TAR Napoli, sez. II, sentenza 2020-07-06, n. 202002893

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. II, sentenza 2020-07-06, n. 202002893
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202002893
Data del deposito : 6 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/07/2020

N. 02893/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02885/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2885 del 2019, proposto da
G M, rappresentata e difesa dagli avvocati E L, A L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Azienda Ospedaliera Universitaria della Campania L V, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato S N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

della Delibera del Direttore Generale n. 552 del 29 aprile 2019, nella parte in cui il nominativo della sig.ra M G non è stato inserito nell'atto di ricognizione per la Procedura di stabilizzazione di cui all'art. 20, commi 1 e 2, D. Lgs. n. 75/2017 del personale precario dell'Azienda Ospedaliera Universitaria “L V” e, in particolare, tra il personale in regime di CO.CO.CO. avente diritto all'ammissione alla procedura di stabilizzazione di cui al comma 2 dell'art. 20 citato e di ogni altro atto o provvedimento preordinato, connesso e conseguente, se e in quanto lesivi dei diritti della ricorrente, ivi inclusi quelli richiamati nella epigrafe della impugnata delibera;

nonché perla condanna al

il risarcimento di tutti i danni conseguenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Ospedaliera Universitaria della Campania L V;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 giugno 2020 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. 18/20, conv. nella l. 27/20;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe, la ricorrente impugna la Delibera del Direttore Generale n. 552 del 29 aprile 2019, nella parte in cui il suo nominativo non è stato inserito nell’atto di ricognizione per la Procedura di stabilizzazione di cui all’art. 20, commi 1 e 2, D. Lgs. n. 75/2017 del personale precario dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “L V.

2. Espone, in punto di fatto:

- di essere stata titolare di contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.), ai sensi dell’art. 7, comma 6, D. Lgs. n. 165/2001 e successive integrazioni e modificazioni, prestando servizio, nella qualità di “tecnico di laboratorio biomedico” dapprima presso il D.A.I. dell’Università degli Studi di Napoli “F I” ( dall’1 ottobre al 15 novembre 2008, dall’1 al 30 novembre 2009 e dall’1 al 28 febbraio 2010) e successivamente presso l’Azienda resistente;

- in data 1 agosto 2012, stipulava, infatti, un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con l’Azienda resistente, con scadenza 31.12.2012;
contratto che veniva prorogato, senza soluzione di continuità, sino al 30 giugno 2015, con le seguenti cadenze:

- dal 01/01/2013 al 31/12/2013 (D.D.G. n. 668 del 05/08/2013);

- dal 01/01/2014 al 30/06/2014 (D.D.G. n. 1047 del 30/12/2013);

- dal 01/07/2014 al 30/06/2015 (D.D.G. n. 673 del 04/07/2014).

- di aver goduto, in costanza di rapporto di lavoro, dei cinque mesi di astensione obbligatoria per maternità dal 4 maggio al 4 ottobre 2015 – periodo per il quale percepiva la relativa indennità – e di essere stata richiamata in servizio per altri due mesi dal 5 ottobre al 4 dicembre 2015;

- a far data dal 5 gennaio 2016 e fino ad oggi la ricorrente ha continuato a prestare servizio presso la medesima UOC, con le stesse mansioni e profilo professionale, seppur con contratto di somministrazione stipulato con l’Agenzia per il lavoro “Randstad Italia S.p.A.”, come da certificazione in atti;

- con Delibera del Direttore Generale n. 795 del 27 luglio 2018, l’A.O.U., al fine di stabilire i requisiti minimi per l’accesso del personale precario alle procedure di stabilizzazione di cui all’art. 20, comma 2, D. Lgs. n. 75/2017, precisava che le procedure concorsuali per la stabilizzazione erano riservate al personale non dirigenziale che possedesse tutti i seguenti requisiti:

- essere titolare, successivamente alla data in entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, e precisamente il 28.08.2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l'amministrazione che bandisce il concorso;

- aver maturato, alla data del 31.12.2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l'amministrazione che bandisce il concorso”.

