TAR Campobasso, sez. I, sentenza 2018-04-18, n. 201800215
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Pubblicato il 18/04/2018
N. 00215/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00008/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8 del 2015, proposto da Enel Distribuzione S.p.A, in persona del legale rappresentante p. t., rappresentata e difesa dagli avvocati P S, M Y e B B, con domicilio eletto presso lo studio Stefano Sabatini in Campobasso, via D'Amato, n. 13/D,
contro
Comune di Civitacampomarano, in persona del Sindaco p. t., rappresentato e difeso dall'avvocato C N, con domicilio eletto presso lo studio C N, in Campobasso, via Mazzini, n. 107;
per l'annullamento
del regolamento per l'applicazione del canone concessorio non ricognitorio, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 29 del 20 novembre 2013, resa nota alla ricorrente società con la richiesta di pagamento di cui al prot. 1601, inviata dal Responsabile del Servizio finanziario del Comune in data 17 settembre 2014 ad Enel Distribuzione S.p.A., ricevuta da quest'ultima il 6 ottobre 2014, nonché di ogni atto presupposto, connesso e/o conseguente;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Civitacampomarano (Cb);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2018 il dott. Orazio Ciliberti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I – In data 20.11.2013, il Consiglio comunale di Civitacampomarano (Cb) deliberava l’approvazione di un regolamento per l’applicazione del canone concessorio relativo all’occupazione di aree pubbliche, entrato in vigore dal 1°.1.2014, notificandolo alla società ricorrente nella successiva data 17.9.2014, mediante nota del responsabile del Servizio finanziario comunale. La ricorrente, a mezzo raccomandata a. r. del 16.10.2014 indirizzata al Comune, dichiarava di non voler procedere al versamento del canone in questione. Pertanto, insorge, con il ricorso notificato il 15.12.2014 e depositato il 9.1.2015, per impugnare i seguenti atti: 1) il regolamento per l'applicazione del canone concessorio non ricognitorio, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 29 del 20 novembre 2013, resa nota alla ricorrente società con la richiesta di pagamento di cui al prot. 1601, inviata dal responsabile del Servizio finanziario del Comune in data 17 settembre 2014 ad Enel Distribuzione S.p.A., ricevuta da quest'ultima il 6 ottobre 2014;2) ogni atto presupposto, connesso o conseguente. Deduce i seguenti motivi di diritto: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 25 e 27 D.Lgs. n. 285/1992, nonché dell’art. 67 del D.P.R. n. 495/1992, violazione del principio di irretroattività della legge di cui all’art. 11 delle Preleggi, violazione dell’art. 23 della Costituzione, violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione, violazione di legge in riferimento all’art. 3 della legge n. 241/1990;2) violazione e falsa applicazione degli artt. 63 e 52 del D.Lgs. n. 446/1997, violazione e falsa applicazione dell’art. 67 del D.P.R. n. 415/1992, violazione e falsa applicazione dell’art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale, violazione del principio di legalità, violazione del divieto di doppia imposizione, eccesso di potere per travisamento dei presupposti fattuali e giuridici, manifesta illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà della motivazione e carenza istruttoria;3) eccesso di potere per carenza di motivazione, grave difetto di istruttoria, violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss. della legge n. 241/1990 e dei principi di partecipazione e buon andamento dell’azione amministrativa.
Si costituisce il Comune intimato, per resistere nel giudizio. Chiede la reiezione del ricorso, perché tardivo, inammissibile e infondato.
All’udienza del 5 aprile 2018, il Collegio rileva di ufficio, ex art. 73, comma 3, c.p.a., una possibile questione di difetto di giurisdizione. La causa è introitata per la decisione.
II – Sussiste il difetto di giurisdizione.
III – Dev’essere senz’altro dichiarato il difetto di giurisdizione rispetto all’impugnazione della nota dell’Amministrazione comunale n. 1601 datata 20.11.2013, recante la richiesta di pagamento, a titolo di canone concessorio non ricognitorio, di euro 22.972,95. L’atto in questione riguarda il regime di utilizzazione dei beni pubblici, anche in vista dell’erogazione di un servizio pubblico, sicché - a voler configurare come esclusiva la giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133 lett. b) c.p.a., trattandosi di una controversia incidente su rapporti pubblicistici relativi all’utilizzazione di beni pubblici (cfr.: T.a.r. Milano IV, 19.10.2015 n. 2213) – l’atto applicativo esulerebbe comunque da tale ambito di giurisdizione. In altri termini, ricondotta la materia del contendere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di beni pubblici ovvero di pubblici servizi, sarebbe tuttavia consequenziale e inevitabile escludere da tale ambito la contestazione dell’avviso di pagamento, integrante un atto paritetico di mera quantificazione del debito vantato dall’Amministrazione, peraltro sulla base di criteri predeterminati in modo vincolante. Alla medesima conclusione porta la fedele e pedissequa esegesi della norma di cui all’art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a., nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice ordinario le “controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi…”. Pertanto, le contestazioni relative all’avviso di pagamento appartengono, senza dubbio, alla giurisdizione del giudice ordinario, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione proposta avverso l’atto applicativo del regolamento.
