TAR Roma, sez. II, sentenza breve 2022-11-03, n. 202214338

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza breve 2022-11-03, n. 202214338
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202214338
Data del deposito : 3 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/11/2022

N. 14338/2022 REG.PROV.COLL.

N. 07178/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 7178 del 2022, proposto da C C, rappresentata e difesa dall’Avvocato L A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio sito in Roma, Via Silvio Pellico n. 24;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato A E, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso gli uffici dell’Avvocatura Capitolina siti in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

nei confronti

Pamela Volpe, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

previa sospensione dell’efficacia

della determinazione dirigenziale 570/22, relativa alla graduatoria definitiva di merito nella: Procedura selettiva, per titoli ed esami, per formazione graduatoria contratti a tempo determinato per supplenze Asili Nido e per assunzioni a tempo indeterminato ai sensi dell'art. 1 comma 228 quater legge n. 208 del 28/12/2015 - pubblicata in data 22-mar-2022 – estremi Albo pretorio – 2022/6662 (a tutto oggi non più presente in archivio)


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2022 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con separato ricorso collettivo già definito con sentenza di rito di questa Sezione (cfr. sentenza n. 13076 del 16 dicembre 2021, non appellata dalla ricorrente), alcune educatrici supplenti di asilo nido - tra cui l’odierna ricorrente - insorgevano avverso la determinazione dirigenziale del 5 luglio 2021 del Comune di Roma Capitale con cui era stata approvata la graduatoria finale della “ procedura selettiva pubblica, per titoli ed esami, finalizzata alla formazione di una graduatoria valida per la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato per le supplenze presso gli Asili nido di Roma Capitale e per assunzioni a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 1 comma 228 quater della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 ”.

Con il summenzionato ricorso collettivo, le ricorrenti deducevano di essere state illegittimamente penalizzate nell’attribuzione del punteggio riconosciuto ai fini della graduatoria in quanto, nonostante il corretto inserimento nella domanda di partecipazione dei dati necessari, non sarebbero stati loro riconosciuti i 3 punti previsti dal Bando per l’inserimento in una precedente graduatoria finalizzata al conferimento di incarichi analoghi a quelli oggetto della procedura concorsuale.

Con la sopra richiamata sentenza breve n. 13076 del 16 dicembre 2021 (non appellata), emessa ex art. 60 c.p.a. in esito all’udienza fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, questa Sezione dichiarava il ricorso collettivo “ inammissibile per la presenza di un conflitto di interesse [NDR: tra le ricorrenti] che invera una delle “altre ragioni ostative ad una pronuncia sul merito”, previste, in via generale, dall’art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a. ”.

Ciò in quanto “ ciascuna ricorrente ha interesse ad ottenere per sé i 3 punti ma, al contempo, ha anche interesse ad evitare che le ricorrenti che ad oggi la precedono in graduatoria a distanza minore di 3 punti non vedano attribuirsi il suddetto punteggio così da sopravanzarle nella graduatoria finale ”.

Con successiva determinazione dirigenziale n. 570 del 22 marzo 2022, Roma Capitale – modificando in autotutela il punteggio di alcune candidate diverse dall’odierna ricorrente – rettificava la graduatoria contenuta nella determinazione dirigenziale n. 1028 del 5 luglio 2021 (già impugnata con l’originario ricorso collettivo dichiarato inammissibile), correggendo quindi il punteggio di alcune candidate e lasciando invece inalterato il punteggio dell’odierna ricorrente, ma al contempo modificando in senso peggiorativo il posizionamento in graduatoria di quest’ultima.

L’incremento di punteggio di altre candidate determinava di riflesso, infatti, uno slittamento indietro di posizione dell’odierna ricorrente.

Avverso la suddetta rettifica insorge ora l’odierna ricorrente, la cui unica doglianza coincide con quella già sollevata con il primo ricorso dichiarato inammissibile da questa Sezione, dolendosi nuovamente la ricorrente dell’omesso riconoscimento dei 3 punti che il Bando prevedeva per il pregresso inserimento della candidata in altre graduatorie di Roma Capitale.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale, richiedendo in via preliminare di disporre “ l’integrazione del contraddittorio mediante notifica per pubblici proclami ”, nonché eccependo l’“ improcedibilità ” di questo nuovo ricorso proposto avverso la rettifica della graduatoria finale, in quanto da un lato lesivo del principio del ne bis in idem e, dall’altro lato, orientato verso l’annullamento di un atto meramente confermativo.

