TAR Firenze, sez. III, sentenza 2022-11-29, n. 202201379
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Pubblicato il 29/11/2022
N. 01379/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00363/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 363 del 2022, proposto da
MA.GA. S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati L B e L C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Livorno, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati L M, M T Z, S C e C S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio
ex lege
in Firenze, via degli Arazzieri 4;
per l'annullamento
- della determinazione n. 9688 del 28.12.2021 del Dirigente Responsabile Edilizia Privata e SUAP, comunicata a mezzo pec in data 29.12.2021 con la quale è stata negata l'autorizzazione paesaggistica richiesta dalla società ricorrente presentata dalla società Atlantide, dante causa della ricorrente, per la richiesta di permesso a costruire in Livorno Via Pigafetta n.62 - Antignano (Livorno) – relativamente ad area contraddistinta al N.C.T. F.78 part.lle 230.793;
- nonché, dei verbali prot.91454 in data 22.7.2021 e prot.96677 in data 09.08.2021 della Commissione congiunta costituita dai componenti della Commissione Comunale per il Paesaggio e dalla Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Provincie di Pisa e Livorno, del verbale prot.117180 in data 24.09.2021 e del verbale prot.152497 in data 13.12.2021 della suddetta Commissione e per quest'ultimo, in particolare del parere espresso come decisione n.4;
- dell'accordo ex art.15 L.n.241/1990 tra il Comune di Livorno, in persona del Dirigente settore edilizia e Suap e la Soprintendenza in persona del soprintendente;
- nonché di ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso e conseguente anche se, allo stato, incognito.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Livorno e del Ministero della Cultura con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2022 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. MA.GA. S.r.l. è proprietaria in Livorno, località Antignano, di un lotto di terreno inedificato che ricade in area avente destinazione urbanistica “a ville con giardino” e sottoposta a vincolo paesaggistico.
Essa espone di avere già ottenuto dal T.A.R., con sentenza n. 1657/2020 passata in giudicato, l’annullamento del diniego dell’autorizzazione paesaggistica chiesta relativamente al progetto di una villetta unifamiliare con annessa piscina, da realizzarsi sul lotto in questione. Il diniego si fondava sui pareri contrari resi dalla Commissione per il paesaggio e dalla locale Soprintendenza A.B.A.P. nel corso di un articolato procedimento, che aveva visto l’esame di due differenti soluzioni progettuali.
Conseguito l’annullamento, con nota del 14 aprile 2021 l’odierna ricorrente ha sollecitato il riesame della pratica, che è stato affidato alla Commissione congiunta costituita dal Comune di Livorno e dalla Soprintendenza mediante accordo ex art. 15 della legge n. 241/1990.
La Commissione congiunta ha espresso il proprio parere contrario nella riunione del 24 settembre 2021.
Alla comunicazione dei motivi ostativi, inoltrati alla società MA.GA. l’8 ottobre 2021, è seguita da parte della Commissione la conferma del parere negativo e, infine, il diniego dell’autorizzazione come da provvedimento comunale del 28 dicembre 2021, in epigrafe.
1.1. Il nuovo diniego dell’autorizzazione paesaggistica è impugnato dalla ricorrente, che ne chiede l’annullamento sulla scorta di otto motivi in diritto.
1.2. Resistono al gravame le amministrazioni procedenti.
1.3. Nella camera di consiglio del 7 aprile 2022, il collegio ha accolto la domanda cautelare formulata con il ricorso, disponendo la sollecita definizione del giudizio.
1.4. Nel merito, la causa è stata pertanto discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza dell’11 ottobre 2022.
2. Il diniego di autorizzazione paesaggistica pronunciato dal Comune di Livorno con l’impugnata determinazione del 28 dicembre 2021 costituisce l’ultimo epilogo di una vicenda già conosciuta dal T.A.R., che, con la sentenza n. 1657/2020, aveva già annullato un precedente diniego riferito al medesimo intervento edilizio (villetta unifamiliare con piscina) da realizzarsi sul terreno ubicato in località Antignano, di proprietà della ricorrente MA.GA. S.r.l..
Il nuovo diniego recepisce il contenuto del parere contrario reso – e confermato all’esito del contraddittorio procedimentale susseguente al preavviso di diniego – dalla Commissione congiunta istituita in virtù di accordo fra le amministrazioni interessate e formata da componenti della Commissione comunale per il paesaggio e da un funzionario della competente Soprintendenza.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, MA.GA. S.r.l. deduce la violazione dell’art. 146 d.lgs. n. 42/2004 in combinato disposto con gli artt. 17- bis e 2 co. 8- bis della legge n. 241/1990, nonché dei principi del legittimo affidamento, di buon andamento, leale collaborazione e buona fede.