IV - La giurisdizione del giudice amministrativo – a tenore di un prevalente orientamento giurisprudenziale – sussisterebbe, viceversa, in relazione alla contestazione del regolamento comunale per l'applicazione del canone concessorio non ricognitorio, quale approvato con l’impugnata delibera consiliare del Comune, poiché il regolamento ha natura formale di provvedimento amministrativo, senza dubbio correlata a posizioni di interesse legittimo. Sennonché, essendo attendibile, nel caso di specie, l’eccezione d’irricevibilità del ricorso per decorrenza del termine d’impugnazione a far data dalla pubblicazione della delibera consiliare d’adozione del regolamento comunale, ex art. 124 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (la data di pubblicazione della delibera è quella del 22 novembre 2013), il parziale radicamento della giurisdizione presso il giudice amministrativo – limitatamente al regolamento comunale – potrebbe tradursi in un pregiudizio per la tutela delle posizioni soggettive di parte ricorrente, le quali diverrebbero non esaminabili nel merito, in ragione della tardività del ricorso.
V - La questione presenta aspetti di correlazione complessa che devono essere risolti e che una pregressa giurisprudenza ha cercato di risolvere in chiave ermeneutica, ma lo ha fatto in modo non del tutto convincente.
Invero, si è da tempo formato, presso i Tribunali amministrativi e il Consiglio di Stato, un orientamento a tenore del quale per i soggetti direttamente incisi da una deliberazione consiliare o giuntale di approvazione di un regolamento, il termine di decadenza decorrerebbe non già dalla pubblicazione della deliberazione, ma dalla sua piena conoscenza, coincidente con la comunicazione dell’atto applicativo, ovvero dal momento in cui la disposizione generale del regolamento diventa lesiva di un interesse protetto, per effetto della sua applicazione (nel caso di specie, tale momento sarebbe coincidente con la richiesta di pagamento del canone non ricognitorio previsto dal regolamento). In altri termini, detta giurisprudenza afferma che l’impugnazione del regolamento, entro i sessanta giorni dall’avvenuta comunicazione dell’atto applicativo del regolamento, sarebbe tempestiva, allorché quest’ultimo atto determini l’interesse a ricorrere e la legittimazione ad agire, qualificando la posizione giuridica della parte ricorrente, in precedenza indifferenziata rispetto alle astratte disposizioni normative del regolamento (cfr.: Cons. Stato V, 22.9.2016 n. 4130). Riferito tale orientamento al caso di specie, si avrebbe come conseguenza che l’atto applicativo del regolamento - pur esulando dalla cognizione del giudice amministrativo – se impugnato, produrrebbe il singolare effetto processuale di rimettere in termini la parte ricorrente nell’impugnazione del presupposto regolamento. Non si comprende, tuttavia, come possa accadere che un atto applicativo il quale non sia oggetto di cognizione da parte del giudice amministrativo, possa essere tuttavia preso in esame e “valutato” al fine di stabilire l’ammissibilità dell’impugnazione del presupposto regolamento. Non può trattarsi, invero, di una mera valutazione incidentale, ex art. 8, primo comma, c.p.a., a tenore del quale “Il giudice amministrativo, nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale”. Ciò, per almeno due ragioni: 1) perché la materia in esame rientra nella giurisdizione esclusiva e non in quella generale di legittimità;2) perché l’accertamento della tempestività dell’azione sarebbe definibile come “questione pregiudiziale o incidentale relativa a diritti” solo nell’ottica della prescrizione del diritto, non già in quella della decadenza processuale, riferibile evidentemente alla posizione di interesse legittimo.
VI - L’orientamento che giudica ammissibile l’impugnazione del regolamento entro sessanta giorni dalla comunicazione o conoscenza dell’atto applicativo non può essere condiviso fino alle sue estreme conseguenze che sarebbero quelle di ritenere che l’impugnazione tardiva del solo regolamento comunale darebbe luogo, senza dubbio, all’irricevibilità del ricorso, mentre l’impugnazione del regolamento (fuori termine) unitamente a quella dell’atto applicativo di esso (tempestiva) renderebbe “in toto” ammissibile il ricorso, quand’anche il giudice amministrativo non abbia alcuna giurisdizione né potere di cognizione sull’atto applicativo.
