TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2015-06-05, n. 201507907

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2015-06-05, n. 201507907
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201507907
Data del deposito : 5 giugno 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01474/2010 REG.RIC.

N. 07907/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01474/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1474 del 2010, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. A F T, con domicilio eletto presso A F T in Roma, viale delle Medaglie D'Oro, 266;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del Decreto del Ministero della Difesa notificato il 19.12.2009 con cui è stata disposta la cessazione dal servizio permanente per perdita del grado a decorrere dal 25.01.2007.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2015 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Il 1° Maresciallo dell'Esercito Italiano ricorrente impugna, chiedendone l’annullamento, il Decreto del Ministero della Difesa - Direzione Generale per il Personale Militare del 24.11.2009 (notificato il 19.12.2009) con cui è stata disposta la cessazione dal servizio permanente per perdita del grado per rimozione a decorrere dal 25.01.2007.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi: 1) Eccesso di potere per erronea e/o falsa applicazione degli artt. 26, 37, 60 e 61 della Legge 31.07.1954 n. 599;
2) Illegittimità per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 21 bis della Legge n. 241/1990;
3) Illegittimità per violazione dell'art. 9 della L. n. 19/1990. Eccesso di potere per irragionevolezza, difetto e/o apoditticità della motivazione, sproporzione, difetto d'istruttoria, omessa autonoma valutazione dei fatti.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata la quale deposita la documentazione relativa.

In data 22.12.2015 il ricorrente ha depositato l’ordinanza con cui il Tribunale di sorveglianza di Roma del 24.4.2014 ha accolto l’istanza di riabilitazione nonché il provvedimento di concessione della pensione privilegiata ordinaria sul trattamento pensionistico concessagli (nota del 26.11.2013).

All’udienza pubblica del 4.2.2015 la causa è trattenuta in decisione.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione delle disposizioni di cui agli artt. 26, 37, 60 e 61 della Legge 31.07.1954 n. 599 recante "Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica".

Secondo il ricorrente l'Amministrazione ha erroneamente applicato la normativa richiamata in quanto ha fatto decorrere gli effetti della perdita del grado (e di conseguenza la cessazione dal servizio permanente) dal 25.01.2007, cioè “retroagendo” al momento dell’inizio della sospensione precauzionale dall'impiego ai sensi dell'art. 20 co. 2 della L. 1954/599 – disposta, in quanto era imputato in procedimento penale, con Decreto Dirigenziale nr. 65/3-9/2007 del 13.02.2007 a decorrere dal 25.01.2007 – anziché a decorrere dalla data del Decreto Ministeriale (che, nella specie, è stato adottato in data 24.1.2009) con cui è stata disposta la cessazione dal servizio permanente per perdita del grado per rimozione. Secondo il ricorrente, invece, la decadenza avrebbe dovuto essere disposta a decorrere dalla data stessa del relativo Decreto Ministeriale (nel caso di specie, il 24.1.2009), come previsto dall’art. art. 61, co.1 della L. 599/1954 per i casi in cui la perdita del grado è disposta ai sensi dell'art. 60, co. 1, nr. 6 (cioè a seguito di rimozione, per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una commissione di disciplina).

La censura è infondata.

L’Art. 60 prevede, rispettivamente ai numeri 6 e 7 del comma 1, che la perdita del grado sia disposta, tra le altre cause, “per rimozione, per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina” oppure per “condanna”.

Il successivo art. 61 al comma 2 prevede, una decorrenza differenziata per le due ipotesi soprarichiamate, stabilendo che la perdita del grado decorre dalla data del decreto nel caso in cui la perdita del grado sia disposta per rimozione disciplinare (cioè quello contemplato dal co. 1 n. 6 dell’art. 60 sopracitato) ed invece dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza nel caso di perdita del grado per condanna penale (cioè quello contemplato dal co. 1 n. 7 dell’art. 60 sopracitato).

Il successivo comma 2 precisa altresì che qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause sopraindicate “decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”.