In particolare la ricorrente sostiene che, nel rispetto delle scansioni temporali rigorosamente stabilite dall’art. 146 cit., sull’istanza di riesame da essa presentata il 14 aprile 2021 la Soprintendenza avrebbe dovuto rendere il proprio parere entro e non oltre quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti. Non essendo intervenuto nei termini alcun parere, troverebbe applicazione l’art. 17- bis della legge n. 241/1990, in forza del quale al silenzio della Soprintendenza dovrebbe attribuirsi il valore di assenso tacito. Il parere contrario emesso dalla Commissione congiunta il 24 settembre 2021 sarebbe perciò palesemente tardivo, non rilevando in contrario le pretestuose richieste di integrazione documentale formulate rivolte all’interessata, come pure tardivi sarebbero il preavviso di diniego e il definitivo parere contrario della Commissione in data 13 dicembre 2021;e quest’ultimo dovrebbe considerarsi inefficace ai sensi dell’art. 2 co. 8- bis della legge n. 241/1990 perché intervenuto quando oramai il relativo potere si era consumato e, per essere nuovamente esercitato, avrebbe richiesto la preventiva rimozione in autotutela del pregresso silenzio assenso.
Il secondo motivo investe, più radicalmente, il modus procedendi adottato dalle amministrazioni resistenti, preposte alla vigilanza sul vincolo paesaggistico.
La scelta di affidare la valutazione paesaggistica ad una Commissione congiunta formata da funzionari del Comune e della Soprintendenza contravverrebbe all’art. 146 d.lgs. n. 42/2004, nella misura in cui ne risulterebbero violati non soltanto i termini e le scansioni procedimentali stabilite dalla legge per l’esercizio del potere, ma lo stesso ordine delle competenze e attribuzioni della autorità coinvolte nel procedimento. La Commissione avrebbe operato non già secondo il modulo organizzativo della conferenza di servizi, ma come un vero e proprio organo-ente collegiale costituito in difetto di una previsione di legge ed, anzi, in contrasto con la disciplina di settore, la cui ratio sarebbe di mantenere distinti e separati i poteri delle amministrazioni titolari della co-gestione del vincolo. L’espressione del parere “congiunto” della Commissione avrebbe avuto ricadute evidenti sull’ iter procedimentale, essendo venuta a mancare la proposta di provvedimento che, ai sensi dell’art. 146, il Comune avrebbe dovuto indirizzare alla Soprintendenza e sulla quale quest’ultima avrebbe dovuto esprimere nel termine di quarantacinque giorni il proprio parere obbligatorio e vincolante. Sarebbe mancata inoltre ogni forma di interlocuzione diretta della ricorrente con la Soprintendenza, volta ad apportare al progetto le integrazioni/modificazioni necessarie per superare il dissenso, secondo il modello invalso del c.d. dissenso costruttivo.
La difesa del Comune di Livorno replica che il procedimento di riesame, seguito all’annullamento del primo diniego di autorizzazione paesaggistica, trarrebbe origine dall’istanza presentata dalla ricorrente il 17 maggio 2021, e non da quella del 14 aprile avente un diverso oggetto. Detta istanza, tempestivamente sottoposta all’esame della Commissione congiunta il 22 luglio, si sarebbe rivelata illeggibile, costringendo la Commissione a chiederne il deposito nel corretto formato digitale. La successiva richiesta di integrazioni documentali sarebbe pertanto da considerarsi tempestiva, e così il primo parere negativo del 24 settembre, il preavviso di diniego dell’8 ottobre e il parere definitivo del 13 dicembre.
In ogni caso, nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica non avrebbe cittadinanza l’istituto del silenzio assenso disciplinato dall’art. 17- bis della legge n. 241/1990, di modo che dovrebbe escludersi la formazione tacita di un parere favorevole all’intervento.
La Commissione congiunta costituita con la Soprintendenza, dal canto suo, non darebbe vita a un nuovo organo, ma semplicemente a una forma, non vietata dalla legge, di gestione coordinata delle attività dei due enti, in funzione di semplificazione. Conferma ne sarebbe la previsione dettata dall’accordo istitutivo della Commissione, secondo la quale il parere espresso in seno alla Commissione dal rappresentante della Soprintendenza sarebbe pur sempre distinto e autonomo rispetto a quello del Comune, e manterrebbe la sua obbligatorietà e vincolatività.
Non si verificherebbe, di conseguenza, alcuna alterazione dell’ordine delle competenze e attribuzioni delle autorità interessate, e la circostanza che, nella specie, non siano stati adottati pareri distinti dai rappresentanti del Comune e da quelli della Soprintendenza dipenderebbe esclusivamente dalla reciproca e piena condivisione delle rispettive posizioni, tale da rendere ridondante la formalizzazione separata di due valutazioni di identico tenore (ad avviso del Comune dovrebbe parlarsi di pareri “condivisi”, più che “congiunti”).
