TAR Torino, sez. II, sentenza 2020-03-03, n. 202000167
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Pubblicato il 03/03/2020
N. 00167/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00226/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 226 del 2019, proposto da
C N, M B, rappresentati e difesi dagli avvocati L V, A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Chieri, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Simona Dell'Oglio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Re Umberto 27;
per l'annullamento
della Determinazione Dirigenziale comunale n. 34/2019 del 30.01.2019, a firma della Dirigente dell'Area Servizi Finanziari e Patrimoniali del Comune di Chieri, pubblicata sul sito Internet del Comune di Chieri;
nonchè
delle note a firma della Dirigente dell'Area Servizi Finanziari e Patrimoniali del Comune di Chieri del 6.03.2019, comunicata via Pec, e del 22 gennaio 2019, prot. 3264/2019, consegnata a mani nonché comunicata via Pec;
come pure
della Comunicazione a firma della Dirigente dell'Area Servizi Finanziari e Patrimoniali del Comune di Chieri del 16 gennaio 2019, pervenuta via Pec;
nonché ancora, per quanto di ragione e di interesse,
del Bando dell'Asta Pubblica del Comune di Chieri per la vendita dell'immobile di proprietà comunale sito in Chieri, Piazza Mazzini n. 5, Rif. 2018/09, datato 24 aprile 2018, a firma della Dirigente dell'Area Servizi Finanziari e Patrimoniali del Comune di Chieri, approvato con Determinazione Dirigenziale a contrattare n. 240 del 23 aprile 2018;
di ogni altro atto comunque presupposto, prodromico, connesso e consequenziale;
nonché per la condanna del Comune di Chieri ex art. 30 c.p.a.
al risarcimento dei danni ingiusti tutti, patiti e patiendi dai ricorrenti ed eziologicamente e direttamente riconducibili ai provvedimenti amministrativi illegittimi del Comune di Chieri dianzi impugnati, e comunque derivanti da responsabilità precontrattuale dello stesso Comune ex art. 1337 c.c., per l'importo complessivo di euro 54.488,70, ovvero per il veriore importo che l'Ecc.mo T.A.R. adito vorrà statuire;
nonché, in via di stretto subordine, per la condanna del Comune medesimo ex art. 21 quinquies Legge n. 241/1990 e s.m.i., a provvedere all'indennizzo dei pregiudizi arrecati ai ricorrenti dalla Determinazione Dirigenziale n. 34/2019 del 30 gennaio 2019 di revoca dell'aggiudicazione definitiva della procedura di alienazione di immobile comunale 2018/09, per l'importo complessivo pari ad Euro 54.488,70, ovvero per il veriore importo che l'Ecc.mo T.A.R. adito intenderà quantificare.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Chieri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2020 la dott.ssa P M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti hanno adito l’intestato TAR deducendo di aver preso parte all’asta pubblica indetta dal Comune di Chieri per la vendita di immobile di proprietà comunale sito in Chieri, piazza Mazzini n. 5, inserito nel piano triennale delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari. La base d’asta veniva fissata, dopo vari tentativi infruttuosi di vendita, in 800.000,00 €. In data 15.5.2018 l’immobile veniva aggiudicato al ricorrente N in proprio e quale procuratore speciale del coniuge M B.
Con determina dirigenziale n. 328 del 23.5.2018 l’aggiudicazione veniva approvata, ed il comune introitava € 40.000,00 a titolo di cauzione.
I ricorrenti richiedevano svariate proroghe del termine per la stipulazione del contratto di compravendita, riscontrando delle problematiche nel classamento catastale dell’immobile e lamentando che una porzione delle aree oggetto di aggiudicazione sarebbero state di fatto occupate da terzi. Si apriva quindi un dialogo tra le parti circa la corretta classificazione catastale dell’immobile, che veniva variata, a spese e su iniziativa degli aggiudicatari, da B4 ad F4;persistevano tuttavia ulteriori problematiche in quanto, a detta dei ricorrenti, dalle bozze dell’atto notarile veniva indicato come oggetto di trasferimento un mappale non oggetto dell’avviso di asta, nonché evidenziata nella struttura la presenza di una cabina ENEL con annesso contratto di locazione, sempre non rappresentata negli atti di gara. Insorgeva quindi controversia tra le parti circa il corretto oggetto dell’aggiudicazione (sia quanto ai mappali inclusi nel bando che quanto alla presenza della cabina Enel), posto che il comune riteneva invece che le presunte criticità emergessero tutte già chiaramente dagli atti di gara. Interveniva dunque dapprima un rinvio della data del rogito (da ultimo fissata al 10.12.2018 ed ancora al 21.1.2019) e quindi una manifestazione di volontà resa dai ricorrenti, con nota protocollata in data 22.1.2019, di volersi ritenere liberi da ogni obbligo ai sensi dell’art. 11 del bando, invocando la restituzione della cauzione. Per parte sua l’amministrazione comunale provvedeva alla rimozione della recinzione apposta dal terzo su una porzione dei mappali, ribadendo la piena disponibilità delle aree, e riteneva pretestuose le contestazioni mosse dai ricorrenti e la pretesa degli stessi di subordinare la compravendita a condizioni non previste dal bando;il Comune ribadiva quindi la propria disponibilità alla stipulazione del contratto da ultimo in data 21.1.2019, data peraltro scelta dai ricorrenti;stante la mancata presentazione per la stipula, in data 22.1.2019, il Comune incontrava le controparti dichiarando di considerare chiusa la procedura per mancata stipula imputabile alla parte privata e incamerava la cauzione.
