TAR Parma, sez. I, sentenza 2024-06-20, n. 202400166
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Testo completo
Pubblicato il 20/06/2024
N. 00166/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00477/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 477 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti C C e G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno e Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Emilia, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria
ex lege
;
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. -OMISSIS- del 2 dicembre 2021, recante il rigetto dell’istanza di «emersione» di rapporto di lavoro domestico formulata ai sensi dell’art. 103, comma 1, del decreto-legge n. 34/2020.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Emilia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 12 giugno 2024 il dott. I C e uditi, per le parti, i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
In data 20 luglio 2020 il sig. -OMISSIS- presentava allo Sportello Unico per l’Immigrazione di Reggio Emilia un’istanza ex art. 103, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2020 (conv. legge n. 77/2020), ai fini della «emersione» di un rapporto di lavoro irregolare con il ricorrente, cittadino -OMISSIS-, per attività di assistenza domestica.
Dopo un preavviso di rigetto motivato con la formula “… reati ostativi …”, l’istanza veniva infine respinta dall’Amministrazione con analoga motivazione (v. provvedimento prot. n. -OMISSIS- del 2 dicembre 2021).
Avverso il provvedimento di diniego ha proposto impugnativa il ricorrente.
Premesso che la ratio della disciplina della sanatoria ex art. art. 103 del decreto-legge n. 34 del 2020 va individuata nel consentire, in via eccezionale, il rilascio di un permesso di soggiorno agli stranieri presenti sul territorio nazionale che svolgevano in modo irregolare il lavoro – nel caso di specie “domestico” –, egli assume l’insussistenza di precedenti penali ostativi alla stipula del contratto di soggiorno di che trattasi, e quindi contesta le conclusioni dell’Amministrazione, benché generiche sul punto. In particolare, richiama la circostanza di avere subito una sola condanna nel 2013 per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 e di avere ottenuto nel 2018 il beneficio della dichiarazione di estinzione del reato;pertanto, a suo dire, non essendo stato più commesso alcun reato, difetta una causa preclusiva dell’accoglimento dell’istanza, né v’è motivo per ipotizzarne la pericolosità sociale, e ciò, quindi, rivelerebbe l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, motivazione inadeguata, violazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalità, ingiustizia grave e manifesta.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e l’Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Emilia, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, resistendo al gravame.
Con ordinanza n. 40 del 26 gennaio 2023 la Sezione respingeva l’istanza cautelare del ricorrente. In sede di appello, invece, l’istanza cautelare veniva accolta “… in relazione alla possibile rilevanza e alla non manifesta infondatezza della questione della legittimità costituzionale dell’articolo 103, comma 10, lettera c), del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nella parte in cui attribuisce rilevanza automaticamente ostativa, ai fini dell’emersione del lavoro irregolare, alle condanne per “reati inerenti agli stupefacenti”, con formulazione generica che ricomprende anche l’ipotesi di cui all’articolo 73, comma 5 …” (v. Cons. Stato, Sez. III, ord. 26 maggio 2023 n. 2141).
All’udienza pubblica del 12 giugno 2024 la causa è passata in decisione.
DIRITTO
La controversia ha ad oggetto il diniego di regolarizzazione ex art. 103 del decreto-legge n. 34 del 2020 (conv. legge n. 77/2020), relativamente ad un rapporto di lavoro “domestico” instaurato con cittadino straniero cui l’Amministrazione imputa di essere interessato da “… reati ostativi …”. Alla luce di quanto documentato dallo stesso ricorrente e non contestato dalla difesa dell’Amministrazione, emerge che si tratta di una sentenza di applicazione di pena ai sensi dell’articolo 444 cod.proc.pen. per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, quindi per un reato in materia di “stupefacenti” che sarebbe in sé causa automaticamente preclusiva del conseguimento del beneficio di legge, ma che a fronte della sopraggiunta declaratoria di estinzione del reato – a suo dire – avrebbe oramai visto venire meno il proprio carattere ostativo.
Va innanzi tutto esaminata l’eccezione di irricevibilità del ricorso, fondata sul rilievo che la comunicazione del provvedimento al ricorrente, a mezzo raccomandata postale, si era già perfezionata il 18 gennaio 2022 con la “compiuta giacenza” attestata dall’Ufficio postale (v. relazione dell’Amministrazione prefettizia depositata il 21 gennaio 2023 e relativi allegati). Tardiva, quindi, si presenterebbe la notificazione del ricorso avvenuta solo il 23 novembre 2022.
L’eccezione è infondata.
