TAR Brescia, sez. II, sentenza 2021-12-07, n. 202101042
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Pubblicato il 07/12/2021
N. 01042/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00222/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 222 del 2021, proposto da
Media&Spazi S.r.l.S., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Brescia, rappresentato e difeso dagli avvocati F M e A O, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
- della delibera del Consiglio comunale n. 25 del 10.02.2020 e del regolamento con essa approvato, disciplinante misure preventive per sostenere il contrasto dell'evasione dei tributi locali;
- della delibera del Consiglio Comunale n. 6 del 14.01.2021 e del regolamento con essa approvato disciplinante l’applicazione del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria;
- del provvedimento datato 12 febbraio 2021 di rigetto definitivo della richiesta p.g. n. 73824/2019, presentata il 3.4.2019, avente ad oggetto l’autorizzazione all’installazione di un impianto pubblicitario in via Oberdan – postazione SX 30;
- di tutti gli atti annessi e presupposti, ivi compreso il preavviso di rigetto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Brescia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2021 la dott.ssa M B;
Udito il procuratore di parte ricorrente e lette le note d’udienza dell’Amministrazione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame parte ricorrente censura la legittimità del provvedimento con cui il Comune ha negato alla stessa, operante nel settore pubblicitario, l’autorizzazione all’installazione di un impianto pubblicitario in via Oberdan – postazione SX 30, presentata al Comune il 3 aprile 2019, dopo aver trasmesso alla stessa, in data 10 febbraio 2020, un primo preavviso di rigetto riportante le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza e poi, in data 16 dicembre 2020, un invito a regolarizzare la posizione tributaria, specificando che l’inutile decorso del termine avrebbe comportato il definitivo diniego della richiesta autorizzazione.
Non avendo, la società in questione, ottemperato alla regolarizzazione nei termini pretesi dal Comune, questi ha rigettato l’istanza con il provvedimento che è stato prontamente impugnato con il ricorso in esame, con il quale è stata dedotta la violazione dell’art. 1 della legge n. 241/90, dell’art. 1 della legge 689/1981, dell’art. 3 del d. lgs. 472/1997, dell’art. 23 della Costituzione, dei principi di proporzionalità, adeguatezza e dell’obbligo di motivazione del provvedimento.
Secondo quanto sostenuto in ricorso, la ricorrente avrebbe provveduto al pagamento di tutte le pendenze prima dell’adozione del provvedimento ad essa note, considerato che la contestazione del Comune sarebbe generica e non puntuale rispetto all’individuazione di specifici tributi dovuti e relative annate. Peraltro, il regolamento applicato sarebbe entrato in vigore dieci mesi dopo la presentazione della domanda e, dunque, la sua applicazione sarebbe stata determinata solo dal ritardo con cui l’Amministrazione ha concluso il procedimento, che sarebbe dovuto essere portato a termine nell’arco di sessanta giorni dalla domanda. In ogni caso l’applicazione della norma integrerebbe l’applicazione di una sanzione introdotta dal regolamento dopo la presentazione della domanda stessa e, quindi, in contrasto con il principio di irretroattività.
Peraltro, quella applicata sarebbe una misura afflittiva adottata in violazione della riserva di legge derivante dall’art. 1 della legge n.689/1981, secondo cui “ Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge ” e dal carattere sproporzionato.
In ogni caso la ricorrente avrebbe sanato la propria posizione tributaria, avendo provveduto, in data 14 gennaio 2021, al pagamento dell’ICP del 2019, mentre la COSAP per gli anni dal 2014 al 2017 avrebbe dovuto essere richiesta alla dante causa dell’odierna ricorrente, che ha acquistato l’impianto solo nel 2018.
La COSAP del 2018 e, dunque, successiva all’acquisto del ramo d’azienda da parte di Media&spazi, sarebbe stata da tale società pagata, con esclusione per quella pretesa in relazione a cartelli pubblicitari posti su muri obliqui per i quali pende contezioso, dal momento che secondo l’operatore pubblicitario essi non inciderebbero su suolo pubblico.
La COSAP degli anni 2019 e 2020, invece, sarebbe stata regolarmente pagata.
Si è costituito in giudizio il Comune, chiedendo il rigetto del ricorso.
Tutto ciò premesso, il ricorso non può trovare positivo apprezzamento.
Preliminarmente appare opportuno chiarire che la contestazione delle pendenze da parte del Comune non può ritenersi, così come invece sostenuto nella proposizione del gravame, “generica e non puntuale”, atteso che ciò risulta essere smentito dalla precisione con cui la stessa Media&spazi ha formulato, in data 15 gennaio 2021, le proprie osservazioni in relazione alle singole posizioni di irregolarità cui si fa riferimento nel preavviso di rigetto.
Ciò acclarato, il Collegio ritiene che il principio tempus regit actum debba trovare applicazione anche qualora sia stato violato il termine per la conclusione del procedimento. Per evitare le conseguenze dell’inutile decorso del tempo (compresa quella dell’entrata in vigore di una disciplina sopravvenuta), il legislatore ha introdotto, attraverso il combinato disposto dell’art. 2 della legge 241/90 e degli articoli 31 e 117 del codice del processo amministrativo che lo regolamentano, l’istituto del silenzio inadempimento, azionabile avanti al giudice amministrativo per ottenere la conclusione del procedimento. Il destinatario del provvedimento finale che non reagisca all’inerzia dell’amministrazione secondo le norme ora ricordate si espone al rischio dell’assoggettamento a un’eventuale normativa sopravvenuta che incida negativamente sulla sua pretesa, così come accaduto nella fattispecie.
Ne consegue che, in disparte ogni considerazione in ordine agli effetti del ritardo dovuto alla violazione di un termine ordinatorio (cfr. T.A.R. Palermo, Sez. III, 4 giugno 2020, n.1143), la ricorrente non può pretendere la disapplicazione del nuovo regolamento medio tempore entrato in vigore.
Si può, quindi, passare all’esame dell’istanza caducatoria degli atti regolamentari, che forma anch’essa oggetto del ricorso in esame, essendone stata dedotta l’illegittimità per violazione della riserva di legge e per l’asserita sproporzione della sanzione.
Le censure, però, non colgono nel segno.
L’avversato regolamento disciplinante le misure preventive per sostenere il contrasto dell’evasione dei tributi locali, approvato il 10 febbraio 2020, con deliberazione n. 25, prevede, al primo comma dell’art. 5, che: “ Qualora gli uffici comunali competenti rilevino, in carico a soggetti titolari di licenze, autorizzazioni e concessioni attive la condizione di irregolarità tributaria, gli stessi provvederanno ad inviare la notifica all’interessato della comunicazione di avvio del procedimento di sospensione dell’attività di cui alle licenze, autorizzazioni, concessioni e segnalazioni certificate di inizio attività, con le modalità e termini previsti all’art. 3 secondo periodo del Regolamento. In caso di mancato rispetto dei termini e degli adempimenti, la licenza, autorizzazione o concessione viene revocata. ”.
Tale disposizione fa “sistema”:
a) con l’art. 41, comma 7, del Regolamento per l’applicazione del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria adottato il 14 gennaio 2021, n. 6, secondo cui “ Costituisce pregiudiziale causa ostativa al rilascio o rinnovo della autorizzazione l'esistenza di morosità del richiedente nei confronti del Comune per somme pregresse afferenti l’esposizione pubblicitaria relativa anche ad altri impianti e mezzi pubblicitari, nonché per canone di occupazione. L’assolvimento di debiti pregressi può essere assolto tramite sottoscrizione di piano rateale;in questo caso l’autorizzazione è rilasciata in forma condizionata al rispetto del piano rateale. Il mancato rispetto del piano rateale, per almeno due rate anche non consecutive, costituisce condizione sufficiente alla decadenza dalla autorizzazione. ”. Ciò ribadendo e specificando il concetto già espresso nel precedente comma 8 dell’art. 32, secondo cui “ Nel caso in cui il richiedente, titolare di precedente concessione per occupazione di suolo pubblico di qualunque tipologia, risulti non aver ottemperato al pagamento dei canoni dovuti, la nuova richiesta non può essere accolta sino all’avvenuto versamento di tutti gli importi dovuti, anche pregressi. ”;
b) con l’art. 4, comma 3, del Regolamento comunale per l’applicazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, modificato da ultimo in data 24 gennaio 2020, con deliberazione n. 11, norma secondo cui “ Nel caso in cui il richiedente, titolare di precedente concessione per occupazione di suolo pubblico di qualunque tipologia, risulti non aver ottemperato al pagamento dei canoni dovuti, la nuova richiesta non può essere accolta sino all’avvenuto versamento di tutti gli importi dovuti, anche pregressi. ”.