Alla camera di consiglio del 13 luglio 2022, il Collegio – rilevata la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio (peraltro espressamente richiesta dalla stessa Amministrazione resistente con la propria memoria difensiva) – ha autorizzato la notifica del gravame per pubblici proclami, rinviando alla camera di consiglio del 12 ottobre 2022 e poi del 26 ottobre 2022

Alla camera di consiglio del 26 ottobre 2022, il Collegio – constatato il rituale adempimento delle formalità prescritte ai fini dell’integrazione del contraddittorio e dato avviso alle parti della possibilità di definire il giudizio una con sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a. – introitava la causa in decisione.

DIRITTO

Il Collegio ritiene che il giudizio possa essere definito in esito all’udienza cautelare con sentenza ai sensi dell’articolo 60 c.p.c., essendo trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione, non essendovi necessità di integrare il contraddittorio, risultando completa l’istruttoria e non avendo alcuna delle parti dichiarato di voler proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza o di giurisdizione.

Ciò premesso, il ricorso è fondato e va quindi accolto.

Non senza prima pronunziarsi, in limine litis , sull’eccezione di “improcedibilità” del ricorso sollevata dall’Amministrazione resistente, eccezione che – in quanto afferente ad una presunta carenza di interesse originaria (e non sopravvenuta) della ricorrente – va riqualificata in termini di inammissibilità.

L’eccezione è infondata.

Per quel che concerne, infatti, la presunta violazione della regola del ne bis in idem e del principio del giudicato ex art. 2909 Cod. Civ., il Collegio rileva che la forza di giudicato sostanziale assiste, in linea di massima, solo le pronunce a contenuto decisorio di merito, vale a dire quelle che statuiscono in ordine all’esistenza delle posizioni soggettive tutelate e dedotte in giudizio. Non vale, invece, per le c.d. sentenze di rito, cioè quelle che esauriscono la loro efficacia nell’accertare l’assenza dei presupposti processuali ovvero delle condizioni dell’azione necessari per poter definire nel merito la controversia.

Questa tipologia di decisione, quale è quella emessa al termine del primo giudizio instaurato dall’odierna ricorrente, è di norma inidonea a dar vita al c.d. giudicato sostanziale e a tradursi in un accertamento che, secondo quanto previsto dall’art. 2909 c.c., faccia stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi e aventi causa, essendo priva di qualsiasi attitudine a proiettare i propri effetti conformativi oltre i confini del processo, mediante la formazione di regole giuridiche idonee a dirimere, in via definitiva, conflitti intersoggettivi tra le parti del giudizio.

Al contrario, le sentenze di tale tipo creano solo una preclusione di rito, valida per quel giudizio, la quale non si ripete in altro successivo, se per questo vi siano le condizioni processuali e sostanziali per proporlo.

Infatti, il giudicato su una questione processuale, quale è una questione che abbia investito esclusivamente l’esistenza o meno di una condizione dell’azione, come nella specie, è tale solo all’interno dello stesso processo (cosiddetto giudicato in senso formale) e non estende la sua autorità anche ad un nuovo ed autonomo giudizio, qualora risulti superata la questione processuale preliminare che aveva in precedenza impedito l’esame del merito da parte del giudice.

Unica eccezione a detto principio generale è costituita dalle sentenze solo apparentemente processuali, cioè quelle che, pur statuendo sul rapporto processuale, risolvono anche questioni di merito attinenti a situazioni giuridiche soggettive sostanziali, in modo da costituire principi vincolanti per la definizione dei rapporti tra privati e Amministrazione (nello stesso senso, Cass., n. 26377 del 2014;
id., n. 15383 del 2014;
id., n. 7303 del 2012;
Cons. St., ad. plen., 1 marzo 1984 n. 4;
Cons. St., sez. III, 1 agosto 2014 n. 4067;
id., 24 maggio 2013 n. 2844;
id., 2 febbraio 2012 n. 602).