E’ pacifico che, in alternativa alla consegna diretta dell’atto amministrativo a mani del destinatario, l’Amministrazione pubblica ha titolo ad avvalersi del servizio postale, senza dover necessariamente osservare il sistema di notificazione degli atti giudiziari a mezzo di ufficiale giudiziario. Quindi, il recapito del plico può avvenire a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, essendo previsto dalla disciplina in materia che sia dato «avviso di giacenza» tutte le volte in cui non sia stata possibile la distribuzione con consegna al destinatario, per poi presumersi la conoscenza dell’atto al compimento del periodo di giacenza di trenta giorni, con l’attestazione postale – nelle forme rituali – di «compiuta giacenza» (v. Cons. Stato, Sez. V, 14 marzo 2017 n. 1167);in tali casi, si è detto, non si può prescindere dalla prova dell’«avviso di giacenza» (v. Cons. giust. Amm. Reg. Sic. 24 aprile 2024 n. 307).
Nella fattispecie, però, agli atti non vi è prova dell’«avviso di giacenza», e anche l’attestazione postale di «compiuta giacenza» risulta apposta senza elementi che ne rendano certa la provenienza. Risulta indimostrato, insomma, il perfezionamento della conoscenza dell’impugnato provvedimento, per fictio iuris , già alla data del 18 gennaio 2022.
Nel merito, osserva il Collegio che secondo la normativa in esame “ Non sono ammessi alle procedure previste dai commi 1 e 2 del presente articolo i cittadini stranieri: a) …;b) …;c) che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale o per i delitti contro la libertà personale ovvero per i reati inerenti agli stupefacenti …” (così l’art. 103, comma 10, decreto-legge n. 34/2020).
Come rilevato dalla giurisprudenza, la formulazione di tale norma è sostanzialmente analoga, per evidente identità di ratio , a quella dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, sicché ne derivano le medesime conseguenze quanto alla circostanza che, a fronte di condanna per reato rientrante tra quelli ivi considerati, all’Autorità amministrativa non residua alcun margine di apprezzamento, dovendo ricollegarvi per legge un automatico effetto ostativo, derivante dalla valutazione effettuata ex ante dal legislatore, in relazione alle esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale nonché al particolare disvalore e allarme sociale generato dalle condotte incriminate, e quindi, in ragione di tale automatismo, l’Amministrazione è vincolata al rifiuto del rilascio del titolo, salva l’eccezionale ipotesi in cui sussistano vincoli familiari sul territorio italiano perché, allora, l’Amministrazione è chiamata ad operare un bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e alla protezione dell’unità familiare dello straniero (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. III, 27 dicembre 2022 n. 11305). Pertanto, in presenza di condanne per reati in materia di stupefacenti non residua alcuna sfera di discrezionalità in capo all’Amministrazione, che è obbligata a dare immediata applicazione al disposto normativo (v., ex multis , Cons. Stato, Sez. III, 29 dicembre 2022 n. 11543).
Nella fattispecie, allora, stante il precedente penale in materia di stupefacenti e il suo automatico effetto ostativo al rilascio del titolo, non potrebbe imputarsi all’Amministrazione un’errata applicazione della disciplina in materia o, comunque, il cattivo esercizio del potere di cui è investita dall’ordinamento, visto che la valutazione sulla pericolosità sociale è stata eseguita “a monte” dallo stesso legislatore. Né, d’altra parte, a diverse conclusioni induce l’intervenuta declaratoria di estinzione del reato, avendo già la giurisprudenza chiarito che tale beneficio non fa venire meno il fatto ostativo della condanna subita dallo straniero, e ciò anche nel procedimento di emersione disciplinato dall’art. 103, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2020 (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 30 marzo 2022 n. 716), atteso che una simile pronuncia non rescinde, nella sua materialità, il fatto addebitato, né consente di ritenere superato l’allarme sociale ingenerato dalla condotta delittuosa, se è vero che il giudice dell’esecuzione è tenuto esclusivamente ad accertare che il condannato non abbia poi commesso un delitto della stessa indole, ma non è anche chiamato a svolgere un concreto giudizio in ordine alla pericolosità sociale del condannato, e pertanto, a differenza della pronuncia con la quale il Tribunale di sorveglianza concede la riabilitazione, quella di estinzione del reato non sottende alcun giudizio di “rilegittimazione sociale” dell’interessato (v. Cons. Stato, Sez. III, 12 luglio 2022 n. 5824).
