TAR Bari, sez. I, sentenza 2018-07-16, n. 201801078
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Testo completo
Pubblicato il 16/07/2018
N. 01078/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01157/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1157 del 2013, proposto da
Earth e OIPA Italia Onlus, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'avvocato M R, domiciliato presso la Segreteria del T.A.R. Puglia, Bari, in Bari, piazza Massari, 6;
contro
Comune di Panni (Fg), non costituito in giudizio;
per l'annullamento
dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Panni (Fg) n. 15 dell’11/7/2013, nella sola parte in cui vieta ai cittadini di alimentare i cani vaganti nella aree pubbliche o aperte al pubblico mediante il deposito di cibo per terra.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2018 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori come specificato nel medesimo verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato in data 16.8.2013 e depositato in data 10.9.2013, l’associazione Earth e OIPA (Organizzazione Internazionale Protezione Animali) Italia Onlus, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , adivano il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, per ottenere la pronuncia meglio indicata in oggetto.
Le ricorrenti esponevano in fatto che, in data 11.7.2013, il Sindaco del Comune di Panni (Fg) emanava l’ordinanza n. 15, avente ad oggetto “Misure sanzionatorie per le deiezioni canine in luoghi di pubblico transito”.
Inter alia , detta ordinanza vietava, per quel che in questa sede rileva, di “alimentare cani vaganti in aree pubbliche o aperte al pubblico, e depositare per strada resti di cibo a terra per evitare problemi di natura igienico-sanitaria”.
Avverso l’atto impugnato le ricorrenti deducevano censure di eccesso di potere per irragionevolezza e sproporzione del divieto di alimentare i cani randagi, citando ampia giurisprudenza sulla questione, nonché dolendosi della violazione dell’art. 50 del D.Lgs. n. 267/2000 (c.d. T.U.E.L.), non sussistendo i requisiti di urgenza e provvisorietà per l’emanazione del provvedimento censurato.
Il Comune intimato non si costituiva in giudizio.
In sede cautelare, con ordinanza n. 531/2013, il Tribunale in epigrafe si esprimeva positivamente sulla sospensiva, ritenendo sussistente il fumus boni juris sotto il profilo dell’eccesso di potere per erronea presupposizione, irragionevolezza ed illogicità in parte qua del provvedimento in esame.
Alla pubblica udienza del 23 maggio 2018 la causa veniva definitivamente trattenuta in decisione.
Tutto ciò premesso, il ricorso è fondato nel merito e, pertanto, può essere accolto.
La materia in questione è disciplinata, a livello nazionale, dalla l. n. 281/1991 (Legge quadro in materia di animali da affezione) e, in ambito regionale, dalla l.r. n. 12/1995.
In via generale, entrambe le normative menzionate promuovono un corretto rapporto uomo-animale, anche nell’ambiente di reciproca convivenza, e mirano a reprimere gli atti di crudeltà e maltrattamento contro di essi.
Per quel che in questa sede rileva, la l.r. n. 12/1995, all’art. 5, stabilisce che l’unico intervento ammesso dall’ordinamento per la prevenzione del randagismo è costituito dalla profilassi attraverso atti di controllo delle nascite.
Già il Consiglio di Stato, in sede consultiva, (Sez. III, parere 16.9.1997 n. 883), su un ricorso straordinario al Capo dello Stato avente ad oggetto una questione analoga a quella in esame, ha precisato che nessuna norma di legge in materia fa divieto di alimentare gli animali randagi nei luoghi in cui essi trovano rifugio.
Sicché, come già rilevato in sede cautelare, “deve ritenersi del tutto lecita la somministrazione in favore di cani randagi o animali da affezione vaganti in genere, purché il deposito di cibo avvenga attraverso l’uso di appositi contenitori ed a condizione che gli stessi vengano successivamente rimossi a cura degli stessi cittadini che hanno somministrato il cibo, costituendo tale successivo adempimento un loro preciso onere , oltre che conforme al comune senso civico, la cui violazione risulta già proseguibile integrando la fattispecie di abbandono di rifiuti su suolo pubblico”.
Dunque, il provvedimento gravato e fatto oggetto di contestazione in questa sede contrasta con la normativa nazionale e regionale citata, risultando affetta da eccesso di potere per erronea presupposizione.
Agli esposti rilievi giova aggiungere che, sotto distinto e concorrente profilo, il provvedimento impugnato - nella parte di esso che qui rileva - appare adottato in assenza dei requisiti di necessità ed urgenza idonei a legittimare l’adozione di misure extra ordinem , quale quella oggetto del presente giudizio, difettando una situazione di effettiva eccezionalità ed imprevedibilità tale da far temere emergenze igienico sanitarie o pericoli per la pubblica incolumità.
Invero, ai sensi dell’art. 50, comma 5, del D.Lgs. n. 267/2000 (c.d. T.U.E.L.) “(…) in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana (…)”
In altre parole, il legittimo ricorso ai poteri contingibili ed urgenti di cui all’art. 50 del T.U.E.L., presuppone che non possano in concreto trovare applicazione gli strumenti ordinari di amministrazione attiva apprestati dall’ordinamento (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 10 aprile 2017 n. 555).
Ciò in quanto il potere di emanare ordinanze di cui all’art. 50, comma 5, del d.lgs. 267 del 2000, riservato al Sindaco, permette l'imposizione di obblighi di fare o di non fare a carico dei destinatari, postulando, tuttavia, da un lato, una situazione di pericolo effettivo, da corredare con apposito apparato motivazione, e, dall'altro, una situazione eccezionale e imprevedibile, cui non sia possibile far fronte con i mezzi ordinariamente previsti.
E’ del tutto evidente che tali presupposti non si verificano nel caso de quo , nel quale invece l’ordinanza cerca di far fronte a circostanze del tutto fisiologiche e prevedibili, nonché non costituenti un immediato e concreto pericolo per l’igiene pubblica, ove le condotte impedite siano poste in essere con le cautele già previste da apposita normativa.
Le esposte considerazioni militano nel senso della complessiva fondatezza del ricorso, che deve, dunque, essere accolto, con consequenziale annullamento del provvedimento indicato in oggetto, nella parte di esso che è stata espressamente impugnata.
Le spese di lite, tenuto conto della peculiarità della controversia, della minima attività processuale svolta e della natura generale degli interessi perseguiti dall’Amministrazione, possono essere integralmente compensate.