L’orientamento in parola, a giudizio del Collegio, è condivisibile soltanto se e fino a che l’atto applicativo della disposizione regolamentare contestata rientri anch’esso nella giurisdizione del giudice amministrativo (come nell’ipotesi dell’applicazione del regolamento edilizio;cfr., ad esempio: Cons. Stato IV, 13.3.2018 n. 1583), non già quando l’atto applicativo esuli dall’ambito della giurisdizione amministrativa. Se la lesione si determina con l’atto applicativo e la posizione soggettiva si differenzia e qualifica a partire da quel momento, è con riguardo a quel momento (e a quell’atto applicativo) che deve essere valutato e deciso il discrimine del riparto di giurisdizione. Il momento determinante della giurisdizione coincide, infatti, con quello della proposizione della domanda, a tenore dell'art. 5 c.p.c., non soltanto ai fini della “perpetuatio jurisdictionis”, ma anche al fine di qualificare la posizione di cui si sta chiedendo la tutela. Ed è la posizione giuridica azionata che determina l'individuazione del giudice competente a decidere. Si tratta di un principio costantemente riconosciuto in sede interpretativa, ove ripetutamente si afferma che la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il “petitum” sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal giudice, con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti sono la manifestazione (cfr., ex multis: Cass. civ., sez. un., 27 febbraio 2012, n. 2923).
Si tratta, peraltro, di comprendere e sottolineare lo stretto collegamento tra l'art. 103 della Costituzione e le norme dettate dal cod. proc. amm., in tema di giurisdizione. E' noto che l'art. 103 individua il parametro fondamentale del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo per le tutele nei confronti della pubblica Amministrazione, coniugandolo con l'esigenza di favorire forme di concentrazione processuale, unitamente al principio della doppia giurisdizione, sicché la tutela dei diritti soggettivi spetta, di regola, al giudice ordinario. Ed è al giudice ordinario che deve rivolgersi anche colui che agisce per negare l’esistenza di un obbligo giuridico al pagamento di un canone di concessione di un bene pubblico, affermato e astrattamente previsto nel regolamento comunale, in termini di diritto esattivo dell’Ente locale.
La giurisprudenza la quale ritiene che l’impugnazione del regolamento, entro i sessanta giorni dall’avvenuta comunicazione dell’atto applicativo del regolamento, sarebbe tempestiva, sul presupposto che quest’ultimo atto determini l’interesse a ricorrere e la legittimazione ad agire, qualificando la posizione giuridica della parte ricorrente, in precedenza indifferenziata rispetto alle astratte disposizioni normative del regolamento (cfr.: Cons. Stato V, 22.9.2016 n. 4130), ebbene detta giurisprudenza non considera che l’atto applicativo qualifica la posizione giuridica come posizione di diritto soggettivo all’uso del bene pubblico subordinato al pagamento di un canone, sicché l’unica questione oggetto della controversia resta soltanto quella del pagamento (o della non debenza) del canone, al di fuori della quale non sussiste neppure un problema di legittimità del regolamento comunale.
VII – Se così è, non soltanto va esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo sull’atto applicativo del regolamento che prevede il canone concessorio, ma – al fine di promuovere la concentrazione delle tutele - deve riconoscersi al giudice ordinario, “in subjecta materia”, il potere di disapplicare anche il regolamento comunale, unitamente all’atto paritetico esecutivo, allorquando detto giudice riconosca e accerti che il canone non è dovuto o che la previsione regolamentare del canone sia illegittima.
VIII - Non è inutile evidenziare che la giurisprudenza amministrativa si è più volte pronunciata su questioni analoghe o identiche a quelle affrontate nel presente giudizio, con sentenze di annullamento dei regolamenti di volta in volta impugnati, in accoglimento dei medesimi vizi fatti valere in questa sede dalla ricorrente società (cfr.: T.a.r. Lombardia, Brescia I, sentenze nn. 1195/2017;948/2017;885/2017; 1788/2016, n. 97 e 98/2018;T.a.r. Lombardia, Milano II, n. 597/2017;T.a.r. Calabria, Catanzaro I, nn. 595 e 598/2017;idem n. 1657/2016;T.a.r. Lazio, Roma III, nn. 12079 e 12088/2017;T.a.r. Lazio, Latina I, n. 226/2017;Ta.r. Abruzzo, Pescara I, nn. 229 e 231/ 2016;T.a.r. Campania-Napoli IV, sent. n. 1533/2017; T.a.r. Sicilia-Catania II, n. 2254/2016;Cons. Stato, Sez. V, nn. 4130/2016; 3921/2016;1926/2016;2294/2016;2427/2016;2518/2016). Ma, questo Collegio ritiene che dette pronunce, tutte favorevoli alla ricorrente società Enel Distribuzione e tutte unanimi nell’escludere dalla giurisdizione amministrativa la cognizione sull’avviso di pagamento - in quanto integrante un atto paritetico di mera quantificazione del debito vantato dall’Amministrazione - conducono a separare e a sdoppiare la tutela tra i due plessi giurisdizionali, con la conseguenza che del regolamento si occupi il giudice amministrativo e dell’atto applicativo si occupi il giudice ordinario. Ma tale frazionamento della giurisdizione è da ritenersi alquanto incongruo e contrario al principio della concentrazione delle tutele (cfr.: Corte cost., 15.7.2016 n. 179;Cass. civile, sez. unite, ord. 25.2.2011 n. 4615;Cons. Stato III, 21.7.2016 n. 3755).
IX - In definitiva, il ricorso è inammissibile, per difetto di giurisdizione. Si ravvisano giustificati motivi per compensare tra le parti le spese della lite.