TAR Roma, sez. 4B, sentenza 2022-12-27, n. 202217568

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 4B, sentenza 2022-12-27, n. 202217568
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202217568
Data del deposito : 27 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/12/2022

N. 17568/2022 REG.PROV.COLL.

N. 03673/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3673 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Google Ireland Limited, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati M S, M Z, S V e R T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

quanto al ricorso introduttivo:

- della delibera AGCom n. 377/21/CONS del 18 novembre 2021, recante “Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l'anno 2022 dai soggetti che operano nel settore dei servizi media” e dei relativi allegati A (“Contributo SCM – Anno 2022”) e B (“Istruzioni per il versamento del contributo dovuto all'autorità per l'anno 2022 dai soggetti che operano nel settore delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media”), pubblicati sul sito dell'Autorità in data 31 gennaio 2022;

- di ogni altro atto presupposto dai, o consequenziale e/o comunque connesso ai, precedenti, incluso tra gli altri il provvedimento AGCom prot. n. 276711 del 25 giugno 2019, con cui l'Autorità ha provveduto all'iscrizione d'ufficio di Google Ireland al Registro degli operatori di comunicazione (il “ROC”) con il numero 33145 quale operatore di concessionaria di pubblicità sul web e su altre piattaforme digitali fisse o mobili;

- nonché per l'accertamento della non debenza del contributo per l'anno 2022 di cui alla delibera AGCom n. 377/21/CONS;

nonché, in seguito alla proposizione di motivi aggiunti:

per l'annullamento

- della delibera AGCom n. 379/21/CONS del 18 novembre 2021, recante “Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l'anno 2022 dai soggetti che operano nel settore dei servizi di intermediazione online e dei motori di ricerca online” e dei relativi allegati A (“Modello contributivo PtoB - Anno 2022”) e B (“Istruzioni per il versamento del contributo dovuto all'autorità per l'anno 2022 dai soggetti che operano nel settore dei servizi di intermediazione online e dei motori di ricerca online”), pubblicati sul sito web dell'Autorità in data 8 febbraio 2022;

- di ogni altro atto presupposto dai, o consequenziale e/o comunque connesso ai, precedenti, incluso tra gli altri (i) l'avviso inviato in data 17 febbraio 2022 dall'Autorità a Google Ireland relativo al contributo dovuto all'Autorità per l'anno 2022;
(ii) la delibera n. 200/21/CONS recante “Modifiche alla delibera n. 666/08/CONS recante “Regolamento per la tenuta del Registro degli Operatori di Comunicazione” a seguito dell'entrata in vigore della legge 30 dicembre 2020, n. 178, recante “Bilancio di previsione dello stato per l'anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023””;

- nonché degli atti già impugnati con ricorso introduttivo del presente giudizio;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2022 il dott. A A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue,


FATTO

Con ricorso notificato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il 1 aprile 2022 e depositato presso il Tar del Lazio il 4 aprile 2022, la società ricorrente impugna la delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni numero 377 del 18 novembre 2021, recante la misura e le modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2022 dai soggetti che operano nel settore dei servizi media, impugnando anche i relativi allegati A e B, atti pubblicati il 31 gennaio 2022.

Impugna anche il presupposto provvedimento dell’Autorità numero 276711 del 25 giugno 2019 con cui l’Autorità ha iscritto d’ufficio la società ricorrente al registro degli operatori di comunicazione, quale concessionaria di pubblicità sul “web” e su altre piattaforme digitali.

La ricorrente chiede l’accertamento negativo dell’obbligo di pagare il contributo per l’anno 2022.

Con il ricorso per motivi aggiunti, notificato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l’8 aprile 2022 e depositato presso il Tar del Lazio il 13 aprile 2022, la società ricorrente impugna la delibera dell’Autorità numero 379 del 18 novembre 2021, recante la misura e le modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2022 dai soggetti che operano nel settore dei servizi di intermediazione “on-line” e dei motori di ricerca “on-line”, impugnando anche i relativi allegati A e B, atti pubblicati l’8 febbraio 2022.

L’Autorità garante si costituisce in giudizio per resistere al ricorso.

Il contraddittorio tra le parti si svolge regolarmente e la causa è trattata, nel merito, all’udienza del 9 novembre 2022, per essere decisa.