E tale è appunto la disciplina applicabile, secondo il ricorrente, il quale rappresenta che nei suoi confronti è stata disposta la cessazione dal servizio permanente per infermità ed il collocamento in congedo assoluto a decorrere dal 24.10.2009, mentre pendeva a suo carico il procedimento disciplinare avviato il 25.5.2009 con la disposizione dell’inchiesta formale (oppure dal 5.5.2008 avvio procedimento e comunicazione di addebiti). Pertanto egli invoca a suo favore l’applicazione del richiamato art. 37 della legge n. 599/1954, che, appunto, prevede che il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente, tra cui, l’infermità, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. E precisa che, in tal caso, se il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta. Secondo la ricostruzione del ricorrente, perciò, egli avrebbe dovuto essere dichiarato decaduto dal servizio per motivi disciplinari solo a decorrere dal 24.10.2009, cioè dalla data del decreto con cui è stato disposto il collocamento in congedo assoluto per infermità, e non già dal 25.01.2007, cioè dalla data in cui era stata disposta la sospensione cautelare dall'impiego a titolo obbligatoria (poi revocata a decorrere dal 25.03.2007 con decreto del 30.3.2007) come disposto dall’Amministrazione.

La prospettazione del ricorrente non può essere condivisa.

Anche se il decreto del 13.2.2007 con cui è stata disposta, a decorrere dal 25.01.2007, la sospensione cautelare del ricorrente a titolo obbligatorio ai sensi dell'art. 20, secondo comma della L. 599/1954, è stato revocato a decorrere dal 25.03.2007, con decreto del 30.2.2007, a seguito della revoca da parte del giudice penale dell’ordinanza che aveva disposto gli arresti domiciliari, tuttavia, a decorrere dal 16.10.2008, è stato adottato nei confronti del ricorrente un provvedimento di sospensione discrezionale ai sensi dell'art. 20, secondo primo della L. 599/1954.

L’Art. 20 prevede infatti che il sottufficiale sottoposto a procedimento penale per reato comportante la perdita del grado o sottoposto a procedimento disciplinare per fatti di notevole gravità “può essere sospeso precauzionalmente dall'impiego, a tempo indeterminato, fino all'esito del procedimento penale o disciplinare”. In applicazione di tale previsione, l’Amministrazione, una volta ricevuta dalla Procura delle Repubblica l’informativa circa la richiesta di rinvio a giudizio del ricorrente per un reato comportante la perdita del grado e considerato, comunque, che la notorietà della vicenda e la gravità delle condotte attribuite, non ne consentivano il trattenimento in servizio, ha disposto la sospensione cautelare del ricorrente, a decorrere dal 16.10.2008, con decreto del 10.10.2008.

Il ricorrente contesta la decisione dell'Amministrazione di far retroagire gli effetti della cessazione dal servizio permanente” ritenendo la decorrenza retroattiva del decreto impugnato “irrazionale, oltre che destituita di ogni fondamento giuridico” nel periodo dal 25.03.2007 al 16.10.2008 in cui il ricorrente è stato nella posizione di Sottufficiale in servizio permanente.

La censura è infondata.

Come ripetutamente affermato dalla consolidata giurisprudenza in materia, espressamente richiamata nelle premesse dell’atto impugnato, la decorrenza del provvedimento disciplinare di destituzione dal servizio del dipendente pubblico già sospeso dal servizio va fissata al momento dell'inizio della sospensione cautelare dato che non può ammettersi una ricostruzione di carriera o l'erogazione di emolumenti arretrati al dipendente che legittimamente sia stato prima sospeso e poi destituito dal servizio e non potendo costituire l'atto di destituzione il titolo per la corresponsione di differenze retributive in favore di chi non ha prestato servizio per un fatto a lui imputabile (da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 settembre 2013 n. 4393 nonché Sez. III 10/04/2014 n. 1741 in cui si precisa che ciò vale - purché il periodo di sospensione non presenti soluzione di continuità fino all'avvento del provvedimento destituivo - anche quando, in applicazione dell'art. 9 della legge 7 febbraio 1990 n. 19, l'interessato sia stato riammesso in servizio, alla scadenza del quinquennio massimo di sospensione). Ciò in quanto il provvedimento di sospensione dal servizio per la sua natura cautelare e non sanzionatoria produce effetti provvisori destinati ad essere rimossi e sostituiti dal provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, sicché vi è la naturale retrodatazione della cessazione del rapporto, in caso di destituzione. (Cons. st., Sez. VI, 13.5.2011 n. 2916)

