TAR Bologna, sez. II, sentenza 2020-06-03, n. 202000377

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bologna, sez. II, sentenza 2020-06-03, n. 202000377
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bologna
Numero : 202000377
Data del deposito : 3 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/06/2020

N. 00377/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00518/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 518 del 2014, proposto da
E C, D B, rappresentati e difesi dall'avvocato M M, con domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via San Vitale 40/3/A;

contro

Comune di Imola, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato S G, con domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via Santo Stefano 43;

per l'annullamento

ingiunzione a demolire ulteriori opere edilizie (edilizia ed urbanistica)

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Imola;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 maggio 2020 la dott.ssa J B e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell'art. 84 comma 5 del D.L. n. 18 del 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I ricorrenti hanno impugnato l’ordinanza n. 236 del 14 marzo 2014, con la quale il Comune di Imola ha ingiunto la demolizione di opere abusive realizzate in assenza di titolo edilizio ed in assenza di autorizzazione paesaggistica, nonché il provvedimento prot. n. 9737 dell’11 marzo 2014, avente ad oggetto l’accertamento di inottemperanza a precedente ingiunzione a demolire.

In fatto hanno allegato:

- di essere proprietari del terreno censito nel Catasto Urbano di Imola al foglio n. 191 Mappale n. 104 sul quale hanno edificato, senza titolo edilizio, un fabbricato ad uso abitativo, adiacente ad un preesistente pro servizio agricolo;

- in data 4.2.1986 i ricorrenti hanno presentato domanda di concessione edilizia in sanatoria, corrispondendo le somme dovute a titolo di oblazione, ma il Comune, senza provvedere sulla domanda, con provvedimento del 25.2.1992, ha ingiunto la demolizione del fabbricato, decidendo negativamente sull’istanza di condono solo con provvedimento n. 26975 del 3.8.1994;

- dopo l’entrata in vigore della Legge n. 724 del 1994, in data 28.2.1995 i ricorrenti hanno presentato nuova domanda di concessione in sanatoria, corrispondendo la relativa oblazione, respinta dal Comune di Imola in data 30.3.1996, con successiva notifica di ordinanza di demolizione in data 13.5.1996;

- i ricorrenti hanno impugnato davanti a questo Tribunale sia il diniego di condono, che l’ordinanza di demolizione, ma il ricorso è stato respinto con sentenza n. 2508 del 2009 del Tar Bologna, appellata davanti al Consiglio di Stato che con decreto del 19.11.2012 ha dichiarato perento il giudizio;

- il Comune di Imola ha, quindi, effettuato i dovuti accertamenti per addivenire alla demolizione dell’immobile, notificando poi ai ricorrenti il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione e ulteriore ingiunzione di demolizione rispetto a nuovi opere.

I ricorrenti hanno impugnato gli atti da ultimo emessi dal Comune di Imola in quanto a loro avviso illegittimi per violazione delle norme che disciplinano il procedimento amministrativo dopo l’emissione di ordinanza ingiunzione, perché in contrasto con il provvedimento n. 43279 del 2013 di avvio della procedura volta all’emanazione di ordinanza di demolizione che, secondo i proprietari, si sarebbe dovuto concludere con l’emanazione di una nuova ordinanza di demolizione, a seguito di diversa istruttoria rispetto a quella che aveva precedentemente portato all’emanazione della precedente ordinanza di demolizione.

Inoltre, con riferimento ai nuovi abusi contestati, non vi sarebbe stata previa contestazione rispetto all’ordinanza di demolizione n. 236 del 2014;
in ogni caso, non corrisponderebbe al vero quanto affermato dal Comune circa il fatto che le opere in questione rientrerebbero tutte nella fascia di rispetto fluviale sottoposta a vincolo;
inoltre, alcuni manufatti sarebbero comunque opere prive di fondazioni costituite da materiali eterogenei, che non necessitavano di autorizzazioni edilizie;
infine, non corrisponderebbe al vero che la costruzione dei ricorrenti è stata realizzata a distanza inferiore di metri 10 da Rio Ponticelli, presupposto di ogni demolizione intimata, né il Comune avrebbe dimostrato l’effettiva sussistenza del vincolo sui luoghi, non bastando secondo i ricorrenti il mero fatto che il Rio Ponticelli risulta incluso nell’elenco di cui al RD n. 10712/1933 n. 1773 o comunque motivato il provvedimento di demolizione.