2.1.1. I motivi sono fondati per quanto di ragione.
L’art. 17- bis , aggiunto alla legge n. 241/1990 dalla legge n. 124/2015, disciplina gli effetti del silenzio e dell'inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche, stabilendo che ogniqualvolta sia prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento da parte dell'amministrazione procedente (comma 1). Decorso inutilmente detto termine, l'assenso, il concerto o il nulla osta si intende acquisito (comma 2).
La norma prevede espressamente che tali disposizioni si applicano anche ai casi in cui sia prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela di interessi “sensibili”, ivi compreso quello alla salvaguardia del paesaggio e dei beni culturali, salva la previsione di un termine più esteso (novanta giorni) per la formazione del silenzio significativo, se non diversamente previsto dalla legge (comma 3).
Posto, pertanto, che la astratta applicabilità dell’art. 17- bis l. n. 241/1990 ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela dei beni di interesse culturale e paesaggistico non è in discussione (si veda al riguardo il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n. 1640 del 13 luglio 2016), in giurisprudenza non vi è però uniformità di vedute circa la compatibilità del meccanismo di formazione dell’assenso tacito fra amministrazioni con il procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica disciplinato dall’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004.
In estrema sintesi, il campo è diviso tra pronunce favorevoli, soprattutto di primo grado, che valorizzano la natura “pluristrutturata” del procedimento e il ruolo di co-gestione del vincolo paesaggistico attribuito alla Regione, o all’ente da questa delegato, e all’autorità statale, con la prima chiamata ad acquisire l’assenso vincolante della seconda (fra le altre, T.A.R. Campania – Salerno, sez. II, 29 novembre 2021, n. 2589;T.A.R. Toscana, sez. III, 16 dicembre 2020, n. 1656;T.A.R. Campania – Napoli, sez. III, 6 novembre 2020, n. 5049);e il diverso orientamento, che sembra da ultimo prevalere nella giurisprudenza d’appello, secondo cui l’operatività dell’art. 17- bis all’interno del procedimento di autorizzazione paesaggistica sarebbe comunque da escludersi, risultato al quale si previene peraltro attraverso percorsi argomentativi non sempre coincidenti: si vedano, per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 19 agosto 2022, n. 7293, che ravvisa nel dovere dell’autorità procedente di attenersi al parere della Soprintendenza l’elemento ostativo all’applicazione dell’art. 17- bis , il quale presupporrebbe un rapporto paritetico fra le amministrazioni co-decidenti;e Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2022, che pur enfatizzando le similitudini tra la disciplina dell’art. 146 d.lgs. n. 42/2004 e quella dell’art. 17- bis , e non ravvisando alcun ostacolo nelle circostanza che una delle amministrazioni co-decidenti disponga di poteri vincolanti nei confronti dell’altra, ritiene che gli effetti del silenzio “orizzontale” fra amministrazioni sarebbero impediti dalla previsione di cui al comma 9 dell’art. 146, che, per l’ipotesi di inutile decorso del termine assegnato alla Soprintendenza, onera l’amministrazione procedente di definire “comunque” il procedimento, e non necessariamente “in conformità” alla proposta iniziale oggetto del parere formatosi per silentium (in senso contrario all’operatività dell’art. 17- bis nel procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, v. anche Cons. Stato, sez. VI, 22 agosto 2022, n. 7351;id., sez. VI, 8 giugno 2022, n. 4684;id., sez. IV, 7 aprile 2022, n. 2584;id., sez. VI, 12 novembre 2021, n. 6109).
Come detto, in prima battuta la società ricorrente rivendica che la Soprintendenza non si sarebbe pronunciata nel termine di quarantacinque giorni stabilito dal comma 8 dell’art. 146 d.lgs. n. 42/2004, con conseguente formazione del parere tacito favorevole vincolante per il Comune di Livorno (in Toscana le funzioni in materia di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche sono delegate dalla Regione ai Comuni, ai sensi dell’art. 151 della l.r. n. 65/2014).
La prospettazione non può essere condivisa, indipendentemente dalla soluzione che si preferisca dare al problema dei rapporti fra l’art. 17- bis l. n. 241/1990 e l’art. 146 d.lgs. n. 42/2004. Infatti, anche ad ammettere ritenere che nel procedimento di autorizzazione paesaggistica operi il silenzio assenso fra amministrazioni, questo evidentemente non equivarrebbe a rilascio tacito dell’autorizzazione, ma terrebbe luogo del parere richiesto alla Soprintendenza, occorrendo pur sempre la definizione del procedimento da parte del Comune, unica autorità titolata a provvedere sull’istanza della parte privata.