- essere in servizio alla data di entrata in vigore della legge 124 del 2015 ovvero al 28 agosto 2015, presso l’amministrazione procedente;

- veniva inoltre precisato che: “ il periodo di tempo nel quale devono essere maturati i tre anni ricadono dall’1.01.2010 al 31.12.2017;
i tre anni possono essere anche non continuativi e presso diverse amministrazioni del SSN e presso diversi enti e IRCCS anche di altra regione;
gli anni utili al fine della maturazione del requisito dei tre anni ricomprendono tutti i rapporti di lavoro prestati direttamente con l’amministrazione, anche con diverse tipologie di contratto flessibile;
sono esclusi dal processo di stabilizzazione per le borse di studio, i contratti di somministrazione di lavoro presso le PP.AA., il personale in assegnazione temporanea ex art. 42 Bis D.Lgs 165/01, il personale convenzionato con il SSN
”;

- la ricorrente, in data 1 marzo 2019, presentava istanza per l’inserimento nell’elenco del personale avente diritto alla partecipazione al procedimento di stabilizzazione, istanza presentata anche da due colleghe (Carmela I e Maria Lourdes M), titolari del medesimo contratto di co.co.co. della medesima durata, con il medesimo profilo professionale di “tecnico di laboratorio biomedico” e presso la medesima U.O.C;

- con Delibera del Direttore Generale n. 552 del 29 aprile 2019, impugnata nel presente giudizio, l’A.O.U., nel determinare, in via definitiva, le unità di personale aventi diritto all’ammissione alle procedure di stabilizzazione di cui all’art. 20, comma 1 e 2, D. Lgs. n. 75/2017, ha omesso di inserire il nominativo della ricorrente, comprendendo invece quelli delle due ex colleghe I C e M M L.

3. Tanto premesso, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di doglianza:

1) Violazione artt. 7, 8 e 10 bis della legge n. 241/90. Assenza di istruttoria, in quanto l’A.O.U. non avrebbe inviato alla ricorrente alcuna comunicazione prima della pubblicazione della Delibera n. 552 del 29 aprile 2019 impugnata;

2) Violazione degli artt. 24 e 11 della costituzione;
violazione e falsa applicazione dell’art. 3 legge n. 241/90.eccesso di potere per assenza di motivazione
, poiché la Delibera del Direttore Generale dell’A.O.U. n. 552 del 29 aprile 2019 mancherebbe di specifica motivazione riferibile alla posizione della ricorrente, nonostante le colleghe della ricorrente, I C e M M L, siano state incluse nell’elenco in questione pur avendo i suoi stessi requisiti (profilo professionale, U.O.C. di assegnazione, tipologia di contratto flessibile, durata del contratto).

3) violazione dell’art. 20, comma 2, d. lgs. 75/2017, dell’art. 66, comma 1, d. lgs. 276/2003, degli artt. 22, comma 3, e 64 d. lgs. 151/2001. travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità, manifesta irrazionalità.

La ricorrente vantava alla data di presentazione della domanda ( 1 marzo 2019) tutti i requisiti per la stabilizzazione, in quanto la stessa, in virtù della stipula, in data 1 agosto 2012, di un contratto di co.co.co con l’allora Azienda Ospedaliera Universitaria della Seconda Università degli Studi di Napoli (oggi A.O.U. Università degli Studi della Campania L V), successivamente prorogato, svolgeva: 5 mesi di lavoro da agosto a dicembre dell’anno 2012, 12 mesi di lavoro da gennaio a dicembre dell’anno 2013, 12 mesi di lavoro da gennaio a dicembre dell’anno 2014, 6 mesi di lavoro da gennaio a giugno 2015 (comprensivo del periodo di astensione obbligatoria per maternità per i mesi di maggio e giugno) e infine 2 mesi di lavoro dal 4 ottobre al 4 dicembre 2015, per un totale, quindi, di 37 mesi maturati entro il 31 dicembre 2017 negli ultimi otto anni presso la medesima amministrazione.

Ai sensi dell’art. 22, comma 3. D.lg. 151/200, infatti, i periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie.

Inoltre, la ricorrente successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 (28.08.2015) risultava titolare di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso, per due ordini di motivazioni: l’astensione per gravidanza non interrompe il rapporto di lavoro e il rapporto di lavoro di co.co.co riprendeva, all’esito del periodo di astensione obbligatoria, tant’è che la ricorrente rientrava in servizio il 5 ottobre fino al 4 dicembre 2015.

Infine, la ricorrente, prima dell’1 agosto 2012, era stata titolare di contratti di lavoro flessibile con il D.A.I. F I e tali periodi di lavoro vanno comunque considerati ai fini nell’anzianità di servizio richiesta dall’art. 20, comma 2, D. Lgs. n. 75/2017, almeno quello intercorso per il mese di febbraio 2010.