Invero, è jus receptum in giurisprudenza, in relazione alle sentenze di mero rito del giudice amministrativo, che solo quando la statuizione del giudice riguarda profili di legittimazione o d’interesse a ricorrere e viene pronunciata a seguito di un accertamento rigoroso e motivato relativo alla sussistenza dei fattori sostanziali legittimanti all’azione in giudizio, allora tale sentenza ha attitudine a spiegare i propri effetti in un diverso processo e sempre che non siano mutate le circostanze di fatto e vi sia identità di soggetti e di oggetto dell’azione;
la giurisprudenza è invece orientata in senso contrario, ove vi sia giudicato meramente processuale, che attenga, cioè, solo all’accertamento della permanenza del potere-dovere del giudice di pronunciarsi sul ricorso (così Cons. St., sez. III, 15 febbraio 2017 n. 682, che richiama sez. IV, 26 marzo 2013, nr. 1744;
id., 1 marzo 2010, nr. 1167;
id., 30 luglio 2003, nr. 4396).

In sintesi, il c.d. giudicato sostanziale – su cui si regge la regola del ne bis in idem invocata da Roma Capitale nel presente giudizio – postula due concorrenti requisiti , e cioè:

(i) da un lato la previa esistenza di una pronunzia a contenuto decisorio di merito;

(ii) dall’altro lato la completa identità dei due giudizi in termini di circostanze di fatto, soggetti ed oggetto delle due azioni.

Orbene, ad avviso del Collegio nessuno di questi due requisiti sembra sussistere nel caso di specie.

Quanto al primo requisito , infatti, va osservato che la pregressa sentenza invocata da Roma Capitale a sostegno della propria eccezione – lungi dal recare alcun contenuto decisorio di merito, o dal tradursi in un rigoroso accertamento dei fattori sostanziali legittimanti l’azione in giudizio – consiste invece in una sentenza di mero rito, sentenza con cui il Giudice si è limitato a rilevare che la natura collettiva del ricorso (ed il conseguente conflitto di interessi potenzialmente esistente tra le ricorrenti) invera una condizione ostativa alla definizione del merito della causa.

Manca, quindi, la benché minima pronunzia a contenuto decisorio di merito suscettibile di eccitare la regola del ne bis in idem .

Quanto al secondo requisito, il Collegio rileva che il provvedimento avversato con il primo ricorso consisteva in una graduatoria concorsuale che non coincide affatto – nella parte relativa all’odierna ricorrente – con quella avversata nel presente giudizio.

Valga rammentare, a tal riguardo, che l’approvazione della graduatoria di un concorso costituisce non già un atto generale unico ed indivisibile, bensì un tipico atto ad oggetto plurimo che, anche se formalmente unico, è concettualmente scindibile in tanti distinti provvedimenti quanti sono i destinatari di esso (cfr. ex multis TAR Lazio – Roma n. 2353/2020, TAR Calabria – Catanzaro n. 381/14).

Ciò premesso in linea generale, nel caso di specie vengono in rilievo due distinte graduatorie stilate in successione cronologica per il medesimo concorso, segnatamente:

- la prima graduatoria del 5 luglio 2021, già impugnata dalla ricorrente con ricorso collettivo dichiarato inammissibile in forza di sentenza di questo TAR rimasta inappellata;

- la seconda graduatoria del 22 marzo 2022 impugnata invece con l’odierno ricorso, questa seconda graduatoria consistendo nella rettifica in autotutela della prima graduatoria .

Il Collegio rileva che la parte della prima graduatoria scindibilmente riservata alla ricorrente (costituente, come visto, un autonomo e distinto provvedimento) non coincide affatto – in tutto e per tutto – con la corrispondente parte della seconda graduatoria parimenti riservata alla ricorrente.

