TAR Catania, sez. II, sentenza 2014-11-19, n. 201403005
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Testo completo
N. 03005/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00025/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 25 del 2014, proposto da:
G S, S S, S S e avv. R C, tutti rappresentati e difesi da quest’ultimo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G A in Catania, viale Libertà, n. 212;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria in Catania, Via Vecchia Ognina, 149;
per l'esecuzione
del giudicato nascente dal decreto n. 1259/13 emesso dalla Corte d'Appello di Messina il 1° febbraio 2013, nei procedimento riuniti iscritti ai nn. 558/2012 e 559/2012 R.G. V.G., aventi ad oggetto l’equa riparazione per inosservanza del termine ragionevole di durata del processo ai sensi della legge n. 98/2001 (c.d. Legge Pinto), con il quale il Ministero della Giustizia è stato condannato al pagamento in favore dei ricorrenti Stefania e S S della complessiva somma di euro 2.300,00 (nella misura del 50% ciascuno) e in favore del ricorrente G S della somma di euro 3.400,00, a titolo di equa riparazione, oltre interessi sulla dalla data del deposito del ricorso fino al soddisfo, nonché al rimborso delle relative spese processuali liquidate in euro 1.240,00, oltre I.V.A. e C.P.A., con distrazione in favore del procuratore anticipatario avv. R C.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2014 la dott.ssa E M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente gravame i ricorrenti hanno chiesto l’esecuzione del decreto in epigrafe, emanato ai sensi dell’art. 2 della legge n. 89/2001, oltre spese successive, strettamente correlate alle attività necessarie ad ottenere la definitività del titolo, nonché spese ed onorari del presente giudizio da distrarre in favore del procuratore anticipatario avv. R C, anch’egli odierno ricorrente.
I medesimi ricorrenti hanno anche chiesto la fissazione di una somma di denaro, ai sensi dell’art. 114, quarto comma, lett. e), del cod. proc. amm., per l’ipotesi di ulteriore ritardo nell’esecuzione del giudicato.
L’amministrazione statale si è costituita in giudizio, depositando una memoria di mera forma.
Nella camera di consiglio del 5 novembre 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.
Deve in primo luogo osservarsi che il presente ricorso è stato notificato il 30 dicembre 2013 e che la notifica della decisione della Corte d’Appello in forma esecutiva all’Amministrazione nella propria sede legale è avvenuta l’11 luglio 2013.
Ne consegue che, al momento della notifica del ricorso, era decorso il termine dilatorio di centoventi giorni per la proposizione di azioni esecutive nei confronti della Pubblica Amministrazione, di cui all’articolo 14 del decreto legge n. 669/1996, modificato dall’articolo 147, primo comma, lettera a), della legge n. 388/2000 e dall’articolo 44, terzo comma, lettera a), del decreto legge n. 269/2003, come modificato, in sede di conversione, dalla legge n. 326/2003.
La decisione di cui si chiede l’esecuzione, inoltre, è stata depositata in originale ai sensi dell’articolo 114, secondo comma, cod. proc. amm. e, come risulta dall’attestazione apposta in calce alla stessa dal Cancelliere della Corte di Appello di Messina il 15 luglio 2013, avverso la stessa non è stata proposta impugnazione.
E’ noto, inoltre, che il ricorso in ottemperanza può essere proposto anche in relazione ai decreti emessi ai sensi dell’art. 2 della legge n. 89/2001 in ragione della loro natura decisoria e della idoneità degli stessi ad acquisire efficacia di giudicato ( ex multis , Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 820/2011).
Deve, quindi, ordinarsi all’Amministrazione di dare esecuzione al decreto in epigrafe.
Sono anche dovute le spese successive all’emanazione di tale decreto (che la ricorrente ha indicato in euro 50,27 per spese di notifica e di rilascio copia del decreto medesimo), in quanto, come affermato in giurisprudenza, esse rientrano automaticamente tra quelle conseguenti alla decisione, senza che sia necessaria al riguardo un’espressa statuizione del giudice (in tal senso, Corte di Cassazione Civile, Sez. VI, n. 17689/2010;T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, n. 287/2011;T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, n, 2162/2011).
Non può, invece, essere accolta, perché infondata, la richiesta della ricorrente di fissazione di una somma di denaro, ai sensi dell’art. 114, quarto comma, lett. e), del cod. proc. amm. per l’ulteriore ritardo nell’esecuzione del giudicato.