DIRITTO

La materia del contendere consiste nella legittimità del contributo per gli oneri di funzionamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni relativo all’anno 2022 imposto alla società ricorrente nella duplice qualità di soggetto che opera nel settore dei servizi media (contributo imposto con la delibera dell’Autorità numero 377 del 2021, impugnata con il ricorso introduttivo) e di soggetto che opera nel settore dei servizi di intermediazione “on-line” e dei motori di ricerca “on-line” (contributo imposto con la delibera dell’Autorità numero 379 del 2021, impugnata con il ricorso per motivi aggiunti).

Avverso la prima delibera, Google Ireland deduce quattro motivi di impugnazione.

Mediante il primo motivo essa censura la delibera numero 377 del 2021 sostenendo di non svolgere alcuna attività soggetta a regolamentazione, rappresentando la riorganizzazione aziendale in esito alla quale sarebbe stata iscritta al registro degli operatori di comunicazione la società italiana del gruppo, Google Italy, nella sua qualità di società concessionaria di pubblicità “on-line” che offre servizi di rivendita ai clienti per prodotti e servizi offerti da Google Ireland in Italia. Google Italy avrebbe regolarmente pagato, senza alcuna contestazione, il contributo dovuto per l’anno 2022 quale concessionaria “on-line”, per cui la ricorrente dovrebbe essere esentata dall’obbligo di pagare il contributo in seguito alla richiamata riorganizzazione aziendale.

Con il secondo motivo di ricorso Google Ireland deduce di non essere tenuta al pagamento del contributo anche perché non avrebbe maturato sul territorio nazionale alcun ricavo derivante dall’attività di negoziazione e conclusione di contratti di vendita di spazi pubblicitari sul “web”, in seguito alla predetta riorganizzazione aziendale.

Con il terzo motivo, deduce la illegittimità derivata dell’obbligo contributivo per effetto della illegittima iscrizione della ricorrente al Registro degli operatori della comunicazione, iscrizione già impugnata con il ricorso al Tar del Lazio numero 11.991 del 2019.

Con il quarto motivo, censura i criteri di quantificazione del contributo, deducendo l’assenza di correlazione tra il contributo e i costi complessivi relativi alle attività regolamentate, la impossibilità di computare i ricavi retrocessi a terzi operatori economici, la sovrastima dei costi complessivi da finanziare, l’assenza di correlazione tra i ricavi che l’Autorità otterrebbe dal contributo e i costi complessivi relativi alle attività regolamentate, la violazione dei principi di proporzionalità, obiettività e trasparenza nella determinazione del contributo, l’arbitrarietà e la discriminatorietà delle aliquote, il difetto di trasparenza per assenza di un rendiconto, l’erronea individuazione dei ricavi ai fini del calcolo del contributo.

Preliminarmente si deve rilevare che la questione di legittimità dedotta in via derivata con il terzo motivo di impugnazione è stata oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, disposto con ordinanza di questa sezione numero 12.841 del 10 ottobre 2022, al fine di accertare la compatibilità con il diritto dell’Unione Europea della legislazione nazionale che impone l’iscrizione al registro degli operatori della comunicazione della società ricorrente per i servizi di pubblicità “on-line” e di motore di ricerca “internet” da essa svolti.

Tuttavia, a giudizio del Collegio, la questione pregiudiziale pendente innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea non impedisce la immediata definizione del ricorso introduttivo, mediante la individuazione della ragione più liquida, in applicazione del principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato numero 5 del 2015, per cui è consentito l’assorbimento dei motivi per ragioni di economia processuale, se risulta non lesa l’effettività della tutela dell’interesse legittimo di parte.

In applicazione di questa tecnica processuale, questa sezione del Tar del Lazio ha già accolto, con sentenza numero 10.550 del 25 luglio 2022, il ricorso proposto da Google Ireland (numero di registro generale 4647 del 2021) relativo alla impugnazione della delibera dell’Autorità garante per le comunicazioni numero 616 del 19 novembre 2020, recante la misura e le modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2021 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media.

La motivazione della sentenza può essere richiamata per definire anche il presente giudizio, trattandosi di decisioni sovrapponibili, seppure riferite a due annualità distinte.

Anche nel caso di specie, come in quello oggetto del precedente giudizio, la delibera impugnata risulta viziata per carenza di analiticità nella descrizione dei costi, essendo indicati genericamente i costi imputabili alle attività relative al mercato dei servizi media, senza un’analisi disaggregata dei costi di regolamentazione afferenti all’attività di concessionaria di pubblicità “on-line” svolta dalla società ricorrente.

Pertanto, il ricorso introduttivo deve essere accolto, essendo fondato il quarto motivo di impugnazione, alla luce del principio per cui, in materia di determinazione del contributo gravante sugli operatori del settore delle comunicazioni elettroniche, vige il criterio della correlazione tra i costi operativi sostenuti dall’Autorità e la misura del contributo imposto agli operatori economici del settore oggetto della vigilanza.

Di conseguenza, in accoglimento del ricorso introduttivo, deve essere annullata la delibera impugnata.

Il ricorso per motivi aggiunti è stato invece proposto per l’annullamento della delibera dell’Autorità numero 379 del 2021, relativa al contributo imposto alla società ricorrente nella qualità di soggetto che opera nel settore dei servizi di intermediazione “on-line” e dei motori di ricerca “on-line”.

Quest’ultima delibera è già stata annullata dalla Sezione giudicante con le sentenze numero 10.541, 10.543 e 10.544 del 25 luglio 2022.

Avverso il provvedimento impugnato, la società ricorrente deduce cinque motivi di ricorso.

Con il primo motivo deduce la illegittimità derivata dal contestato obbligo di iscrizione al Registro degli operatori della comunicazione, imposto ai fornitori di servizi di intermediazione “on-line” e di motori di ricerca “on-line”.

Con il secondo motivo deduce la violazione della Direttiva Europea numero 31 del 2000, Direttiva sul Commercio Elettronico.

Con il terzo motivo deduce la violazione del Regolamento Europeo numero 1150 del 2019, regolamento P2B.

Con il quarto motivo deduce la violazione della Direttiva Europea numero 123 del 2006, Direttiva Servizi, nonché dell’articolo 56 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea.

Con il quinto motivo solleva la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 517, della legge numero 178 del 2020.

Le questioni pregiudiziali di interpretazione del diritto dell’Unione Europea, rilevanti per la compiuta definizione del giudizio, sono già state sollevate da questa Sezione con plurime ordinanze (tra le altre, la numero 12.841 del 10 ottobre 2022) al fine di accertare la compatibilità con il diritto dell’Unione Europea della legislazione nazionale che impone l’iscrizione al registro degli operatori della comunicazione delle imprese che prestano servizi di intermediazione e di motore di ricerca “on-line” e che si trovano nella stessa situazione giuridica della ricorrente.

Tuttavia, a giudizio del Collegio, le questioni pregiudiziali pendenti innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea non impediscono la immediata definizione anche del ricorso per motivi aggiunti, mediante la tecnica già enunciata della individuazione della ragione più liquida, per ragioni di economia processuale, non essendo menomata, neanche in questo caso, l’effettività della tutela dell’interesse legittimo di parte.

Pertanto, richiamando il precedente di questa sezione numero 10.551 del 25 luglio 2022, con specifico riferimento al terzo motivo di ricorso dedotto dalla ricorrente, si deve accogliere l’impugnazione, per le seguenti ragioni.

Si deve premettere, al riguardo, che il Regolamento UE n. 2019/1150 non prevede alcun obbligo contributivo associato alla attuazione di esso da parte degli Stati membri UE;
dunque il Regolamento non fonda direttamente la facoltà delle Autorità nazionali di imporre un contributo in capo ai fornitori di servizi di intermediazione in linea per gli oneri di vigilanza sostenuti.

A livello nazionale invece, in base all’art. 1, comma 66-bis, della legge n. 266/2005 (comma inserito dall'articolo 1, comma 517, della legge 30 dicembre 2020, n. 178) per l'anno 2021 e per gli anni successivi i fornitori di servizi di intermediazione on line e di motori di ricerca on line - di cui all'articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5), della legge 31 luglio 1997, n. 249 - sono tenuti a versare un contributo all’Autorità, in misura non superiore al 2 per mille (per gli anni successivi al 2021) dei “ricavi realizzati nel territorio nazionale, anche se contabilizzati nei bilanci di società aventi sede all'estero, relativi al valore della produzione, risultante dal bilancio di esercizio dell'anno precedente, ovvero, per i soggetti non obbligati alla redazione di tale bilancio, delle omologhe voci di altre scritture contabili che attestino il valore complessivo della produzione”.

Per espressa previsione di legge tale contributo è corrisposto (comma 517 cit.) “al fine di assicurare la copertura dei costi amministrativi complessivamente sostenuti per l'esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie attribuite dalla legge all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nelle materie di cui al comma 515”.

A giudizio del Collegio, il contributo previsto dalla disposizione impugnata costituisce una prestazione patrimoniale imposta e rientra nel campo di applicazione dell'art. 23 della Costituzione (v. anche Cass. Civ. 21961/2021);
esso è quindi soggetto al principio di riserva di legge;
l'art. 23 della Costituzione, infatti, prescrivendo che l'imposizione di una prestazione patrimoniale abbia fondamento in una previsione di legge, implica che la legge non lasci all'arbitrio dell'ente impositore la determinazione della prestazione. Spetta infatti al legislatore indicare i criteri - ed eventualmente lo scopo - idonei a delimitare la discrezionalità dell'ente impositore nell'esercizio del potere attribuitogli (cfr. sul punto Corte Cost. sentenza n. 69/2017, con particolare riferimento ai contributi a favore delle Autorità indipendenti). Spetta invece al giudice verificare se, nella previsione e nella determinazione della misura dei contributi, siano stati o meno rispettati i criteri e le finalità desumibili dall'intero contesto normativo che regola la materia.

Uno dei presupposti della fattispecie legale, cui il potere di determinazione dell’Autorità è sottoposto in base alla indicata riserva di legge, è - come anticipato (art. 1, comma 517 cit. “al fine di assicurare la copertura dei costi amministrativi complessivamente sostenuti”) - che sussista una correlazione tra i costi operativi sostenuti dall’amministrazione per l’esercizio delle funzioni indicate (cfr. art 1, comma 515 cit.: “adozione di linee guida, promozione di codici di condotta e raccolta di informazioni pertinenti”) e la misura di imposizione;
per realizzarsi la fattispecie impositiva tra i due valori - i costi per lo svolgimento della specifica attività e gli oneri sopportati per esercitarla - deve dunque sussistere una diretta e percepibile correlazione.

Nel corso dell’annualità di riferimento l’Autorità non risulta aver dato corso, se non in forma generica o propedeutica, allo “esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza o di composizione delle controversie e sanzionatorie” relative al Regolamento UE;
in particolare non risulta aver provveduto alla “adozione di linee guida” o alla “promozione di codici di condotta” attinenti ai temi di cui al Regolamento.

È peraltro principio consolidato, a livello europeo, che in materia di contribuzione all’Autorità di garanzia da parte degli operatori (cfr. Direttiva 2002/20/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, in merito ai titolari di autorizzazione per le reti e i servizi di comunicazione elettronica) i diritti da esigere possono coprire soltanto i costi che si riferiscono alle attività espletate nel settore;
i relativi oneri devono essere quindi essere calibrati in modo proporzionato, obiettivo e trasparente in base al principio di stretta corrispondenza tra i costi finanziati e i contributi riscossi;
i diritti imposti ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2002/20/CE non possono essere pertanto volti a coprire i costi amministrativi di qualsivoglia tipologia sostenuti dall’Autorità, ma quelli specificamente vincolati allo scopo dell’esazione, con esclusione della possibilità che il gettito complessivo di tali diritti ecceda il totale dei costi relativi a tali attività (v. anche ex multis Consiglio di Stato n. 208/202, n. 6771/2021, ove si evidenzia il difetto di motivazione della delibera, per carenza di analiticità della stessa, con specifico riferimento ai vari elementi che “atomisticamente” contribuiscono a formare le voci del contributo richiesto agli operatori).

Sotto questo profilo, dunque, anche la delibera impositiva impugnata con i motivi aggiunti appare sfornita di adeguata e compiuta motivazione, mancando nelle premesse argomentative e, per quanto consta, anche nella fase istruttoria e preparatoria, una ricognizione precisa dell’attività svolta e dei costi sostenuti.

Dal complesso delle suddette considerazioni, che hanno natura assorbente, l’imposizione del contributo appare illegittima, mancando l’accertamento dell’equilibrio tra costi e gettito e dunque risultando carente uno dei presupposti richiesti dal quadro normativo, nazionale ed europeo per l’esazione della impugnata tassa di scopo.

In conclusione, assorbiti tutti gli ulteriori motivi dedotti, devono essere accolti tanto il ricorso introduttivo quanto quello per motivi aggiunti.

La complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione integrale delle spese processuali tra le parti.

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