TAR Perugia, sez. I, sentenza 2023-10-17, n. 202300557
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Pubblicato il 17/10/2023
N. 00557/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00350/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 350 del 2020, proposto dal signor A A, rappresentato e difeso dall’avvocato G P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via Cesare Balbo n. 26;
contro
l’Agenzia forestale regionale dell’Umbria, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato F D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S M in Perugia, via Manzoni n. 71;
la Regione Umbria, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati T Caselli, Anna Rita Gobbo e Luciano Ricci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avvocatura regionale in Perugia, corso Vannucci n. 30, Palazzo Ajò;
nei confronti
di Sviluppumbria S.p.A., non costituita in giudizio;
per l’annullamento
previa sospensione cautelare,
- del provvedimento di “Intimazione di sgombero” emesso dall’Agenzia forestale regionale dell’Umbria avente il 24.02.2020;
- della presupposta determinazione n. 372 del 8.02.2020;
- di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto e/o connesso e/o conseguente, in quanto lesivo, anche se non ancora conosciuto dal ricorrente negli estremi e nel contenuto,
nonché per l’accertamento
dell’illegittimità dell’inerzia serbata dalla Regione Umbria relativamente alla conclusione del procedimento di alienazione che ha avuto avvio il 13.03.2007 mediante nota in pari data inviata al ricorrente da parte dell’allora società mandataria della Regione Umbria, RES S.p.A. (attualmente Sviluppumbria S.p.A.), relativo ai beni immobili, di proprietà della Regione Umbria, già oggetto di concessione decennale d’uso a favore del ricorrente, con conseguente condanna della Regione Umbria a concludere il procedimento iniziato nel 2007 e mai portato a compimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia forestale regionale dell’Umbria e della Regione Umbria;
Visti gli artt. 35, co. 1, e 85, co. 9, cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2023 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – In data 26.04.2000, i sigg. A A e M A stipulavano con la Comunità montana Monte Peglia e Selva di Meana una concessione d’uso di beni demaniali consistenti in un fabbricato rurale denominato “Casabianca” sito nel Comune di San Venanzo (foglio 3, part. 16, NCT) e nei terreni circostanti (foglio 3, partt. 16, 17, 18, 19, 29, 30 e 40) per la durata di dieci anni con esclusione del rinnovo tacito.
2. – Con lettera raccomandata del 13.03.2007, la società RES S.p.A., per conto della Regione Umbria, comunicava l’avvio del procedimento di alienazione di beni immobili di proprietà della Regione Umbria ai sensi dell’art. 11, c. 2- bis , della legge regionale n. 14/1997 e chiedeva al sig. A di manifestare il suo eventuale interesse all’acquisto dei beni oggetto di concessione.
3. – Con raccomandata del 26.03.2007, i sigg. A e A dichiaravano di essere interessati all’acquisto degli immobili.
4. – Il sig. A riferisce che, nonostante i solleciti inviati, negli anni successivi le amministrazioni a vario titolo coinvolte nella gestione del procedimento di alienazione sarebbero rimaste sostanzialmente inerti.
In data 4.08.2010 la Regione Umbria scriveva al sig. A che a RES S.p.A., originaria incaricata all’alienazione del compendio immobiliare, era succeduta per incorporazione Sviluppumbria S.p.A., che era dunque legittimata a proseguire la procedura di alienazione.
Con nota del 26.05.2011, la Regione comunicava, poi, che la stima dei beni era in fase di predisposizione da parte di Sviluppumbria, la quale era in attesa di acquisire le necessarie informazioni dalla Comunità montana che aveva in gestione la concessione.
5. – Con nota del 30.12.2014, l’Agenzia forestale regionale (AFOR) dell’Umbria, succeduta alla Comunità montana nella gestione del bene, considerata l’occupazione senza titolo dello stesso a partire dal 1.06.2010, non essendo stata rinnovata la precedente concessione, invitava il sig. A ad attestare la propria qualifica di imprenditore agricolo e il limite minimo di superficie come definito dalla legge regionale n. 11/2005 onde poter determinare l’importo del canone da applicarsi ad eventuali nuovi titoli di concessione, avvertendo che in difetto l’Agenzia avrebbe attivato le procedure per la restituzione del fondo rustico.
Precedentemente, con delibera della Giunta comunitaria del 22.02.2011, la Comunità montana aveva approvato i criteri di calcolo dei canoni concessori, precisando che, con riguardo ai rapporti scaduti ed in regime di “tacita prorogatio ”, prima di procedere alla sottoscrizione dei nuovi contratti i concessionari avrebbero dovuto saldare tutti i debiti relativi al contratto pregresso e tutti quelli relativi al periodo tra la scadenza del vecchio contratto e la sottoscrizione del nuovo.
Con lettera raccomandata del 5.04.2015, l’AFOR comunicava al sig. A di aver provvisoriamente quantificato nella somma di € 3.333,63 l’indennizzo dovuto per l’occupazione senza titolo dell’immobile demaniale nel periodo compreso tra il 1.12.2012 e il 31.12.2014, somma così determinata sulla base del canone convenuto nella precedente concessione e salvo conguaglio con le somme che sarebbero state stabilite a titolo di canone con il nuovo contratto.
6. – Infine, con atto del 24.02.2020, notificato il 28.02.2020, l’AFOR, dato atto dell’occupazione senza titolo dei beni dalla data del 1.12.2012 da parte dei sigg. A e A, intimava loro lo sgombero degli stessi.
7. – Con ricorso notificato il 23.06.2020 e depositato il 15.07.2020, il sig. A ha impugnato dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale il provvedimento da ultimo citato e ne ha chiesto l’annullamento, previa sospensione cautelare, per i motivi di seguito sintetizzati.
Con il primo motivo, il sig. A denunzia l’eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità e contraddittorietà rispetto ad atti amministrativi presupposti tra i quali gli atti di programmazione di politica patrimoniale regionale e il Piano attuativo 2007-2009 approvato con delibere di Giunta regionale n. 955/2003 e n. 255/2005, nonché la violazione del principio del legittimo affidamento rispetto all’azione amministrativa: secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato non terrebbe conto della volontà dell’Amministrazione regionale di procedere alla alienazione dei beni manifestata, in particolare, mediante il loro inserimento del Piano attuativo 2007-2009 approvato con le summenzionate delibere di Giunta, che, ai sensi dell’art. 58 del d.l. n. 112/2008, avrebbero determinato la qualificazione degli stessi beni come patrimonio disponibile.
Con il secondo motivo di ricorso, viene denunziata l’illegittimità dell’ingiunzione di sgombero per violazione degli artt. 10 e 11 della legge regionale n. 14/1997, non essendo stato concluso, senza alcuna giustificazione, il procedimento finalizzato all’alienazione del compendio immobiliare.
8. – La Regione Umbria e l’AFOR si sono costituite in giudizio per resistere al ricorso.
8.1. – La Regione, oltre a contestare la fondatezza nel merito delle doglianze articolate dal ricorrente, ne ha eccepito l’inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, ritenendo la controversia appartenente alla cognizione del giudice ordinario. Ha inoltre eccepito l’inammissibilità per difetto di interesse della doglianza relativa alla mancata conclusione del procedimento di alienazione.
8.2. – Anche l’AFOR, oltre ad argomentare sull’infondatezza del ricorso del sig. A, ne ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
9. – Con ordinanza n. 93 del 30 luglio 2020, questo Tribunale ha respinto l’istanza cautelare presentata dal ricorrente.
10. – Con successiva ordinanza n. 196 del 18 aprile 2023, il Tribunale, rilevata la necessità di stabilire la natura dei beni di cui è causa, anche ai fini dello scrutinio delle eccezioni preliminari di inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo formulate dalle parti resistenti, ha ordinato alla Regione Umbria di produrre le deliberazioni della Giunta regionale n. 955/2003 e n. 225/2005 e del Piano attuativo con le stesse approvato, non prodotti dalle parti, nonché di ogni altro atto, presupposto o conseguente, adottato dall’Amministrazione regionale e dai soggetti dalla medesima incaricati in ordine alla alienazione dei beni costituenti oggetto di causa.
11. – Con produzione del 24.07.2023, la Regione Umbria ha depositato le delibere della Giunta regionale n. 955 del 1.07.2003 e n. 225 del 10.02.2005 e gli allegati A, B e C con quest’ultima approvati.
12. – All’udienza pubblica del 10 ottobre 2023, le parti hanno discusso la causa, soffermandosi in particolare sulla questione di giurisdizione.
La Regione Umbria ha chiesto di poter depositare l’inventario dei beni dal quale risulterebbe la natura tuttora indisponibile del compendio immobiliare di cui si controverte. La parte ricorrente si è opposta alla produzione in ragione della sua tardività.
Il collegio si è riservato di decidere sulla ammissione della produzione documentale tardiva ed ha trattenuto la causa in decisione.
13. – La materia della ricognizione e della dismissione dei beni appartenenti agli enti territoriali è oggi disciplinata dall’art. 58 del decreto legge n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008, dedicato, appunto, alla “ Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali ”.
Il primo comma del citato articolo stabilisce che, per procedere al riordino, alla gestione ed alla valorizzazione del patrimonio immobiliare, le regioni, le province e gli altri enti locali e gli enti a totale partecipazione dei predetti, con delibera dell’organo di governo, approvano il piano delle alienazioni e delle valorizzazioni immobiliari, contenente un elenco nel quale sono individuati i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza che non siano strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali e che siano suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione.
Il secondo comma dell’art. 58 precisa che «[ l’ ] inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile, fatto salvo il rispetto delle tutele di natura storico-artistica, archeologica, architettonica e paesaggistico-ambientale ».
14. – Il quadro normativo statale cui si è fatto sopra sommario riferimento è stato sostanzialmente recepito dal legislatore umbro con la legge regionale n. 10/2018. In particolare, l’art. 5 della legge stabilisce che la Giunta regionale approva il Piano annuale delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari, contenente la specificazione delle azioni da porre in essere nell’anno di riferimento per dare attuazione agli indirizzi del Programma triennale di politica patrimoniale del demanio e del patrimonio immobiliare approvato annualmente dal Consiglio ai sensi dell’art. 4 e che il suddetto Piano annuale contiene l’elenco dei beni immobili suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione nel periodo di riferimento e produce gli effetti di cui all’art. 58 del decreto legge n. 112/2008.
15. – C’è peraltro da osservare che già la legge regionale n. 14/1997, vigente all’epoca dell’adozione degli atti deliberativi degli organi regionali che in questa sede rilevano, attribuiva al Consiglio ed alla Giunta competenze sostanzialmente analoghe a quelle di cui ai citati artt. 4 e 5 della vigente legge regionale n. 10/2018.
In particolare, con il Programma di politica patrimoniale, approvato con cadenza triennale ai sensi dell’art. 2 della legge del 1997, il Consiglio regionale era chiamato a dettare gli indirizzi per la predisposizione del Piano attuativo annuale di competenza della Giunta relativamente, tra l’altro, alle dismissioni patrimoniali.
L’art. 9 della legge, poi, attribuiva alla Giunta regionale, tra le altre funzioni, l’accertamento della natura giuridica dei singoli beni immobili e la loro assegnazione ad una delle categorie indicate negli artt. 2 e 3 della legge regionale n. 11/1979 (demanio, patrimonio indisponibile e patrimonio disponibile) e il trasferimento al patrimonio (disponibile) della Regione dei beni di demanio pubblico regionale e dei beni del patrimonio indisponibile che fossero cessati dalla loro destinazione.
16. – Deve poi ricordarsi che, secondo constante giurisprudenza (cfr, da ultimo, Cass. civ., sez. un., 7 aprile 2020, n. 7739), «[ l’ ] art. 829 c.c. del 1942, in continuità con l’art. 429 c.c. del 1865, stabilisce che il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio disponibile dello Stato può essere semplicemente dichiarato dall’autorità amministrativa, con ciò riconoscendo espressamente al provvedimento di declassificazione natura esclusivamente dichiarativa, ossia soltanto ricognitiva della perdita della destinazione ad uso pubblico del bene. Il passaggio del bene pubblico al patrimonio disponibile dello Stato consegue, quindi, direttamente al realizzarsi del fatto della perdita della destinazione pubblica del bene, secondo la c.d. sdemanializzazione tacita, locuzione che evidenzia che la declassificazione prescinde dal provvedimento dell’autorità amministrativa ».
Dunque, la sottrazione dei cespiti al regime dei beni pubblici (demanio e patrimonio indisponibile) può sempre desumersi dalla volontà dell’amministrazione incompatibile con la conservazione del bene all’uso pubblico, pur se risultante da fatti concludenti e da circostanze inequivoche (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 novembre 2011, n. 6338;Id., sez. IV, 7 settembre 2006, n. 5209;più di recente, Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2021, n. 7365;Id., sez. IV, 25 maggio 2018, n. 3143;Id., sez. V, 20 luglio 2016, n. 3273).
17. – Dalla documentazione agli atti del presente giudizio risulta che, con la delibera del Consiglio regionale n. 301 del 5.05.2003, di approvazione del Programma di politica patrimoniale per il triennio 2002/2004, il fabbricato denominato “Casa bianca”, gestito dalla Comunità montana Monte Peglia e Selva di Meana, non veniva incluso negli elenchi dei fabbricati da mantenere in proprietà, ma ricompreso tra quelli da destinare a programmi di valorizzazione e/o dismissione e messa a reddito.
Con le delibere n. 955 del 1.07.2003 e n. 225 del 10.02.2005, la Giunta regionale approvava il Piano attuativo annuale, nel quale il compendio denominato “Casa bianca” ubicato nel Comune di San Venanzo e gestito dalla Comunità montana Monte Peglia, costituito da due fabbricati rurali (granaio e abitazione rurale con ricovero animali, rimessa attrezzi e magazzino), coerentemente con il Programma di politica patrimoniale approvato dal Consiglio regionale, veniva ricompreso nell’allegato A del Piano e contrassegnato come edificio rurale da alienare, unitamente all’area di sedime ed ai terreni di pertinenza.
Con la delibera n. 955 del 1.07.2003, inoltre, veniva espressamente disposto « di trasferire i beni da alienare, così come individuati dal Piano attuativo annuale, dal patrimonio indisponibile al patrimonio disponibile della Regione Umbria ».
Con la successiva delibera del Consiglio regionale n. 108 del 24.07.2007, venivano apportate alcune modifiche agli elenchi contenuti nel Programma di politica patrimoniale già approvato con la delibera n. 301 del 2003, che però non riguardavano il compendio denominato “Casa bianca”, il quale dunque rimaneva tra i fabbricati destinati all’alienazione.
18. – Con i suddetti atti deliberativi, adottati nella vigenza della citata legge regionale n. 14/1997, la Regione Umbria ha inequivocabilmente riconosciuto che i beni di cui si controverte non sono strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali e ha deciso di procedere alla loro alienazione, disponendone espressamente il trasferimento dal patrimonio indisponibile al patrimonio disponibile regionale.
Per effetto delle succitate delibere regionali, ai beni in questione ed alla loro tutela non può che applicarsi il regime del patrimonio disponibile.
Al riguardo, la produzione documentale di cui la Regione Umbria ha chiesto l’ammissione nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2023 sarebbe del tutto ininfluente, giacché all’inventario dei beni del patrimonio indisponibile potrebbe riconoscersi valore meramente ricognitivo, ma le sue risultanze non potrebbero portare a negare gli effetti delle espresse determinazioni sopra ricordate degli organi di governo della Regione Umbria. Dunque, anche al di là dell’inammissibilità della documentazione di cui la difesa regionale ha tardivamente chiesto l’ammissione, la stessa non potrebbe comunque essere utilmente invocata per negare la natura disponibile dei beni di cui si controverte.
Né assume rilevanza, per i fini che qui interessano, la circostanza del mancato perfezionamento dell’alienazione ai sensi dell’art. 11, co. 2- bis , della legge regionale n. 14/1997. La disposizione appena citata, infatti, fa parte delle norme dedicate dalla legge regionale del 1997 alla fase della vendita dei beni, che segue e non precede logicamente e cronologicamente quella del passaggio degli stessi al patrimonio disponibile. Dunque, il mancato perfezionamento della vendita non può condizionare il passaggio, già avvenuto, al patrimonio disponibile.
19. – Tirando le fila di quanto fin qui considerato, deve dunque concludersi che all’epoca dell’adozione e della comunicazione ai sigg. A e A dell’intimazione di sgombero del 24.02.2020, della cui legittimità si controverte nel presente giudizio, i beni che ne costituivano oggetto soggiacevano già, per effetto delle deliberazioni sopra ricordate, al regime del patrimonio disponibile regionale.
20. – Da quanto sopra considerato discende l’accoglimento dell’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sollevata dalle Amministrazioni resistenti.
Infatti, come ritenuto da più che consolidata giurisprudenza, gli atti posti in essere dall’amministrazione in relazione alla gestione ed alla tutela di beni del patrimonio disponibile di proprietà di un ente pubblico non possono ritenersi riconducibili all’esercizio di un potere autoritativo (potere attribuito dall’ art. 823 c.c. solo con riferimento ai beni demaniali e ai beni patrimoniali indisponibili degli enti pubblici), bensì all’espletamento di attività privata di autotutela del patrimonio immobiliare posta in essere iure privatorum , con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulle relative controversie (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. I, 25 ottobre 2022, n. 2329).
Tali conclusioni valgono, in particolare, per l’intimazione di sgombero di immobili facenti parte del patrimonio disponibile dell’ente territoriale (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 27 gennaio 2023, n. 200;TAR Campania, Napoli, sez. IV, 4 dicembre 2020, n. 5826;Id., 5 ottobre 2020, n. 4204), trattandosi di atto di diffida a fronte del quale si configurano solo posizioni di diritto soggettivo, emesso nell’ambito di un rapporto paritetico, non potendo disporre l’amministrazione della tutela in via amministrativa che, ai sensi dell’art. 823, co. 2, cod. civ., le compete solo in relazione ai beni del demanio.
21. – Peraltro, nell’ambito del procedimento di formazione dell’elenco dei beni alienabili di cui all’art. 58, co. 5, del citato decreto legge n. 112/2008, la giurisdizione del giudice amministrativo è stata riconosciuta solo in relazione alla tutela dell’interesse differenziato ad opporsi alla decisione, di contenuto autoritativo e dispositivo, di ritenere il bene non strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente proprietario e di volerlo di conseguenza alienare, disponendo in tale caso l’amministrazione di un bene pubblico contro l’opposto interesse, collettivo o individuale, dei cittadini (cfr. TAR Puglia, Bari, sez. III, 17 aprile 2014, n. 531), fattispecie che qui non ricorre, essendo in contestazione, come si è visto, l’intimazione di sgombero dell’immobile già trasferito dall’Amministrazione regionale al proprio patrimonio disponibile.
22. – In conclusione, il ricorso del sig. A deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, spettando la relativa potestas iudicandi al giudice ordinario, dinnanzi al quale la causa potrà essere riproposta nei termini di cui all’art. 11, co. 2, cod. proc. amm., con salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda.
23. – La particolarità delle questioni trattate e le difficoltà incontrate nella ricostruzione della vicenda e del relativo iter procedimentale inducono il collegio a ritenere giustificata la compensazione delle spese di lite tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere su di esse con riguardo alla parte non costituita.