Ancor prima, il silenzio dell’autorità interpellata si forma – stando al tenore letterale dell’art. 17- bis – sullo “schema di provvedimento” trasmesso dall’autorità procedente, schema che ben può identificarsi con la “proposta di provvedimento” trasmessa alla Soprintendenza nel procedimento di cui all’art. 146 d.lgs. n. 42/2004. E poiché, nel caso in esame, la proposta comunale è contraria al progetto presentato dalla società ricorrente, tale dovrebbe assumersi anche l’invocato assenso tacito della Soprintendenza (conforme alla proposta, e non all’istanza del privato);di modo che, in termini pratici, la ricorrente non ne trarrebbe alcun vantaggio (cfr. Cons. Stato n. 4098/2022, cit.).
Per questo aspetto, le doglianze di MA.GA. S.r.l. sono infondate.
2.1.2. A diverse conclusioni deve invece pervenirsi per quanto attiene al percorso procedimentale seguito dalle amministrazioni resistenti.
L’art. 152 della legge regionale toscana n. 65/2014 impone ai Comuni, nell’esercizio delle funzioni autorizzatorie delegate loro dalla Regione in materia paesaggistica, di conformarsi alle disposizioni dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, avvalendosi delle Commissioni per il paesaggio. L’impiego di modelli semplificati, che costituisce prerogativa dei Comuni nel disciplinare i procedimenti di loro competenza (art. 29 l. n. 241/1990), incontra dunque il limite invalicabile delle attribuzioni e delle garanzie procedimentali sancite in materia dalla legge statale.
Alla luce di tale premessa va letto l’accordo/protocollo di intesa stipulato dal Comune di Livorno e dalla locale Soprintendenza A.B.A.P. per la gestione coordinata dei procedimenti di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche e per l’esame contestuale delle istanze di autorizzazione, demandato a una “Commissione congiunta” composta dai membri della Commissione comunale per il paesaggio e da un funzionario tecnico della Soprintendenza munito “ dei poteri necessari per l’espressione del parere di competenza ” (artt. 2 e 4 dell’accordo).
L’accordo precisa altresì (di nuovo all’art. 4) che il parere espresso “ dal rappresentante dalla Soprintendenza, distinto e autonomo rispetto a quello della Commissione del Paesaggio, ha, nell’ambito del procedimento, natura obbligatoria e vincolante, secondo quanto previsto dal Codice dei beni culturali …”, risultandone ben chiara la consapevolezza e la volontà delle amministrazioni stipulanti di doversi attenere all’ordine delle competenze stabilito dalla legge per dare vita non a un nuovo organo extra ordinem , ma a un modulo di coordinamento delle attività, finalizzato essenzialmente all’esame congiunto e contestuale delle pratiche, ferma restando la reciproca autonomia nella spendita delle rispettive attribuzioni.
L’utilizzo del termine “commissione”, che evoca appunto un organo collegiale, non deve fuorviare, giacché nei termini rappresentati dall’accordo essa rappresenta semmai il luogo – reale o virtuale – deputato alle riunioni congiunte degli organi investiti della co-gestione del vincolo paesaggistico, la Commissione comunale per il paesaggio e la Soprintendenza. L’attributo “congiunta” si riferisce, a ben vedere, alla contestuale presenza del Comune e della Soprintendenza nella medesima sede procedimentale, laddove il tratto comune di attività si esaurisce nella fase istruttoria latamente intesa: le valutazioni e determinazioni conclusive delle autorità co-decidenti, infatti, sono destinate a restare separate anche sotto il profilo formale, ancorché contestualmente espresse in seno alla “Commissione”.
Nel silenzio dell’accordo, deve ritenersi che il ricorso al modello procedimentale ora descritto non esoneri le autorità coinvolte dall’osservanza delle tempistiche scandite dall’art. 146 d.lgs. n. 42/2004, con le connesse garanzie, a partire dall’obbligo del Comune, che riceve le istanze di autorizzazione in veste di autorità procedente, di formulare entro quaranta giorni la propria proposta di provvedimento da sottoporre all’esame della Soprintendenza, e da quello della Soprintendenza di pronunciare il proprio parere vincolante entro i quarantacinque giorni dal ricevimento della proposta comunale, sebbene tali attività siano concentrate all’interno della Commissione congiunta. La precisazione non è superflua e serve a sottolineare che l’impiego di questo, come di altri modelli di semplificazione/concentrazione procedimentale, non consente di eludere i termini assegnati dalla legge a ciascuna delle autorità coinvolte nel procedimento per l’assunzione delle rispettive determinazioni (per tornare a uno degli esempi fatti, l’istituzione della Commissione non esonera il Comune dall’obbligo di istruire la pratica e trasmetterla alla Soprintendenza unitamente alla propria proposta di provvedimento entro il termine di legge di quaranta giorni, non rilevando in contrario la previsione di un calendario delle sedute della Commissione incompatibile con il rispetto del termine. E in generale può anche pensarsi ai casi, fisiologici, nei quali le attività della Commissione non si esauriscano in unica soluzione: deve escludersi che il rinvio ad altra seduta sospenda il corso dei termini ex art. 146).
