TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2017-10-23, n. 201710630
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Pubblicato il 23/10/2017
N. 10630/2017 REG.PROV.COLL.
N. 20930/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 20930 del 2000, proposto da:
Cella M, rappresentato e difeso dall'avvocato M Giuliani, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Pietro Borsieri, 3;
contro
Comune di Nettuno, rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Teresa D'Agostino, con domicilio eletto presso l’avv. U Bcampi in Roma, viale Giulio Cesare, 183;
per il risarcimento danni relativo alla illegittimità del diniego di concessione edilizia del 1 agosto 1996
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Nettuno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2017 la dott.ssa C A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente il 14 maggio 1996 presentava domanda per il rilascio di una concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato ad uso residenziale nel Comune di Nettuno, località Piscina Cardillo, in zona con destinazione di P.R.G. S1E, che in base all’art. 8 delle N.T.A. comprendeva “le aree delle Borgate strettamente contermini a quelle già urbanizzate o in corso di avanzata urbanizzazione…Compito di questa zona è di costituire un efficace raccordo tra le sparse situazioni edilizie dovute al processo spontaneo di crescita edilizia, dotando altresì nuovi aggregati di quelle attrezzature, aree e servizi necessari”, per cui era prevista la previa approvazione di piani particolareggiati o di lottizzazioni convenzionate. Pertanto con provvedimento del 1 agosto 1996 il Sindaco respingeva la richiesta anche sulla base del parere della Commissione edilizia.
Avverso tale provvedimento è stato proposto il ricorso n.15346 del 1996, che a seguito di istruttoria disposta dal Tribunale con la sentenza interlocutoria n. 1555 del 1999 per verificare lo stato di urbanizzazione dell’area, si è concluso con la sentenza n. 6742 del 2001, che ha fatto riferimento, in relazione all’effettivo stato di urbanizzazione dell’area e alla mancata adozione del piano attuativo, alla possibilità di rilasciare provvedimenti concessori nei limiti di cui all’art. 4 della legge 10 del 1977 e al potere dovere di modifica dello strumento urbanistico, non più attuale.
Il 14 gennaio 2003 è stata rilasciata la concessione edilizia.
Nel frattempo, con atto notificato il 5 dicembre 2000, è stato proposto il presente ricorso contenete la domanda di risarcimento danni per l’illegittimo diniego della concessione.
Si è costituito il Comune di Nettuno contestando l’ammissibilità del ricorso in relazione al difetto di giurisdizione e deducendone comunque l’infondatezza.
Con decreto n. 684 del 2014 il giudizio è stato dichiarato perento ai sensi dell’art. 1 delle norme transitorie del codice del processo amministrativo. In base al comma 2 di tale disposizione il decreto è stato successivamente revocato a seguito della dichiarazione di interesse presentata da parte ricorrente.
Con la memoria depositata per l’udienza pubblica la difesa ricorrente ha insistito per l’accoglimento per la domanda risarcitoria depositando ulteriore documentazione relativa alla quantificazione dei danni.
All’udienza pubblica del 10 ottobre 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
La difesa del Comune ha proposto l’eccezione di giurisdizione proposta sulla base dell’art. 45 comma 18 del d.lgs. n. 80 del 1998, per cui “le controversie di cui agli articoli 33 e 34 del presente decreto sono devolute al giudice amministrativo a partire dal 1° luglio 1998. Resta ferma la giurisdizione prevista dalle norme attualmente in vigore per i giudizi pendenti alla data del 30 giugno 1998”. Ritiene il Collegio la infondatezza delle eccezione, in quanto la presente azione risarcitoria è stata proposta il 5 dicembre 2000, successivamente, quindi, alla entrata in vigore della legge n. 205 del 21 luglio 2000, che, all’art. 7, ha comunque previsto l’abrogazione “dell’articolo 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, e ogni altra disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi”. Poiché, ai sensi dell’art. 5 del codice di procedura civile, la giurisdizione si determina con riferimento “allo stato di fatto e alla legge vigente al momento di proposizione della domanda”, nel caso di specie sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo anche sulla domanda risarcitoria.
La domanda di risarcimento danni è, peraltro, infondata.
Come è noto, la giurisprudenza è costante nel ritenere che il risarcimento del danno nei confronti della pubblica amministrazione non sia una conseguenza diretta e costante dell'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, anche del nesso causale tra l'illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell'amministrazione. Con riferimento, in particolare all’elemento soggettivo, la illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l'ambito più o meno ampio della discrezionalità dell'amministrazione (Consiglio di Stato n. 4318 del 2014). Ai fini dell'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno non è, quindi, sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa, dovendosi verificare se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato siano avvenute in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali l'esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi;da ciò deriva che, in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati, il giudice amministrativo, può affermare tale responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato;il giudice può invece negarla quando l'indagine conduca al riconoscimento dell'errore scusabile;in particolare, l’errore dell’Amministrazione è considerato scusabile, ai fini della integrazione della colpa, in presenza di oggettiva oscurità, sovrabbondanza o repentino mutamento delle norme applicabili, ovvero di verificata sussistenza di contrasti interpretativi (Consiglio di Stato, sez. IV, 1 agosto 2016, n. 3464, V, 18 gennaio 2016, n. 125 ).
Nel caso di specie, l’annullamento giurisdizionale pronunciato con la sentenza n. 1642 del 2001, in primo luogo, non ha immediatamente attribuito il bene della vita richiesto dal ricorrente ( ovvero la concessione edilizia), ma ha fatto riferimento alla possibilità di “scenari diversi” che avrebbero dovuto essere valutai dal Comune al venire meno del vincolo, in particolare o a singoli provvedimenti concessori rilasciabili ex art. 4 della legge n. 10 del 1977 o al dovere del Comune di predisporre modifiche degli strumenti urbanistici non più attuali.
Inoltre, con riferimento all’elemento soggettivo in capo all’Amministrazione comunale, si deve considerare, che gli elementi della responsabilità da fatto illecito devono essere integrati con riferimento alla situazione al momento dell’adozione provvedimento impugnato.
La domanda di risarcimento danni proposta in questo giudizio riguarda il comportamento tenuto dal Comune rispetto al diniego di concessione edilizia poi annullato da questo Tribunale con la sentenza n. 1642 del 2001, successiva alla proposizione del presente ricorso. Trattandosi della valutazione del comportamento del Comune è evidente che si deve fare riferimento alla situazione di fatto e di diritto in cui tale comportamento è stato realizzato, ovvero nel 1996.
Il comportamento dell’Amministrazione non risulta improntato a colpa, nel senso di imperizia o negligenza, in quanto la giurisprudenza non era costante nel senso affermato dal Tribunale, ma anzi proprio in quegli anni si stava affermando un orientamento giurisprudenziale anche del Consiglio di Stato, per cui luogo l’obbligo della pianificazione attuativa prevista nel piano regolatore generale non costituisce un vincolo espropriativo e non è soggetto, quindi, alla decadenza dopo la decorrenza del termine di cinque anni. La decadenza, prevista dall'art. 2 l. 19 novembre 1968 n. 1187 per le indicazioni di piano regolatore che incidano su beni determinati assoggettabili a vincoli preordinati ad espropriazione o che comportino inedificabilità, non si applica alle disposizioni del piano regolatore generale che prevedono che la sua attuazione debba aver luogo in tutto o in parte mediante uno strumento urbanistico di livello inferiore e, in particolare, prevede che alcuni interventi possono essere svolti solo previa l'adozione di uno strumento esecutivo;infatti, tutte le determinazioni di strumento urbanistico comunale che limitano l'attività edilizia, che non sono preordinate all'espropriazione e che consentono al titolare del bene di utilizzarlo, non costituiscono altro che espressione del potere di pianificazione, cioè del potere della autorità urbanistica di zonizzare il territorio comunale, al fine di programmare l'ordinato sviluppo delle aree abitate e di salvaguardare i valori urbanistici e ambientali esistenti (cfr. Sez. V, 22 marzo 1995, n. 451). In base a tale ricostruzione veniva, altresì, affermato che se uno strumento urbanistico generale prevede che la sua attuazione debba aver luogo in tutto o in parte mediante uno strumento urbanistico di livello inferiore, la concessione edilizia può essere rilasciata solo quando diventi efficace lo strumento esecutivo (Consiglio di Stato, n. 451 del 22 marzo 1995;nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. V, 17 marzo 1997, n. 256;30 aprile 1997, n. 412).