I principi soprarichiamati trovano piena applicazione nel caso in esame in quanto il dipendente è stato riammesso in servizio non sulla base di una scelta discrezionale dell'Amministrazione, ma solo perché, a seguito della revoca da parte del giudice penale dell’ordinanza che aveva disposto gli arresti domiciliari, era venuto meno il presupposto della sospensione obbligatoria disposta ai sensi dell'art. 20, secondo comma della L. 599/1954 in esecuzione di misure del giudice penale che avevano privato il dipendente della libertà personale. Pertanto la resistente, che era obbligata a revocare la sospensione ed a riammettere in servizio in dipendente, ha provveduto in tal senso soltanto per adempiere ad un obbligo di legge e dunque correttamente, nel disporre la dispensa dal servizio ne ha stabilito la decorrenza con riferimento all'inizio della sospensione cautelare (cfr., in senso analogo, diversi precedenti di questo Tribunale, da ultimo, TAR Lazio sez. I ter, 26/09/2014 n. 10025). Per quanto riguarda gli effetti economici della retrodatazione, la medesima giurisprudenza ha chiarito che per il periodo di servizio effettivamente prestato, su cui operano gli effetti retroattivi della destituzione, all’interessato non spetta lo stipendio intero ma solo l’assegno alimentare (Cons. Stato, sez. VI 13/05/2011 n. 2916;
Sez. VI, 3 settembre 2013 n. 4393 nonché Sez. III 10/04/2014 n. 1741) in ragione del carattere meramente assistenziale dell’assegno stesso volto garantire la sopravvivenza dell’impiegato e della sua famiglia (Cons. Stato, Sez. VI, 02/05/2006 n. 2441).

Né l’effetto retroattivo del provvedimento di destituzione con cessazione dal servizio permanente "per perdita del grado" trova ostacolo nel provvedimento di collocamento in congedo assoluto per infermità in precedenza disposta: al riguardo la Sezione con sentenza n. 8020 del 24/09/2012 ha già chiarito la prevalenza del primo in considerazione della particolare forza cogente di cui è dotata la destituzione “per cui il collocamento in congedo si considera avvenuto per perdita del grado e con l'originaria decorrenza”. A tali conclusioni la Sezione è pervenuta richiamando sia il recente indirizzo del giudice contabile (Corte dei Conti, Sez. Lombardia n. 504 del 9 luglio 2009) sia l’orientamento del giudice d’appello, che ha dissipato i dubbi d'incostituzionalità degli artt. 37 e 61, secondo comma, della L. n. 599 del 1954 osservando che apparirebbe poco coerente una disciplina che, pur prevedendo nei confronti del militare la sanzione della perdita del grado per rimozione tuttavia "permetta a quest'ultimo di conservare il diritto a pensione, sia pure per infermità, che proprio e comunque sullo status di militare ormai perduto si fonda, quanto all'accertamento della ridotta capacità fisica" (Consiglio di Stato Sez. IV - n. 9263 del 2010);
per cui dalla data di decorrenza del provvedimento di dispensa cessano gli effetti della disposta dispensa per fisica inabilità con tutte le connesse conseguenze anche di carattere economico e retributivo, fatta salva l’irripetibilità dell’assegno alimentare.

Alla luce delle considerazioni svolte il provvedimento impugnato, sotto il profilo di censura in esame, risulta immune dai vizi dedotti in quanto è stato adottato in corretta applicazione della disciplina dettata dalla legge n. 599/1954.

Va disatteso altresì il secondo mezzo di gravame, con cui si lamenta la violazione dell'art. 21 bis L. 7 agosto 1990 n. 241.

Come chiarito da ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, l'atto di destituzione del militare per perdita del grado non ha natura recettizia trattandosi di atto e può spiegare i suoi effetti costitutivi ex tunc in quanto non necessita, per la sua operatività, dell'apporto cooperativo del destinatario;
pertanto la comunicazione del provvedimento disciplinare, quale atto finale del relativo procedimento, costituisce un elemento estraneo alla perfezione e validità dell'atto che rileva solo ai fini della decorrenza del termine per una eventuale impugnazione;
sicchè risulta irrilevante, ai fini del rispetto del termine di conclusione del procedimento disciplinare, la circostanza che il provvedimento medesimo, adottato prima dello spirare del termine, sia stato notificato solo in seguito (Cons. Stato Sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2849;
21.4.2010, n. 2274 e n. 2263;
31.3.2009, n. 1912;
Sez. VI, 19.6.2008, n. 3078;
23.11.2007, n. 6015;
2844 del 2007;
10.8. 2007, n. 4392;
15.9.2006, n. 5401;
24.6.2006 n. 4053).