Se da un lato è vero, infatti, che il punteggio della ricorrente è rimasto identico nella prima e nella seconda graduatoria, dall’altro lato è anche vero, però, che la posizione in graduatoria è invece mutata , atteso che nella seconda graduatoria la ricorrente occupa una posizione più bassa rispetto a quella occupata nella prima graduatoria .

Tenuto conto, pertanto, che l’atto di approvazione di una graduatoria concorsuale – ove inteso nella prospettiva individuale del singolo candidato – è morfologicamente composto da due elementi costitutivi essenziali, id est il punteggio e la posizione in graduatoria, va da sé che la modificazione di uno di questi due elementi (nel caso di specie il posizionamento in classifica) basta ad escludere che l’atto derivante da tale modifica coincida con quello precedente.

E ciò a fortiori se si considera che l’esito finale della prova concorsuale è strettamente legato, per il singolo candidato, proprio alla posizione in graduatoria, rivestendo quest’ultima un ruolo, quindi, tutt’altro che marginale.

Il che conduce ad affermare, conclusivamente, che la sentenza di rito già intervenuta sulla prima graduatoria dell’odierna ricorrente non può innescare il meccanismo del ne bis in idem invocato da Roma Capitale, non soltanto perché priva di contenuto decisorio di merito, ma anche perché – come visto – essa si è espressa su un provvedimento morfologicamente diverso rispetto a quello impugnato nel giudizio de quo .

Le considerazioni che precedono valgono a confutare, pertanto, anche la tesi di parte resistente secondo cui la seconda graduatoria impugnata nel presente giudizio costituirebbe un atto meramente confermativo di quello avversato nel precedente giudizio.

Come visto, infatti, la retrocessione in graduatoria della ricorrente osta alla configurabilità di quell’identità strutturale tra provvedimenti che, invece, è richiesta tra atto di primo grado e successivo atto meramente confermativo.

Acclarata l’ammissibilità del presente ricorso, il Collegio rileva che la censura sollevata da parte ricorrente – consistente nel dolersi dell’omesso riconoscimento dei 3 punti che il Bando prevedeva per il pregresso inserimento della candidata in altre graduatorie di Roma Capitale, pregresso inserimento che risultava dalle altre informazioni esposte dalla ricorrente con la sua domanda di partecipazione al concorso – è meritevole di positivo apprezzamento.

Ed infatti, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo riconosciuto che l’art. 6 ( Compiti del responsabile del procedimento ), comma 1, lett. b), legge 7 agosto 1990, n. 241, ha introdotto, nell’ambito delle regole del procedimento amministrativo, il c.d. soccorso istruttorio, con la finalità di regolarizzare o integrare una documentazione carente, nell’ottica della tutela della buona fede e dell’affidamento dei soggetti coinvolti dall’esercizio del potere (cfr. Adunanza plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9;
ma già Cons. St., sez. VI, 2 aprile 2001, n. 1927).

I casi in cui è attivabile il soccorso istruttorio, peraltro, vanno tenuti distinti da quelli nei quali non di documentazione irregolare o carente si tratta, bensì di errore commesso dal privato nell’istanza o domanda presentata alla pubblica amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 giugno 2019, n. 4198, ove è precisato che se l’errore è riconoscibile secondo le condizioni poste dalle disposizioni del codice civile per gli atti negoziali, ben può richiedersi all’amministrazione lo sforzo diligente di emendarlo autonomamente).

Il soccorso istruttorio ha portata generale e trova applicazione anche nell’ambito delle procedure concorsuali, fermo il necessario rispetto del principio della par condicio , per cui l’intervento dell’Amministrazione diretto a consentire al concorrente di regolarizzare o integrare la documentazione presentata non può produrre un effetto vantaggioso a danno degli altri candidati.

Sebbene siano presenti in giurisprudenza orientamenti più restrittivi per i quali il soccorso istruttorio nell’ambito delle procedure comparative e di massa è (fortemente) limitato dal principio di autoresponsabilità del concorrente, per cui ciascuno sopporta le conseguenze di eventuali errori commessi nella presentazione della documentazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2019, n. 1148 e Cons. Stato, sez. III, 4 gennaio 2019, n. 96 per l’assegnazione delle sedi farmaceutiche), ritiene il Collegio che specialmente nell’ambito dei concorsi pubblici l’attivazione del c.d. soccorso istruttorio è tanto più necessaria per le finalità proprie di detta procedura che, in quanto diretta alla selezione dei migliori candidati a posti pubblici, non può essere alterata nei suoi esiti da meri errori formali, come accadrebbe se un candidato meritevole non risultasse vincitore per una mancanza facilmente emendabile con la collaborazione dell’Amministrazione.

Il danno, prima ancora che all’interesse privato, sarebbe all’interesse pubblico, considerata la cruciale rilevanza della corretta selezione dei dipendenti pubblici per il buon andamento dell’attività della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).

In quest’ottica, il limite all’attivazione del soccorso istruttorio coincide con la mancata allegazione di un requisito di partecipazione, ovvero di un titolo valutabile in sede concorsuale, poiché, effettivamente, consentire ad un candidato di dichiarare, a termine di presentazione delle domande già spirato, un requisito o un titolo non indicato, significherebbe riconoscergli un vantaggio rispetto agli altri candidati in palese violazione della par condicio .

In ogni altro caso, invece, ove il candidato abbia allegato i titoli da valutare con la diligenza a lui richiesta (specificata dall’Adunanza plenaria nella sentenza 15 febbraio 2014, n. 9 nel fornire informazioni non reticenti e complete, compilare moduli, presentare documenti ed altro) il soccorso istruttorio va attivato, qualora dalla documentazione presentata dal candidato residuino margini di incertezza facilmente superabili (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2018, n. 257;
V, 8 agosto 2016, n. 3540;
II, 28 gennaio 2016, n. 838;
IV, 7 settembre 2004, n. 5759) rispondendo tale scelta amministrativa ad un principio di esercizio dell’azione amministrativa ispirata a buona fede e correttezza.

Alla luce delle pregresse considerazioni, pertanto, nella vicenda in esame sussistono, ad avviso del Collegio, i presupposti per l’attivazione del soccorso istruttorio.

Sul punto, se da un lato parte ricorrente aveva omesso di dichiarare (in sede di domanda di partecipazione) il possesso del requisito dell’“ inserimento in una graduatoria già utilizzata da Roma Capitale per il conferimento di incarichi a termine nel profilo professionale di insegnante di scuola dell’infanzia” , dall’altro lato la stessa ricorrente aveva dichiarato, però, di avere altri titoli professionali e di servizio che a ben vedere presuppongono il possesso del summenzionato requisito.

Risulta per tabulas , infatti, che la ricorrente aveva dichiarato (nella domanda di partecipazione) di aver prestato servizio in passato in alcuni asili nido a gestione diretta di alcuni Municipi di Roma Capitale, servizio che invero presuppone l’inserimento in una graduatoria di Roma Capitale per il conferimento di incarichi di insegnante di scuola dell’infanzia.

Va da sé che nel caso de quo ricorreva una fattispecie non già di totale carenza allegatoria del requisito controverso ( id est il requisito dell’inserimento in una graduatoria di Roma Capitale già utilizzata per il conferimento di incarichi a termine nel profilo di insegnante di scuola dell’infanzia), bensì di soltanto parziale allegazione di detto requisito.

Al lume dei principi sopra richiamati, pertanto, sussistevano i presupposti per l’attivazione del potere-dovere di soccorso istruttorio ex art. 6 della legge n. 241 del 1990.

In ragione di quanto precede, pertanto, il ricorso merita di essere accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati che rivestono carattere provvedimentale e lesivo, limitatamente alla parte in cui essi non attribuiscono all’odierna ricorrente i 3 punti aggiuntivi previsti per il titolo professionale di servizio dell’“ Inserimento in una graduatoria già utilizzata da Roma Capitale per il conferimento di incarichi a termine nel profilo professionale di insegnante di scuola dell’infanzia ”.

La condanna alle spese di giudizio segue il principio della soccombenza, con relativa liquidazione contenuta nel dispositivo, liquidazione che tiene conto della natura seriale della controversia, con distrazione a favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

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