Il Comune di Imola si è costituito in giudizio contestando le avverse doglianze.

All’esito del giudizio, il ricorso va respinto.

Invero, la presente controversia si inserisce nell’ambito di un lungo contenzioso in essere tra le parti in ordine ad abusi realizzati negli anni ’90, già sanzionati con ingiunzione a demolire nel 1996 ed oggetto di diniego di sanatoria, sempre nel 1996, atti entrambi impugnati senza esito dai ricorrenti (vedi Tar Bologna sentenza n. 2508 del 2009, divenuta definitiva dopo il Decreto di perenzione n. 2909 del 20 novembre 2012 nel giudizio di Appello).

Nel 2013, come si evince dagli atti, il Comune ha ripreso il procedimento sanzionatorio, comunicando l’avvio dello stesso con atto del 17 settembre 2013 prot. n. 43279, finalizzato alla mera verifica dello stato di fatto degli immobili, dato il tempo trascorso, per poter addivenire all’adozione dei successivi atti sanzionatori, cioè provvedere alla demolizione delle opere abusive come già precedentemente dichiarate.

Con successivo atto di accertamento n. 1040 del 5 novembre 2013, quindi, l’Ente ha elencato gli abusi presenti sull’area, distinguendo tra quelli già oggetto del contenzioso cristallizzatosi nella sentenza n. 2508 del 2009 del Tar Bologna (punti da 1 a 4) e abusi ulteriori riscontrati sui luoghi (manufatti, tettoie, coperture, verande, ecc.), anch’essi realizzati senza titolo edilizio in area vincolata, per le stesse ragioni evidenziate nei precedenti atti demolitori (vicinanza al Rio Ponticelli), espressamente elencati (punti da A a F dell’atto di accertamento).

Con ordinanza dell’11 marzo 2014 prot. n. 9737, il Comune di Imola ha quindi accertato l’inottemperanza all’ingiunzione del 1996 avente ad oggetto la demolizione dei c.d. vecchi abusi, dichiarando conseguentemente l’acquisizione al patrimonio comunale dei manufatti e delle relative aree di sedime, come descritte e specificate nell’ordinanza, mentre con ordinanza del 14 marzo 2014 n. 236 ha sanzionato i nuovi abusi (da A ad F. dell’atto di accertamento), disponendo la demolizione dei manufatti A, C, D perché da qualificarsi come nuova costruzione in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, nonché delle opere B, E, F da qualificarsi

I ricorrenti censurano in questa sede entrambi i provvedimenti, ma tutte le doglienza, benché diverse in relazione ai due atti, risultano al Collegio prive di pregio.

Con riferimento al provvedimento di accertamento dell’inottemperanza avverso alla precedente ordinanza di demolizione del 1996, certamente infondata è la tesi dei ricorrenti secondo cui l’Ente avrebbe dovuto compiere una nuova istruttoria ed addivenire all’emanazione di una nuova ed autonoma ordinanza di demolizione, atteso che l’abusività delle opere era già stata definitivamente accertata (vedi sentenza Tar Bologna n. 2508 del 2009 passata in giudizio, stante la perenzione del giudizio di appello), avendo quindi il provvedimento n. 43279 del 2013 il solo fine di consentire al Comune di portare a conclusione il procedimento sanzionatorio, attraverso la verifica dello stato di fatto degli immobili, tenuto conto del notevole lasso di tempo trascorso dall’emanazione dell’ordinanza di demolizione (nell’avviso in questione si parla, infatti, di “verifica dello stato dell’immobile al fine di assumere i provvedimenti amministrativi conseguenti” e non di adozione di una nuova ordinanza di demolizione).

Quanto, invece, alle doglianze concernenti l’ordinanza n. 236 del 2013 e alle nuove opere prese in considerazione in quella sede, di nessun pregio è la censura concernente l’asserito mancato invio della previa contestazione di abusività di tale opere, avendo il Comune notiziato i ricorrenti, con il provvedimento n. 43279 del 2013, del riavvio del procedimento demolitorio e dell’effettuazione del sopralluogo volto a verificare le opere abusive presenti in loco, sicché gli stessi ben avrebbero potuto interloquire con l’Amministrazione anche circa le opere ulteriori, rispetto alle quali, peraltro, l’Amministrazione nulla di diverso poteva disporre, stante la natura vincolata del procedimento, a fronte dell’accertata abusività dei manufatti.

