TAR Torino, sez. I, sentenza 2014-01-03, n. 201400002

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. I, sentenza 2014-01-03, n. 201400002
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 201400002
Data del deposito : 3 gennaio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00975/2001 REG.RIC.

N. 00002/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00975/2001 REG.RIC.

N. 00976/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sui ricorsi riuniti numero di registro generale 975 e 976 del 2001, proposto da:
Impresa di Costruzioni San Giulio Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. R C P, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Torino, via Cernaia, 30;

contro

Comune Ivrea, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti M C e N P, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, via Paolo Sacchi, 44;




quanto al ricorso n. 975 del 2001:

per la condanna

del Comune di Ivrea, al risarcimento del danno patito e patiendo dalla ricorrente in relazione ai fatti riguardati dalla sentenza 6.6.1996 n. 680/96 della Quinta Sezione del Consiglio di Stato ed a quelli successivi e comunque connessi, secondo quanto in appresso, e ciò nei modi e nei termini di cui all'art. 35 d.lgs. 80/1998 s.m.i., nel testo sostituito dall'art. 7 della L. 205/2000, giusta le conclusioni di cui infra ;

con la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma rivalutata anno per anno.

quanto al ricorso n. 976 del 2001:

al rimborso della a suo tempo corrisposta a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e di quella versata a garanzia per opere di urbanizzazione primaria, a fronte del rilascio della licenza edilizia 7-1-1974 n. 2141 ai coniugi L F e C L (licenza poi volturata alla soc. San Giulio in data 29.7.1974 prot. 6029) per la costruzione di una casa di civile abitazione in quel di Ivrea, strada Sant'Ulderico su fondo identificato a catasto al F. 14 nn. 53-57-69;

con la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma rivalutata.


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ivrea;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2013 il dott. Giovanni Pescatore e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I due ricorsi che vengono in decisione si innestano su un articolato quadro di antefatti, sviluppatisi dal 1974 al 1996, di cui qui di seguito occorre dare conto in via preliminare e per punti essenziali.

1.1 In data 7 gennaio 1974 il Sindaco di Ivrea rilasciava ai coniugi L F e C L la licenza edilizia n. 2141 per la costruzione di un edificio residenziale in quel di Ivrea, strada Sant’Ulderico, su fondo identificato a catasto al F. 14 nn. 53-57-69, della superficie complessiva di mq. 8999.

1.2 I beneficiari corrispondevano la somma di £. 5.526.092, quale contributo per le opere di urbanizzazione oltre a £. 216.160, quale garanzia per le opere di urbanizzazione primaria.

1.3 Nel luglio 1974 la licenza edilizia veniva volturata all’impresa Costruzioni San Giulio.

1.4 In data 21 agosto 1978 il Comune di Ivrea, a mezzo del suo Ufficio Tecnico, effettuava un sopralluogo per accertare lo stato di avanzamento dei lavori.

1.5 Dagli esiti dell’accertamento traeva origine l’ordinanza sindacale 24 agosto 1978, n. 993 prot. 6506, con la quale veniva disposta la revoca della licenza edilizia, sulla base della seguente motivazione: “vista la relazione n. 110/78 in data 21 agosto 1978 dell’ufficio tecnico comunale dalla quale emerge la manifesta volontà della soc. San Giulio s.a.s. a non costruire” e “su conforme parere espresso in merito dalla commissione igienico edilizia”.

1.6 Il provvedimento sindacale n. 993/6506 veniva prontamente impugnato dalla Costruzioni San Giulio innanzi al T.A.R. Piemonte, con ricorso iscritto ad R.G. 1107/1978. Il giudizio si concludeva con la reiezione dell’impugnativa (sentenza n. 647 depositata il 20 dicembre 1991), statuizione poi cassata dal Consiglio di Stato che, con sentenza n. 680, depositata il 6 giugno 1996, annullava l’ordinanza sindacale n. 993/6506 del 24 agosto 1978, ritenendola viziata da eccesso di potere per difetto di motivazione.

1.7 Pendente il giudizio, veniva approvata, in data 17 gennaio 1980, una variante al P.R.G. del Comune di Ivrea che introduceva la non edificabilità dei terreni oggetto della licenza edilizia n. 2141/74. Analogo vincolo di inedificabilità veniva reiterato con una seconda variante al P.R.G.C., approvata con delibera della Giunta Regionale n. 80-5347 del 15 aprile 1991.

1.8 Ambedue le norme di piano venivano impugnate dalla San Giulio innanzi al T.A.R. Piemonte: il primo ricorso, riguardante la prima variante, veniva dichiarato improcedibile, con sentenza n. 608 del 25 luglio 1996, per sopravvenuta carenza di interesse (essendo intervenuta la nuova variante che superava quella impugnata);
il secondo ricorso, invece, trovava accoglimento, con la sentenza n. 609 del 25 luglio 1996 – passata in giudicato in data 1 dicembre 1996 - che annullava la variante al P.R.G.C. approvata con deliberazione della Giunta Regionale n. 80-5347 del 15 aprile 1991.

1.9 Il nuovo P.R.G. del Comune di Ivrea, approvato in data 11 dicembre 2006, ha restituito l’edificabilità all’area in questione.

