui si discorre: fiducia che dovere di coerenza e logica impongono di far intercorrere tra il professionista e il titolare della rappresentanza legale dell'ente, ovvero, appunto, il Sindaco (o il Presidente della provincia).

4.1.6.- Deve, per l’effetto, ritenersi – in definitiva – che le impugnate disposizioni regolamentari si sottraggano alla formalizzata censura, nella misura in cui: a ) la competenza dell’organo dirigenziale alla designazione di soggetti esterni non è richiesta, per i riassunti limiti della censurata previsione regolamentare, se non nei casi rientranti nel novero degli appalti di servizi legali; b ) è legittima la rimessione all’organo politico, titolare della rappresentanza legale dell’Ente ex art. 50 TUEL, la scelta intuitu personae del difensore esterno (ferme restando, a salvaguardia non meno che delle risorse pubbliche e del buon andamento complessivo della pubblica amministrazione, che degli interessi dei componenti dell’ufficio legale interno, i riassunti obblighi giustificativi e motivazionali).

Ciò che, nel caso che concretamente ne occupa, è conforme alla pertinente previsione statutaria dell’Ente.

6.- Devono ritenersi improcedibili, in virtù dello jus superveniens , le censure indirizzate avverso i criteri di liquidazione dei compensi, in caso di sentenze favorevoli.

Importa, invero, rammentare che la legge di conversione del D.L. n. 90/2014 ha completamente riscritto la materia per come da ultimo regolata, con ciò mutando radicalmente i compensi dovuti alle avvocature comunali, fissando nuovi obblighi posti a carico dei Comuni al fine di disciplinare ed erogare correttamente i citati compensi.

Segnatamente, al fine di corrispondere i compensi dal 1° gennaio 2015 alle avvocature pubbliche sia i contratti collettivi che i regolamenti comunali dovranno adeguare le loro disposizioni in coerenza con i nuovi vincoli posti dalla normativa.

In mancanza di tale adeguamento, soprattutto quello relativo alla regolamentazione comunale, le amministrazioni non potranno corrispondere compensi professionali ai propri avvocati.

I compensi soggetti a tale regolamentazione riguardano le sentenze favorevoli con recupero delle spese alla controparte (comma 3), mentre in caso di pronuncia di spese compensate (comma 6 primo periodo) si applicano le norme regolamentari e contrattuali vigenti.

6.- Quanto alle ulteriori censure, ai fini pensionistici, relative al conteggio degli onorari nel montante della tredicesima mensilità, al rimborso delle spese forfettarie, al pagamento della polizza assicurativa, non rientrano, giusta le considerazioni esposte liminalmente, nella giurisdizione del giudice amministrativo, incidendo direttamente ed immediatamente sulla regolamentazione del corrispettivo economico del rapporto individuale di lavoro regolato dal contratto.

7.- Le esposte considerazioni, che valgono ad assorbire e travolgere anche i profili criticamente evidenziati, in via consequenziale, con le doglianze articolate per aggiunzione di motivi, militano nei complessivi sensi della reiezione del gravame, nei sensi di cui al dispositivo che segue.

La particolare complessità della materia delibata suggerisce e giustifica l’integrale compensazione, tra le parti costituite, di spese e competenze di lite.

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