Sul punto, i ricorrenti sostengono che alcune delle opere oggetto di successiva contestazione, sarebbero prive di fondamenta e, quindi, sottratte all’obbligo del previo ottenimento dei titoli edilizi, ma come replicato dal Comune la doglianza non può essere condivisa, tenuto conto delle concrete caratteristiche delle strutture in esame che, benché non ancora al suolo mediante fondamenta, hanno sicuramente carattere permanente e sono destinate a durare nel tempo (vedi “atto di contestazione di abuso edilizio n. 1040” in atti e relative fotografie dei luoghi), con conseguente obbligo del previo ottenimento dei necessari titoli autorizzativi.

Analogamente infondate sono le censure concernenti la natura vincolata dell’area in esame e della concreta collocazione a meno di 10 metri della costruzione rispetto a Rio Ponticelli, trattandosi di profili già eccepiti nel giudizio avverso l’iniziale ordinanza di demolizione e il rigetto della domanda di condono con riferimento all’edificio principale, affrontate e respinte con decisione definitiva dal Tar Bologna nella citata sentenza n. 2508 del 2009, alla quale si fa integrale rinvio anche per le opere ulteriori oggetto dell’ordinanza n. 236 del 2014 (“L’art. 96 del RD n. 523 del 1994 contempla un assoluto divieto di edificare a meno di 10 metri dal piede degli argini dei corsi d’acqua, derogabile solo allorquando la materia sia contemporaneamente disciplinata dalle normative locali “aventi gli stessi fini di salvaguardia e tutela del buon regime delle acque pubbliche e quindi di prevenzione” (cfr. TAR Emilia Romagna, Parma n. 581/03). Quindi, il vincolo è assoluto e non è derogabile dalle norme urbanistiche”. “La normativa successiva non ha fatto che confermarlo. Infatti, l’art.1 della Legge n.431 del 1985 sottopone a vincolo i corsi d’acqua inseriti negli Elenchi previsti dal R.D. n. 1775 del 1933, demandando alle Regioni di redigere un Elenco di quelli che “per la loro irrilevanza a fini paesaggistici” possono esserne esclusi, il che non è stato per il Rio Ponticelli. Se anche fosse che la Regione all’epoca non aveva ancora predisposto l’Elenco, di certo il Rio Ponticelli Pieve non sarebbe “sospeso”, ma sottoposto a vincolo, in mancanza di accertamento della sua “irrilevanza a fini paesaggistici”. Pertanto, è accertato che le costruzioni si trovino a meno di 10 metri dal Rio e nessun rilievo può avere il richiamo alle Tavole di PRG. Inoltre, la normativa successiva avrebbe potuto solo eliminare il vincolo ma poiché non lo ha fatto il Rio Ponticelli resta vincolato. Da ultimo, “E’ inoltre pacifico in causa e risulta documentalmente che il Rio Ponticelli abbia, da oltre 30 anni, mutato il suo corso e si trovi da allora nella posizione attuale”. Quindi, il Rio Ponticelli aveva cambiato corso ben prima della realizzazione degli abusi contestati. Ciò che conferma ulteriormente il fatto che gli abusi sono stati realizzati a meno di 10 metri dal Rio).

Né risulta fondata la doglianza di difetto di motivazione, attesa la natura vincolata dei procedimenti sanzionatori, contenendo peraltro gli atti impugnati tutti gli elementi idonei a consentire ai ricorrenti di comprenderne le ragioni e senza che gli stessi possano invocare alcun legittimo affidamento, trattandosi degli autori degli abusi in esame dei quali, pertanto, essi erano ben consapevoli anche prima dell’emanazione da parte dell’Amministrazione dei necessari provvedimenti demolitori, che comunque elencano puntualmente le opere oggetto di ingiunzione.

Infine, destituita di pregio è la doglianza di incompetenza, atteso che il Segretario generale, era all’epoca dei fatti il Dirigente preposto al Settore edilizia privata, come dimostrato dall’Ente in giudizio (allegato 2 alla memoria depositata dal Comune il 16.4.2020).

Conclusivamente, quindi, stante l’infondatezza di tutte le censure, l’impugnazione va respinta.

Le spese di lite seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

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