TAR Venezia, sez. I, sentenza 2023-06-12, n. 202300807
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Pubblicato il 12/06/2023
N. 00807/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00582/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 582 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati E B e A D, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A D in Venezia, Corso del Popolo 29, e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Venezia, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati M B, A I, N O e S P, con domicilio eletto nella sua sede municipale in Venezia, San Marco 4091, e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
del “ Provvedimento di diniego di rinnovo e conseguente decadenza dell’autorizzazione trasporto cose per conto terzi -OMISSIS- ” Prot. Gen. n. 103959/2018 del -OMISSIS-, della Direzione Servizi al Cittadino e Imprese, Settore Mobilità e Trasporti, nonché di tutti gli atti precedenti o seguenti, comunque connessi e presupposti, per perdita dei requisiti di idoneità morale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2023 il dott. Filippo Dallari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. In data 1 giugno 2017 la società -OMISSIS- (in seguito, -OMISSIS-), titolare di cinque autorizzazioni di trasporto cose per conto terzi, presentava al Comune di Venezia (in seguito, il Comune) richiesta di rinnovo quinquennale dell'autorizzazione -OMISSIS- con scadenza -OMISSIS-, dichiarando “ di essere in possesso dei requisiti di idoneità morale così come previsto dall'art. 3, comma 1, del Regolamento comunale in attuazione alla l.r. n. 63 del 1993 e precisamente di non aver riportato condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia, contro la fede pubblica … ”.
1.1. Nel corso dell’istruttoria, il Comune acquisiva dal Casellario Giudiziale le relative visure dalle quali risultava a carico del signor -OMISSIS-, legale rappresentante della società, una condanna per delitto contro la fede pubblica (art. 483 cod. pen.), in forza di decreto penale di condanna del G.i.p. del Tribunale di Venezia, esecutivo il -OMISSIS-.
1.2. Con nota del 9 agosto 2017 il Comune comunicava alla società -OMISSIS- l’avvio del procedimento di decadenza delle autorizzazioni trasporto cose per conto terzi n-OMISSIS-, 5A, 5B, 23 e 89 a causa della perdita dei requisiti morali di cui all'art. 3, comma 1, del Regolamento comunale di attuazione della l.r. n. 63 del 1993 (in seguito, il Regolamento comunale).
1.3. La società -OMISSIS- presentava le sue osservazioni, in cui sosteneva in particolare che l’Amministrazione non avrebbe avuto la facoltà di acquisire il decreto penale di condanna e che tale provvedimento non era equiparabile ad una sentenza definitiva di condanna. Inoltre il signor -OMISSIS- non farebbe più parte del consiglio di amministrazione della società dall’11 agosto 2017. La ricorrente chiedeva quindi il rilascio del rinnovo della licenza di trasporto -OMISSIS- e l'archiviazione del procedimento di revoca delle autorizzazioni nn. 5A, 5B, 23 e 89.
1.4. Il Comune con provvedimento del -OMISSIS- archiviava il procedimento di decadenza delle autorizzazioni nn. 5A, 5B, 23 e 89 e disponeva invece il diniego di rinnovo e la conseguente decadenza della licenza -OMISSIS- in quanto il reato di cui all’art. 483 cod. pen. “ rientra fra le cause ostative al rilascio/rinnovo di licenze/autorizzazioni di cui all’art. 3, comma 1, del regolamento comunale di attuazione della l.r. n. 63 del 1993, in combinato disposto con l’art. 5, comma 3, del Regolamento ”.
2. Con ricorso, notificato in data 27 aprile 2018 e depositato in data 18 maggio 2018, la società -OMISSIS- ha impugnato tale provvedimento sulla base dei seguenti motivi.
I – Violazione di legge.
I.1 - Artt. 28 e 39 del d.P.R. n. 313 del 2002. Illecita acquisizione di certificati del casellario giudiziale. Falsa applicazione di legge. Erronea motivazione .