Tali considerazioni e conclusioni non sono state modificate a seguito dell’introduzione l’art. 21 bis della legge n. 241/90 in quanto la normativa riguardante il procedimento disciplinare nei confronti del personale militare ha natura speciale per cui ad esso non è applicabile la normativa generale sul procedimento amministrativo (T.A.R. Liguria Sez. II 19/04/2011 n. 640 e 24/05/2012 n. 732). A tale riguardo la Sezione non ravvisa ragioni per discostarsi dai precedenti con cui è già stato chiarito che la norma introdotta dall’art. 21 bis in parola “è destinata ad operare in assenza di una specifica disciplina e, dall'altro, è inoperante qualora quest'ultima sussista. E ciò soprattutto quando, come nella fattispecie, detta normativa specifica abbia già adeguatamente raggiunto il livello più idoneo da conferire all'aspettativa di tutela del privato in rapporto alla forza autoritativa del provvedimento (…) costituisca uno dei più elevati, e temporalmente anticipati, gradi paradigmatici dell'equilibrio raggiunto dall'ordinamento in relazione all'endiade libertà/autorità, e che non presenti, per l'effetto, né al momento dell'entrata in vigore della l. 15/05, né all'attualità, quelle lacune regolatorie la cui presenza solo giustificherebbe di essere colmata dall'applicazione di una norma di principio. Inoltre, sotto il profilo funzionale, va anche considerato che i termini perentori imposti ex lege all'amministrazione hanno non solo uno scopo di garanzia del privato interessato al procedimento (…) bensì anche finalità di carattere pubblicistico, rinvenibile nella necessità di imporre all'organo procedente, in ambiti di particolare rilevanza e delicatezza, il dovere di agire e di farlo prontamente. Sotto quest'ultima angolazione, il termine perentorio finale, pur rivestendo parimenti la funzione di garanzia di buona e razionale amministrazione, è rivolto anche alla collettività. E non vi è dubbio che ad entrambi gli scopi descritti risponda adeguatamente il consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, che, escludendo il carattere di recettizietà del provvedimento espulsivo, sulla scorta dell'insussistenza di una contraria qualificazione normativa ad hoc e della sua ontologica idoneità a produrre gli effetti suoi propri senza necessità di alcuna collaborazione da parte dell'incolpato, non rende, per ciò stesso, recessivo l'interesse del soggetto coinvolto, il quale risulta comunque tutelato dalle norme che ne regolano rigidamente la tempistica. Pertanto nei termini prescritti il procedimento o si conclude con la formale adozione o si estingue così salvaguardando l'interesse pubblico più generale a che l'efficacia del provvedimento tempestivamente adottato dall'amministrazione non sia posto nel nulla da eventi non direttamente ed esclusivamente ad essa imputabili. Pertanto: in difetto di disposizione di legge di settore che espressamente qualifichino il provvedimento espulsivo (destituzione per i dipendenti civili della pubblica amministrazione;
rimozione per perdita del grado nei confronti del personale militare) quale atto recettizio (i cui effetti vanno ricollegati non già all'adozione, ma al momento della partecipazione notiziale al destinatario);
considerata la assenza di lacune normative in materia;
attualizzato l'apprezzamento della congruità del bilanciamento degli interessi pubblici e privati sottostanti risultante dal diritto vigente all'esito delle interpretazioni della consolidata giurisprudenza, deve essere decisamente negato che la norma generale e di principio di cui all'art. 21bis, l. 241/90 abbia innovato sul termine perentorio di conclusione del procedimento disciplinare dei pubblici dipendenti, nel senso di ricomprendervi anche la notificazione (e non solo l'adozione) dell'atto finale”
(T.A.R. Lazio, Sez. II, 27.10.2008, n. 9208 con richiamo a TAR Lazio, I bis, 15.6.05 n. 5450). Il Collegio ritiene che tale impostazione meriti piena condivisione in quanto volta a realizzare l’equo contemperamento tra l’esigenza di tutela del destinatario dell’azione amministrativa con le incomprimibili esigenze organizzative dell’Amministrazione, di cui non tiene alcun conto l’opposto orientamento secondo cui “il decorso del tempo di attesa assegnato al soggetto passivo è idoneo a radicare nello stesso la ragionevole convinzione che l'attività sanzionatoria si sia conclusa senza conseguenze lesive, così ponendo fine allo stato di incertezza e di ansia legato alla sottoposizione all'attività repressiva dell'Amministrazione” (T.A.R. Lazio sez. II 4/5/2011 n. 3836). Ad avviso del Collegio si tratta di un’impostazione fortemente garantista, evidentemente ispirata all’istituto della prescrizione che caratterizza il processo penale, che è giustificata nell’ottica punitiva di quel processo, che ha natura e finalità diverse rispetto al procedimento disciplinare – pur avendo in comune l’aspetto afflittivo per il destinatario del provvedimento – che invece risponde a funzioni organizzative del tutto ignorate dalla sentenza da ultimo richiamata.

Quanto infine al terzo motivo di ricorso, risultano infondate le censure relative al difetto di istruttoria e di motivazione dell’atto impugnato.

Quanto all’elemento oggettivo, la ricostruzione dei fatti è stata già chiarita dalla sentenza del giudice penale. Anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo, è stata già esclusa accidentalità dell’evento, dovuta ad un errore nel cliccare sui siti proibiti, essa è stata esclusa dal consulente tecnico, che ha affermato l’esistenza di ingenti quantità di materiali e confermato che esso è stato scaricato intenzionalmente, nonché l’incapacità di intendere e di volere che il ricorrente ascriverebbe ad uno stato depressivo ed all’uso di psicofarmaci (fattori che, anche per fatto notorio, non comportano lo sviluppo di propensione alla pedopornografia).

Quanto al difetto di motivazione ed alla lamentata violazione del principio di proporzionalità, il motivo di ricorso risulta del pari infondato. Pur ribadendo, anche in quest’occasione, i limiti del sindacato effettuabile dal giudice amministrativo sulle valutazioni di merito della gravità delle mancanze commesse dal militare (per i quali si rinvia integralmente ai precedenti della Sezione, vedi in particolare, TAR Lazio Sez. I bis, 10/12/2014, 7702/2014) il Collegio ritiene che la pena irrogata nel caso di specie non possa essere ritenuta eccessiva ove si consideri l’oggettiva gravità dei fatti e che, considerato che la produzione di materiale pedopornografico coinvolge quali vittime i minori, categoria “debole” che dovrebbe essere destinataria di “protezione” da parte dei Marescialli dell’Arma dei Carabinieri, che, per tra i loro compiti istituzionali hanno (anche) quello della prevenzione dello sfrutturamento dei minori a tali fini, che è incompatibile con la posizione di clienti degli stessi, in quanto acquirenti o comunque utilizzati del materiale da questi prodotto, oltre che della complicità morale con tale categoria;
sicchè l’unicità dell’episodio, data la gravità del suo valore sintomatico, non vale ad escludere la legittimità del provvedimento espulsivo adottato dall’Amministrazione. Né a diverso esito avrebbe potuto condurre le considerazioni in merito ai favorevoli precedenti di servizio dell’interessato che non valgono ad eliminare l’oggettivo contrasto tra il comportamento censurato e le funzioni del Carabiniere ed il ruolo tradizionale di protezione delle categorie deboli da cui dipende la fiducia che la generalità dei cittadini ripone nell’Arma.

Per completezza, va precisato che il provvedimento di riabilitazione dell’interessato non vale ad inficiare la legittimità dell’atto gravato – che va valutata alla stregua delle circostanze di fatto e delle condizioni giuridiche esistenti al momento della sua adozione – in quanto incide solo sotto il profilo delle conseguenze connesse alla condanna penale, ma non ha alcuna influenza nel caso in esame, in cui la perdita del grado non è stata disposta per condanna penale (caso quello contemplato dal co. 1 n. 6 dell’art. 60 della legge 599/1954) bensì per motivi disciplinari (cioè quello contemplato dal co. 1 n. 6 dell’art. 60 sopracitato) sulla base di valutazioni della gravità delle mancanze commesse e della meritevolezza di conservare il grado, che sono state svolte autonomamente dall’Amministrazione sulla base della contrarietà della condotta con il ruolo del Carabiniere che non sono invalidate dalla riabilitazione successivamente intervenuta .

In conclusione, il provvedimento impugnato risulta perciò immune dai vizi dedotti, sicchè il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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