Sennonché, nelle more del giudizio la Corte costituzionale, con sentenza n. 88 del 8 maggio 2023, ha dichiarato l’illegittimità incostituzionale del combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998 “… nella parte in cui ricomprende, tra le ipotesi di condanna automaticamente ostative al rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle, pur non definitive, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 …”, e poi, con sentenza n. 43 del 19 marzo 2024, ha dichiarato l’illegittimità incostituzionale anche dell’art. 103, comma 10, lett. c), del decreto-legge n. 34 del 2020 “… nella parte in cui, nel prevedere i «reati inerenti agli stupefacenti», non esclude il reato di cui all’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 …”. Ne consegue che, per effetto delle decisioni del giudice delle leggi, lo straniero che commetta il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 non può per ciò solo essere automaticamente ricondotto nel novero dei soggetti socialmente pericolosi, dovendo caso per caso l’Amministrazione esaminare la situazione del richiedente il titolo di soggiorno, con la valutazione in concreto della sua pericolosità sociale, alla luce delle pronunce del giudice penale, della tipologia di reati commessi, della condizione sociale, familiare e lavorativa in base agli elementi di fatto forniti dall’interessato, e così operando il necessario bilanciamento tra gli opposti interessi.
Nella fattispecie, come documentato dal ricorrente e non contestato dall’Amministrazione, lo straniero vedeva applicata a suo carico, dal Tribunale di Reggio Emilia, una pena ai sensi dell’art. 444 cod.proc.pen. proprio per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, sicché assume rilievo il mutato quadro normativo in conseguenza delle richiamate decisioni della Corte costituzionale.
Orbene, come è noto, dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che disciplina il potere di adozione di un atto amministrativo, a sua volta oggetto di impugnativa pendente in sede giurisdizionale, consegue l’invalidità derivata dell’atto stesso qualora il ricorrente abbia proposto censure comunque afferenti all’applicazione della norma in rilievo, pur senza aver sollevato alcun profilo di incostituzionalità della stessa;e ciò in quanto opera in tal caso il principio secondo cui il giudice deve applicare d’ufficio, nei giudizi pendenti, le pronunce di accoglimento della Corte costituzionale, con la conseguente possibilità di superare i limiti che derivano dalla struttura impugnatoria del processo amministrativo e dalla correlata specificità dei motivi (v., tra le altre, TAR Campania, Napoli, Sez. V, 23 febbraio 2024 n. 1239). In altri termini, quando sopravviene la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma attributiva di un potere alla pubblica Amministrazione sul provvedimento che ne costituisce esercizio, pur non essendovi travolgimento automatico del provvedimento per effetto del venir meno della norma a monte – per trattarsi di illegittimità derivata dell’atto applicativo –, non è onere della parte ricorrente proporre motivi aggiunti per dedurre il vizio sopravvenuto quante volte la stessa nel ricorso introduttivo, attraverso uno o più motivi specifici, abbia fatto venire in rilievo la norma in questione, ancorché non sotto il profilo di una sua illegittimità costituzionale, e quindi il presupposto perché il giudice possa conoscere del vizio sopravvenuto è soltanto che il ricorrente abbia fin dapprincipio svolto censure che chiamino direttamente in causa la norma de qua e non anche che ne abbia specificamente lamentato fin dapprincipio l’illegittimità costituzionale (v. Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2013 n. 3449). Il tutto espressione del postulato secondo cui le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi eliminano la norma con effetto ex tunc , sì che la stessa non è più applicabile indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, in quanto l’illegittimità costituzionale ha per presupposto l’invalidità originaria della legge – sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale – per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando però che gli effetti dell’incostituzionalità non si estendono ai rapporti oramai esauriti in modo definitivo (v. TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 8 aprile 2021 n. 1097).
Ciò stante, emerge nel caso di specie come il ricorrente abbia rimproverato all’Amministrazione l’erronea individuazione di una causa automaticamente ostativa in un precedente penale isolato e asseritamente reso inefficace dalla sopraggiunta declaratoria di estinzione del reato, sì da presentarsi – a suo dire – ingiustificato il diniego di rilascio del titolo di soggiorno preteso.
Sussistono, allora, i presupposti per prendere atto della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità in parte qua della disciplina di regolarizzazione applicata allo straniero – destinatario di sentenza ex art. 444 cod.proc.pen. per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 –, con conseguente accoglimento della domanda giudiziale di annullamento dell’atto impugnato, in funzione del riesame dell’istanza da parte dell’Amministrazione.
Tenuto conto delle ragioni a base dell’accoglimento del ricorso, le spese di lite possono essere compensate, incluse quelle della fase cautelare. Del resto, ai sensi dell’art. 57, secondo periodo, cod.proc.amm., la rivalutazione della regolamentazione delle spese di lite relative alla fase cautelare non è condizionata ad una specifica istanza di parte (v. Cons. Stato, Sez. IV, 17 agosto 2023 n. 7801).