E’ noto come in passato si siano al riguardo profilati due diversi orientamenti nell’ambito della giurisprudenza amministrativa: uno che riteneva di escludere l'ammissibilità dell'istituto della c.d. astreinte nel caso in cui l'esecuzione del giudicato consisteva nel pagamento di una somma di denaro, costituendo la penalità di mora un mezzo di coazione indiretta sul debitore in presenza di obblighi di facere infungibili, con conseguente iniquità della condanna dell'Amministrazione al pagamento di ulteriori somme di denaro, quando l'obbligo di cui si chiedeva l'adempimento consisteva esso stesso nell'adempimento di un'obbligazione pecuniaria (T.A.R. Campania, Napoli, n. 2162/2011;T.A.R. Lazio, Roma, n. 10305/2011;T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, n. 4887/2012);l’altro che affermava che la naturale “ coercibilità ” degli obblighi di fare dell'Amministrazione nel giudizio amministrativo di ottemperanza e la collocazione della misura sanzionatoria nell'ambito di tale giudizio non consentono, in linea di principio, di escluderne la riferibilità anche alle sentenze di condanna pecuniarie secondo un modello di astreinte autonomo rispetto a quello di cui all'art. 614 bis c.p.c. e, dunque, di per sé compatibile con la condanna alla corresponsione degli interessi (Consiglio di Stato, 20 dicembre 2011, n. 6688;T.A.R. Puglia, Bari, n. 259/2012).
E’ di recente intervenuta a dirimere tale contrasto l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con sentenza n. 15 del 25 giugno 2014, sul presupposto che la penalità di mora disciplinata dall’art. 114, comma 4, lett. e), del cod. proc. amm. si distingue in modo significativo da quella prevista per il processo civile, aderisce al secondo dei citati indirizzi e, quindi, ammette in via generale “ l'operatività dell'istituto per tutte le decisioni di condanna adottate dal Giudice Amministrativo ex art. 112 c.p.a., ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni pecuniarie ”, assolvendo l’astreinte “ ad una funzione coercitivo-sanzionatoria e non, o quanto meno non principalmente, ad una funzione riparatoria ”, con la conseguenza che, “ trattandosi di una pena e non di un risarcimento, non viene in rilievo un’inammissibile doppia riparazione di un unico danno ma l’aggiunta di una misura sanzionatoria ad una tutela risarcitoria ”.
Dopo aver affermato tale principio di diritto, la stessa Adunanza Plenaria, poi, ribadisce come spetti comunque al giudice dell'ottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale, di verificare in concreto la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura alla luce di talune “ esimenti ” in grado di valorizzare “ le peculiari condizioni del debitore pubblico ” così come “ l’esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive ”.
Il Collegio – in disparte ogni considerazione sulla insoddisfacente delibazione della questione di cui si tratta sotto il profilo dell’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina vigente - è, comunque, dell’avviso che nel caso di specie sussistano difficoltà nell'adempimento, collegate a vincoli normativi e di bilancio e, in generale, allo stato della finanza pubblica, tali da assumere rilievo al fine di negare tale sanzione.
Ritiene, infatti, l’Adunanza Plenaria nella citata pronuncia che l’articolo 114, quarto comma, lett. e), del cod. proc. amm., nel disciplinare all’interno del processo amministrativo l’istituto dell’ astreinte , abbia aggiunto al limite negativo della manifesta iniquità, già previsto nel codice di rito civile, quello del tutto autonomo della sussistenza di “ altre ragioni ostative ”, proprio in considerazione della specialità del debitore pubblico e con specifico riferimento a tali difficoltà e all’esigenza di evitare eccessivi esborsi di denaro pubblico o sanzioni eccedenti.
In conclusione il ricorso va accolto nei limiti sopra specificati, dovendo, quindi, ordinarsi al Ministero della Giustizia, di dare esecuzione, nei termini di cui in motivazione, al decreto in epigrafe entro sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione, ovvero della sua notifica su istanza di parte se anteriore.
Per l’ipotesi di ulteriore inadempienza, si nomina il Dirigente della Direzione Centrale dei Servizi del Tesoro presso il Dipartimento dell’Amministrazione Generale, del Personale e dei Servizi del Tesoro - con facoltà di delega ad altro Dirigente del medesimo ufficio - quale commissario ad acta per procedere in via sostitutiva nell’ulteriore termine di giorni sessanta.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo in misura ridotta atteso che il difensore di parte ricorrente risulta avere contestualmente proposto un altro giudizio sostanzialmente identico definito alla stessa camera di consiglio del 5 novembre 2014.