Gli artt. 24, 25 e 27 del d.P.R. n. 313 del 2002 che dispongono la non menzione nel casellario giudiziale dei decreti penali di condanna impediscono la conoscenza della loro esistenza a tutti, tranne che all’interessato e all’autorità giudiziaria penale.
Il Comune avrebbe quindi illegittimamente acquisito la visura del casellario giudiziale del legale rappresentante della società in violazione e falsa applicazione degli artt. 28 e 38 del d.P.R. n. 313 del 2002.
Tale visura sarebbe pertanto inutilizzabile.
Spetterebbe all’Autorità giudiziaria, attraverso l’applicazione delle sanzioni accessorie, definire gli effetti dei provvedimenti penali. Sarebbe invece preclusa all’Amministrazione, ai fini del rilascio delle autorizzazioni, la possibilità di valutare i provvedimenti oggetto di non menzione nel casellario giudiziale. La valutazione dell’idoneità o meno della singola persona, dovrebbe essere effettuata in relazione alla condotta effettivamente realizzata, senza considerare il provvedimento penale.
I.2 - Art. 460 cod. proc. pen.. Illecita equiparazione del decreto penale al giudicato penale .
Il Comune avrebbe adottato il provvedimento impugnato sul presupposto che il decreto penale integri ai sensi del Regolamento comunale una condanna penale. Invece sarebbe principio acquisito che il decreto penale ha efficacia esclusivamente endoprocedimentale e i suoi effetti non sarebbero parificabili ad una sentenza di condanna penale.
Ai sensi dell’art. 460 cod. proc. pen., anche se divenuto esecutivo, il decreto non avrebbe efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo. Inoltre gli effetti del decreto penale sarebbero limitati e provvisori “ se nel termine di cinque anni … l'imputato non commette un delitto … della stessa indole … si estingue ogni effetto penale ”.
Il decreto penale non potrebbe avere efficacia nel giudizio amministrativo perché privo di valore decisorio ovvero di accertamento della responsabilità penale dell’incolpato. Infine al decreto penale non conseguirebbe alcuna sentenza riabilitativa.
I.3 - Art. 460 cod. proc. pen. art. 71 del d.lgs. n. 59 del 2010. Illegittima equiparazione del decreto penale a sentenza di condanna penale passata in giudicato. Illegittima inclusione tra i requisiti morali dei reati contro la fede pubblica .
L’art. 71 del d.lgs. n. 59 del 2010, attuativo della Direttiva 2006/123/UE, consentirebbe di escludere dall’esercizio di attività commerciali di vendita e di somministrazione esclusivamente i soggetti condannati con sentenza passata in giudicato - non anche con decreto penale – per i reati espressamente previsti o per quelli puniti con una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni.
Invece la fattispecie di cui all’art. 483 cod. pen. non rientrerebbe tra i reati specificamente previsti e sarebbe sottoposta ad una pena edittale di soli due anni, inferiore a quella richiesta.
Il requisito morale previsto dal Regolamento comunale sarebbe in contrasto sia con la disciplina regionale, sia con quella nazionale sia con quella comunitaria.
II - Violazione di legge in relazione all’art. 460 cod. proc. pen.. Omessa valutazione del fatto materiale .
Per verificare la sussistenza dei requisiti morali, l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare il fatto materiale oggetto dell’incolpazione. Nella fattispecie il legale rappresentante sarebbe stato condannato per il reato di cui all’art. 483 cod. pen. perché, “ in qualità di legale rappresentante della Ditta -OMISSIS-, presentava all’Azienda ULSS -OMISSIS- modello B1 per modifiche strutturali all’esercizio commerciale – bar sito in -OMISSIS-, dichiarando falsamente che, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 46-47-48 del DPR 445/2000, i locali possedevano i requisiti di legge;quando in realtà non aveva ancora presentato il modello B1 di inizio attività ”.
Tale fatto materiale non sarebbe particolarmente rilevante e comunque non sarebbe idoneo a far venir meno i requisiti morali necessari per il rinnovo della licenza di trasporto.
III - Eccesso di potere e difetto di motivazione. violazione art 460 cod. proc. pen. sotto altro profilo. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 .
L’Amministrazione avrebbe dovuto motivare in ordine alla rilevanza del fatto materiale contestato rispetto alla moralità della ricorrente. Il signor -OMISSIS- avrebbe posto in essere un mero errore materiale nella compilazione dei moduli predisposti dall’Amministrazione. Inoltre al momento della presentazione della domanda, il signor -OMISSIS- era in scadenza di mandato e stavano altresì per decorrere i termini per l’estinzione completa degli effetti del decreto penale di condanna.
L’Amministrazione avrebbe dovuto tener conto anche ai fini del rinnovo dell’autorizzazione -OMISSIS- delle medesime considerazioni che l’hanno portata ad archiviare il procedimento di decadenza delle altre autorizzazioni di cui è titolare la ricorrente.
3. Il Comune di Venezia si è costituito in giudizio contestando nel merito le censure proposte ed eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso in ragione della mancata specifica impugnazione del bando di concorso, in relazione al quale è stata rilasciata l’autorizzazione, e del Regolamento comunale che all'art. 25, comma 5, prevede espressamente che “ la perdita di uno dei requisiti prescritti per il rilascio dell'autorizzazione e della licenza ” comporta “ la decadenza dai relativi provvedimenti ”.
4. Con ordinanza n. 205 del 7 giugno 2018 questa Sezione ha respinto la domanda cautelare proposta, ritenendo il ricorso privo di sufficienti profili di fondatezza “ quanto all’accesso, da parte delle amministrazioni pubbliche, ai dati completi inseriti nel casellario giudiziale, all’utilizzabilità del decreto penale di condanna in sede amministrativa e all’applicabilità al caso in esame del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59”.
5. In vista della discussione del merito del ricorso le parti hanno depositato memorie e repliche in cui hanno sviluppato le loro difese e la ricorrente ha rimarcato in particolare che alla data di emanazione del provvedimento impugnato il signor -OMISSIS- non era più amministratore della società e che in base all’art. 28, comma 8, del d.lgs. n. 313 del 2018, come modificato dall’art. 4, comma 1, lettera g), del d.lgs. 2 ottobre 2018 n. 122, l’interessato non è obbligato a dichiarare i provvedimenti di condanna per i quali è prevista la non menzione.
6. All’udienza pubblica del 5 aprile 2023, dopo breve discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Infondata è l’eccezione, proposta dal Comune, di inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione del bando di concorso, del Regolamento comunale e della visura del Casellario giudiziale.
1.1. La mancata impugnazione di tali atti infatti non è idonea a determinare l’inammissibilità del ricorso.
Infatti, quanto al bando di concorso, l’eccezione dell’Amministrazione risulta del tutto generica, non individuando nemmeno quali prescrizioni avrebbero dovuto essere oggetto di specifica impugnazione.
Quanto al Regolamento comunale, dal complesso delle deduzioni proposte emerge in modo chiaro che l’impugnazione riguarda anche tale atto. In particolare, a pagina 11 del ricorso la ricorrente rileva che: “ Non può quindi essere impedita l’attività commerciale di trasporto cose conto terzi non di linea in esame, perché il requisito morale previsto dal Regolamento Comunale è contrario alla legge regionale, alla legge nazionale ed al diritto comunitario, che non prevedono affatto limiti morali né in relazione ai decreti penali, né in relazione ad eventuali reati contro la fede pubblica, non potendo questo costituire più un requisito soggettivo necessario all’esercizio dell’attività economica liberalizzata ”.
Non era invece necessaria ai fini dell’ammissibilità del ricorso, l’impugnazione della visura del Casellario giudiziale di cui la ricorrente sostiene esclusivamente l’inutilizzabilità.
2. Venendo al merito, è infondato il primo profilo di censura, contenuto nel primo motivo, con cui la ricorrente sostiene appunto l’inutilizzabilità della visura del casellario giudiziale.
2.1. Invero, il Consiglio di Stato ha recentemente chiarito che “ Il beneficio della non menzione della sentenza di condanna nel certificato penale ha lo scopo di favorire la risocializzazione del reo, evitando di compromettere il suo reinserimento nella vita sociale e nel lavoro, mediante l’eliminazione del pregiudizio che lo stesso potrebbe subire dalla annotazione della condanna sul certificato del casellario giudiziale.
Da una lettura a contrario dell’art. 175 c.p. si ricava che la non menzione non riguarda i certificati chiesti dalla pubblica amministrazione: questa esegesi è rafforzata dal coordinamento con il testo del previgente (fino a marzo 2003) art. 688 c.p.p., comma 1, abrogato dall’art. 52, del d.P.R. n. 313/2002, per il quale «ogni organo avente giurisdizione penale ha il diritto di ottenere, per ragioni di giustizia penale, il certificato di tutte le iscrizioni esistenti al nome di una determinata persona. Uguale diritto appartiene a tutte le amministrazioni pubbliche e agli enti incaricati di pubblici servizi, quando il certificato è necessario per provvedere a un atto delle loro funzioni, in relazione alla persona cui il certificato stesso si riferisce».
Dalle norme richiamate si evinceva che, allorché le pubbliche amministrazioni avessero avuto necessità di un certificato quali quelli in discussione, per provvedere a un atto delle loro funzioni, avrebbero avuto il diritto di conoscere se la persona interessata avesse o meno riportato una condanna definitiva;dunque, la non menzione riguardava solo i certificati chiesti dai privati.
Tale normativa è, però, notevolmente mutata con l’introduzione del d.P.R. n. 313 del 2002, che, con l’art. 52, ha abrogato, fra gli altri, l’art. 688 c.p.p. La norma di riferimento è, oggi, quella di cui all’art. 28 del citato D.P.R., la quale stabilisce che «le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi hanno il diritto di ottenere i certificati di cui all’art. 23 e all’art. 27, relativo a persone maggiori di età, quando tale certificato è necessario per l’esercizio delle loro funzioni».
Rispetto a quanto previsto dall’abrogato art. 688 c.p.p., è venuta meno l’equiparazione tra la pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi, da un lato, e «ogni organo avente giurisdizione penale», che «ha il diritto di ottenere, per ragioni di giustizia penale, il certificato di tutte le iscrizioni esistenti al nome di una determinata persona».
L’attuale normativa mantiene, dunque, solo in capo all’autorità giudiziaria - art. 21, comma 1 d.P.R. n. 313 del 2002 - il potere, per ragioni di giustizia, di acquisire dal sistema il certificato di tutte le iscrizioni esistenti riferite a un determinato soggetto, senza i limiti della non menzione di cui all’art. 175 c.p.;mentre, riconosce alla pubblica amministrazione e ai gestori di pubblici servizi il potere di ottenere soltanto «i certificati di cui all’art. 23 e all’art. 27», cioè il certificato generale di cui all’art. 24, quello penale di cui all’art. 25, il certificato civile di cui all’art. 26 e quello dei carichi pendenti di cui all’art. 27: sia l’art. 24 che l’art. 25 escludono in modo espresso che, nei certificati rispettivamente disciplinati, siano riportate oltre alle «condanne delle quali è stato ordinato che non si faccia menzione nel certificato a norma dell'art. 175 c.p., purché il beneficio non sia stato revocato», anche quelle per le quali «è stata dichiarata la riabilitazione, senza che questa sia stata in seguito revocata» e «i provvedimenti previsti dall’art. 445 c.p.p., quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, e i decreti penali». Infine, l’art. 28, comma 8, del citato decreto prevede che l’interessato il quale, a norma degli artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445/2000, renda dichiarazioni sostitutive relative all’esistenza nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto a indicare la presenza di quelle di cui al comma 7 – non rilevanti nel presente procedimento – nonché di cui all’art. 24, comma 1, e dunque la presenza di condanne delle quali è stato ordinato che non si faccia menzione nel certificato a norma dell’articolo 175 del codice penale, purché il beneficio non sia stato revocato ” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 9 settembre 2022, n. 7855).
Tuttavia tali conclusioni paiono riferirsi al quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 ottobre 2018 n. 122 che ha integralmente riscritto l’art. 28, comma 8, del d.lgs. n. 313 del 2002, prevedendo espressamente la facoltà di non dichiarare le condanne per le quali opera il beneficio della non menzione.
Anteriormente a tale novella – ratione temporis non applicabile alla fattispecie – l’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 313 del 2002 stabiliva che “ le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi hanno diritto di ottenere i certificati di cui all'articolo 23 e all'articolo 27, nonché all'articolo 28-bis, relativo a persone maggiori di età, quando tale certificato è necessario per l'esercizio delle loro funzioni ”.
Inoltre ai sensi dell’art. 39 del medesimo d.lgs. n. 313 del 2002 nella versione al tempo vigente: “ Le modalità tecnico operative per consentire alle amministrazioni pubbliche e ai gestori di pubblici servizi, eventualmente con differenziazioni territoriali e per tipo di certificato, la consultazione del sistema ai fini delle acquisizioni d'ufficio, di cui all'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e dei controlli, di cui all'articolo 71 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, o ai fini dell'acquisizione dei certificati di cui agli articoli 28, 28-bis e 32, nonché per consentire all'autorità giudiziaria l'acquisizione dei certificati di cui agli articoli 21 e 30, sono individuate con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, sentiti la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie, e il Garante per la protezione dei dati personali ”.
E in base all’art. 43 del d.P.R. n. 445 del 2000, “ Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato ”.
Tali disposizioni nel loro complesso presuppongono che in ogni caso l’Amministrazione abbia la possibilità di verificare d’ufficio la correttezza delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 2000.
D’altra parte, sino alla novella di cui all’art. 4, comma 1, lettera g), del d.lgs. 2 ottobre 2018 n. 122, non risulta vi fossero specifiche disposizioni che espressamente consentissero agli interessati di non dichiarare le “condanne delle quali è stato ordinato che non si faccia menzione nel certificato a norma dell’articolo 175 del codice penale ”.
In questo senso la giurisprudenza amministrativa aveva quindi puntualmente affermato che: “ il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale previsto dall’art. 175 c.p. fa riferimento solo ai certificati spediti a richiesta dei privati e non a quelli richiesti dalla P.A. e comunque non pone limiti temporali circa la durata dell’iscrizione della condanna " (Cons. Stato, sez. II, 28 aprile 2015, n. 1271).
E ancora: “ Il beneficio della non menzione infatti rileva unicamente nei rapporti tra i privati, ed ha lo scopo di non pregiudicare i profili di onorabilità del condannato nell'ambito sociale, ma non può valere nei rapporti di diritto pubblico intercorrenti con la p.a. Il beneficio stesso non può quindi essere invocato nei rapporti con la p.a., rapporti nei quali vige l'obbligo di rendere tutte le dichiarazioni richieste e specificate come obbligatorie, indipendentemente dalla concessione della non menzione della condanna riportata ” (Cons. Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2010, n. 508).
In definitiva, quantomeno in base alla disciplina al tempo vigente, laddove fosse richiesto di dichiarare le precedenti condanne penali, l’interessato era comunque tenuto a dichiarare anche i decreti penali emessi nei suoi confronti e conseguentemente l’Amministrazione doveva avere la possibilità di verificare la correttezza di tali dichiarazioni, acquisendo dal casellario gli atti necessari.
2.2. Nel caso di specie l’art. 3 del Regolamento comunale richiedeva espressamente come requisito “ di non aver riportato condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia, contro la fede pubblica” e in attuazione di tale disposizione il ricorrente ha dichiarato ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.P.R. di non avere “riportato condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia, contro la fede pubblica … ”.