2. Le premesse sin qui richiamate consentono di inquadrare i temi e le istanze dell’odierno giudizio.

2.1 Con un primo ricorso, iscritto ad R.G. 975/2001, l’impresa Costruzioni San Giulio ha avanzato domanda di risarcimento del danno risentito per effetto sia del provvedimento sindacale di revoca della licenza edilizia, sia del successivo vincolo di inedificabilità dell’area, introdotto dalla duplice variante al P.R.G.C..

Nell’impostazione contenuta in ricorso si assume che le due misure amministrative hanno vanificato il programma edificatorio in procinto di essere realizzato sull’area oggetto di licenza edilizia: l’ordinanza sindacale, obbligando la ricorrente alla sospensione dei lavori;
la delibera di variante del P.R.G.C., precludendo in maniera definitiva la prosecuzione delle opere.

Il pregiudizio che ne sarebbe conseguito viene prospettato in plurime e corpose voci di danno emergente, lucro cessante e danno da ritardo, connesse alla distruzione del cantiere conseguente all’interruzione dei lavori;
allo svilimento economico del sito, passato da area edificabile ad area agricola;
alla perdita degli investimenti collegati al progetto edile;
al mancato utile dell’operazione;
al pregiudizio professionale e di immagine.

La fattispecie di illecito viene completata nel suo elemento soggettivo, desumendosi il profilo colposo delle condotte censurate dall’accertamento di illegittimità - statuito in via giudiziale - sia del provvedimento di revoca della licenza edilizia (cfr. sentenza n. 680/1996 del Consiglio di Stato), sia della variante di P.R.G.C. (cfr. sentenza n. 609/1996 del T.A.R. Piemonte).

2.2 Nel separato ricorso iscritto ad R.G. 976/2001, la ricorrente ha avanzato domanda di restituzione delle somme versate per oneri di urbanizzazione, incrementate della rivalutazione monetaria e degli interessi legali.

3. In entrambi i giudizi si è costituito il Comune di Ivrea.

3.1 Con riferimento al primo ricorso, la difesa del Comune ha eccepito l’intervenuta prescrizione del credito risarcitorio, in quanto azionato oltre il termine di cinque anni dall’evento di danno (ex art. 2947, 1° comma, c.c.), individuato nell’atto di revoca del 24 agosto 1978.

3.2 Nel merito, ha sostenuto che il nuovo indirizzo in materia di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo, inaugurato dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 500/1999, non potrebbe trovare applicazione con riguardo a fatti verificatisi in un contesto interpretativo che non ammetteva tale ipotesi risarcitoria.

3.3 Sempre nel merito, il Comune ha negato la sussistenza di condotte qualificabili come colpevoli, sia con riferimento all’operato del Sindaco, avendo questi dato seguito ad una situazione di fatto che deponeva in termini oggettivi per la decadenza del titolo edilizio;
sia con riferimento all’attività urbanistico-pianificatoria, riconducibile, nei suoi effetti sfavorevoli alla ricorrente, ad una modifica d’ufficio del piano regolatore, introdotta dalla Regione Piemonte contro il parere dell’amministrazione comunale.

3.4 Nel secondo giudizio, iscritto ad R.G. 976/2001, il Comune di Ivrea si è dichiarato disponibile alla restituzione degli importi versati a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione, con la sola maggiorazione degli interessi legali e nei limiti dell’offerta reale già formulata in data 27 giugno 2001.

4. A seguito dello scambio di memorie e repliche in vista della discussione, i due ricorsi sono stati trattati all’udienza pubblica del 12 dicembre 2013 e, all’esito, trattenuti a decisione.

I profili di connessione oggettiva e soggettiva ne suggeriscono, in questa sede, la trattazione unitaria.

5. Muovendo dal ricorso iscritto ad R.G. 975/2001, occorre premettere che i fatti in esso allegati si inquadrano, in linea astratta, in un’ipotesi risarcitoria da danno “da disturbo”, conseguente ad un provvedimento amministrativo ritenuto pregiudizievole perché limitativo di una rilevante posizione giuridica soggettiva già qualificata dal rilascio di un preventivo atto di senso edificatorio e consistente nella pretesa a non essere “disturbato” nel libero esercizio delle facoltà inerenti al diritto dominicale (Cons. St., sez. VI 12 marzo 2004 n. 1261).

5.1 E’ importante notare – con riguardo a tale categoria di illecito - che, ancor prima della pronuncia delle Sezioni Unite del 22 luglio 1999, n. 500, la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva riconosciuto, sia pure dopo non poche oscillazioni, la possibilità di risarcire il pregiudizio da compromissione di siffatti interessi di tipo oppositivo, ancorché trasfigurati in termini di diritti risorti, riconducendo tuttavia la relativa vicenda processuale entro un tipico schema bifasico (annullamento dell'atto lesivo / riespansione del diritto / risarcimento del diritto illegittimamente compresso) che vedeva il necessario coinvolgimento tanto del giudice amministrativo - nella fase dell'annullamento - quanto del giudice ordinario - nella successiva vicenda risarcitoria (in tal senso, tra le pronunce più risalenti, cfr. Cass. S.U. 17 febbraio 1969, n. 543;
3 maggio 1966, n. 1109;
18 ottobre 1979, n. 5428).

5.2 Questo schema attribuiva alla posizione del privato destinatario di un provvedimento autorizzatorio o concessorio la consistenza di diritto soggettivo perfetto, degradabile tuttavia a interesse legittimo oppositivo al verificarsi della condizione risolutiva costituita dall’esercizio del potere autoritativo di ritiro, decadenza o revoca del titolo autorizzatorio. Solo l’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento di ritiro contra legem poteva determinare la riespansione della posizione soggettiva alla sua originaria consistenza di diritto soggettivo, consentendone la tutela risarcitoria innanzi al giudice ordinario.

5.3 Il descritto indirizzo trovava precipua applicazione proprio con riferimento al caso dell’annullamento dell’atto di ritiro della concessione edilizia: per cui, alla posizione del privato nei confronti del comune che gli avesse rilasciato concessione edilizia, era riconosciuta natura di diritto soggettivo;
e nell’ipotesi in cui il sindaco, nell'esercizio dei suoi poteri di controllo dell'attività urbanistica, avesse determinato l'affievolimento di tale diritto, ordinando la sospensione dei lavori con provvedimento poi annullato dal giudice amministrativo per illegittimità, l'affievolimento medesimo avrebbe dovuto ritenersi come mai avvenuto e nel provvedimento illegittimo si sarebbe rivenuto il fatto costitutivo della lesione del diritto soggettivo all'edificazione, risarcibile dalla pubblica amministrazione.

5.4 L’ulteriore conseguenza di tale costrutto era che l'azione risarcitoria davanti al giudice ordinario, basata sulla illegittimità del provvedimento caducatorio, poteva essere esperita solo qualora il giudice amministrativo avesse dichiarato tale illegittimità, così rimuovendo la situazione di affievolimento dell'originario diritto (cfr. Cass. civ., sez. I, 01 settembre 1997, n. 8297;
sez. III, 9 giugno 1995 n. 6542;
S.U. 27 maggio 1994 n. 5210).

6. Le esposte puntualizzazioni in ordine alle modalità di tutela che l’ordinamento dell’epoca apprestava a tutela dell’interesse oppositivo (in ipotesi di intervenuto rilascio di un atto ampliativo della sfera soggettiva del privato), rendono conto, innanzitutto, della non pertinenza dell’eccezione di prescrizione del credito risarcitorio sollevata dall’amministrazione resistente, in quanto:

a) se si assume come valida la regola - invalsa sino alla pronuncia della Corte di Cassazione S.U, 8 aprile 2008, n. 9040 - della decorrenza della prescrizione dal passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento del provvedimento amministrativo, è evidente che, nel caso di specie, dal giudicato sulla questione impugnatoria (formatosi a seguito del deposito della sentenza del Consiglio di Stato n. 680, in data 6 giugno 1996), sino all’atto di introduzione della domanda risarcitoria qui in esame (inoltrata con ricorso notificato in data 31 maggio 2001), è decorso un lasso temporale inferiore al quinquennio nel quale si compie la prescrizione dell’illecito aquiliano (art. 2947, 1° comma, c.c.);

b) se si accede, invece, alla diversa impostazione inaugurata dalla citata pronuncia del 2008, secondo cui il termine di prescrizione decorre dalla data dell’illecito, è giocoforza fare leva – onde scongiurare esiti applicativi ingiusti e paradossali, conseguenti all’applicazione, ora per allora, di orientamenti innovativi ad ipotesi risarcitorie verificatesi in un contesto interpretativo del tutto diverso - sul ius receptum secondo cui la domanda di annullamento dell'atto proposta al giudice amministrativo, pur non costituendo il prodromo necessario per conseguire il risarcimento dei danni, dimostra la volontà della parte di reagire all'azione amministrativa reputata illegittima ed è quindi idonea ad interrompere per tutta la durata di quel processo il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria (Cass., sez. un., 08 aprile 2008, n. 9040;
id., sez. VI, ord. 28 febbraio 2011, n. 4874).

Sicché, nel caso in esame, anche a voler far decorrere la prescrizione dall’atto di revoca della licenza edilizia, dovrebbe certamente concludersi che la prescrizione non è mai maturata, essendo stata validamente interrotta dal ricorso avente ad oggetto l’impugnazione dell’atto amministrativo assunto come lesivo.

7. Venendo in rilievo un’ipotesi di responsabilità aquiliana da lesione di interessi legittimi oppositivi – strutturata secondo lo schema bifasico poc’anzi esposto - risulta priva di fondamento anche la temuta estensione in senso retroattivo del revirement giurisprudenziale inaugurato dalla sentenza della Corte di Cassazione, S.U. n. 500/1999. La portata innovativa della pronuncia, infatti, è consistita nell’estensione anche agli interessi legittimi pretensivi della tutela risarcitoria già da tempo riconosciuta agli interessi legittimi oppositivi. E’ la stessa pronuncia n. 500 a dare ampio ragguaglio, sul punto, delle acquisizioni giurisprudenziali dell’epoca.

Sussistono, pertanto, sotto tutti i profili considerati, le condizioni per poter sindacare nel merito la fondatezza della domanda risarcitoria.

8. La valutazione di merito va inquadrata, tuttavia, alla luce dell’ulteriore indirizzo interpretativo, al quale il Collegio esprime la propria convinta adesione, secondo cui, nel caso di annullamento di un atto amministrativo incidente su interessi legittimi oppositivi, viziato nella forma o nel procedimento, l'ingiustizia del danno, rilevante ai fini risarcitori, non può necessariamente coincidere con l’illegittimità dell’atto amministrativo che abbia compresso la posizione di vantaggio del privato.

8.1 E’ nota l’esistenza di altra corrente giurisprudenziale propensa ad affermare che, per gli interessi legittimi oppositivi, l'ingiustizia del danno derivi dal solo fatto della lesione e dal concreto accertamento delle conseguenze dalla stessa prodotte nella sfera soggettiva del titolare, in rapporto a qualsiasi vizio dell'atto amministrativo – sia esso formale o sostanziale – ed indipendentemente dalla possibilità di una legittima rinnovazione dell'atto: sicché, il collegamento con il bene della vita dovrebbe ritenersi già consolidato per effetto dell’atto ampliativo della sfera giuridica del privato e tanto basterebbe a pretendere la riparazione delle conseguenze patrimoniali sfavorevoli provocate dall’illegittimità dell’azione amministrativa.

L’opposta opinione, cui il Collegio ritiene di aderire, ha tuttavia evidenziato come la delineata impostazione sia idonea, nella sua perentorietà, ad innescare un sistema di protezione degli interessi oppositivi ingiustificatamente eccessivo, che non tiene del fatto che se il provvedimento è viziato per ragioni attinenti alla sola forma oppure al solo procedimento, ma risulta ineccepibile sul piano sostanziale, l’amministrazione può adottare un nuovo atto di identico contenuto sfavorevole per il privato, con ciò palesando l’inconsistenza della pretesa solo momentaneamente avallata dall’esito del giudizio cassatorio (Cons. St., sez. VI 12 marzo 2004, n. 1261).

8.2 Per scongiurare un effetto moltiplicatore delle poste risarcitorie, anche a fronte di pretese ingiustificate, occorre distinguere, pertanto, la portata del vizio che inficia l’atto lesivo dell’interesse oppositivo: per cui, se il provvedimento compressivo è viziato per ragioni attinenti alla sola forma oppure al solo procedimento, ma risulta ineccepibile sul piano sostanziale, nulla vieta alla pubblica amministrazione, all’esito dell’annullamento dell’atto viziato, di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto sfavorevole per il privato;
e nessun ingiustizia sostanziale, rilevante a fini risarcitori, pare potersi ravvisare nell’atto viziato.

8.3 Il tema è stato trattato proprio con riferimento al caso della concessione edilizia ritirata con provvedimento di annullamento sostanzialmente giusto, ma tuttavia affetto da vizio procedimentale. In ipotesi siffatte, ad onta della illegittimità del provvedimento di ritiro, a fronte della possibilità per l'amministrazione di reiterarlo senza nuovamente incorrere nel rilevato vizio formale, il privato non avrà ragione di sostenere la lesività sostanziale del primo provvedimento di annullamento, inficiato da illegittimità solo formale, attesa la non spettanza ab initio del bene della vita sottrattogli.

8.4 Dunque, si ritiene sicuramente più corretto affermare che, come per gli interessi legittimi pretensivi, anche rispetto agli interessi legittimi oppositivi il pregiudizio dell’interesse individuale conseguente all’illegittimo esercizio del potere amministrativo non comporta automaticamente un danno ingiusto, ove l’interesse al bene non risulti in concreto meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico. E ciò al fine di evitare un'irragionevole equiparazione tra illegittimità della determinazione provvedimentale e integrazione dell'elemento oggettivo della fattispecie di responsabilità, in alternativa alla quale pare più ragionevole fare preminente riferimento alla effettiva spettanza del bene sostanziale che si assume leso dall’atto pubblico.

8.5 In questo stesso senso viene in rilievo l’ormai acquisita propensione a rifuggire da impostazioni meramente formalistiche e procedurali, sia nella concezione dell’interesse legittimo, sempre più inteso come situazione giuridica dotata di rilevanza sostanziale, in quanto correlata ad un interesse materiale ad un bene della vita;
sia nella configurazione dei suoi strumenti di tutela processuali, sempre più orientati ad approfondire il rapporto sostanziale e ad accertare la fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, superando l’esame dei soli vizi formali.

9. Alla luce dei segnalati criteri di inquadramento, occorre riesaminare funditus i fatti storici posti a fondamento della domanda risarcitoria qui all’esame, al fine di accertare se gli stessi siano idonei a configurare i presupposti del danno ingiusto e della condotta colpevole.

9.1 Va ribadito, innanzitutto, che l’ordinanza sindacale di revoca della licenza edilizia, datata 24 agosto 1978, aveva motivato la statuizione adottata “vista la relazione n. 110/78 in data 21 agosto 1978 dell’ufficio tecnico comunale dalla quale emerge la manifesta volontà della soc. San Giulio s.a.s. a non costruire” e “su conforme parere espresso in merito dalla commissione igienico edilizia”.

9.2 A sua volta, la richiamata relazione n. 110/78, stilata in esito al sopralluogo del 21 agosto 1978, aveva illustrato la condizione del cantiere dando atto di una baracca abbandonata da parecchio tempo;
del terreno interamente tracciato e picchettato;
di opere di fondazione quasi inesistenti;
della semplice erezione di due pilastrini in calcestruzzo, delle dimensioni di circa mt. 1,00 x mt. 1,00 e di mt. 2,00 x mt. 0,25 x mt. 0,80, che si presentavano ancora muniti di armatura e in stato di abbandono a disfacimento;
della presenza di una betoniera, di alcuni mattoni e attrezzi da carpentiere.

Alla luce di tali circostanze, la relazione aveva espresso dubbi circa il fatto che la situazione accertata potesse integrare una fattispecie di inizio dei lavori.

9.3 Nella valutazione espressa dal T.A.R. Piemonte, con sentenza n. 647 del 20 dicembre 1991, l’ordinanza impugnata, a dispetto del nomen iuris adottato, doveva essere qualificata, in relazione al suo contenuto sostanziale, come dichiarazione di decadenza della licenza edilizia per mancato inizio dei lavori, assunta sul presupposto di una situazione di cantiere che - sempre secondo il Collegio allora giudicante - effettivamente non appariva idonea a dimostrare, secondo le indicazioni della costante giurisprudenza, che lavori giuridicamente significativi, in relazione alla licenza edilizia del 7 gennaio 1974, fossero effettivamente iniziati.

9.4 La successiva sentenza del Consiglio di Stato, n. 680 depositata il 6 giugno 1996, aveva disposto, in accoglimento dell’appello, l’annullamento dell’ordinanza del 28 agosto 1978, non già rilevando l’insussistenza dei presupposti sostanziali per la declaratoria di decadenza della licenza edilizia, ma recependo la censura di eccesso di potere per difetto di adeguata motivazione dell’atto. Secondo il Consiglio di Stato, il Sindaco, nel dare conto delle ragioni della revoca ( rectius , decadenza), non avrebbe dovuto fare riferimento alla supposta manifesta volontà della Costruzioni San Giulio di non costruire, facendone l’elemento portante della propria determinazione e non consentendo l’esatta individuazione del potere esercitato. Al contrario, egli avrebbe dovuto chiaramente indicare il termine di inizio o di ultimazione dei lavori - anche alla luce del nuovo regime dei termini introdotto dalla l. 10/1977 - e rapportare alla sua eventuale inosservanza e alle disposizioni normative di riferimento, su basi certe e obiettive, la declaratoria di decadenza.

10. Ritiene il Collegio che i dati sin qui richiamati costituiscano la base di un giudizio di insussistenza dei requisiti sostanziali, oggettivi e soggettivi, della invocata fattispecie di responsabilità aquiliana.

10.1 In primis , sotto il profilo oggettivo dell’ingiustizia del danno, a fronte della consistenza meramente formale del vizio di illegittimità accertato dal giudice di appello, va rilevata la sussistenza di condizioni, in fatto e in diritto, che, in allora, avrebbero consentito all’amministrazione di reiterare validamente l’atto di decadenza dalla licenza edilizia annullato in via giurisdizionale.

10.2 Si consideri, infatti, che l’ordinanza sindacale è stata adottata nella vigenza dell’art. 31, comma 10, L. 1150/1942, il quale disponeva che "la licenza edilizia non può avere validità superiore ad un anno;
qualora entro tale termine i lavori non siano stati iniziati l'interessato dovrà presentare istanza diretta ad ottenere il rinnovo della licenza".

10.3 Detto termine per l'inizio dei lavori - la cui inosservanza determina la decadenza della medesima - è riconosciuto dalla giurisprudenza come perentorio (Cons. St., sez. V 30 luglio 1986, n. 374).

10.4 E’ altresì vero che l’adozione dell’ordinanza di revoca era stata anticipata dall’entrata in vigore della L. 10/1977, la quale, con apposita norma transitoria (art. 18), aveva fatto salve le licenze edilizie già rilasciate, a condizione che i lavori venissero completati entro quattro anni dalla stessa data.

Nondimeno, la giurisprudenza ha chiarito il rapporto tra le due disposizioni legislative nel senso che la legge n. 10/1977 non solo non ha implicitamente abrogato la precedente e non incompatibile disposizione di cui all'art. 31 della legge n. 1150 del 1942;
ma, soprattutto, non ha inteso sanare le eventuali decadenze già verificate al momento della sua entrata in vigore (cfr., ex plurimis , Cons. St., sez. V 30 giugno 1995, n. 938;
21 luglio 1995, n. 1111;
16 ottobre 1997, n. 1136;
23 giugno 1997, n. 696;
Corte Appello Reggio Calabria, 22 novembre 2004).

Pertanto, l’entrata in vigore della legge 1977 non poteva sanare una decadenza già in precedenza maturata, e, nel caso di specie, perfezionatasi nell’intervallo pluriennale decorrente dal 1974.

10.5 Poco conta, poi, la posteriorità dell’ordinanza di decadenza rispetto all’entrata in vigore della L. 10/1977, in quanto - anche qui secondo indicazioni pacifiche in giurisprudenza - il provvedimento che statuisce la decadenza del titolo edilizio si qualifica come atto vincolato a carattere meramente dichiarativo-ricognitivo, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge, essendo rivolto a dare certezza, formalizzandola, ad una situazione già prodottasi al verificarsi dei presupposti stabiliti dalla legge. Ad esso, quindi, si annette un effetto ex tunc , che risale al momento in cui ne sono insorti i presupposti, ancorché la relativa declaratoria intervenga a distanza di tempo dell'anzidetto spirare del termine (Cons. St., sez. III 04 aprile 2013, n. 1870;
sez. IV 18 maggio 2012, n. 2915;
sez. IV 23 febbraio 2012, n. 974;
sez. IV 07 settembre 2011 n. 5028;
sez. II 28 aprile 2010, n. 4170;
sez. IV 18 giugno 2008, n. 3030;
sez. IV 10 agosto 2007 n. 4423;
sez. IV 26 maggio 2003, n. 2827;
sez. V, 27 marzo 2000, n. 1755;
sez. V 16 novembre 1998 n. 1615;
sez. IV 13 maggio 1992, n. 511;
sez. V 18 febbraio 1991, n. 139;
sez. V, 27 dicembre 1988, n. 885;
sez. V 27 novembre 1987, n. 732;
sez. V 11 luglio 1985, n. 260;
sez. V 28 novembre 1980, n. 957;
sez. V 15 luglio 1977, n. 786).

10.6 Infine, non si nega che la licenza edilizia in questione non indicasse espressamente il termine di inizio dei lavori e che l’ordinanza di revoca nulla specificasse sul punto. E’ altrettanto vero, tuttavia, che tale lacuna trovava automatica compensazione nel termine legale, avendo la giurisprudenza costantemente affermato che l'autorità comunale non è obbligata ad indicare il termine dell'inizio e dell'ultimazione dei lavori necessari per la costruzione assentita con il rilascio della concessione edilizia;
e che, poiché tali termini sono previsti per legge nella misura massima, ad essi si deve far riferimento nel caso in cui l'autorità comunale non li abbia indicati nell'atto concessivo (Cons. St., sez. IV, 03 marzo 1988, n. 127;
Cons. St., sez. V, 18 febbraio 1991 n. 139).

10.7 Quanto, poi, ai presupposti in fatto di detta decadenza, ovvero alla ritenuta inerzia nell’avvio del cantiere, restano valide le considerazioni già espresse sul punto dal T.A.R. Piemonte - e non confutate dal giudice di appello - secondo cui nella situazione dei luoghi effettivamente latitavano evidenti e oggettivi indici di un reale inizio dei lavori di costruzione.

Tale conclusione, oltre che nei dati di fatto riscontrati in occasione del sopralluogo del 21 agosto 1978, trovava avallo, sul piano interpretativo, nell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui non risultano significative ad integrare il presupposto di avvio dei lavori opere preparatorie - analoghe a quelle riscontrate nel caso di specie - di ripulitura del sito e approntamento del cantiere e dei materiali necessari per l'esecuzione dei lavori (ex multis T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 19 settembre 2005, n. 875);
sbancamento, livellamento e recinzione del terreno (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 22 novembre 1993, n. 1165, ma anche T.A.R. Ancona sez. I, 13 marzo 2008, n. 195);
movimentazione di terra e gittata di uno strato di battuto di calcestruzzo a circoscrivere le fondamenta della costruzione a farsi (Cons. St., sez. IV 15 aprile 2013, n. 2027);
realizzazione di taluni plinti di fondazione e dei relativi pilastri (Cons. St., sez. V, 28 dicembre 1983, n. 805);
allestimento del cantiere, esecuzione di movimenti di terra e posa di un plinto (Cons. St., sez. V 15 aprile 1983, n. 131);
recinzione del terreno con pali in cemento, demolizione di una preesistente vecchia costruzione, continuazione dello scavo di fondazione e getto di due plinti in cemento armato (Cons. St., sez. V, 06 novembre 1985, n. 357);
costruzione di un limitato tratto di fondazione (T.A.R. Emilia Romagna, 18 dicembre 1974, n. 288;
T.A.R. Marche, 27 agosto 1994, n. 233).

10.8 A questo proposito va ancora aggiunto che l’allora vigente legge urbanistica regionale (L. 56/1977) - con previsione che sembra fotografare la condizione riscontrata sul cantiere della San Giulio - disponeva che “..per inizio dei lavori si intende la realizzazione di consistenti opere, che non si riducano all’impianto di cantiere, alla esecuzione di scavi o di sistemazione del terreno o di singole opere di fondazione” (art 50).

Nel verbale di sopralluogo richiamato a supporto dell’ordinanza sindacale, non vi è traccia della “realizzazione di consistenti opere” normativamente statuita. Né i due verbali notarili allegati dalla parte ricorrente – redatti nel 1974 e 1976 ”ai soli fini fiscali” - attestano circostanze divergenti, nella sostanza, da quelle valorizzate dall’amministrazione comunale, e comunque in grado di integrare, alla luce dei dati interpretativi sopra richiamati, i richiesti presupposti dell’inizio dei lavori.

10.9 Infine, è logico ritenere che nella valutazione della quaestio facti sottesa alla declaratoria di decadenza dovesse tenersi conto, secondo un criterio di ragionevolezza, della consistenza delle opere realizzate anche in relazione al margine di tempo di cui aveva beneficiato il titolare della licenza edilizia e all’entità e delle dimensioni dell’intervento edilizio programmato (Cons. St., 30 giugno 1978, n. 825): alla luce di detti criteri, pare potersi concludere che le circostanze del caso concreto - il considerevole lasso di tempo vanamente trascorso, l’inconsistenza delle attività avviate e la mole dell’edificio in progetto - deponevano in senso oggettivamente favorevole alla declaratoria di decadenza.

10.10 Il richiamato quadro di disposizioni normative e di circostanze di fatto porta a concludere che nel caso di specie potevano certamente ritenersi integrati i presupposti in fatto e in diritto della decadenza.

Vi è motivo di ritenere, pertanto, che, dopo averla emendata del suo vizio formale, il Comune avrebbe potuto legittimamente reiterare l’ordinanza di decadenza della licenza edilizia.

Per quanto esposto, va esclusa la sussistenza di un effettivo pregiudizio arrecato all’interesse oppositivo vantato dalla ricorrente e meritevole di tutela risarcitoria, attesa la non spettanza ab initio della pretesa ad avvalersi della licenza edilizia scaduta.

11. Le considerazioni sin qui svolte rilevano anche per negare la sussistenza di profili di colpevolezza nella condotta dell’amministrazione comunale.

11.1 Similmente che per l’elemento dell’ingiustizia del danno, il Collegio ritiene di escludere che il profilo della colpa possa risolversi nell'accertamento dell’illegittimità del provvedimento amministrativo assunto come lesivo. È acquisizione della giurisprudenza ormai consolidata che la riscontrata illegittimità dell'atto sia da intendersi, infatti, come mero indice della colpa, tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa, inspiegabile e non spiegata sia l'illegittimità in cui l'apparato è incorso. Spetta all'amministrazione ridimensionarne la valenza indiziaria, dando prova di aver agito in un contesto operativo reso non agevole dalla novità della materia tratta, dalla scarsa chiarezza della normativa applicabile, dalle interpretazioni normative correnti, dalla complessità dei fatti esaminati, dall’influenza determinante dei comportamenti altrui, etc...

11.2 Ora, nel caso di specie, la situazione in fatto si prestava ad essere intesa, per quanto si è esposto, come pienamente rispondente alla fattispecie normativa di cui all’art. 31, comma 10, L. 1150/1942.

11.2 In più, una serie di fattori interpretativi potevano concorrere a far ritenere ragionevolmente soddisfatto l’obbligo di motivazione del provvedimento di decadenza, come assunto con l’ordinanza del 24 agosto 1978.

11.3 Per un verso, infatti, la mancata indicazione, nella concessione edilizia e nell’atto di decadenza, del termine di inizio dei lavori, non poteva rilevare come elemento viziante, dovendosi ritenere applicabile in via suppletiva il termine massimo previsto dalla legge - secondo il già richiamato orientamento interpretativo, rimasto costante nella elaborazione giurisprudenziale sotto la vigenza delle diverse normative (Cons. St., sez. IV, 03 marzo 1988, n. 127;
Cons. St., sez. V, 18 febbraio 1991 n. 139).

11.4 Con riferimento alla congruenza della motivazione dell’ordinanza sindacale – nel suo insieme e nella parte in cui fa riferimento al verbale di sopralluogo e alla desunta volontà del titolare della licenza di non dare corso alla costruzione – va tenuto presento l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale secondo cui l'amministrazione non è chiamata a fornire specifiche motivazioni sull’adozione dell'atto di decadenza del titolo edilizio, in quanto questo non costituisce un provvedimento negativo o di autotutela;
al contrario, per il suo carattere dovuto e vincolato, esso è sufficientemente motivato con la sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei presupposti di fatto, non essendo richiesta alcuna ulteriore specificazione (Cons. St., sez. IV, 15 aprile 2013, n. 2027;
id., Sez. IV, 07 settembre 2011, n. 5028).

11.5 Tali principi trovano corrispondenza logica nel riconosciuto carattere meramente dichiarativo-ricognitivo del provvedimento che statuisce la decadenza della concessione edilizia, in quanto atto rivolto a dare certezza, formalizzandola, ad una situazione già prodottasi al verificarsi dei presupposti stabiliti dalla legge.

Quanto sin qui esposto conduce a ritenere adeguatamente motivato – in linea generale - un provvedimento di decadenza che faccia mero richiamo a documentate circostanze attestanti il mancato avvio dei lavori.

11.6 Il riferimento alla volontà del titolare della licenza di dare seguito ai lavori, per contro, ricorre in molte pronunce giurisprudenziali, anche di epoca prossima a quella di adozione dell’ordinanza qui in esame, nelle quali si pone in rilievo la necessità che dal dato obiettivo della consistenza dei lavori emerga la reale e seria intenzione di dare corso all’attività edificatoria, ovvero il cd. animus aedificandi (cfr., ex multis , T.A.R. Piemonte, 17 ottobre 1978, n. 492;
T.A.R. Lombardia, 16 luglio 1975, n. 202;
T.A.R. Campania, 4 febbraio 1976, n. 38).

11.7 Alla luce dei richiamati orientamenti, non è dubbio che l’ordinanza sindacale del 28 agosto 1978, nel fare un mero rimando alle risultanze del verbale e nel desumerne indici di “manifesta volontà della soc. San Giulio s.a.s. di non dare corso all’opera edilizia”, abbia corrisposto a indicazioni operative ampiamente riscontrabili nell’elaborazione giurisprudenziale dell’epoca, che suggerivano di porre in rilievo i soli presupposti in fatto della decadenza (nel caso di specie illustrati nella relazione di sopralluogo richiamata dall’ordinanza), ovvero di interpretarli anche in termini di volontà soggettiva del concessionario di non dare corso all’attuazione dei lavori assentiti.