Tanto premesso, sull’istanza di riesame presentata dalla società ricorrente la Commissione comunale per il paesaggio e la Soprintendenza, nella seduta della Commissione in data 24 settembre 2021, hanno espresso un unico parere, poi confermato nella seduta del 13 dicembre a seguito dell’esame delle osservazioni della parte privata.
Scorrendo il verbale della seduta del 24 settembre, si nota che, contraddicendo alle intenzioni manifestate inizialmente (“… il presente parere viene espresso congiuntamente dalla Commissione Comunale per il Paesaggio e dalla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le Provincie di Pisa e Livorno ”), il parere non rappresenta il frutto di valutazioni “congiunte” dei due organi, ma viene imputato direttamente alla Commissione, come attestato da numerosi passaggi motivazionali (“… questa Commissione congiunta rileva …”;“… questa Commissione Congiunta riferisce …”), fino al conclusivo e concludente: “… questa Commissione Congiunta esprime… parere contrario alla richiesta in oggetto ”, che sembra presupporre in capo alla Commissione una inesistente investitura organica.
Analogamente, il verbale del 13 dicembre 2021 documenta la conferma del precedente parere contrario ad opera, nuovamente, della Commissione congiunta, che sembra auto-elevarsi a vero e proprio organo decidente, ben al di là del ruolo di mero coordinamento procedimentale delineato dall’accordo fra Comune e Soprintendenza.
Lo scardinamento dell’ordine legale di attribuzioni e competenze, prospettato dalla ricorrente, si manifesta in tutta la sua evidenza. Ma lo stesso è a dirsi anche nella diversa ottica – propugnata dalla difesa del Comune di Livorno – secondo cui, al di là del tenore letterale delle espressioni verbalizzate, i componenti della Commissione avrebbero effettivamente inteso esprimere il parere “condiviso”, più che “congiunto”, dei rispettivi organi di riferimento, e non il parere del Commissione stessa.
In disparte le dispute terminologiche, Comune e Soprintendenza hanno fatto confluire le proprie valutazioni sul progetto all’interno di un unico atto, che finisce per assumere i connotati di un atto complesso nel quale si fondono i due elementi che l’art. 146 d.lgs. n. 42/2004 tiene distinti, vale a dire la “proposta di provvedimento” dell’autorità procedente e il “parere vincolante” della Soprintendenza.
La deviazione dal modello legale è conclamata, e non si riduce a una questione formale, nella misura in cui impatta sul modo di formazione della volontà delle autorità coinvolte nel procedimento. Nel disegno dell’art. 146, il rilascio – o il diniego – dell’autorizzazione paesaggistica costituisce il frutto di una forma di co-gestione del vincolo paesaggistico affidato alle separate cure dell’autorità procedente e di quella interpellata, fra le quali intercorre un rapporto asimmetrico, nel senso che la prima è tenuta a conformarsi al parere vincolante della seconda: parere che, peraltro, non è destinato a confluire nel provvedimento finale, la cui adozione è rimessa alla sola autorità procedente, a conferma del fatto che nel procedimento tracciato dal legislatore non vi è spazio per determinazioni e/o pareri “congiunti”, incompatibili con la diversa natura dei poteri esercitati dalle autorità interessate (vincolante quello della Soprintendenza, non vincolante quello dell’autorità procedente).
La sequenza “proposta di provvedimento-parere vincolante-provvedimento finale”, stabilita dalla legge, non contempla l’esercizio unitario di quelle attribuzioni, e, pertanto, deve ritenersi che lo escluda. Allo schema che prevede la confluenza in un unico atto/provvedimento delle manifestazioni di volontà delle diverse amministrazioni coinvolte nel medesimo procedimento è connaturato, infatti, un confronto;e questo, comportando per definizione – in nome del principio di buona fede e leale collaborazione – la ricerca di un accordo sul contenuto del parere finale e della determinazione conclusiva, si traduce inevitabilmente (o rischia di tradursi, il che è lo stesso) in una “diluizione” delle prerogative attribuite a ciascuna amministrazione. Se il legislatore avesse voluto praticare questo schema ai fini del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, lo avrebbe previsto;mentre la preferenza per un modello procedimentale diverso – quello basato sulla giustapposizione fra proposta di provvedimento dell’autorità procedente e parere vincolante della Soprintendenza – non può che essere intesa come scelta consapevole volta a enfatizzare l’autonomia di giudizio dell’autorità interpellata rispetto all’autorità procedente, a miglior garanzia degli interessi tutelati.