Tale linea interpretativa, poi divenuta prevalente, è stata trasfusa anche nella disposizione dell’art. 9 comma 2 del d.p.r. 380 del 2001, in base alla quale, nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l'edificazione sono consentiti solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo e ristrutturazione, non quindi interventi di nuova edificazione.
In base alla successiva giurisprudenza del Consiglio di Stato, con tale norma è stato rimarcato il principio della indefettibilità del piano attuativo prescritto dallo strumento generale, principio già desumibile dalla legge urbanistica n. 1150 del 1942 (Consiglio di Stato IV, 5 marzo 2008, n. 940;sulla indefettibilità dello strumento attuativo cfr. , altresì, Consiglio di Stato Sez. V, 13 marzo 2000, n.1594, per cui quando uno strumento urbanistico generale prevede che la sua attuazione debba avere luogo in determinate parti del territorio comunale mediante uno strumento urbanistico di livello inferiore e in particolare che gli interventi edilizi avvengano solo previa adozione di un piano esecutivo, l'assentibilità all'edificazione può avvenire solo dopo che detto strumento di dettaglio è stato approvato ed è divenuto efficace e la parte del territorio, per il quale il P.R.G. esige l’emanazione di uno strumento attuativo, non può essere quindi edificata sulla base di concessioni singole).
Da tale quadro normativo e giurisprudenziale deriva che l’Amministrazione comunale, nel caso di specie, non può essere ritenuta in colpa per non avere rilasciato la concessione edilizia, in relazione alle oscillazioni giurisprudenziali sul punto al tempo di adozione del provvedimento negativo e al prevalere, comunque, successivamente della soluzione interpretativa adottata dal Comune, fatta propria anche dal legislatore con la diposizione dell’art. 9 del d.p.r. 380 del 2001, che ha sancito la prevalenza dell’interesse pubblico all’ ordinato assetto del territorio.
Sotto tale profilo si deve anche considerare che la norma di attuazione del p.r.g. del Comune di Nettuno applicata nel caso di specie, ovvero l’art. 8 N.T.A. , faceva espressamente riferimento alla esigenza di “raccordo tra le sparse situazioni edilizie dovute al processo spontaneo di crescita edilizia” e, quindi l’Amministrazione ha respinto la domanda di concessione sulla base di tale esigenza espressa dello strumento urbanistico generale;inoltre, ciò, in conformità ad un orientamento giurisprudenziale, oramai consolidato, per cui anche nel caso in cui l'intervento edilizio sia previsto in zona già urbanizzata, non è esclusa la necessità della redazione del piano particolareggiato, qualora previsto dal piano regolatore, che comporterebbero una disordinata edificazione, paradossalmente ostacolante il procedimento di approvazione del medesimo ( Consiglio di Stato, Sez. IV, 26 gennaio 1998, n. 67;V, 13 marzo 2000, n.1594;cfr, altresì, di recente Consiglio di Stato Sez. IV, 12 novembre 2015, n. 5159, per cui, la finalità dello strumento attuativo risiede non solo nell'esigenza di consentire una razionale ed armonica edificazione sulla base di una pianificazione di dettaglio, ma anche per definire ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona (ad esempio completando il sistema di viabilità secondaria o integrando l'urbanizzazione esistente per il rispetto degli standard minimi per spazi e servizi pubblici) e assicurare un armonico collegamento con le zone contigue.
Conclusivamente non sussistono profili di colpa dell’Amministrazione comunale e il ricorso contenente la domanda risarcitoria è infondato e deve essere respinto.
In considerazione della particolarità delle questioni sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.