4). Violazione dell’art. 66, comma 3, d. lgs. 276/2003 e dell’art. 4 d. m. 12 luglio 2007. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità, manifesta irrazionalità in quanto la gravidanza, diversamente dalla malattia e/o dall’infortunio, comporta una proroga “de iure” del rapporto di lavoro di 180 giorni. Essa va comunque computata nell’anzianità di servizio maturata dalla sig.ra M G almeno sino al 31 dicembre 2017, con l’abbondante superamento, ancora una volta, dei 36 mesi di lavoro flessibile.

5) violazione dell’art. 25 d. lgs. 198/2006, dell’art. 15 direttiva comunitaria 54/2006 e dell’art. 97 cost ., in quanto, la proroga del contratto di lavoro non è stata concessa alla ricorrente, verosimilmente perché in astensione obbligatoria per gravidanza a far data dal 4 maggio fino al 4 ottobre 2015, seppur mai sostituita da altro personale. Tale comportamento integrerebbe una forma di discriminazione posta in essere dall’A.O.U. convenuta in danno della sig.ra M G sanzionabile ai sensi dell’art. 25 d. lgs. 198/2006, oltre che dall’art. 97 Cost. per violazione del principio di imparzialità.

4. Si è costituita l’azienda ospedaliera, la quale ha depositato una memoria difensiva nella quale ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito e l’inammissibilità del ricorso perché, ai sensi dell’art. 20, comma 2, l’atto in questione avrebbe natura meramente ricognitiva e pertanto non avrebbe effetti immediatamente lesivi. Una eventuale efficacia lesiva (da far valere dinanzi al giudice ordinario), potrebbe, secondo l’Azienda, essere configurabile solo in relazione a un provvedimento (eventuale e futuro) che, nell’ambito della procedura concorsuale, negasse alla ricorrente la possibilità di avvalersi della riserva dei posti.

L’Azienda ha quindi eccepito l’inammissibilità del gravame anche con riferimento alla mancata notifica ad almeno uno dei controinteressati.

Nel merito, ha chiesto il rigetto del ricorso perché infondato.

In particolare, ha rilevato che il provvedimento in questione, in riferimento alle procedure che dovranno essere indette ai sensi dell’art. 20, comma 2, è teso solo a individuare il personale in servizio presso l’Azienda con contratti di lavoro flessibile che potrà partecipare alle procedure de quibus. Non essendo, ad oggi, la ricorrente dipendente dell’Azienda resistente (ma lavorando solo sulla base di un rapporto di lavoro interinale intercorrente, da un lato, tra l’Azienda e la Randstad Italia e, dall’altro, tra quest’ultima e la ricorrente) la stessa non sarebbe mai potuta essere inserita nell’elenco de quo che riguarda solo il personale attualmente in servizio e alle dipendenze (quindi, con un contratto di lavoro con la AOU Vanvitelli) della azienda resistente.

5. All’udienza camerale del 23/07/2019, parte ricorrente ha rinunciato alla sospensiva, in previsione di una sollecita fissazione nel merito.

L’Azienda resistente ha depositato memorie ex art. 73 c.p.a. e repliche al fine di ulteriormente argomentare le proprie difese.

L’udienza pubblica del 10.3.2020 è stata rinviata ai sensi dell’art 3 comma 1 D.l. 8 marzo 2020 n. 11.

In vista dell’odierna udienza, la ricorrente ha depositato in data 3 giugno 2020 note d’udienza corredate da richiesta istruttoria. Anche l’Azienda resistente ha depositato note di udienza insistendo per la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

All’odierna udienza, la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. 18/20, conv. nella l. 27/20.

6. Occorre preliminarmente esaminare le plurime eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Azienda resistente.

6.1. Quanto alla dedotta carenza di giurisdizione del giudice adito, osserva il Collegio che il provvedimento impugnato ha ad oggetto una ricognizione dei soggetti aventi diritto alle procedure di stabilizzazione ex art. 20 commi 1 e 2 del d.lgs. n. 75 del 25.5.2017. Tuttavia, per quanto attiene alla procedura di stabilizzazione cui ambisce la ricorrente, per la posizione di tecnico di laboratorio, assieme alle colleghe I e M, essa è qualificata nella stessa delibera impugnata come adottata ai sensi dell’art. 20, comma 2, legge citata.

