TAR Bari, sez. I, sentenza 2010-08-17, n. 201003403
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N. 03403/2010 REG.SEN.
N. 01499/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1499 del 2009, proposto dalla G Pa, rappresentata e difesa dagli avv.ti A A e S B, con domicilio eletto in Bari, corso Mazzini, 134/B;
contro
il Comune di Cassano delle Murge;
per l'accertamento e la dichiarazione,
previa adozione di misure cautelari,
del diritto della società ricorrente alla restituzione dei suoli di sua proprietà ed oggetto di decreto di occupazione di urgenza n. 134/1993 per la realizzazione d’infrastrutture nella zona P.I.P., ubicati nell’agro di Cassano Murge, indicati nel foglio di mappa catastale 28, particelle nn. 1458 (ex 260/A) e 1460 (ex 1185/A), a causa 1) dell’illegittimità dell’occupazione e trasformazione degli stessi derivante dall’inutile decorso ultimo del termine quinquennale dell’occupazione di urgenza senza la tempestiva emanazione del relativo decreto di esproprio nonché 2) dell’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità di cui alla deliberazione di G.M. n. 666/1992, giusta decisione del Consiglio di Stato n. 7762/2006, con conseguente condanna alla restituzione dei suoli in oggetto da parte del Comune di Cassano Murge ed al risarcimento dei danni verificatosi nelle more a causa di tale illegittima occupazione maggiorato di interessi e rivalutazione e/o, in via gradata e ove non sia riconosciuto il diritto alla restituzione, per il risarcimento dei danni per equivalente commisurato al controvalore dell’immobile derivante dall’illegittima occupazione ed irreversibile trasformazione del suolo della società ricorrente, per i motivi sopra evidenziati, ivi compresi i relitti non più utilizzabili, il tutto maggiorato d’interessi e rivalutazione, nonché, comunque ed in ogni caso, per l’accertamento del diritto della società ricorrente ad ottenere l’indennità prevista per legge per il periodo di occupazione legittima e per la conseguente condanna al relativo pagamento congiuntamente agli interessi legali nelle more maturati;con il connesso accertamento e/o la declaratoria d’inesistenza, inefficacia e/o nullità e comunque per l'annullamento del decreto del Comune di Cassano Murge n. 25 del 2.10.1998, con il quale è stata pronunciata l’espropriazione ed è stata autorizzata l’occupazione permanente di immobili, tra i quali il fondo di proprietà della società ricorrente e di ogni altro provvedimento antecedente, connesso e/o conseguente;con conseguente pronunzia di condanna nei confronti della intimata Amministrazione per tutte le causali sopraindicate;il tutto anche in riassunzione del giudizio civile inter partes definito con sentenza del Tribunale di Bari, sezione distaccata di Acquaviva, n. 90/2009 comunicata il 6.6.2009.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2010 il cons. G A e udita l’avv. A A;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società G Pa premette di aver agito nel 1998 dinanzi al Tribunale di Bari - Sezione distaccata di Acquaviva delle Fonti - per richiedere il risarcimento del danno per illegittima occupazione di un’area di sua proprietà, sita nel territorio di Cassano Murge, di estensione pari a mq 1997, urbanisticamente destinata ad accogliere impianti industriali e produttivi e, in particolare, trasformata in strada al servizio di tale comprensorio. Nell’ambito della relativa procedura, era stato emanato il decreto di espropriazione 2 ottobre 1998 n. 25, ma, come denunciato dalla società proprietaria, esso era tardivo, perché intervenuto oltre i cinque anni di durata dell’occupazione (disposta con decreto n. 134/1993, seguito dall’immissione in possesso in data 29 aprile 1993). L’adito Tribunale civile, con sentenza 14 maggio 2009 n. 90, ha però declinato la giurisdizione, trattandosi di “occupazione appropriativa”.
Nelle more, il Consiglio di Stato, quarta Sezione, con decisione 21 dicembre 2006 n. 7762, pronunciata su ricorso di altri proprietari, aveva intanto annullato la dichiarazione di pubblica utilità, precisando peraltro che “L’illegittimità della delibera impugnata travolge poi conseguentemente anche gli impugnati decreti di occupazione d’urgenza”.
Il legale rappresentante della G Pa aveva poi in proprio, quale titolare di altre particelle limitrofe, impugnato il medesimo decreto di espropriazione n. 25/1998 dinanzi al T.A.R., che, con sentenza della terza Sezione, 17 settembre 2008 n. 2131, lo aveva dichiarato illegittimo e nullo.
Con il ricorso in epigrafe, notificato il 19 settembre 2009 e depositato il 3 ottobre 2009, anche in conseguenza della piena operatività della cosiddetta translatio iudicii dinanzi al giudice amministrativo (alla stregua delle sentenze della Corte di cassazione, sezione civile, 22 febbraio 2007 n. 4109 e della Corte costituzionale 12 marzo 2007 n. 77, poi recepite dall’articolo 59 dalla legge 18 giugno 2009 n. 69), la società chiede la restituzione dei suoli occupati e, in via subordinata, il risarcimento dei danni per equivalente, e comunque l’accertamento e la declaratoria dell’inesistenza, inefficacia o nullità, ovvero l’annullamento del decreto di espropriazione sopra individuato.
Precisa inoltre di aver presentato istanza al Comune di Cassano Murge, in data 4-7 luglio 2009, per ottenere la restituzione del bene, ma l’Amministrazione non ha risposto, né ha provveduto all’acquisizione sanante ex articolo 43 del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327.
L’istante quantifica poi il danno determinato dall’illegittima occupazione nel 20% annuo del valore dell’area, sulla base della stima effettuata dal C.T.U. nominato in sede civile.
2. Nell’esame del ricorso, stante il precedente procedimento dinanzi al Giudice civile, si deve innanzi tutto richiamare il principio, espresso dall’articolo 386 del codice di procedura civile e valutato dalla Corte costituzionale conforme a Costituzione, che “la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”. È pacifico che il giudice amministrativo, innanzi al quale il processo venga radicato a seguito della declinatoria della giurisdizione del giudice ordinario ovvero di statuizione delle Sezioni unite, è vincolato a ritenere salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta innanzi al giudice incompetente (giurisdizionalmente), ma è libero di valutare se la domanda sia innanzi a sé proponibile.
Per quanto riguarda il problema della condizione di proponibilità innanzi al giudice amministrativo rappresentata dal rispetto del termine di decadenza, ove a proseguire innanzi a detto giudice sia un processo originariamente radicato innanzi al giudice ordinario, deve escludersi che il T.A.R. possa semplicemente respingere in rito la domanda perché a lui sottoposta (in trasmigrazione) oltre il termine di decadenza;in tal modo risulterebbe frustrato e in sostanza svuotato di significato lo stesso principio della salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda originariamente formulata innanzi a giudice privo di giurisdizione.
Deve ritenersi invece che il giudice amministrativo (quale giudice del giudizio innanzi a sé trasmigrato) debba valutare, anche sotto il profilo del rispetto del termine decadenziale, se le preclusioni e le decadenze si siano eventualmente prodotte all’interno del processo sfociato nella declinatoria della giurisdizione, salvo sempre il potere di riconoscere l’errore scusabile in cui il ricorrente potrebbe essere incorso nel prescegliere il giudice d’adire e, di conseguenza, il rito da osservare. Scusabilità che si connette alle stesse pronunce delle Sezioni unite e della Corte costituzionale, le quali fondano l’affermazione della regola di salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta al giudice di cui sia riconosciuta l’incompetenza giurisdizionale, sulla constatazione del “diffuso disagio” derivante dall’incertezza e dalle altalenanti posizioni in giurisprudenza circa il riparto tra le giurisdizioni del giudice ordinario e di quello amministrativo.
In concreto, il ricorso della G Pa in ogni caso non può reputarsi tardivo, in quanto l’atto di citazione davanti al Tribunale civile di Bari è stato notificato il 19 novembre 1998, per contestare il decreto di esproprio notificatole il 21 ottobre 1998, e dinanzi al giudice amministrativo è stato riassunto nel termine di 6 mesi dalla sentenza civile del 14 maggio 2009, ovvero con notifica del 19 settembre 2009. Ciò significa che l’onere è stato assolto nei limiti temporali imposti dall’articolo 50 del codice di procedura civile (analogicamente applicabile, come affermato dal Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3969, e dal T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 2 febbraio 2010 n. 1014), nella versione a cui deve farsi riferimento, ratione temporis .
D’altra parte, anche a voler considerare il sopravvenuto articolo 59 della legge 18 giugno 2009 n. 69, che ha introdotto una nuova disciplina della translatio iudicii , deve ragionevolmente escludersi che alla data di notifica del ricorso potesse essere spirato il termine perentorio previsto dalla norma (tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia che declina la giurisdizione).
Altra questione che non può ignorarsi, sempre in relazione al principio espresso dall’articolo 386 del codice di procedura civile, é quella dell’identità dell’azione proposta dinanzi al giudice amministrativo rispetto a quella già formulata innanzi al giudice ordinario;anche in quest’ipotesi, la verifica non può essere effettuata secondo un rigido criterio di esame del petitum e della causa petendi , che comporterebbe nella normalità dei casi un rigetto in rito, con la seguente vanificazione della finalità dell’operatività della translatio iudicii , come riconosciuta dalla Corte di cassazione, dalla Corte costituzionale ed infine dal legislatore ordinario, con la legge n. 69/2009.
Al proposito occorre invece rammentare che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 30 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 sulla base del principio per il quale “l’intero sistema giurisdizionale ha la funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi”, così che la pluralità dei giudici (ordinari e speciali) “non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale”. Ciò comporta che nella tutela richiesta abbia prevalente rilievo non tanto la domanda individuata alla stregua dei tradizionali criteri (e quindi con rilievo essenziale del petitum ), quanto la domanda nel suo complessivo significato, ossia l’atto in sé di chiedere la protezione giurisdizionale di una propria situazione giuridica soggettiva, di cui si prospetti la lesione per determinati motivi, secondo un percorso già delineato dalla Cassazione, Sez. un., 28 febbraio 2007 n. 4636, che ha richiamato l’attenzione sulla centralità del principio (strumentale) di concentrazione delle diverse tutele, risultante dal combinato disposto degli articoli 111 e 24 della Costituzione. Deve infatti ritenersi che “la costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo imponga all'interprete una nuova sensibilità ed un nuovo approccio interpretativo, per cui ogni soluzione che si adotti nella risoluzione di questioni attinenti a norme sullo svolgimento del processo, deve essere verificata non solo sul piano tradizionale della sua coerenza logico concettuale, ma anche, e soprattutto, per il suo impatto operativo sulla realizzazione di detto obiettivo costituzionale” (in seguito: Cassazione civile, Sez. un., 24 giugno 2009 n. 14805;ord. 10 febbraio 2010, n. 2906).
In definitiva, la ricorrente, in conseguenza dell’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità e della declaratoria di nullità del decreto di espropriazione che già in sede civile aveva denunciato, sotto la veste di nullità per carenza di potere in concreto, chiede la restituzione di suoli e il risarcimento per l’illegittima occupazione degli stessi.