Pertanto in base all’art. 43 del d.P.R. n. 445 del 2000 non poteva negarsi al Comune il potere di verificare tale dichiarazione, utilizzando anche le visure acquisite dal casellario.
2.3. Il profilo di censura è peraltro infondato in quanto nell’ambito dei rapporti tra pubblica amministrazione e privati non risulta applicabile il principio processuale-penalistico di inutilizzabilità dei mezzi di prova acquisiti in modo irregolare.
3. Infondato è il secondo profilo di censura, contenuto nel primo motivo, con cui la ricorrente lamenta che il decreto penale non integrerebbe una condanna penale ai sensi del Regolamento comunale.
3.1. Come evidenziato dal Comune, nel Regolamento viene richiesto “ di non aver riportato condanne per (...) delitti contro la fede pubblica ”, senza distinguere tra condanne derivanti da sentenze o da decreti penali di condanna.
Inoltre, sino alla novella di cui al d.lgs. 2 ottobre 2018 n. 122, secondo l’indirizzo del tutto prevalente della giurisprudenza amministrativa, ai fini della valutazione dei requisiti di partecipazione il decreto penale di condanna doveva ritenersi equiparato alla sentenza di condanna (Cons, Stato, Sez. III, 23 gennaio 2020, n. 224;Cons. Stato sez. IV, 23 gennaio 2017, n. 261).
4. Infondato è il terzo profilo di censura, contenuto nel primo motivo, con cui la ricorrente assume che l’art. 71 del d.lgs. n. 59 del 2010, attuativo della Direttiva 2006/123/UE, non consentirebbe di escludere dall’esercizio di attività commerciali di vendita e di somministrazione i soggetti condannati con decreto penale per il reato di cui all’art. 483 cod. pen..
4.1. Come rilevato dal Comune, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 59 del 2010 “ Le disposizioni del presente decreto non si applicano ai servizi di trasporto aereo, marittimo, per le altre vie navigabili, ferroviario e su strada, ivi inclusi i servizi di trasporto urbani, di taxi, di ambulanza, nonché i servizi portuali e i servizi di noleggio auto con conducente ”.
Alla fattispecie in esame non sono quindi applicabili né le disposizioni della c.d. Direttiva servizi né quelle di cui al d.lgs. n. 59 del 2010.
5. Infondati sono infine il secondo e il terzo motivo di ricorso con cui parte ricorrente sostiene che il Comune avrebbe dovuto valutare e motivare in relazione alla rilevanza del fatto materiale oggetto di incolpazione.
5.1. Come si è visto era direttamente il Regolamento comunale ad individuare come “ causa di esclusione ” la condanna per un delitto contro la fede pubblica.
E nella fattispecie non solo l’amministratore della società – in carica sino alla scadenza del termine di efficacia dell’autorizzazione -OMISSIS- - era stato oggetto di un decreto penale di condanna, ma la società aveva espressamente dichiarato di essere in possesso dei requisiti di idoneità morale così come previsto dall'art. 3, comma 1, del Regolamento comunale in attuazione alla l.r. n. 63 del 1993 e precisamente di non aver riportato condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia, contro la fede pubblica … ”.
5.2. Nessuna contraddizione sussiste poi tra il diniego di rinnovo impugnato e la decisione di archiviare il procedimento di decadenza delle altre autorizzazioni di cui è titolare la ricorrente.
Nell’archiviare i procedimenti di decadenza delle altre concessioni l’Amministrazione ha infatti operato una interpretazione in bonam partem, al solo fine di circoscrivere i danni che sarebbero derivati alla ricorrente.
6. Il ricorso va pertanto respinto.
Fermo in ogni caso il potere dell’Amministrazione di valutare eventuali nuove istanze della ricorrente, tenendo conto dell’orientamento espresso dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 7855 del 2022, della cessazione della carica dell’amministratore coinvolto e dell’intervenuta estinzione del reato.
7. In ragione della peculiarità della fattispecie e in particolare della complessità del dato normativo sussistono le condizioni per compensare le spese.