Il modello tratteggiato dall’art. 146, in definitiva, non è fungibile e non può essere arbitrariamente pretermesso per malintesi fini di semplificazione procedimentale o per altri fini. Il provvedimento impugnato e i presupposti pareri resi in sede di Commissione congiunta incorrono pertanto nei vizi dedotti, ivi compresa la violazione dell’accordo intercorso fra Comune e Soprintendenza, il quale, come detto, prescrive espressamente la separatezza anche formale dei pareri della Soprintendenza e della Commissione comunale per il paesaggio, in ossequio alla norma di legge primaria.
Si aggiunga, per inciso, che i verbali delle sedute del 24 settembre e del 13 dicembre mostrano come la Commissione ( rectius : i componenti degli organi riuniti nella Commissione) fossero perfettamente edotti della necessità di tenere distinto il parere della Soprintendenza da quello della Commissione comunale, dal momento che per quasi tutte le pratiche esaminate i due pareri sono espressi separatamente. Per la pratica della ricorrente la scelta è stata invece quella di procedere congiuntamente, senza che oltretutto ne siano state indicate le ragioni, come pure la verbalizzazione non dà conto del modo in cui si è formata la volontà dei partecipanti alla commissione, ma semplicemente del parere finale “congiunto”.
2.2. Le illegittimità rilevate hanno natura assorbente e sarebbero di per sé sufficienti a fondare l’accoglimento della domanda. La circostanza che la controversia riguardi atti e provvedimenti adottati in sede di riesame a seguito di un precedente annullamento giurisdizionale induce, tuttavia, a completare l’esame delle censure dedotte, onde garantire pienezza ed effettività della tutela.
Con il terzo motivo di ricorso, MA.GA. S.r.l. lamenta che la Commissione congiunta avrebbe chiesto pretestuose integrazioni documentali su aspetti già ampiamente trattati nel corso dell’istruttoria precedente, e a caratteristiche dell’intervento ben descritte nella documentazione di progetto (fatta eccezione per l’indicazione delle specie arboree da impiantare nell’area esterna di pertinenza).
Il quarto motivo investe la motivazione del diniego, segnatamente del parere assunto dalla Commissione congiunta il 24 settembre 2021 e confermato nella successiva seduta del 13 dicembre. I due pareri si limiterebbero a ripetere quelli già annullati dal giudice e conterrebbero rilievi generici quanto infondati, a partire da quello circa la pretesa non interclusione del lotto e la solo parziale urbanizzazione dell’area, che, ad avviso delle amministrazioni resistenti, sarebbero di ostacolo a nuove edificazioni.
Ancora, nella motivazione dei pareri impugnati non vi sarebbe traccia di richiami alle prescrizioni
della scheda di vincolo sulle quali avrebbe fatto leva la sentenza n. 1657/2020 del T.A.R., e mancherebbe una compiuta disamina del progetto in rapporto al contesto circostante.
A mancare, infine, sarebbe anche l’indicazione degli accorgimenti necessari per conformare l’intervento al rispetto dei valori paesaggistici asseritamente violati, che sarebbe imposta dal principio del c.d. dissenso costruttivo e dalle statuizioni dettate al riguardo dalla citata sentenza n. 1657/2020.
Con il quinto motivo, la ricorrente deduce che il rinvio dei pareri impugnati agli “obiettivi” dettati dalla scheda del P.I.T. che disciplina l’area di Antignano non sarebbe idoneo a giustificare il diniego dell’assenso paesaggistico, trattandosi di meri indirizzi privi di carattere prescrittivo. Dal canto suo, la asserita incompatibilità dell’intervento con alcune delle prescrizioni contenute nella stessa scheda sarebbe sostenuta dalle amministrazioni resistenti senza il corredo di adeguata motivazione, e, a monte, di appropriata istruttoria.
Il sesto motivo è volto a dimostrare che il lotto oggetto di intervento ricadrebbe in un’area compromessa da intensa urbanizzazione. L’edificato esistente sarebbe connotato dalla presenza di un consistente complesso alberghiero, nonché da villette e piccoli condomini, e da almeno due impianti di distribuzione di carburanti. La realizzazione dell’opera non potrebbe dunque compromettere ulteriormente il pregio paesaggistico dei luoghi, e al contrario darebbe un contributo alla loro riqualificazione, dialogando positivamente con gli elementi paesaggistici e architettonici dell’intorno.
La ricorrente, quindi, passa a criticare i rilievi formulati dalla Commissione congiunta con riferimento alla recinzione del lotto, alla progettazione dell’area pertinenziale e della piscina, alla previsione dell’impianto fotovoltaico.
Il settimo motivo è dedicato alla confutazione analitica dei motivi ostativi che le amministrazioni resistenti fanno discendere dalla pretesa contrarietà dell’intervento a singoli obiettivi e prescrizioni contenuti nella scheda di vincolo recepita dal P.I.T..
Con l’ottavo e ultimo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 10- bis della legge n. 241/1990, per non avere gli atti e provvedimenti impugnati dato conto delle ragioni ostative all’accoglimento delle osservazioni presentate a seguito del preavviso di diniego.
2.2.1. Le censure saranno esaminate congiuntamente.
La più radicale delle ragioni ostative opposte dalle amministrazioni resistenti al riconoscimento della compatibilità paesaggistica dell’intervento attiene al mancato rispetto della prescrizione di cui al paragrafo 3.3, lett. e), primo periodo, della disciplina d’uso dettata dalla scheda “3 . Litorale roccioso Livornese ” del P.I.T. (nell’ambito della disciplina di tutela del “ Sistema costiero ” coperto da vincolo ex lege ).
La disposizione stabilisce che “ Non è ammesso l’impegno di suolo non edificato a fini insediativi, ad eccezione dei lotti interclusi dotati di urbanizzazione primaria ”.
È noto che la nozione di “lotto intercluso” è di matrice urbanistica e identifica, per giurisprudenza consolidata, l’area edificabile, ma non ancora edificata, che, trovandosi in una zona integralmente interessata da costruzioni ed essendo dotata delle necessarie opere di urbanizzazione, è passibile di intervento costruttivo diretto quale eccezione alla disciplina urbanistica che imponga la previa predisposizione di un piano attuativo. La sussistenza di una situazione di fatto già corrispondente a quella che deriverebbe dalla realizzazione del piano attuativo rende infatti superfluo quest’ultimo, a fronte della piena edificazione e urbanizzazione della zona interessata (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5488).
Nel parere reso dalla Commissione congiunta il 24 settembre 2021 si legge che il lotto di proprietà della ricorrente “ è direttamente collegato alla viabilità di libero accesso, non intercluso dal lato in corrispondenza della falesia esistente e non dotato delle opere di urbanizzazione primaria e pertanto la proposta progettuale risulta in contrasto con le prescrizioni della scheda fascia costiera esplicitate al punto 3.3 […].
Prendendo atto che per “Lotto intercluso”, si intende un'area compresa in zona totalmente dotata di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti, si prende atto che nella relazione tecnica si asserisce che la zona risulta parzialmente urbanizzata, e pertanto questa Commissione Congiunta riferisce che questo non equivale a consentire di procedere con un'ulteriore edificazione che espone l'area al rischio di compromissione definitiva dei valori paesaggistici, senza assicurare un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo ”.
Come si vede, per escludere che si tratti di fondo “intercluso”, nel senso dianzi precisato, il parere valorizza l’assenza delle opere di urbanizzazione primaria e fonda la contrarietà all’intervento sulla conseguente impossibilità di procedere a una nuova edificazione non in grado di armonizzarsi con l’edificato esistente.
L’affermazione è tuttavia smentita dalla relazione tecnica a corredo dell’istanza di riesame, con allegate documentazione fotografica e cartografie, che attesta la presenza di una viabilità di accesso al lotto, nonché la disponibilità delle reti idrica e fognaria. Questa può dirsi presuntivamente confermata dalla presenza di altre abitazioni e attività commerciali nelle immediate vicinanze, la quale fa altresì presumere l’esistenza della rete elettrica. Non è pertanto chiaro quali, e in quale misura rispetto agli standard di zona, sarebbero carenti le opere di urbanizzazione primaria richieste dalla prescrizione del P.I.T., e, correlativamente, quale sarebbe la consistenza delle opere di urbanizzazione aggiuntive necessitate dalla presenza della nuova abitazione, tenuto anche conto del modesto carico urbanistico generato dall’intervento, né al riguardo è stata fornita in giudizio alcuna dimostrazione.
Alla stregua del principio dispositivo, come declinato dall’art. 64 co. 1 c.p.a., il rilevato difetto di prova non può che andare a discapito delle amministrazioni resistenti, le quali avrebbero potuto agevolmente assolvere al relativo onere mediante gli strumenti conoscitivi nella loro disponibilità.