Lamenta parte ricorrente:
1) la violazione e falsa interpretazione degli artt. 19, 11, 15 e 16 del bando di gara, la violazione dell’art. 88 del r.d. n. 827/1924, l’eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti, contraddittorietà e difetto di istruttoria;la parte analizza il significato e l’applicazione della clausola del bando che prevede la possibilità di incameramento della cauzione alla luce di un recesso dall’acquisto da parte dell’aggiudicatario, ritenendo la propria condotta successiva all’aggiudicazione pienamente giustificata;
2) violazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/90, difetto di presupposti della revoca;violazione dell’art. 12 e 19 del bando di gara;violazione dell’art. 3 della l. n. 241/90;il comune avrebbe asserito di “revocare” l’aggiudicazione, fattispecie della quale non sussisterebbero i presupposti;verosimilmente il comune avrebbe, per contro, esercitato un recesso previsto dal bando e tuttavia, in violazione dello stesso;
3) eccesso di potere per manifeste carenze, omissioni del bando di gara;violazione dell’art. 65 del rd. n. 827/1924, violazione dell’art. 1337 c.c. e del principio dell’affidamento;il comune avrebbe fornito in gara informazioni lacunose e/o errate e tenuto una condotta non conforme a buona fede nella fase successiva all’aggiudicazione.
Ha chiesto pertanto annullarsi la determinazione dirigenziale n. 34/2019 del 30.1.2019 e condannarsi l’amministrazione al risarcimento dei danni individuati nella caparra trattenuta per € 40.000 oltre ad ulteriori danni connessi alle spese di partecipazione alla procedura quantificati in € 54.488,70. In subordine ha chiesto riconoscersi l’indennizzo da revoca illegittima.
Si è costituito il comune di Chieri contestando in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso introduttivo.
All’udienza del 5.2.2020 il collegio ha sottoposto d’ufficio alle parti il possibile difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;la causa è stata quindi discussa e decisa.
DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, sussistendo la giurisdizione del giudice ordinario.
E’ pacifico che la giurisdizione si determina in forza del cosiddetto petitum sostanziale o causa poetendi azionata dalla parte.
Con la nota qui impugnata l’amministrazione ha dichiarato di “revocare” l’aggiudicazione, disposta nel contesto di una procedura governata dalla legge di contabilità di stato e finalizzata alla dismissione di un immobile pubblico. Al di là della terminologia utilizzata dall’amministrazione, l’atto deve essere qualificato in base al suo effettivo contenuto anche ai fini della giurisdizione.
Nonostante infatti nella determina in contestazione compaia la parola “revoca”, come peraltro osservato dalla stessa ricorrente nella propria impugnazione, l’amministrazione ha di fatto inteso esercitare un diritto di recesso in conformità all’art. 19 del bando che prevede: “nel caso in cui l’aggiudicatario dichiari di voler recedere dall’acquisto o non si presenti per la stipula del contratto senza giustificati motivi, l’amministrazione a titolo di penale incamererà il versato o escuterà la fideiussione, salvo il risarcimento di eventuali danni che dovessero derivare dall’inadempienza”.
Nella nota impugnata, infatti, dopo aver analiticamente descritto l’andamento della gara, l’aggiudicazione e l’attività preliminare alla stipula del contratto intercorsa tra le parti dopo l’aggiudicazione, il comune ha precisato “ritenuto necessario trattenere la somma di € 40.000,00 accertata con precedente determinazione dirigenziale n. 328/2018, ai sensi di quanto previsto dal punto 19 del bando” ed ha quindi concluso dichiarando di ritenere chiusa la procedura con incameramento della cauzione per ingiustificata mancata stipulazione da parte dei ricorrenti.
La giurisprudenza ha più volte chiarito che, anche nella contrattualistica pubblica, una volta disposta l’aggiudicazione e dunque individuato il contraente privato, salve puntuali prerogative pubblicistiche per lo più previste nella disciplina degli appalti, tendenzialmente i rapporti tra amministrazione e privato si collocano su un piano paritetico di buona fede nel portare a compimento le prescrizioni del bando nel cui contesto, al più, possono verificarsi i presupposti di un recesso;la stessa Adunanza plenaria del consiglio di Stato n. 14/2014 ha precisato che appare inconcepibile un potere di “revoca” di tipo pubblicistico che si sovrapponga, svuotandolo, ad un ordinario recesso, governato dalla normativa civilistica o, al più, dalle previsioni di bando, ove lo stesso sia, come nel caso di specie, espressamente contemplato negli atti di gara. Ancora il fatto che pacificamente la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione possa insorgere anche in relazione a condotte “pubblicistiche” antecedenti all’aggiudicazione (Cons. St. Ad. plen. n. 5/2018) non toglie che la giurisdizione amministrativa sia configurabile là dove, appunto, la violazione della correttezza nelle trattive venga in concreto ricondotta a condotte di carattere “pubblicistico”, integranti quindi un esercizio di potere;nel caso di specie la parte si limita a prospettare una determinata interpretazione degli obblighi già cristallizzati nel bando (chiedendo, in pratica, l’applicazione del bando di gara secondo criteri ritenuti di buona fede nell’interpretazione e senza concretamente enucleare dei vizi del bando stesso) e a contestare la natura giustificata o meno di condotte delle parti, volte a consentire/agevolare la stipulazione del contratto;trattasi di condotte e contestazioni che sarebbero ascrivibili a qualunque privato in un ordinario rapporto privatistico e non sono certo legate all’esercizio di un potere specifico dell’amministrazione, già vincolatasi a quanto effettivamente previsto dal bando.
Ancora, in materia di contributi pubblici, è pacifico ad esempio che quando si dibatte di inadempimento dei beneficiari, quale che sia la terminologia impiegata (revoca, decadenza, risoluzione), il privato resta titolare di un diritto soggettivo perfetto azionabile innanzi al giudice ordinario (Cons. St. Ad. plen. n. 2/2014).
Ancora, secondo Cass. SU 29.7.2016 n. 15816: “In tema di dismissione di immobili del patrimonio disponibile comunale, che, all'esito infruttuoso dell' asta pubblica, sia avvenuta con le modalità della trattativa privata, la facoltà dell'ente di recedere, in ogni momento, dalle operazioni di vendita, riconosciuta nell'offerta irrevocabile di acquisto del bene dal medesimo accettata, non è predicabile in termini di determinazione autoritativa, a fronte della quale l'aggiudicatario è titolare di un mero interesse legittimo, perchè l'ambito dello "ius poenitendi" così pattiziamente circoscritto riguarda la fase già esecutiva del rapporto”;la pronuncia si attaglia al caso di specie, posto che, a prescindere della modalità (incanto o trattativa privata) di individuazione del contraente, in tale pronuncia il giudice del riparto ha chiaramente statuito che, esaurita la fase procedimentale di stampo pubblicistico finalizzata all’individuazione del contraente, subentra un ordinario contesto di tipo contrattuale nel cui ambito l’eventuale facoltà di recesso (e, nel caso di specie, connesso incameramento della cauzione) “non appare predicabile in termini di determinazione autoritativa perché in realtà trattasi di facoltà inserita in un tessuto pattizio in cui l’offerta è stata accettata dall’ente”, benchè ulteriori successivi adempimenti possano condizionare la stipulazione e il perfezionamento del contratto. Con il che, ha proseguito il giudice del riparto, lo “ius poenitendi è stato volontariamente circoscritto in un ambito afferente già la fase di esecuzione del rapporto nella quale si è entrati a seguito della conclusione di quella pubblicistica: fase in cui i comportamenti delle parti appaiono declinabili in una chiave che implica la competenza a conoscerne del giudice ordinario”.
Le intere allegazioni di cui al ricorso sono incentrate sulla conformità o meno alla legge di gara della condotta dell’amministrazione e del privato nonché sulla natura giustificata o meno, in un contesto non certo di supremazia pubblicistica, della scelta della parte privata di non addivenire alla stipulazione del contratto e della contrapposta scelta dell’amministrazione di ritenere ingiustificato il recesso ed incamerare la caparra.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile sussistendo la giurisdizione del GO;le parti possono riassumere il giudizio ai sensi dell’art. 11 del c.p.a.
La natura processuale e la peculiarità della vicenda giustificano la compensazione delle spese di lite.