Ora, in tema di giurisdizione, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che sia devoluta alla giurisdizione del Giudice Ordinario la cognizione della controversia relativa ad una procedura di stabilizzazione del personale precario espletata ai sensi dell'art. 20, comma 1, d.lgs. 75/2017, non venendo in rilievo - nella fattispecie - valutazioni comparative di natura concorsuale, ma la mera verifica, di carattere oggettivo e vincolato, del possesso dei requisiti di accesso predeterminati. (ex multis T.A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 01/02/2019, n.1350, T.A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 17/01/2020, n.606;
T.A.R. Palermo, (Sicilia) sez. I, 03/12/2019, n.2763).

Viceversa, per quanto riguarda le procedure di cui al secondo comma, la giurisprudenza ritiene sussistente la giurisdizione del giudice amministrativa, trattandosi di una procedura avente ad oggetto una vera e propria selezione, aperta anche all'esterno, per un numero di posti inferiore a quello dei soggetti aventi i requisiti, la quale è rivolta al personale che non ha già superato prove concorsuali (cfr. ex multis T.A.R. Palermo, (Sicilia) sez. III, 15/10/2019, n.2364;
T.A.R. Catania, (Sicilia) sez. IV, 10/04/2019, n.771;
T.A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 22/01/2019, n.845).

In applicazione di tali principi, da cui la Sezione non ritiene di doversi discostare, trattandosi nel caso di specie di procedimento di cui al secondo comma dell’art. 20, d. lgs. n. 75/2017, l’eccezione di difetto di giurisdizione deve essere respinta.

Nel caso in esame, infatti, l’atto impugnato consiste nella preliminare ricognizione del personale potenzialmente interessato a partecipare alla procedura selettiva di cui all’art. 20, comma 2, d.lgs. 75/2017, da effettuarsi come richiesto dalla circolare del Ministero della funzione pubblica n. 3 del 23.11.2017, richiamata nel preambolo del provvedimento, prima della adozione del piano del fabbisogno del personale. Si tratta di un atto che, ancorché antecedente al bando del concorso, si pone tuttavia in relazione di strumentalità necessaria con la futura procedura selettiva in quanto individua in modo definitivo il personale avente diritto a partecipare alla procedura di stabilizzazione de qua e conseguentemente dispone implicitamente l’esclusione dei soggetti non individuati. Esso, pertanto, condivide la natura degli atti della procedura concorsuale e deve essere conosciuto dal giudice amministrativo.

6.2. L’Azienda resistente deduce anche l’inammissibilità del ricorso per assenza, nell’attualità, dell’interesse a ricorrere. Una eventuale efficacia lesiva (da far valere dinanzi al giudice ordinario), potrebbe essere configurabile solo in relazione a un provvedimento (eventuale e futuro) che, nell’ambito della procedura concorsuale, negasse alla ricorrente la possibilità di avvalersi della riserva dei posti. Espone l’Azienda che l’atto di ricognizione impugnato fa seguito ad una prima nota prot. N. 7477 del 4 aprile 2018, con cui l’Azienda ha trasmesso alla Regione Campania l’elenco del personale che, alla data del 31 dicembre 2017, risultava in possesso dei requisiti per la stabilizzazione di cui all’art. 20, commi 1 e 2, del dlgs 75/2017. Tale individuazione è stata funzionale alla adozione della Delibere n. 435 del 2 maggio 2018, recante proroga contratti al personale in possesso dei requisiti per concorrere alle procedure di stabilizzazione. Detta delibera è stata, poi, integrata con la successiva delibera n. 795 del 27 luglio 2018, essendo stata rilevata, a seguito di ulteriori e opportune verifiche, la presenza di ulteriori unità di personale in servizio, in possesso del requisito di cui all’art. 20, comma 2, sopra citato. Pertanto, il provvedimento in questione, in riferimento alle procedure che dovranno essere indette ai sensi dell’art. 20, comma 2, è teso solo a individuare il personale in servizio presso l’Azienda con contratti di lavoro flessibile che potrà partecipare alle procedure de quibus . Esso inoltre sarebbe meramente riproduttivo della precedente delibera n. 795 del 27 luglio 2018.

L’eccezione deve essere respinta.

L’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017 prevede: “2 . Nello stesso triennio 2018-2020, le amministrazioni, possono bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all'articolo 6, comma 2, e ferma restando la garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:

a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l'amministrazione che bandisce il concorso;

b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l'amministrazione che bandisce il concorso .”

Nel caso in esame, l’Azienda resistente, prima di procedere a bandire tale procedura concorsuale, ha ritenuto di dover effettuare un preliminare atto di ricognizione per la procedura di stabilizzazione di cui all’art. 20, commi 1 e 2, D. Lgs. n. 75/2017 del personale precario avente diritto a partecipare alle stabilizzazioni. In particolare, come si legge nel secondo considerato del preambolo del provvedimento impugnato, l’Azienda ha ritenuto necessario “ determinare, in via definitiva, tutte le unità di personale aventi diritto all’ammissione alle procedure di stabilizzazione di cui all’art. 20, comma 1 e 2 ”, comprendendo in un unico atto anche le precedenti ricognizioni già in precedenza effettuate. Si tratta dunque di un atto avente immediata valenza lesiva, ancorché le relative procedure concorsuali per la stabilizzazione ex art. 20, comma 2, non siano ancora state bandite, perché ha individuato in via definitiva i soggetti che saranno legittimati alla partecipazione a dette procedure selettive.

Infine, la delibera impugnata non costituisce una mera riproduzione della precedente delibera n. 795 del 27 luglio 2018 né di quella n. 435 del 2 maggio 2018, in quanto dette delibere avevano ad oggetto la proroga dei rapporti di lavoro flessibile in essere con altri soggetti, mentre il provvedimento in esame ha la diversa funzione di individuare in via definitiva i partecipanti alla procedura di selezione, per la stabilizzazione. Pertanto, non costituisce motivo di inammissibilità del presente gravame la circostanza che la delibera n. 795/18 e della 435/18 non siano state impugnate.

L’eccezione deve, pertanto, essere respinta.

6.3. Infine, l’Azienda resistente ha eccepito l’inammissibilità del gravame anche con riferimento alla mancata notifica ad almeno uno dei controinteressati.

Anche tale eccezione deve essere respinta. Al momento attuale della procedura non si ravvisano infatti controinteressati, in quanto la posizione della ricorrente M non è alternativa a quella delle colleghe I e M. La ricorrente ha unicamente chiesto l’annullamento della delibera impugnata relativamente alla parte in cui il suo nominativo non è stato inserito nell’elenco degli aventi diritto a partecipare alle procedure di stabilizzazione. Poiché l’atto in questione è proprio finalizzato ad individuare il numero dei soggetti ammessi a partecipare alla stabilizzazione, non si evidenzia, al momento attuale, alcun danno che possa derivare alle due colleghe della ricorrente dalla sua ammissione della procedura.

7. Nel merito, il ricorso è fondato e pertanto va accolto.

7.1. Vanno in primo luogo scrutinati i motivi aventi ad oggetto vizi di carattere procedimentale, e cioè il primo e il secondo con cui, rispettivamente, la ricorrente si duole della mancata comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla propria esclusione dalla procedura e l’assenza di motivazione.

Sostiene sul punto l’Azienda resistente che gli obblighi di partecipazione procedimentale e di motivazione non sussisterebbero nel caso di specie, in quanto si tratta di procedura di tipo concorsuale.

La difesa dell’Azienda resistente coglie nel segno unicamente per quanto riguarda la dedotta violazione dell’art. 10 bis l. 241/90, il quale testualmente non è applicabile alle procedure concorsuali.

Nel caso di specie, l’atto di ricognizione impugnato, pur formalmente autonomo rispetto ad una procedura concorsuale ancora non bandita, ha – come si è detto - la specifica funzione di delimitare la platea dei soggetti ammessi a partecipare al concorso e pertanto è riconducibile, lato sensu, alla nozione di procedura concorsuale, il che, peraltro, come si è detto, radica la giurisdizione di questo giudice.

Il primo motivo va dunque respinto.

Per quanto riguarda, invece, il censurato vizio di difetto di motivazione, esso è fondato.

Nel provvedimento impugnato, infatti, non si fa alcun cenno della posizione della ricorrente, che non viene in alcun modo menzionata. Né risulta che vi siano stati altri atti portati a conoscenza della ricorrente che abbiano provveduto a indicare le ragioni della sua mancata ammissione alla procedura di stabilizzazione.

Nemmeno pare convincente la tesi dell’Azienda secondo la quale la motivazione dell’esclusione sarebbe autoevidente, non essendo la ricorrente attualmente in servizio (alle dipendenze dell’Azienda), ma essendo dipendente di una agenzia di lavoro interinale che fornisce personale all’Azienda, ella non sarebbe in possesso dei requisiti di cui all’art. 20, comma 2.

Infatti, come rilevato dalla ricorrente, la delibera de qua fa espressamente riferimento anche a quel personale che, pur non essendo alle dirette dipendenze dell’Azienda, continua a prestare servizio con contratti di somministrazione di lavoro (come ad esempio le colleghe della ricorrente, le quali pure a decorre dal gennaio 2016 prestano servizio presso la A.O.U. con contratti di somministrazione, quindi alle dipendenze di un’agenzia di lavoro interinale).

Infine, non è possibile rinvenire nella relazione istruttoria depositata agli atti dall’Azienda una valida integrazione postuma della motivazione, giacché in contrasto con l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa, cui la Sezione ritiene di aderire. Infatti, l'integrazione postuma ed in sede giudiziale della motivazione dell'atto amministrativo è ammissibile solo se effettuata mediante gli atti del procedimento e, inoltre, nella misura in cui dai documenti dell'istruttoria si possa evincere e ricostruire la concreta ragione della determinazione assunta. (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. III, 30/03/2020, n.1295). Nel caso di specie, invece, la relazione istruttoria depositata è stata formata successivamente alla conclusione del procedimento (19.7.2019) e non è pertanto utilizzabile a questi fini.

Il secondo motivo di ricorso deve dunque essere accolto.

7.2. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce plurime violazioni dell’art. 20, comma 2, d. lgs. 75/2017, dell’art. 66, comma 1, d. lgs. 276/2003, degli artt. 22, comma 3, e 64 d. lgs. 151/2001 e l’eccesso di potere sotto vari profili, sostenendo che il periodo di astensione obbligatoria avrebbe dovuto essere computato al fine di valutare il requisito dei 36 mesi di contratto di lavoro flessibile presso l’Azienda.

Tale motivo deve essere esaminato congiuntamente al quarto motivo, con cui la ricorrente lamenta violazione dell’art. 66, comma 3, d. lgs. n. 276/2003 e dell’art. 4 d. m. 12 luglio 2007, secondo cui la gravidanza, diversamente dalla malattia e/o dall’infortunio, comporterebbe una proroga “de iure” del rapporto di lavoro di 180 giorni, e con il quinto motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione dell’art. 25 d. lgs. 198/2006, dell’art. 15 direttiva comunitaria 54/2006 e dell’art. 97 Cost. per non aver potuto fruire della proroga del proprio contratto, trovandosi in astensione obbligatoria.

7.3. Occorre premettere per una migliore comprensione in punto di fatto della vicenda che, come risulta dal certificato di servizio rilasciato dalla stessa Azienda resistente (all. 3 al ricorso), la ricorrente ha cumulato, in esecuzione di rinnovati contratti di collaborazione coordinata e continuativa, un totale di 35 mesi di lavoro flessibile presso l’Azienda dal 2012 al 2015 (5 mesi nel 2012;
12 mesi nel 2013;
12 mesi nel 2014 e 6 mesi nel 2015). Inoltre, dal 4 maggio 2015 al 4 ottobre 2015 è stata in astensione obbligatoria per maternità.

Successivamente, dal 5 gennaio 2016 e fino ad oggi la ricorrente ha continuato a prestare servizio presso la medesima UOC, con le stesse mansioni e profilo professionale, seppur con contratto di somministrazione.

7.4. Presumibilmente, giacché non risulta che sia stata fornita sul punto adeguata motivazione, l’Azienda ha ritenuto non sussistente il requisito di cui alla lettera b) del comma 2, art. 20, d.lgs. 75/17, e cioè l’aver maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l'amministrazione che bandisce il concorso, non computando integralmente il periodo di astensione obbligatoria per maternità.

A conferma di ciò, si rileva che nella relazione istruttoria depositata da parte resistente (redatta in data 19.7.2019) si specifica che il periodo di astensione obbligatoria per maternità non poteva essere computato oltre il periodo del 30 giugno 2015, data di scadenza del contratto. Inoltre, nella medesima relazione si legge che non possono essere computati i periodi successivi, in quanto qualificato come contratti di somministrazione.

7.5. Sul punto, la ricorrente sostiene, nel terzo motivo di ricorso che, alla data di presentazione della domanda (1 marzo 2019), ella aveva tutti i requisiti per la stabilizzazione, in quanto ai sensi dell’art. 22, comma 3. D.lg. 151/2001, i periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie.

Inoltre, la ricorrente possedeva anche il secondo requisito, quello di essere titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 (28.08.2015), di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso, in quanto: l’astensione per gravidanza non interrompe il rapporto di lavoro e il rapporto di lavoro di co.co.co riprendeva, all’esito del periodo di astensione obbligatoria, tant’è che la ricorrente rientrava in servizio il 5 ottobre fino al 4 dicembre 2015.

7.6. Con riferimento all’ultimo profilo, che peraltro non risulta contestato in giudizio dalla Azienda resistente, il Collegio ritiene che non vi è dubbio che la ricorrente possa considerarsi titolare di un contratto di lavoro flessibile con l’Azienda resistente dopo dell’entrata in vigore della l. Madia (28 agosto 2015). Infatti, la previsione, che l’amministrazione ha inteso nel senso di richiedere che l’aspirante alla stabilizzazione fosse in servizio alla data del 28 agosto 2015, va interpretata alla luce della lettera a) dell’art. 20 comma 2, la quale prevede che il requisito attenga non allo svolgimento della prestazione lavorativa in data successiva all’entrata in vigore della l. 124/2015. Ora la ricorrente indiscutibilmente ha prestato servizio, in regime di co.co.co., presso l’azienda resistente anche nei mesi di ottobre e novembre 2015, dunque in data successiva all’entrata in vigore della l. Madia. Inoltre, anche durante il periodo di astensione, la decorrenza del contratto era meramente sospesa, come meglio si vedrà nel prosieguo.

7.7. Più complessa è la questione concernente la valenza da dare al periodo di astensione obbligatoria ai fini del requisito dell’aver maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto di lavoro flessibile, anche non continuativi.

Occorre in primo luogo evidenziare che la norma fa riferimento alla durata dei contratti di lavoro flessibile e non all’espletamento effettivo della prestazione lavorativa.

Dunque, la circostanza, evidenziata nella relazione istruttoria della amministrazione, secondo cui il primo contratto sarebbe iniziato effettivamente solo in data 6.9.2012 non appare dirimente.

Con il terzo motivo, la ricorrente invoca l’applicabilità dell’art. 22, comma 3. D.lg. 151/2001, Testo unico sulla tutela della maternità e paternità, in base al quale i periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti. Sostiene pertanto che il periodo di astensione doveva essere computato dall’Azienda ricorrente quanto meno fino al 30 giugno 2015.

7.8. Rileva il Collegio che il Testo unico sulla tutela della maternità e paternità si applica ai lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione. Tuttavia, il legislatore ha sancito l’estensione del trattamento giuridico ed economico in materia di astensione obbligatoria per maternità, previsto dal testo unico, anche alle lavoratrici iscritte nella gestione separata INPS, come titolari di contratti co.co.co. o di collaborazione a progetto. ( cfr. l'art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che ha previsto, tra l'altro, l'estensione, agli iscritti alla predetta gestione separata, della tutela relativa alla maternità e agli assegni al nucleo familiare;
l'art. 80, comma 12, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che ha interpretato il citato art. 59, comma 16, della legge n. 449 del 1997, nel senso che la tutela ivi prevista relativa alla maternità ed agli assegni al nucleo familiare avviene nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente).

In particolare, l'art. 1, comma 791, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha previsto l'emanazione di un decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per disciplinare l'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 17 e 22 del citato decreto legislativo n. 151 del 2001, a tutela e sostegno della maternità delle lavoratrici iscritte alla gestione separata sopra indicata, nei limiti delle risorse rivenienti dallo specifico gettito contributivo da determinare con il medesimo decreto.

Pertanto, è stato emanato il decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 12 luglio 2007, Pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale del 23 ottobre 2007, concernente “ L’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 17 e 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, a tutela e sostegno della maternità e paternità nei confronti delle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 .”

Il provvedimento estende ai committenti di lavoratrici a progetto, alle categorie assimilate iscritte alla gestione separata ed agli associati in partecipazione, il divieto di adibire le donne al lavoro per i periodi prima e dopo il parto (art. 4).

Si prevede, inoltre, per i previsti periodi di astensione obbligatoria l’accredito dei contributi figurativi ai fini del diritto alla pensione e della determinazione della misura stessa (art. 6), nonché la corresponsione di un'indennità' di maternità nella misura prevista dall'art. 4 del decreto 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze ( art. 5)

Il decreto prevede poi che le lavoratrici a progetto e categorie assimilate, tenute ad astenersi dall’attività lavorativa nei periodi di cui agli articoli 1 e 3, hanno diritto, ai sensi dell'art. 66 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, alla proroga della durata del rapporto di lavoro per un periodo di 180 giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale.

Alla luce di quanto si è detto, deve dunque ritenersi che la tutela delle lavoratrici madri che hanno stipulato con le pubbliche amministrazioni un contratto di collaborazione coordinata e continuativa deve essere equiparato a quello delle lavoratrici dipendenti, anche con riferimento all’applicazione dell’art. 22 del testo unico, invocato nel dalla ricorrente.

Un trattamento deteriore della lavoratrice madre solo in ragione della tipologia di contratto di lavoro comporterebbe una illegittima discriminazione ai dell’art. 25 d. lgs. 198/2006 nonché dell’art. 15 direttiva comunitaria 54/2006, oltre ad essere in contrasto con l’intendimento del legislatore cui sopra si è fatto cenno.

7.9. Pertanto, in tale quadro normativo, in applicazione dell’art. 22 del testo unico, in base al quale i periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, il periodo di astensione obbligatoria non può non essere integralmente computato anche ai fini del calcolo della durata dei contratti di lavoro flessibile necessaria per il conseguimento requisito di cui all’art. 20, comma 2, del d.lgs. 75/2017.

Terminato il periodo di astensione obbligatoria, la lavoratrice avrà diritto in primo luogo ad ultimare il periodo contrattuale in cui non ha potuto svolgere la propria prestazione lavorativa a causa dell’astensione obbligatoria, nonché ad una proroga di 180 giorni, ai sensi dell’’art. 66, comma 1, d. lgs. n. 276/2003 (che pur essendo stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015;
tuttavia continua ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto al 25 giugno 2015, data di entrata in vigore del predetto d.lgs.).

In conclusione, applicando tali principi al caso in esame, deve affermarsi che l’Azienda resistente avrebbe dovuto inserire la ricorrente nell’elenco dei legittimati a partecipare alla procedura di stabilizzazione computando sia i 5 mesi di astensione obbligatoria (dal 5 maggio 2015 al 3 ottobre 2015) che i successivi due mesi (dal 4 ottobre al 4 dicembre 2015) in cui la ricorrente ha ripreso a svolgere le sue mansioni lavorative.

Di contro, l’Azienda resistente, nella relazione istruttoria, ritiene – andando incontro alle stesse richieste di parte ricorrente - che il periodo di astensione per maternità possa essere conteggiato, ma solo fino al 30.06.2015, data di scadenza definitiva del rapporto, così implicitamente e contraddittoriamente affermando che essa può essere comunque valutata ai fini del calcolo del requisito di cui all’art. 20, comma 2, d.lgs. 75/2017, ma non integralmente. Nello stesso tempo, l’Azienda, per far recuperare alla ricorrente i due mesi di mancata prestazione lavorativa dal 3.05.2015 al 30.06.2015, l’ha rimessa in servizio dal 5.10.2015 al 4.12.2015, così implicitamente ammettendo che, nel periodo in cui alla lavoratrice era interdetta la prestazione lavorativa per l’astensione obbligatoria, il termine di durata del contratto di collaborazione coordinata e continuativa era rimasto sospeso ed aveva ripreso a decorrere una volta cessata la causa di astensione, come peraltro prevede l’art. 66, comma 1, sopra citato.

Ora, invece, è chiaro che il periodo di astensione obbligatoria va computato, ai sensi dell’art. 22 del testo unico sulla maternità e paternità, a prescindere dalla data di scadenza del contratto, posto che il termine di durata del rapporto contrattuale viene ad essere interinalmente sospeso, come sopra argomentato, e che, cessata la causa di astensione obbligatoria, esso riprende a decorrere.

8. In questi termini, dunque, il ricorso deve essere accolto, con assorbimento delle ulteriori censure.

9. Per quanto attiene alla conseguenziale domanda risarcitoria, formulata nelle conclusioni del ricorso con riserva di quantificazione in separato giudizio, osserva il Collegio che essa è inammissibile per assenza di allegazione circa i presupposti della responsabilità della Azienda ricorrente, oltre che infondata. Non è stato infatti né allegato, né provato che la ricorrente abbia subito alcun danno derivante dal provvedimento impugnato. Peraltro, nessun danno appare al memento attuale ipotizzabile, considerato che la procedura concorsuale di cui all’art. 20, comma 2, d.lgs. 75/2017 non risulta ancora essersi svolta e che pertanto l’amministrazione potrà, in esecuzione della presente sentenza, inserire la ricorrente nell’elenco dei soggetti ammessi a partecipare a detta procedura.

10. Le spese possono essere compensate, stante la complessità e la novità della questione.

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