Il parere impugnato, per altro verso, non si occupa nel dettaglio della condizione dei fondi limitrofi (se totalmente edificati, o meno), salvo riconoscere espressamente l’esistenza di un aggregato abitativo al cui interno si colloca il lotto della ricorrente (lo si ricorda, classificato dal R.U. a “ville con giardino”). Esso si sofferma sulla mancata interclusione “dal lato della falesia”, vale a dire dal lato del mare, ma il rilievo non coglie nel segno, stante la sua valenza paesaggistica, mentre, lo si è detto, la nozione di interclusione adoperata dal P.I.T. – con l’inequivoco riferimento alla presenza delle opere di urbanizzazione primaria – ricalca quella urbanistica, che rappresenta lo stato di un fondo inedificato circondato da fondi edificati (e la presenza del mare su un lato del lotto conferma tale condizione, non altrimenti contestata dalle amministrazioni resistenti).
2.2.2. Una volta esclusa la sussistenza dei presupposti di operatività della prescrizione che, ad avviso della Commissione congiunta Comune – Soprintendenza, precluderebbe l’edificazione del lotto, il diniego impugnato incorre inevitabilmente nell’ulteriore violazione del principio del dissenso costruttivo, già censurata dal T.A.R. con la precedente sentenza n. 1657/2020.
Il principio si concretizza nell’obbligo delle amministrazioni coinvolte nel procedimento autorizzatorio di collaborare lealmente con la parte privata per consentirle di apportare al progetto le modifiche necessarie a renderlo compatibile con i valori paesistici tutelati dal vincolo. I pareri impugnati, di contro, ai rilievi specifici circa l’incompatibilità del progetto con le prescrizioni di cui alla scheda di vincolo – relativi alla recinzione del lotto, alle caratteristiche dell’area pertinenziale esterna all’abitazione, alla piscina, alla scelta della copertura piana, alla superficie riflettente dell’impianto fotovoltaico – non accompagnano alcuna indicazione sulle soluzioni eventualmente praticabili per ovviare agli inconvenienti rilevati. Non si vuol dire che Comune e Soprintendenza fossero tenuti a farsi carico delle modifiche occorrenti a conformare il progetto, ma più semplicemente a fornire all’interessato le indicazioni necessarie per orientarsi verso soluzioni progettuali compatibili con la disciplina vincolistica.
Si aggiunga, nel merito, che la prescrizione 3.c.6 della scheda di vincolo, asseritamente violata dal progetto della ricorrente, impone di “mitigare” gli effetti di frattura indotti dai nuovi interventi di trasformazione edilizia, implicitamente accettando che, in una certa misura, tali effetti si producano per effetto di una nuova edificazione. Questo conferma che le amministrazioni resistenti non avrebbero potuto e dovuto arroccarsi su una posizione di totale chiusura per quanto riguarda la progettata recinzione del lotto, tanto più che sul punto neppure può dirsi esaustiva la risposta alle osservazioni con cui l’interessata, a seguito del preavviso di diniego, descriveva la situazione dei luoghi sottolineando la presenza, nelle proprietà immediatamente limitrofe a quella di MA.GA. S.r.l., di recinzioni diverse da quelle a maglia sciolta ritenute ammissibili dalla Commissione.
Quanto alla prescrizione inerente la “ garanzia della qualità insediativa attraverso un’articolazione equilibrata tra spazi aperti e costruito con particolare riferimento alla qualità progettuale degli spazi di fruizione collettiva ”, in primo luogo essa sembra diretta a disciplinare gli interventi di trasformazione urbanistica, dei quali pure si occupa, o comunque gli interventi di edilizia pubblica, più che quelli di edilizia privata, cui è estranea la realizzazione di “spazi di fruizione collettiva”. In ogni caso, non è dato comprendere a cosa si riferiscano in concreto i pareri impugnati, laddove contestano al progetto della ricorrente l’assenza di equilibrio nella distribuzione fra vuoti e pieni, osservazione che, se non contestualizzata con riferimento alle caratteristiche del progetto stesso, finisce per risultare incomprensibile.
Si comprendono, di contro, le indicazioni della Commissione congiunta relativamente all’impianto fotovoltaico, che interferirebbe con le visuali verso il mare in contrasto con la prescrizione di cui al paragrafo 3.3, punto p) della già citata “ Scheda 3. Litorale roccioso Livornese ”. Viste le puntuali osservazioni formulate dalla ricorrente ex art. 10- bis l. n. 241/1990, la Commissione avrebbe però dovuto indicare con maggiore precisione le visuali interferite dalla presenza dell’impianto sulla copertura dell’edificio in progetto, non potendosi reputare sufficiente il riferimento alla visibilità dell’impianto stesso “ dalle vicine strade panoramiche collinari ”.
3. In forza di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento degli atti e provvedimenti impugnati, ad eccezione dell’accordo fra Comune di Livorno e Soprintendenza, la cui corretta interpretazione è stata illustrata.
3.1. Le spese di lite seguono la soccombenza del Comune di Livorno e delle amministrazioni statali resistenti (Soprintendenza e Ministero della Cultura), queste ultime costituenti una parte processuale unitaria.