Ne deriva un quadro di misure che non possono essere qualificate come introduttive di sanzioni in senso stretto, ma volte ad escludere la possibilità di ottenere un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del richiedente, quando lo stesso si trovi ad essere debitore del Comune in relazione a tributi e canoni. E che non di sanzioni si tratti è dimostrato dal fatto che la condizione di inadempienza può essere sanata nel corso del procedimento, così rimuovendo l’ostacolo al rilascio dell’autorizzazione.
Esclusa, dunque, la natura sanzionatoria delle previsioni in parola, non possono trovare positivo apprezzamento, né la censura riferita alla violazione del principio di irretroattività delle sanzioni, né quella correlata alla pretesa violazione della riserva di legge rispetto al potere impositivo.
A tale proposito si deve ricordare che è l’art. 15 ter del D.L. n. 34/2019 a riconoscere la potestà regolamentare esercitata dal Comune di Brescia, laddove prevede che: “ Gli enti locali competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni e dei relativi rinnovi, alla ricezione di segnalazioni certificate di inizio attività, uniche o condizionate, concernenti attività commerciali o produttive possono disporre, con norma regolamentare, che il rilascio o il rinnovo e la permanenza in esercizio siano subordinati alla verifica della regolarità del pagamento dei tributi locali da parte dei soggetti richiedenti. ” .
Ciò senza imporre alcun limite minimo per poter ritenere integrata la condizione di irregolarità, che, dunque, può corrispondere anche con il mancato pagamento di una sola annualità (come nel caso della previsione del regolamento disciplinante l’applicazione del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria), ovvero di due (come nel caso del regolamento disciplinante misure preventive per sostenere il contrasto dell'evasione dei tributi locali).
Non si ravvisa, dunque, nemmeno la dedotta sproporzione delle misure censurate.
Ritenuto, dunque, che i regolamenti impugnati superino le censure dedotte, si può passare all’esame della legittimità del provvedimento applicativo direttamente lesivo della posizione della ricorrente.
Quanto alla effettiva esistenza di un’inadempienza, presupposto dell’atto, ma revocata in dubbio nel ricorso, la circostanza è confermata dai documenti in atti. Infatti, come dimostrato dalla documentazione depositata da entrambe le parti, sebbene parte ricorrente, abbia, dopo le varie contestazioni, provveduto a regolarizzare tutte le posizioni di insolvenza relative agli impianti da sempre di proprietà della stessa e a quelli acquisiti dalla Nord Spazi s.r.l., ciò non ha riguardato il Cosap relativo agli impianti collocati in via Carlo Zima e in via Corsica per le annualità dal 2014 al 2018: si tratta, dunque, della reiterazione dell’omissione del pagamento in relazione a cinque successivi avvisi di accertamento (tutti notificati nel 2019), poi ripetutasi anche per gli anni 2019 e 2020, non ancora formalmente contestati.
Secondo la ricorrente le somme pretese dal Comune sarebbero state illegittimamente richieste per due ordini di ragioni, una soggettiva e l’altra oggettiva. Il canone per l’occupazione del suolo pubblico dovuto per gli anni dal 2014 al 2017, infatti, avrebbe, secondo la Media&spazi, dovuto essere richiesto alla dante causa della stessa società, proprietaria degli impianti in quel periodo e ceduti alla medesima solo con il contratto del 2019.