11.8 Pertanto, ferma la statuizione del giudice d’appello in ordine alle carenza motivazionali dell’ordinanza sindacale, pare potersi sostenere che il quadro di riferimenti normativi e interpretativi correnti all’epoca dei fatti - come sopra illustrato - offrisse spunti significativamente favorevoli all’operato dell’amministrazione comunale, e tali, comunque, da suggerire opzioni valutative difformi da quelle accolte dal giudice d’appello, ma parimenti plausibili sul piano giuridico.

11.9 La diversità delle possibile variabili d’azione - inquadrabili in un perimetro di applicazioni concrete necessariamente fluido, in quanto ancorato a casi specifici e differenziati - ha trovato plastica rispondenza (e ulteriore controprova) nella diversa valutazione espressa dal giudice di primo e di secondo grado nel sindacato sulla legittimità dell’ordinanza di decadenza della licenza edilizia.

11.10 Si può affermare, in via conclusiva, che la sola illegittimità formale dell’atto assunto come lesivo, si pone come fattore indiziario isolato, non supportato da elementi presuntivi accessori validi a consolidare il giudizio di colpevolezza, e comunque in sé privo di univocità nel segnalare la sussistenza di elementi di imprudenza, negligenza o imperizia nell’operato dell’amministrazione.

11.11 Per tutte le ragioni esposte, la segnalata carenza di elementi essenziali, sul piano oggettivo e soggettivo, della fattispecie ex art. 2043 c.c., determina la reiezione della domanda risarcitoria, quantomeno in relazione alla sua prima causa petendi (la declaratoria di decadenza della licenza edilizia).

12. Resta da esaminare la parte di domanda riferita alle due varianti di piano regolatore.

12.1 Della prima variante è da dirsi che in alcuna sede giudiziale ne è stata accertata l’illegittimità, in quanto il giudizio che la riguardava si è concluso innanzi a questo T.A.R. con una pronuncia di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse;
e che alcuna specifica deduzione, sempre in punto illegittimità, è stata svolta dalla ricorrente nel presente giudizio.

Pertanto, la domanda risarcitoria non ha fondamento nella parte in cui assume a suo fondamento il contenuto illegittimo della delibera del 1980.

12.2 Con riguardo alla variante di piano del 1991, va osservato che l’introduzione del vincolo di inedificabilità, esteso all’area posta nella disponibilità della San Giulio, è stato l’effetto di un’iniziativa della Regione Piemonte che ne ha imposto l’inserimento d’ufficio, in contrasto con il parere contrario espresso dall’amministrazione comunale.

12.3 Ora, dalla natura del piano regolatore quale atto complesso diseguale, attribuibile in modo congiunto al Comune e alla Regione (cfr., ex multis , Cons. St., IV, 18 gennaio 2011 n. 358;
T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 30 novembre 2012, n. 452 ), discende che alcuna imputazione di responsabilità può muoversi al Comune di Ivrea in relazione all’introduzione del detto vincolo di inedificabilità, trattandosi di vicenda provvedimentale ad esso non addebitabile, né sul piano oggettivo della condotta, né su quello soggettivo della colpa.

Pertanto, l’apparato argomentativo riferito all’attività urbanistico-pianificatoria del Comune di Ivrea, per i motivi esposti, si rivela del tutto inadeguato a supportare la dedotta domanda risarcitoria, che va quindi respinta nella sua totalità.

13. Resta da esaminare la domanda di condanna al pagamento formulata dalla società ricorrente nel giudizio iscritto ad R.G. 976/2001 e avente ad oggetto la restituzione, a titolo di indebito oggettivo, della somma versata per oneri di urbanizzazione, incrementata della rivalutazione monetaria e degli interessi legali.

La rivalutazione monetaria, in particolare, pur venendo in considerazione una fattispecie di indebito oggettivo, viene invocata a titolo risarcitorio, sul presupposto dell’illiceità della condotta dell’amministrazione comunale.

A tali istanze la parte resistente oppone l’insussistenza dei presupposti della rivalutazione, per le medesime ragioni già dedotte nel giudizio iscritto ad R.G. 975/2001, e, di conseguenza, la correttezza dell’offerta reale già formulata in data 27 giugno 2001, comprensiva di sorte capitale e interessi legali sino ad allora maturati.

13.1 Le contrapposte deduzioni impongono di accertare, pertanto, l’entità del dovuto e l’eventuale congruità - anche ai sensi dell’art. 1207 c.c. - dell’offerta di pagamento formulata dalla parte resistente.

13.2 Ora, la reiezione della domanda di parte ricorrente, nella parte riferita alla rivalutazione monetaria, discende dalle già svolte considerazioni in ordine all’insussistenza della fattispecie di responsabilità aquiliana, alle quali, pertanto, null’altro vi è da aggiungere.

13.3 E’ incontestato, invece, l’obbligo del Comune di restituire l’importo capitale degli oneri di urbanizzazione oltre interessi legali.

Il totale dovuto si è cristallizzato nell’offerta reale effettuata in data 27 giugno 2001, comprensiva di sorte capitale e interessi legali sino a quella data maturati (doc.1 fasc. resist.).

La misura dell’obbligazione restitutoria va quindi accertata nell’importo già quantificato nell’offerta reale, a decorrere dalla quale si sono verificati gli effetti della mora del creditore, che vengono qui convalidati ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1207, ultimo comma, c.c..

In punto spese processuali, tenuto conto della peculiarità e complessità delle questioni trattate, si ravvisano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite in entrambi i giudizi.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi