TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-11-10, n. 202303354
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Pubblicato il 10/11/2023
N. 03354/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00696/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 696 del 2018, proposto da
C M, rappresentata e difesa dall'avvocato A N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Misterbianco, rappresentato e difeso dall'avvocato A M O, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio A M O in Misterbianco, Via S. Antonio Abate 3;
per l'annullamento
dell’ordinanza del Comune di Misterbianco n. 12 in data 29 gennaio 2018, con cui è stata ingiunta la demolizione delle opere abusivamente realizzate nel terrazzo di pertinenza dell'edificio identificato in catasto fabbricati al foglio 17, particella 305, subalterno 10.
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2023 il dott. D B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
La ricorrente ha impugnato l’ordinanza del Comune di Misterbianco n. 12 in data 29 gennaio 2018, con cui è stata ingiunta la demolizione delle opere abusivamente realizzate nel terrazzo di pertinenza dell'edificio identificato in catasto fabbricati al foglio 17, particella 305, subalterno 10.
Nel ricorso, per quanto in questa sede interessa, si rappresenta in punto di fatto quanto segue: a) la ricorrente è proprietaria di un appartamento ubicato al piano secondo e di una porzione del sovrastante lastrico solare dell'edificio per civile abitazione sito nella Via Torino 72, in forza di atto di donazione in data 29 dicembre 2011, il quale contemplava la facoltà della donataria di realizzare una sopraelevazione sul terrazzo utilizzando la cubatura dell'intero lastrico (metri quadri 253);b) in data 19 ottobre 2012 l’interessata ha presentato istanza per la realizzazione di una tettoia pertinenziale all'appartamento, in appoggio a due pareti in muratura portante già esistenti e con infissi in alluminio e vetro e copertura in legno e tegole, per una superficie di metri quadri 45,76;c) in data 7 aprile 2016 la Polizia Municipale ha contestato l’abusiva realizzazione dell’opera e in seno al verbale di sequestro si è dato atto che l'opera stessa risultava priva di pavimenti, servizi igienici, impianti idrici ed elettrici e che risultava “grezza ed incompleta in ogni sua parte";d) il Comune ha, quindi, adottato l’ordine di demolizione in questa sede impugnato.
Il contenuto dei motivi di gravame può sintetizzarsi come segue: a) l’ordine di demolizione relativo ad un immobile sottoposto a sequestro penale è illegittima ed inefficace, poiché il facere ingiunto non è eseguibile;b) l'art. 31, commi 3 e 4-bis, del D.P.R. n. 380/2001 sanziona, invero, la condotta omissiva dell'autore dell’illecito qualora l’inerzia sia ascrivibile a colpa;c) l’Amministrazione, inoltre, ha qualificato l’intervento come "nuova costruzione", ma il manufatto non necessita di permesso di costruire e non ha determinato alcun aumento volumetrico, non incidendo sui parametri urbanistici in ragione della sua natura strettamente pertinenziale e della destinazione d'uso non abitativa;d) in ogni caso, il volume realizzato è inferiore a quanto previsto dall’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 (20% del volume dell’edificio);e) è stata omessa, inoltre, la precisa individuazione delle opere da demolire e non è stato specificato “quale riduzione in pristino risulterebbe a norma”;f) l'ordinanza appare generica, non indicando la presunta difformità delle opere (neppure determinabile in via induttiva);g) l’opera è conforme ai requisiti richiesti dalla normativa regionale e alla prassi amministrativa osservata dal Comune quando il manufatto è stato realizzato;h) non sussiste "difformità totale o parziale" poiché l’intervento corrisponde al progetto depositato e il manufatto presente i requisiti contemplati dall’art. 20 della legge regionale n. 4/2003.
Il Comune intimato, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso, osservando, in sintesi, quanto segue: a) il sequestro dell’immobile non comporta l’illegittimità dell’ordine di demolizione, in quanto l’obbligato ha l’onere di chiedere all’autorità giudiziaria penale il dissequestro ai sensi dell’art. 85 c.p.p.;b) con nota n. 50612/2016 la stessa ricorrente ha riconosciuto l’evidente difformità tra quanto realizzato e le opere oggetto di comunicazione;c) trattasi di un manufatto in muratura di circa 50 metri quadri suddiviso in tre ambienti mediante tramezzature interne con mattoni forati, con evidente ampliamente della volumetria e conseguente incidenza sul carico urbanistico, sicché in alcun modo può invocarsi l’applicazione dell’ art. 20 della legge regionale n. 4/2003;c) le opere abusive sono precisamente individuate nell’ordine di demolizione, tantoché la stessa ricorrente, con nota n. n. 50612/2016, si è dichiarata disponibile alla riduzione in pristino.
Nella pubblica udienza in data odierna la causa è stata trattenuta in decisione.
Il Collegio osserva quanto segue.
La questione relativa al rilievo del sequestro penale ai fini della eseguibilità dell’ordine di demolizione non ha trovato univoche soluzioni in giurisprudenza.
Anche di recente, il Consiglio di Stato, con sentenza della Sezione VI, in data 23 marzo 2022, n. 2122, ha affermato che in presenza di un sequestro penale di un’opera abusiva e nella vigenza di tale provvedimento, il termine per l'ottemperanza all'ordine di demolizione non decorre fino a che tale misura cautelare non sia venuta meno e il bene sua ritornato nella disponibilità del privato, di talché, il formale accertamento dell'inottemperanza - presupposto di legittimità per l'irrogazione della sanzione prevista per la mancata esecuzione del provvedimento ripristinatorio - deve far riferimento al mancato adempimento dell'ingiunzione demolitoria decorsi novanta giorni dal dissequestro dell'immobile (sul punto, cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, 2 ottobre 2019, n. 6592 e 20/7/2018, n. 4418;Cons. Giust. Amm. Sicilia, 20 dicembre 2019, n. 1074).
Secondo altro indirizzo, il sequestro penale del manufatto abusivo oggetto dell’ordine di demolizione non determina la sospensione del termine di novanta giorni, il cui decorso comporta, in caso di inottemperanza, l'acquisizione gratuita di diritto al patrimonio del Comune, non rientrando il sequestro tra gli impedimenti assoluti che non consentano di dare esecuzione all'ingiunzione (sul punto, cfr., ad esempio, Consiglio di Stato, IV, 16 gennaio 2019, n. 398;Cons. Stato, IV, 18 aprile 2014, n. 1994;Cons. Stato, VI, 09 l 2013, n. 3626;T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, I, 31 gennaio 2020, n. 31;T.A.R. Campania, Salerno, II, 26 marzo 2019, n. 472).
Il Collegio ritiene di aderire a tale secondo orientamento per le ragioni di seguito indicate: a) la perdita della disponibilità dell’immobile a seguito di sequestro disposto dall’autorità giudiziaria penale non presenta carattere assoluto e l’ interessato può recuperare tale disponibilità attraverso la presentazione di apposita istanza per la demolizione del manufatto;b) occorre tener conto, in particolare, che nell’ambito del procedimento penale il sequestro delle opere abusive avviene nella totalità dei casi per finalità probatorie o preventive;c) con riferimento all’ipotesi del sequestro preventivo, la richiesta di autorizzazione al dissequestro ai fini della demolizione da parte dell’interessato fa venir meno la ragione stessa del sequestro (che nel caso di sequestro preventivo interviene, come è noto, affinché il reato non sia portato a conseguenze ulteriori);d) la richiesta di dissequestro ai fini della demolizione esclude, invero, non solo che il reato sia portato conseguenze ulteriori, ma, al contrario, è volta a rimuovere le conseguenze dell’illecito che si sono già determinate;e) qualora sia intervenuto un sequestro probatorio, inoltre, a seguito della richiesta di dissequestro possono ben essere svolti, qualora ciò sia necessario, gli accertamenti e i rilievi del caso sul manufatto, anche nella forma dell’incidente probatorio, al fine di assicurare le fonti di prova, sicché anche in questa ipotesi la richiesta dell’interessato all’autorità giudiziaria di disporre il dissequestro ai fini della demolizione potrà trovare accoglimento in misura statisticamente molto significativa, tenuto conto che i casi in cui si controverta su profili squisitamente tecnici, che presuppongano effettive e accurate indagini sulla consistenza materiale dell’abuso, sono del tutto residuali;f) in ogni caso, per tali residuali ipotesi, l’autorità giudiziaria penale potrà ben rigettare l’istanza di dissequestro presentata per provvedere alla demolizione delle opere;g) a fronte di tale quadro, non si comprende perché l’interessato debba omettere di presentare una semplice istanza all’autorità giudiziaria onde poter agevolmente adempiere, salvo particolari - e statisticamente eccezionali - cause ostative, all’ordine di demolizione ingiunto dal Comune;h) tale minimo onere di diligenza e collaborazione non costituisce di certo una prestazione inesigibile, sicché deve ritenersi che il termine per procedere alle demolizione sia semplicemente sospeso nelle more della determinazione dell’autorità giudiziaria sull’istanza di dissequestro che l’interessato è comunque tenuto a presentare.
Ad ogni buon conto, la questione rileva semmai in sede di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, posto che, riscontrato l’illecito, il Comune è tenuto ad adottare immediatamente il provvedimento repressivo, mentre l’eventuale inesigibilità dell’adempimento potrà semmai determinare la decisione dell’Amministrazione di non riscontrare l’inottemperanza, pur decorso il termine di legge, per causa non imputabile all’interessato.
Nel caso di specie, inoltre, come indicato nel verbale di accertamento e nell’ingiunzione a demolire, risulta la realizzazione di un manufatto costituito da quattro pareti perimetrali in muratura, di cui due già esistenti, con copertura in travetti di ferro ad una falda, rivestita in legnamato e tegole, per una superficie di circa metri quadri 50,00, con altezza al colmo di metri 3,00 circa e metri 2,20 alla gronda, e con suddivisione in tre ambienti mediante tramezzature interne in mattoni forati, con infissi in alluminio e vetro già installati, privo di pavimenti, servizi igienici, impianti idrici ed elettrici, grezzo ed incompleto in ogni sua parte.
Appare, quindi, evidenti che si è al cospetto di una nuova costruzione, sebbene non definitivamente ultimata, con creazione di volumetria, sicché l’intervento necessitava del permesso di costruire e non poteva ritenersi soggetto alla disciplina di cui all’art. 20 della legge regionale n. 4/2003, che riguarda opere (strutturalmente e funzionalmente) precarie (a nulla valendo, quindi, la comunicazione inoltrata al Comune, la quale, appunto, fa riferimento ad opere precarie e non all’intervento effettivamente realizzato).
La ricorrente ha, poi, fatto riferimento al 20% del volume dell’edificio preesistente, intendendo presumibilmente richiamare la disciplina di cui all’art. 12, primo comma, lettera b), della legge regionale n. 16/2016, ma, in disparte ulteriori considerazioni, la circostanza che la variazione non debba considerarsi essenziale non esonera l’Amministrazione dall’ingiungere la riduzione in pristino, salvo il caso che l’esecuzione dell’ordine non possa avvenire senza pregiudizio della parte realizzata in conformità (nel qual caso il Comune deve applicare la sola sanzione pecuniaria), con la precisazione che incombe sull’interessato la prova dell’impossibilità di provvedere alla demolizione senza nocumento dell’edificazione regolarmente assentita (prova che non è stata - né poteva, a ben vedere, essere - fornita).
Deve, altresì, aggiungersi che in materia di repressione degli abusi edilizi vengono in rilievo atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale in ordine all’intervento repressivo, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile del privato alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (sul punto, cfr., fra le tante, T.A.R. Campania, Napoli, IV, n. 3110/2020;Consiglio di Stato, II, n. 3485/2020, n. 1765/2020, n. 549/2020;Consiglio di Stato, VI, n. 7793/2019 e n. 3685/2019;nonché Consiglio di Stato, Ad. Plen., 17 settembre 2017, n. 9).
Il carattere vincolato dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi rende anche superflua la comunicazione di avvio del procedimento, dal momento che, salvo ipotesi del tutto residuali, non è possibile alcun utile apporto partecipativo dell’interessato, come pure risulta inutile una specifica motivazione, risultando sufficiente l'individuazione degli abusi commessi (sul punto, cfr., fra le più recenti, T.A.R. Campania, Napoli, II, n. 2842/2020;T.A.R. Campania, Napoli, III, n. 78/2020;T.A.R. Campania, Napoli, VIII, n. 4765/2020;T.A.R. Liguria, Genova, I, n. 723/2019).
Ne consegue che neppure appare condivisibile la tesi di parte ricorrente secondo cui il provvedimento impugnato non sarebbe adeguatamente motivato.
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato, mentre le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.