A tale proposito, però, si deve rilevare, in primo luogo, che la stessa Media&spazi, nella dichiarazione ricognitiva degli impianti in sua disponibilità ne indica ben quattro collocati in via Carlo Zima, di cui tre autorizzati già nel 2017. Posto che secondo quanto emerge dalla memoria del Comune almeno uno di questi, non precedentemente appartenuto alla Nord Spazi, rientra tra quegli impianti per cui è stato contestato il mancato pagamento del canone e che tale circostanza non è stata contestata dalla Media&spazi, la violazione del regolamento, ostativa al rilascio di una nuova autorizzazione deve ritenersi comunque propriamente riferita a tale società per fatto alla stessa direttamente imputabile (essendo stato l’impianto sempre nella sua disponibilità ed essendo stato omesso il pagamento sia per le annualità 2017, che 2018 e, a quanto consta, anche per il 2019).
In ogni caso, al debito direttamente maturato dalla Media&spazi deve assommarsi anche quello relativo agli impianti alla stessa ceduti dalla Nord Spazi.
Ciò in quanto parte ricorrente ha prestato acquiescenza rispetto alla pretesa fatta valere dal Comune, non solo provvedendo al pagamento di tutti gli altri tributi e canoni non pagati dalla dante causa, ma anche in ragione della mancata impugnazione dei provvedimenti di accertamento del 2019, notificati all’odierna ricorrente il 5 settembre 2019, ancorché riferiti a somme non pagate dalla Nord Spazi, così di fatto riconoscendo il proprio subentro in ogni posizione debitoria della società cedente rispetto agli impianti ceduti.
Sul piano oggettivo, la Media&spazi sostiene che la morosità in questione non potrebbe costituire un ostacolo al rilascio di una nuova autorizzazione all’installazione di un ulteriore impianto pubblicitario, in quanto la condizione non sarebbe stata definitivamente accertata.
Fermo restando che, come già più sopra evidenziato, la norma di riferimento richiede l’”esistenza di morosità”, senza far alcun accenno alla sua definitività, nella fattispecie in esame non può ritenersi che la stessa sia sub judice .
Infatti, sebbene nell’avviso di accertamento si faccia in effetti riferimento alla possibilità per il destinatario dello stesso di rivolgersi agli Uffici comunali “per promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela” e/o la correzione di eventuali errori, esso dà puntualmente conto che l’unico ricorso ammesso è quello avanti al Giudice ordinario di Brescia.
È principio generale quello secondo cui, essendo il potere di agire in autotutela un potere discrezionale dell’Amministrazione, la proposizione di un’istanza di revoca o revisione o correzione non comporta la sospensione dei termini per ricorrere. Tale effetto sospensivo, infatti, non è previsto da alcuna norma.
Dunque, anche nel caso di specie, in cui vi è stata, in effetti, la proposizione di un’istanza volta ad ottenere l’annullamento dell’accertamento, contestando l’esistenza del presupposto impositivo (in ragione del fatto che l’impianto pubblicitario non insisterebbe su suolo pubblico) il decorso del termine di sessanta giorni dalla notifica senza che sia stato proposto ricorso avanti al giudice ordinario ha comportato il consolidamento del provvedimento, nonostante il silenzio serbato dall’Amministrazione.
Anche il presupposto oggettivo deve, dunque, ritenersi integrato.
Peraltro, da ultimo, solo con le note d’udienza depositate il 22 novembre 2021, parte ricorrente ha sostenuto, per la prima volta, la natura di canone e non anche di tributo del Cosap, che, dunque, renderebbe illegittimo il provvedimento, motivato dal riferimento alla morosità tributaria.
La censura è palesemente tardiva e, dunque, inammissibile, prima ancora che inutiliter data , dal momento che l’improprio richiamo al regolamento che sanziona la morosità tributaria è superato, di fatto, dall’integrazione per relationem operata attraverso il richiamo all’esito della verifica tributaria (di cui alla nota del responsabile del settore Tributi datata 22 aprile 2021) in cui si dà espressamente conto della violazione dell’, ancor più restrittivo, regolamento sul Canone Unico Patrimoniale.
Ne deriva il rigetto del ricorso e le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza.