TAR Catania, sez. III, sentenza 2021-04-30, n. 202101382

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. III, sentenza 2021-04-30, n. 202101382
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202101382
Data del deposito : 30 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/04/2021

N. 01382/2021 REG.PROV.COLL.

N. 02618/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2618 del 2013, proposto da
F S, rappresentato e difeso dall'avvocato A B, con domicilio eletto presso lo studio Antonino Barbagallo in Catania, Piazza Roma 9;

contro

Ministero della Giustizia, Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, in persona del legale rappresentante, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria in Catania, Via Vecchia Ognina 149;

per l'annullamento

del provvedimento del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in data 1 luglio 2013, con cui è stato decretato il trasferimento d’ufficio del ricorrente dalla Casa Circondariale di Messina a quella di Reggio Calabria per un periodo di tre anni, senza corresponsione del trattamento economico di cui all’art. 1 della legge n. 86/2001.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il giorno 28 aprile 2021 il dott. Daniele Burzichelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, Assistente Capo della Polizia Penitenziaria, ha impugnato il provvedimento del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in data 1 luglio 2013, con cui è stato decretato il suo trasferimento d’ufficio dalla Casa Circondariale di Messina a quella di Reggio Calabria per un periodo di tre anni, senza corresponsione del trattamento economico di cui all’art. 1 della legge n. 86/2001.

Occorre precisate che l’interessato è stato candidato alle elezioni comunali di Messina, senza peraltro essere eletto.

L’Amministrazione, preso atto della candidatura, ha avviato il procedimento per il suo trasferimento a Messina ai sensi dell’art. 81 della legge n. 121/1981.

In sede procedimentale il ricorrente ha reso le sue osservazioni, chiedendo di essere trasferito presso l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto.

L’Amministrazione, tuttavia, ha assunta la decisione in questa sede impugnato.

Il contenuto dei motivi di gravame può sintetizzarsi come segue: a) il ricorrente è stato illegittimamente trasferito presso altra Regione e non presso altra Circoscrizione;
b) la sede di Reggio Calabria risulta più “vicina” (secondo l’espressione utilizzata dal legislatore), ma al riguardo non può tenersi conto della mera distanza chilometrica, dovendo essere valutate ulteriori circostanze che possano rendere preferibile il trasferimento ad alta destinazione;
c) d'altronde, le Circolari Ministeriali menzionate in ricorso prevedono che l’interessato possa indicare una o più sedi di suo gradimento e ciò non avrebbe senso se l’Amministrazione dovesse fare rigida e inderogabile applicazione del mero criterio della distanza chilometrica;
d) il mero criterio chilometrico, inoltre, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 51 della Costituzione;
e) l’Amministrazione non ha, poi, tenuto conto dei posti in organico compatibili con la qualifica rivestita dal ricorrente;
f) il provvedimento non appare adeguatamente motivato, anche con riferimento alla decisione di non corrispondere il trattamento economico di cui all’art. 1 della legge n. 86/2001.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio al fine di sostenere la legittimità del provvedimento impugnato e ha depositato documentazione relativa ai fatti di causa.

Con memoria in data 25 febbraio 2021 il ricorrente ha rappresentato quanto segue: a) in data 1 settembre 2014 l’interessato è stato trasferito nella sede di Barcellona Pozzo di Gotto;
b) il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha affermato, con le pronunce indicate in memoria, che non può farsi esclusivo riferimento alla distanza chilometrica questo stesso Tribunale ha ritenuto di adeguarsi alle decisioni adottate dal giudice di appello.

In data odierna la causa è stata trattenuta in decisione.

A giudizio del Collegio il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.

Gli effetti del provvedimento sono stati posti nel nulla dal successivo provvedimento con cui l’interessato è stato trasferito nella sede di Barcellona Pozzo di Gotto.

Ne consegue che il ricorrente non ha più interesse a coltivare la domanda di annullamento del il provvedimento del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in data 1 luglio 2013.

Né risulta possibile una ipotetica dichiarazione di illegittimità del provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 34, terzo comma, c.p.a., il quale stabilisce che, quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori.

Il ricorrente, invero, non ha proposto domanda risarcitoria, né ha manifestato l’intenzione di avanzare tale richiesta con un successivo ricorso.

Occorre precisare che, in ordine all’applicazione del citato art. 34, terzo comma, c.p.a., si sono delineati in passato differenti orientamenti interpretativi.

Secondo un primo indirizzo (cfr., in particolare, Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2063/2014 e T.A.R. del Lazio, Sede di Roma, Sez. II, n. 688/2014), la disposizione in esame troverebbe applicazione allorquando la domanda risarcitoria sia stata proposta nello stesso giudizio, oppure quando la parte ricorrente dimostri di aver già incardinato un separato giudizio di risarcimento del danno o dimostri, comunque, di essere in procinto di farlo.

Secondo un opposto indirizzo (cfr., in particolare, Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2916/2012 e n. 646/2013, nonché T.A.R. di Salerno, Sez. II, n. 298/2014), poiché la domanda di annullamento contiene in sé quella di accertamento dell’illegittimità dell’atto, non sarebbe necessaria, ai sensi del citato art. 34, terzo comma, alcuna specifica istanza dell’interessato.

Secondo un terzo, più consistente ed intermedio orientamento, che si è andato ormai consolidanto (cfr., in particolare, T.A.R. di Milano, Sez. IV, n. 730/2013;
T.A.R. di Milano, Sez. I, n. 2367/2013 e n. 606/32014;
T.A.R. di Napoli, Sez. I, n. 5495/2013 e n. 5744/2013;
T.A.R. di Reggio Calabria, n. 731/2013;
T.A.R. di L'Aquila, Sez. I, n. 785/2015 e n. 561/ 2015;
T.A.R. di Bari, Sez. II, n. 648/2014;
T.A.R. di Bolzano, n. 284/2014;
T.A.R. di Torino, Sez. II, n. 868/2015;
Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2063/2014), sarebbe onere della parte ricorrente, a fronte di sopravvenienze che abbiano reso inutile l’annullamento, prospettare al giudice, mediante una memoria depositata agli atti del fascicolo, ma anche nel corso della discussione orale della causa all’udienza pubblica, in termini dispositivi (cioè impegnativi) ed inequivoci, il proprio perdurante interesse ad avere comunque una decisione di merito sull’illegittimità degli atti impugnati, fornendo in proposito un’adeguata motivazione che consenta alle controparti di contraddire sul punto e al giudice di formarsi in proposito un adeguato convincimento.

Con sentenza della II Sezione, n. 2905/2016 del 10 novembre 2016 (e con altre successive), il Tribunale ha condiviso tale prevalente orientamento, in quanto esso, come precisato dalla giurisprudenza richiamata: a) appare coerente con il contesto normativo che disciplina l’azione di risarcimento del danno (che può essere proposta insieme alla domanda di annullamento, durante la pendenza del relativo giudizio, ovvero in via autonoma);
b) è rispettoso del principio generale della domanda (art. 34, primo comma, c.p.a.);
c) attribuisce un significato utile all'inciso “...se sussiste l'interesse ai fini risarcitori” di cui al terzo comma dell’art. 34, in relazione all’obbligo del giudice di dichiarare improcedibile il ricorso se sopravviene il difetto di interesse, ex art. 35, primo comma, lett. c, c.p.a. (obbligo che non concerne solo il ricorso per annullamento ma tutte le domande proponibili davanti al giudice amministrativo);
d) è conforme al principio di economia dei mezzi processuali (quale corollario della ragionevole durata del processo: cfr. art. 2, secondo comma, c.p.a.), per cui in mancanza di una espressa volontà della parte (in qualunque forma manifestata sino all’udienza di discussione), si evita un’inutile attività giurisdizionale volta a stabilire se il provvedimento sia o meno illegittimo;
e) sotto il profilo sistematico è coerente con la lettera e la “ratio” dell’art. 104 c.p.a., il quale, dopo aver ribadito il divieto nel processo amministrativo di proporre domande nuove in appello, introduce tre eccezioni, la prima delle quali incentrata proprio sull’art. 34, terzo comma, c.p.a. (“Si tratta di un temperamento specifico per il processo amministrativo, innovativamente introdotto dal c.p.a., di cui non vi era traccia nel sistema previgente. La portata dell'eccezione al divieto di domande nuove, fatta dall'art. 104, primo comma, c.p.a., mediante richiamo all’art. 34, terzo comma, è da intendersi nel senso che la domanda di accertamento dell’illegittimità in funzione dell'interesse risarcitorio - indispensabile atteso che il giudice non può pronunciarsi “ex officio” ritenendo compresa la richiesta di accertamento in quella di annullamento - formulata per la prima volta in appello, non costituisce domanda nuova inammissibile, rispetto all’originaria domanda di annullamento, se nelle more tra giudizio di primo grado e di appello, è venuto meno l'interesse all’annullamento dell'atto, ma residua l'interesse al riscontro della sua illegittimità”: in questi termini, Consiglio di Stato, Sez. V, 30 giugno 2011, n. 3913).

In particolare, nella pronuncia del Tribunale che è stata indicata, si è affermato che la parte ricorrente, quanto alla sussistenza dell’interesse ai fini risarcitori, deve fornire un’adeguata motivazione che consenta alle controparti di contraddire sul punto e al giudice di formarsi in proposito un adeguato convincimento, non risultando sufficiente la mera dichiarazione dell’intenzione di proporre una domanda per il ristoro dei danni subiti.

Ciò in quanto il citato art. 34, terzo comma, c.p.c. va interpretato alla luce dell’art. 111, secondo comma, della Costituzione, il quale, nel sancire il principio della “ragionevole durata” del processo, inibisce l’espletamento di attività processuali ingiustificate o superflue.

Occorre così, quanto all’accertamento ex art. 34, terzo comma, c.p.a., che l’interesse ad una pronuncia di merito sia adeguatamente circostanziato dalla parte ricorrente per consentire al giudice una puntuale verifica in ordine alla sua serietà e consistenza, onde prevenire lo svolgimento di un’attività giurisdizionale che, senza alcuna obiettiva utilità, impedisca la più sollecita ed economica definizione del giudizio.

L’orientamento seguito dal Tribunale è condiviso dalla giurisprudenza amministrativa oggi assolutamente prevalente: sul punto, cfr., da ultimo, Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 22 maggio 2020, n. 306, in cui si evidenzia che, per sostenere l’interesse all’annullamento, è necessario - ma anche sufficiente - che il ricorrente alleghi compiutamente i presupposti per la successiva proposizione dell'azione risarcitoria, a partire ovviamente dal danno sofferto.

Tale onere non è stato assolto nel caso di specie dall’interessato, posto che lo stesso non ha manifestato alcun intento di proporre domanda risarcitoria.

Per le considerazioni che precedono il ricorso va dichiarato improcedibile, mentre, avuto riguardo al complessivo svolgimento della vicenda, le spese di lite possono essere compensate.

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