TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2013-11-15, n. 201309800
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N. 09800/2013 REG.PROV.COLL.
N. 04666/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4666 del 2011, proposto da:
Y H W, rappresentato e difeso dagli avv. S C, V O, con domicilio eletto presso V O in Roma, via A. Calderara, 41;
contro
Ministero Dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
rigetto domanda di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9 co. 1 lett a) l. 91/92
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero Dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2013 il dott. Cecilia Altavista e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, cittadino cinese, ha presentato, il 10 febbraio 2006, domanda per la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’articolo 9 comma lettera f) della legge n. 91 del 1992, in quanto residente in Italia da più di dieci anni.
La Amministrazione, rilevando a carico del richiedente un decreto penale di condanna pronunciato nel 2005 per violazione dell’articolo 186 comma 2 del codice della strada ( guida in stato di ebbrezza), in considerazione anche del particolare allarme sociale provocato da tale reato e a tutela della incolumità dei cittadini, ha respinto la domanda con decreto del 5 gennaio 2011.
Avverso tale provvedimento è stato proposto il presente ricorso per i seguenti motivi:
violazione ed errata interpretazione dell’articolo 6 della legge n. 91 del 5 febbraio 1992 e della legge n. 94 del 2009;dell’articolo 3 del d.p.r. 362 del 1994 e dell’articolo 8 comma 2 della legge n. 91 del 1992.
Si è costituito il Ministero dell’Interno depositando documentazione.
All’udienza pubblica del 9 luglio 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione delle norme in materia di cittadinanza , in quanto il reato per il quale è stato pronunciato il decreto penale non sarebbe espressamente previsto quale causa ostativa alla concessione della cittadinanza dall’articolo 6 della legge n. 91 del 1992 e il decreto penale non avrebbe gli stessi effetti delle altre pronunce di condanna.
Tali argomentazioni non sono suscettibili di accoglimento.
Ai sensi dell’articolo 9 comma 1 lettera f) della legge n. 91 del 1992, la cittadinanza italiana può essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.
Anche in mancanza delle cause ostative indicate dall’articolo 6 della medesima legge( condanne per specifici reati e motivi inerenti alla sicurezza nazionale), si tratta, quindi, di un provvedimento ampiamente discrezionale.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale, tale discrezionalità si esplica in un potere valutativo circa la avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto molteplici profili.
In particolare, la discrezionalità non può che tradursi in un apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta.
(Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;Cds VI n. 52 del 10 gennaio 2011 Cds Sez. VI, sent. n. 282 del 26 gennaio 2010;Tar Lazio sez seconda quater n.5665 del 19 giugno 2012 ;n. 3547 del 18 aprile 2012).
La giurisprudenza, anche di questa sezione, si è già molte volte pronunciata circa la legittimità della valutazione da parte dell’Amministrazione di precedenti penali diversi da quelli che costituiscano cause ostative ai sensi dell’articolo 6 ed, in particolare, del reato di guida in stato di ebbrezza ( Tar Lazio sezione II quater n. 5574 del 2013;n. 7723 del 2012).
Inoltre, è stata considerata, altresì, legittima, la valutazione quale fatto storico di un reato anche già dichiarato estinto (Tar Lazio seconda quater n. 3547 del 18 aprile 2012).
Le valutazioni finalizzate all'accertamento di una responsabilità penale si pongono, infatti, su di un piano assolutamente differente ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell'adozione di un provvedimento amministrativo con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possono valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali (Tar Lazio sez seconda quater n. 7723 del 2012).
Da tale quadro giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ritiene vi siano elementi per discostarsi nel caso di specie, emerge la legittimità della valutazione dell’Amministrazione che ha considerato un decreto penale per guida in stato di ebbrezza incompatibile con quella irreprensibilità della condotta che è richiesta allo straniero per la concessione della cittadinanza.
Infatti, l'inserimento dello straniero nella comunità nazionale è considerato legittimo quando l'Amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare inconvenienti o, addirittura, commettere fatti di rilievo penale ( Tar Lazio seconda quater n. 12568 del 2009).
Nel caso di specie , si deve considerare che il reato di guida in stato di ebbrezza effettivamente provoca un forte allarme sociale ed è, pur se non grave con riferimento alla pena edittale, connotato da un particolare disvalore rispetto ai principi fondamentali della convivenza all’interno dello Stato e posto come tutela anticipata della pubblica incolumità.
Pertanto la valutazione operata dall’Amministrazione non appare né illogica né irragionevole.
Né si può ravvisare un vizio della motivazione nel riferimento operato dall’Amministrazione all’inasprimento delle pene per tali reati operato con la legge n. 94 dell’8 agosto 2009.
E’ evidente, infatti, che tale norma non è applicabile al ricorrente rispetto alla fattispecie penale, ma, in maniera legittima, è stata considerata dall’Amministrazione quale indice della particolare considerazione di gravità del reato nel “comune sentire” della collettività nazionale, elemento determinante nella valutazione di opportunità circa la concessione della cittadinanza italiana.
Sotto tali profili, non sussistono, dunque, denunciati vizi di legittimità del provvedimento impugnato.
Con ulteriore profilo di censura la difesa ricorrente lamenta il superamento dei termini di conclusione del procedimento, con conseguente attribuzione della titolarità di un diritto soggettivo all’acquisto della cittadinanza in capo allo straniero, in relazione alla natura perentoria di tale termine prevista dall’articolo 8 della legge n. 91 del 1992.
Tale motivo di ricorso è, all’evidenza, infondato.
La disposizione dell’articolo 8 comma 2 della legge n. 91 del 1992, per cui l'emanazione del decreto di rigetto dell'istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza stessa, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di due anni, si riferisce esclusivamente alla istanza presentata dal coniuge di un cittadino italiano, ai sensi dell’articolo 5 della medesima legge. A tale fattispecie si riferisce, infatti, l’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla difesa ricorrente.
La domanda di concessione della cittadinanza, ai sensi dell’articolo 9 comma 1 lettera f) della legge n.91 del 1992, non prevede, invece, alcuna perdita del potere di provvedere da parte dell’Amministrazione, a seguito della scadenza del termine di conclusione del procedimento.
Il mancato rispetto del termine di settecentotrenta giorni per la conclusione del procedimento legittima solo il ricorso al giudice amministrativo per la dichiarazione dell’obbligo di provvedere dell’Amministrazione con un provvedimento espresso ( Tar Lazio sez seconda quater n.1171 del 2012;n. 4021 del 2012;n. 4369 del 2013).
Ne deriva che alcuna particolare posizione di diritto soggettivo all’acquisto della cittadinanza può ravvisarsi in capo al ricorrente.
In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.
In considerazione della peculiarità della materia in questione, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.